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Autore: Elettra28    05/07/2012    10 recensioni
Kabul, Brittany è un capitano dei Marines, incontrerà Santana in una situazione drammatica che si ritroveranno a vivere assieme.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Sam Evans, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AUOOC | Avvertimenti: nessuno
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Eravamo accucciati dietro una grande roccia ad aspettare, in quei momenti mi veniva sempre da sorridere, mi ricordavano inevitabilmente la mia infanzia, quando giocavo con i miei amici a nasconderci, io ero bravissima, mi nascondevo sempre perfettamente e vincevo quasi sempre.

Eravamo di copertura per due mediatori che dovevano incontrare due talebani in un luogo neutrale e contrattare un qualcosa, non sapevamo l’identità della cosa e nemmeno la motivazione, l’unica cosa che sapevamo, era che, se le cose si mettevano male, dovevamo intervenire. La mia squadra era la più quotata del settimo reggimento di Kabul, io ed i miei ragazzi, eravamo specialisti in quel tipo di missioni, eravamo agili, veloci e precisi.

“Pierce tutto bene laggiù?” il nostro contatto radio alla base si assicurava stessimo bene
“tutto ok qui, non si muove una mosca e ci stiamo addormentando” risposi, notando il sorriso teso dei miei compagni
“direi che non vi conviene, occhi aperti Capitano!” mi disse, assumendo un tono che faceva trasparire tutta la sua autorità.
“tranquillo Maggiore, chiederemo ad Hudson di farci una danza del ventre per tenerci svegli” risposi per smorzare la tensione, facendo ridere tutti e procurando uno sguardo d’odio nel soldato che avevo nominato.

Nelle lunghe ore di attesa a cui eravamo chiamati quasi giornalmente, cercavo di tenere alto il morale del mio gruppo, non era piacevole rimanere immobili tutto quel tempo, con l’ansia addosso che, da un momento all’altro, ci cadesse una granata in testa.

“Evans come stà tua figlia?” chiesi al mio tenente
“bene capitano, cresce benissimo, oggi compie un anno” mi disse, mentre giurai di avergli visto gli occhi lucidi
Gli sorrisi ed improvvisamente m’illuminai “cazzo che giorno è oggi Sam?”
“12 giugno signore perché?” mi rispose, spaventato dalla mia reazione troppo avventata in quel silenzio
“è anche il compleanno di mio fratello! Quinn dannazione, perché non me l’hai ricordato?” chiesi alla mia amica d’infanzia, che avevo voluto nella mia squadra, appena aveva deciso di seguirmi ed arruolarsi qualche anno dopo
“perché, onestamente Brittany, non ricordo nemmeno in che anno siamo, scusa se sono concentrata nel tenere gli occhi aperti ed evitare che ci arrivi all’improvviso un gruppo di Talebani sotto il naso, mentre tu chiacchieri amabilmente col tenente Evans”  mi rispose, con lo sguardo fisso all’edificio poco distante da noi
“moderi i termini Sergente, le ricordo che si stà rivolgendo a dei suoi superiori” guardai con complicità Sam che sorrise, per poi continuare “rispetto Fabray, rispetto” mentre Quinn mi guardava storto, tenendo sempre ben salda la sua carabina. Era un buon tiratore Quinn, l’avevo voluta anche per quello, nelle grandi distanze, sapeva colpire meglio di un cecchino.


Sentimmo degli spari e delle urla dentro l’abitacolo, arrivarono improvvisamente una camionetta, con circa cinque talebani al suo interno, notai che due erano dentro e gli altri tre dietro con i fucili puntati a colpire qualsiasi essere si muovesse verso di loro. Ci mettemmo tutti subito in posizione e l’aria si fece tesa, tutti aspettavano un mio segnale.

“Maggiore ci sono problemi, cinque talebani armati sono entrati nell’abitacolo, abbiamo sentito delle urla e degli spari” comunicai al mio superiore, mentre potevo sentire i respiri ansimanti ed agitati dei miei compagni
“ok, calma Pierce, se interveniamo rischiamo di mandare all’aria il piano, può essere solo un modo per verificare che siano effettivamente soli, senza copertura, se ci esponiamo ora è finita.” Mi disse con una voce calma che mi stupì
“o-ok, ma che facciamo allora? Stiamo a guardare?”
“no, due di voi vadano in avanscoperta, per capire che succede, se c’è bisogno interveniamo.” Mi rispose
“ok” risposi fermamente
“Pierce!mi raccomando cautela e vedete di non mandare affanculo tutto il lavoro fatto”
“sarà fatto signore” risposi, per poi chiudere il contatto radio


Feci un lungo respiro, mentre avevo addosso tutti gli occhi degli altri, che aspettavano di sentire chi erano i due sfortunati ad eseguire l’ordine. Odiavo quei momenti, odiavo avere la responsabilità di quelle vite, tutta sulle mie mani. Ma dall’altre parte c’erano altrettante vite che avevamo promesso di proteggere quindi non potevo tirarmi indietro

“ok” dissi improvvisamente, vedendo che tutti sussultarono “Evans con me” guardai Sam e capì che un po’ si aspettava di essere chiamato da me, anche per la sua pronta risposta “si signore!”
“Fabray assumi il comando e copriteci, conto sul tuo occhio di lince” le sorrisi appena
“ma ….” Abbozzò, prima che la interrompessi
“Fabray!”
“Britt è pericoloso andare in due li in mezzo, è un suicidio!” continuò la mia testarda amica
“Quinn, andrà tutto bene, ci vediamo trà un po’!” dissi, riservandole per un secondo uno sguardo amorevole, per poi tornare subito seria ed esclamare “mi raccomando ragazzi occhi aperti…. Sam? Sei con me?”
“quando vuoi Brittany” gli sorrisi, mi girai da Quinn per un veloce occhiolino e ci spostammo

Camminammo accovacciati per una ventina di metri, passando in mezzo ai cespugli che circondavano quella casa, ormai le urla e gli spari erano finiti e regnava il silenzio. Notammo che, due di loro, erano rimasti fuori di guardia, mentre gli altri tre erano entrati dentro l’edificio. Feci un cenno a Sam per fargli capire che avremo fatto il giro largo e saremo arrivati esattamente dietro la casa. Il ragazzo annuì e mi seguì come un’ombra.

“ok, sembrano abbastanza tranquilli quei due bastardi li fuori, se succede qualcosa, i primi a saltare saranno loro” gli sussurrai
“non c’è dubbio “ mi rispose, carico di adrenalina
Lo guardai per un secondo e mi ricordai quello che mi aveva detto pochi minuti prima sulla figlia
“Sam…. Stà attento, devi chiamare tua figlia stasera per farle gli auguri” dissi
Lui mi sorrise e rispose “e tu tuo fratello”
“giusto! Andiamo, altrimenti faremo tardi” dissi, per poi continuare il mio cammino, con un passo più veloce.

Da quel momento in poi, sapevamo che non potevamo più parlare, ma avremo dovuto comunicare con gli sguardi. Io e Sam non eravamo nuovi ad imprese del genere, avevo scelto lui, perché era veloce e ci capivamo al volo.
 
Arrivammo a toccare le mura di quell’edificio, camminammo lentamente, tenendo saldi i nostri corpi a quelle mura, fino a che non arrivammo ad una finestra, che ci permetteva di sentire.

Dai discorsi capimmo che, i nostri due uomini, erano stati presi in ostaggio e che, uno dei talebani, li interrogava, facendosi tradurre da un personaggio che non sembrava uno di loro da come aveva la voce tremante. Pensai che c’era anche un mediatore trà di loro e, quel poveretto, si era ritrovato a stare in mezzo ad una situazione tragica, controvoglia.

Sentì le urla di dolore di una ragazza, non resistetti e mi affacciai leggermente, cercando di non essere vista.
Inquadrai uno dei nostri che era tenuto per le braccia da un talebano ed un uomo inginocchiato che sorreggeva una ragazza, coperta completamente dal vestito, indossava un  burqa. Erano chiaramente due civili. Improvvisamente, da dietro quei buchetti minuscoli che ricoprivano la sua faccia, incrociai gli occhi con la ragazza che era stata appena percossa. Mi vide! Quella ragazza mi aveva vista. Mi abbassai improvvisamente, ed iniziai ad affannare, mentre vedevo il mio compagno che mi guardava perplesso e preoccupato

“mi hanno visto, la ragazza mi ha visto” dissi, rompendo il silenzio
Sam non disse niente, io deglutì ed, in un secondo, decisi cosa fare
“credo sia una civile, ma non possiamo correre rischi, comunque sono in pericolo tutti li dentro”
Mentre parlavo a Sam, si sentirono ancora urla e mobili che si rovesciavano.
“torna indietro Sam e và a chiamare gli altri” dissi, guardandolo dritto negli occhi
Sam li spalancò invece, ed incredulo, mi disse
“ma… sei impazzita?”
Sentì dei passi avvicinarsi verso di noi di corsa
“torna indietro Sam, penseranno ci sia solo io… muoviti vattene ora!” non volevo rimanesse a rischiare ancora con me
“non me ne vado senza di te, non ha senso, torniamo indietro insieme”

Girarono l’angolo i due Talebani ed io e Sam sparammo immediatamente, nascondendoci dietro una grossa cisterna d’acqua.
“Dannazione Evans, torna subito indietro dai tuoi compagni è un ordine questo!” gli urlai continuando a sparare, incontrai per un secondo i suoi occhi e lo vidi correre verso i cespugli da dove eravamo arrivati, mentre io lo coprivo facendo fuoco. Sentì un suo urlo, evidentemente era stato colpito, trattenni il fiato, ma ripresi a respirare, nel momento in cui sentì gli spari che provenivano dai cespugli e che immediatamente colpirono uno di loro e lo stesero a terra.

Era Quinn, ci avrei giurato, riconoscevo alla perfezione il suo modo di colpire ed anche quello di muoversi, era tornata indietro a riprendersi Sam.
Sorrisi ancora al pensiero della mia amica, quando improvvisamente sentii qualcosa di freddo, attaccato alla mia tempia destra. Smisi di respirare e non mi mossi, mentre l’uomo che mi puntava il fucile, biascicava qualche cosa nella sua lingua. Intuì che mi chiedeva di arrendermi, quindi lasciai la mia carabina per terra e sollevai le braccia in alto. L’uomo mi tolse il casco e lo lanciò lontano, in quell’istante si accorse che ero una donna, lo vidi titubante e notai che, la stretta sul mio braccio, si fece più lieve. Mi spinse fuori dal mio nascondiglio, mentre urlava qualcosa all’altro. L’uomo che mi teneva prigioniera, doveva essere il loro capo, perché intuì che stava sbraitando contro di lui, perché non era riuscito a salvare il suo compagno, che era steso a terra senza vita. Quinn l’aveva fatto fuori, con un solo colpo alla testa.

 
Dopo avermi perquisito e liberato da tutte le armi ed i mezzi di comunicazione, mi portarono dentro la casa, vidi, sempre disteso a terra, quell’uomo che sorreggeva la ragazza col burqa ed i miei due connazionali, tenuti stretti da altri due talebani. Sentì sopra la nostra testa un elicottero, sorrisi ed esclamai
“non temete, stanno venendo a prenderci” guardando i due uomini davanti a me.

Sentì improvvisamente un dolore sordo allo stomaco e mi accasciai per il colpo ricevuto. Una mano prese il mio mento e lo sollevò, stringendolo forte. Fissai i suoi occhi insanguinati e pieni d’odio, l’uomo pronunciò, in un inglese malandato: “americano merda!” per poi lasciarmi andare.

Iniziò ad urlare nella sua lingua vari ordini, vidi che, i due che erano fuori a fare la guardia, entrarono nell’abitacolo, chiusero tutte le finestre e si prepararono allo scontro. Il loro capo parlò al cellulare con qualcuno, chiusa la chiamata, ordinò di nuovo qualcosa a due di loro, che ci presero e ci portarono tutti e cinque dentro una stanza. Vidi che la ragazza col viso coperto, zoppicava e l’uomo che stava con lei, l’aiutava a camminare. Sentì le urla dei miei compagni che arrivavano, alcuni spari ed il rumore di un carro che si avvicinava sempre di più a noi.

“ora ci liberano, vedrete, sono solo in quattro non ci vorrà molto” mi sentì di rassicurarli, ero quella più abituata a queste situazioni, sicuramente più di quella ragazza tremante, che si teneva stretta a quell’uomo.


 
Passò mezz’ora probabilmente, non avevo controllato l’orologio, ed uno di loro entrò, spalancando la porta, mi indicò, pronunciando qualcosa che non capì
“vuole che vada con lui” l’uomo, che stringeva trà le braccia la ragazza mi parlò, traducendomi quello che aveva detto. Mi alzai e mi diressi verso di lui, mentre intanto, indicava anche l’uomo che, evidentemente conosceva le due lingue. Vidi che l’uomo si alzò trà le urla della ragazza, che disperata non voleva lasciarlo andare. Quel piccolo uomo, che non sembrava un uomo della terra di Kabul, si abbassò e cercò i suoi occhi per tranquillizzarla da dietro quella stoffa così fredda ed isolante dal mondo. Senza aver bisogno di dire niente, la ragazza si tranquillizzò e lo lasciò andare.
 
 
 
“vuole sapere il tuo grado” mi disse l’uomo, traducendo quello che mi stava chiedendo il capo di quei delinquenti
“Capitano Pierce” risposi fiera, sentì che l’uomo riportò nella loro lingua la mia risposta, mentre osservai la stanza, c’erano alcune sedie ed un tavolo e dei fucili poggiati sopra, insieme a tre bottiglie di liquore, pensai che non dovevano essere poi così estremisti visto che la loro legge non permetteva gli alcolici, ma erano prima di tutto delinquenti quindi non mi stupì delle loro incoerenze, gli altri talebani erano molto nervosi e continuavano a guardare, fuori dalla finestra, l’ormai esercito piazzato fuori per liberarci. Pensai che potevo approfittare di quei momenti di panico, per fare uno scatto ed afferrare uno di quei fucili, lasciati incautamente incustoditi sopra quei tavoli, ma rischiavo di far uccidere, oltre me, anche tutti gli altri se avessi sbagliato.
“dice che devi andare fuori e trattare per loro con i tuoi capi” continuò a tradurre
“…e che devi dire che, per la nostra liberazione, vogliono che liberiate i loro quattro compagni, che avete catturato una settimana fà, trà di loro c’è un personaggio importante”
“chi mi garantisce che dopo ci liberate?” chiesi e mi feci tradurre
L’uomo si mise a ridere e poi rispose
“ha detto nessuno! Ma ha detto che, per loro, non è un problema morire, non sono dei codardi come voi americani e non hanno paura di morire” mentre mi traduceva quelle parole, si avvicinò sempre di più a me
Continuando a parlare nella sua lingua
“dice che, se non lo faranno, sono pronti a saltare in aria insieme a tutti noi, non c’è possibilità di uscita se non liberare i loro compagni, altrimenti moriremo” mi disse con la voce tremante il mio traduttore
Guardai per un secondo l’uomo affianco a me e gli sorrisi, provando a rassicurarlo, per poi dire
“avanti, facciamolo, vediamo se sarò così convincente come lo è stato il nostro amico qui davanti a noi”
Mi fece un lieve sorriso e si mise a tradurre.

 
 
Mi portarono fuori, uscì con uno di loro, mentre vidi davanti a me un carro dei nostri, uscì con le mani sollevate sopra la testa, mentre il talebano, un po’ tremante, mi puntava la carabina sulla schiena, coperto dagli altri suoi dentro la casa.
Vidi che spuntò fuori il mio capo, il colonnello Schuester
“colonnello…” lo salutai sarcasticamente
“Pierce, com’è la situazione?” mi chiese subito
“vogliono trattare la nostra liberazione, con quella dei quattro loro compagni, che abbiamo catturato qualche giorno fà” dissi
“impossibile! c’è un pezzo grosso nelle nostre mani!” rispose impulsivamente
“dice che se non lo fate, ci mettono un attimo a far saltare in aria tutta la casa con loro dentro, non hanno paura di morire”
Ci pensò un po’ e poi mi chiese
“quanti siete?”
“tre di noi e due civili signore” risposi subito
“siete in troppi Pierce dannazione! Uno di voi vale venti di loro! Bastardi figli di puttana!”
Si arrabbiò e fece un gesto di stizza


Si sentì urlare qualcosa da dentro la casa, mentre il talebano, affianco a me, mi ricordava che avevo un’arma puntata alla schiena, spingendomi con la punta della carabina
“dice di muoverti perché stà perdendo la pazienza, avete ancora un minuto, dopo di che farà saltare in aria tutto e tutti” urlò il mio traduttore da dentro la casa
“sentito?” dissi io con sguardo eloquente, verso il mio superiore
“ok Pierce, dobbiamo trattare ancora. Non sono disposto a lasciare i quattro che abbiamo catturato, quindi, tratta con loro e digli che, li dentro siete in troppi, voglio un gesto da parte loro, che mi dimostri che sono persone serie e tengono ai patti, in quel caso valuteremo”
“sarà fatto signore!” risposi
Schuester mi guardò, addolcendo lo sguardo “ricordati che sei un marines, i marines non mollano, giusto soldato?” urlò
“si signore!” risposi quasi sull’attenti

Incrociai gli sguardi di alcuni miei compagni che erano arrivati per i rinforzi, non vidi nessuno della mia squadra, forse erano tornati tutti alla base, per portare Sam in infermeria, sperai che il mio compagno stesse bene e non avesse niente di grave. Guardai gli altri soldati e, nei loro sguardi, vidi compassione e solidarietà, sorrisi lievemente e mi girai per tornare dentro.
 
 
Spiegai la cosa al mio traduttore, che non perse tempo a parlare al loro capo, questo, dopo aver sentito la proposta, iniziò ad urlare ed, in uno scatto d’ira, prese una sedia e la scagliò sul muro, frantumandola, poi prese il cellulare e chiamò il suo superiore.

Dopo vari minuti di accese discussioni, mi ero ritrovata ad osservare le espressioni del mio amico affianco a me, che capiva quello che si dicevano al telefono e, le sue espressioni, non erano per niente tranquille.

L’uomo chiuse la chiamata ed ordinò qualcosa a due di loro, che entrarono dentro dagli altri e li fecero uscire tutti.
Indicò in ordine i due miei connazionali mediatori e lo stesso traduttore che fece uno scatto disperato verso l’uomo che aveva dettato quegli ordini, supplicandolo.

Non capivo cosa stesse succedendo ma, dopo che l’uomo, in un gesto di stizza scagliò il poveretto verso il muro, procurandogli una ferita alla testa, mi avvicinai e chiesi
“che succede? Cosa ha detto?”
“vuole… vuole liberare noi e lasciare soltanto te e….mia figlia” iniziò a piangere “ti prego fà qualcosa, mia figlia no” mi supplicò
“digli che basto io! I miei compagni faranno di tutto per liberarmi, se tengono solo me, otterranno quello che vogliono” dissi, ma l’uomo era troppo impegnato a guardare la figlia e ad abbracciarla in lacrime
“avanti diglielo maledizione!” urlai ormai nel panico, quando improvvisamente mi sentì delle braccia sollevarmi da terra, mi dimenai, ma non riuscì a fare niente, l’uomo che mi portava in spalla, era più grosso e più alto di me.

Mi prese e portò dentro la stanza, dopo pochi secondi, mi raggiunse la ragazza col viso coperto, che piangeva ormai disperatamente. Chiusero la porta di quella stanza e ci lasciarono da sole li dentro. Io mi alzai di colpo, ed iniziai a battere forte, contro la porta urlando
“lasciatela andare pezzi di merda! Non c’entra niente lei, lasciate solo me, avete capito? “

Continuai così per quasi un’ora, senza fermarmi, pestai su quella porta tanto da ferirmi le mani, urlai tanto da perdere quasi la voce, dopo le mani, usai i calci, come a voler spaccare quella porta, che sembrava non volerne sapere di rompersi. Ogni tanto davo uno sguardo a quella ragazza, che era prigioniera a malincuore, senza volerlo, lei, al contrario di me, piangeva e soffriva in silenzio, dietro a quel brandello di stoffa che isolava il suo dolore.
Ma io non mi davo per vinta, se quei bastardi dovevano tenermi prigioniera, allora dovevano convivere anche con la mia testardaggine, era dura convivere con Brittany Susan Pierce, chiedessero alla mia compagna che ormai mi sopportava da una vita. Ecco chiedessero a lei…
“Brittany Pierce non molla facilmente, avete capito bastardi? Se non ci liberate, continuerò a sbraitare per tutto il tempo, non riuscirete nemmeno a comunicare trà di voi, perché le mie urla saranno più forti” ormai avevo perso ogni filtro, urlavo da un’ora, cose senza senso in continuazione, riversavo la mia rabbia, per non aver portato al successo la mia missione, con pugni, calci ed urla, che rasentavano il delirio, mentre la ragazza, continuava a dondolarsi accovacciata verso il muro.
“siiii chiedete alla mia compagna, chiamate Kate, chiedetelo a lei, com’è la sua fidanzata, quando è arrabbiata e sbraita in continuazione, perché non l’ascolta mai…”

Sentì improvvisamente la chiave della serratura girare e la porta aprirsi
“finalmente! Avete capito di che pasta è fatta Brittany Pi…” non riuscì a finire la frase, che mi trovai distesa in terra, con un dolore lancinante alla mandibola, sentì che mi diedero dei forti calci allo stomaco, mentre ero distesa per terra. L’unica voce che poi sentì, prima di svenire, era la ragazza che piangeva ed urlava disperata “No!”
 
****
 
Mi risvegliai, sentendo delle mani delicate che, con un pezzo di stoffa, tamponavano la mia faccia. Aprì gli occhi ed incrociai dei bellissimi occhi neri ,che mi guardavano attraverso una retina, mentre mi tamponavano delicatamente la fronte. Realizzai, in quel momento, che ero prigioniera di un gruppo di talebani, che me le avevano date di santa ragione, perché non avevo smesso di dargli fastidio per più di un’ora. Era l’unico modo per potermi fermare quello.

Cercai di muovermi, ma sentì improvvisamente tutti i dolori provocati da quelle percosse, mi scappò un lamento di dolore.

“non credo tu sia in grado di muoverti in questo momento, hai preso un po’ di botte” sentì quella voce bassa e roca e quasi sussultai ,spalancando gli occhi
“parli la mia lingua?” chiesi, cercando di trovare una posizione che non mi procurasse dolore
“si… ma credo che chiunque avrebbe imparato la tua lingua, dopo averti sentito urlare in continuazione frasi di tutti i tipi, come hai fatto tu prima”
Aveva un accento bellissimo, la sua delicatezza nel parlare mi colpì, non riuscivo a vedere niente del suo viso, se non gli occhi ma, da come li serrava, potevo immaginare che stesse sorridendo
“mi hanno insegnato a fare così, sfiancare, esasperare il nemico, se non si hanno altre armi” risposi divertita
Rimanemmo a guardarci per qualche secondo ed io mi lasciai tamponare la fronte, che ancora sanguinava.
“fa molto male?” mi chiese poi
“un po’… ma ci sono abituata” dissi spavalda, mentre intuivo che, sotto quella tunica, ci fosse un sorrisino divertito dalla mia spavalderia.
“come mai parli la mia lingua?” le chiesi poi
Vidi che fù restia a rispondere, come se avesse paura
“non avere paura, siamo della stessa squadra adesso, non ti può succedere niente, possiamo solamente proteggerci a vicenda”  sentì di dirle, per tranquillizzarla
“non sono Afgana, mio padre è un diplomatico, sono nata in Spagna” mi rispose

Sorrisi piacevolmente nello scoprire che era europea, mi piacevano gli europei, quando potevo, ci andavo sempre in vacanza ed un paio di volte ero stata in Spagna.
“che città?” le chiesi infatti
“Siviglia, ma ci siamo trasferiti quando io avevo 5 anni, abbiamo iniziato a girare il mondo ” rispose amaramente
“mi dispiace per tuo padre” dissi poi
“preferisco rimanere io qui, e sapere che lui è vivo e stà bene” rispose, per poi chiedere “e tu? Soldato…. Da dove vieni?”
“dall’Ohio, scommetto che non hai mai sentito il nome della mia città”
“mettimi alla prova, sono la figlia di un diplomatico ed abbiamo girato parecchio” disse, senza smettere di curarmi il viso delicatamente
“si chiama Lima”
“mmmm no, decisamente non la conosco!”
“dovresti venirci un giorno, è bellissima, è il posto ideale se vuoi morire di noia” sentì improvvisamente la sua risata, così bella e contagiosa che mi venne un’improvvisa voglia di scoprire quel volto.

Mi ritrovai ad osservare, sopra la mia testa, un volto nascosto davanti a me, dovevo avere davvero un’espressione da ebete, perché mi accorsi che, quella ragazza, mi osservava mentre le sorridevo.

“sappiamo i nostri luoghi di nascita, ma non ci siamo ancora presentate” le dissi poi
“Santana….. mi chiamo Santana Lopez” rispose

Feci uno scatto in avanti e, nonostante il dolore alle costole e la testa che mi pulsava, mi sollevai e le porsi la mano
“Brittany Pierce” dissi, stringendo quella mano così delicata. Mi misi una mano in fronte, mentre notai che sanguinava ancora
“Aspetta” mi disse, mentre rompeva un altro brandello dal suo burq,a per tamponarmi la ferita
“sanguina ancora” disse, per poi fare un giro della stoffa intorno alla mia testa e chiuderla con un nodo, avvicinandosi a me, tanto che potei sentire il suo respiro


Era una sensazione strana, perché, nonostante davanti a me avessi una persona  nascosta da un immenso e spesso telo, potevo percepire le sensazioni che mi davano il suo corpo, dalle sue mani, potevo intuire che aveva una carnagione scura, tendente all’olivastro e, quegli occhi neri intensissimi, mi fecero immaginare i suoi capelli che dovevano essere per forza corvini.
“ecco, così sembrerò una Rambo al femminile, con la divisa e la fascia in testa”

Ancora rise, ancora quella risata contagiosa, che mi fece sorridere beata al solo ascolto.

“sò che ci conosciamo da poche ore ma, posso chiederti una cosa personale?” azzardai
“porto il burqa perché sono considerata cittadina Afgana ed è obbligatorio, altrimenti potrebbero anche uccidermi con la lapidazione, ma non sono mussulmana. Mi è concesso di toglierlo solo la notte.” Mi rispose, come se mi avesse letto nel pensiero, lasciandomi senza parole

Guardai fuori da quella finestra sigillata e notai che intanto si era fatto buio. Sentimmo delle voci provenienti da una TV, probabilmente i nostri carcerieri l’avevano accesa, per sentire se già parlavano della loro impresa, nelle notizie del giorno.

“bene… ricordi se, nella prenotazione, era compresa anche la cena oltre al pernottamento?” ironizzai
“mi sà tanto di no! Io ho mangiato abbondantemente prima di questa gita…. Sai, coi Talebani non si sà mai” mi diede corda in un modo così meraviglioso e così intelligente che mi stupì, non avevo mai sperimentato un’intesa così immediata con una persona e, nonostante la situazione drammatica in cui ci trovavamo, riuscivamo ad isolarci ed a trovare dei modi che ci facevano stare bene.
“accidenti, a noi damigelle dei marines ci tengono a stecchetto, sai, ci vogliono in forma per i calendari di beneficienza” risposi, facendola nuovamente ridere.
 
 

Improvvisamente, mi accorsi che il velo che le copriva il viso, aveva una macchia su una tempia, mi avvicinai per toccarla, lei si scostò improvvisamente.
“hey… stà tranquilla” le dissi, vedendo che si rilassò un po’
“sei ferita anche tu… fa male?” chiesi, vedendo che il sangue era asciutto
Scosse la testa imbarazzata
“posso vedere?” cercai di sollevarle il velo, per scrutare la ferita sulla tempia
“no!” mi fermò il polso, mi spaventai per quella reazione “ti prego no, se mi scoprono a viso scoperto possono farmi del male e possono farne anche a te” disse impaurita
“ma… avevi detto che la notte… è buio ora” dissi, indicando la lieve luce che ci dava la luna
“si… ma ho paura, ho paura Brittany” pronunciò il mio nome in un modo così tenero, che mi fece sussultare il cuore, quella ragazza mi aveva rapita con solo lo sguardo, ero completamente presa da lei e dalla sua voce

Le misi una mano sulla guancia, accarezzando quel lembo ruvido di stoffa
“non aver paura, ci sono io, ho bisogno di vedere la gravità della tua ferita Santana” pronunciai dolcemente

Tremante prese il suo velo, potevo sentire il suo respiro teso ed affannato, mi sentì emozionata anche io, nonostante non temessi niente, non temessi quei poveri disgraziati dall’altra parte della stanza, che sicuramente, almeno la maggior parte di loro, erano già ubriachi. Ero solo emozionata per l’ansia di quella scoperta, mi sentì come quando qualcuno ti chiama, per darti la bella notizia che stai aspettando da una vita.
Sollevò con lentezza il velo e scoprì il volto. Per una fortunata coincidenza, la luce di quella luna piena, che ci faceva compagnia in quella prigionia, le trapassava esattamente il volto ed io pensai di avere visto, in quel momento, l’essere più bello esistente al mondo. Trattenni il respiro, ma i miei polmoni si riempirono di aria, al solo vedere quei lineamenti perfetti, quegli zigomi pronunciati, quel naso che scendeva dritto e delineava i tratti latini in lei, ma soprattutto quelle labbra che erano così perfette e pronunciate, tanto che l’unico pensiero razionale, che mi passava per la mente in quel momento, fù quello di poterle baciare ed assaggiare.

Il suono sordo di una sedia che cadeva, mi distolse da quel momento e Santana si ricoprì immediatamente il viso.
Non era successo niente, evidentemente qualcuno era talmente ubriaco, da cadere dalla sua stessa sedia, perché poi si sentirono delle risate, che ci tranquillizzarono. Le sorrisi spontaneamente

Santana, in un gesto altrettanto spontaneo, si ritolse il velo e ricambiò il sorriso. Fù li, che mi accorsi di avere avuto una vera e propria venerazione, per il volto che avevo davanti a me, non avevo mai visto una creatura così bella, come non avevo mai visto un sorriso così genuino e trasparente. I suoi occhi si serravano quasi completamente mentre rideva, non dovevo essere stupita della cosa, perché in effetti era quello  che, da dietro il burqa, mi aveva fatto immaginare il suo sorriso, ma nemmeno in dieci milioni di anni di studi sui sorrisi, sarei stata capace di immaginare, il sorriso che avevo davanti a me in quel momento.

“mi ero spaventata per il rumore” disse, ed io mi accorsi in quel momento, di avere la bocca aperta da non sò quanto tempo, perché, nel momento in cui la chiusi per deglutire e rispondere, la sentii secchissima. Arrossì al pensiero che lei potesse accorgersi di tutto quello.

“sono dei poveri ubriaconi, non credo riuscirebbero a fare del male ad una mosca in questo momento, per il semplice fatto che non si reggono in piedi, a parte chi è al turno di guardia” dissi tutte quelle parole, senza nemmeno pensarle e senza quasi accorgermene.
Cercai di guardare da un’altra parte, per evitare di risultare una maniaca psicopatica, che fissava le persone e forse, per chi in quel momento aveva fatto il grande passo di rivelare il suo viso, non era proprio il massimo.

Mi ricordai del motivo principale per il quale si era tolta quel velo e mi avvicinai, per scrutare la ferita, notai che, come aveva detto lei, non era niente di grave.
“è solo un taglietto” dissi, prendendo coraggio e sfiorandolo, avvicinandomi di più a lei.

Prima di allontanarmi, incrociai i suoi occhi, lei guardava i miei e più che i miei occhi, mi sembrava mi leggesse l’anima e, con quella lettura così accurata, capisse quello che il mio cuore desiderava in quel momento. Sentivo il suo respiro così vicino e vedevo le sue labbra dischiuse che sembravano pronte ad accogliere le mie. Senza pensarci ulteriormente chiusi gli occhi e le avvicinai, ponendo fine a quella tortura.
 
Erano così calde e così morbide che mi sembrò di sfiorare delle nuvole. Avevo intenzione semplicemente di posare le mie labbra sulle sue in un bacio delicato, ma quando sentì che Santana non si tirò indietro, decisi di approfondirlo e, con tutta la passione che mi pervadeva in quel momento, le misi una mano dietro la nuca, scoprendo la morbidezza di quei capelli corvini, che avevo immaginato poco tempo prima. Lei mi mise le mani intorno al collo e mi accarezzò la schiena, mentre le nostre lingue danzavano insieme, come se fossero state da sempre unite. Ci staccammo per un istante, tenendo le nostre fronti incollate

“scusami…io… io lo volevo dal primo momento in cui mi sono risvegliata, ed aprendo gli occhi ho visto i tuoi dietro quel velo” le sussurrai a fior di labbra, mentre lei mi accarezzava la guancia delicatamente sorridendomi
“anche io” mi rispose poi


Ci sdraiammo su quel pavimento freddo, senza interrompere il contatto visivo, stare distese sul pavimento non era un problema, sentire il freddo non era un problema, non avere un letto morbido non era per niente un problema, se potevo avere su di me ancora quegli occhi così belli, se potevo sentire ancora quelle labbra morbide che accarezzavano le mie. Potevo stare prigioniera per tutta la vita, i Talebani avevano il potere di tenermi li per sempre, se potevo stare con quella creatura meravigliosa sdraiata accanto a me.

Santana fece una specie di cuscino col pezzo di burqa che si era tolta.

Mi sorrise e prese la testa per poggiarla li, in quel momento, poggiandola, mi accorsi che pulsava per la ferita, ma non m’importò, volevo gustarmi fino all’eternità, quel viso a pochi centimetri dal mio
“fa ancora molto male?” mi chiese, sfiorandomi la fronte
“in questo momento non sento niente, se non il desiderio di baciarti ancora” le dissi, guardandola con desiderio e carezzandole i capelli.

Santana sorrise ed in quel sorriso io morì per l’ennesima volta e pensai di essere in paradiso, quando avvicinò di nuovo le sue labbra alle mie.

Passammo la notte abbracciate, come se in quella solitudine ed in quel dramma, i nostri corpi avessero bisogno solamente di stringersi per sopravvivere a quella situazione. Mi addormentai, perché la ferita alla fronte si era fatta sentire inevitabilmente, dopo qualche ora ed il colpo preso, mi procurò sonnolenza, ma mi addormentai trà le sue braccia e trà le sue carezze.
 
****

Aprì gli occhi svegliata dalla luce che proveniva dalla finestra sigillata, mi accorsi che Santana non era più accanto a me, allarmata mi sollevai di scatto, pronta ad attaccare. Mi girò la testa per l’improvviso balzo e notai che Santana si spaventò, era messa in un lato, rannicchiata con addosso di nuovo il burqa.
Mi avvicinai lentamente
“stai bene?” le chiesi, osservando dispiaciuta quegli occhi da dietro quella retina, che ormai odiavo con tutte le mie forze
“si…ho pensato non fosse opportuno ci trovassero sdraiate vicine” mi disse con imbarazzo
Le sorrisi e cercai la sua mano da sotto il mantello. Lei me la strinse ed accarezzò.

 
Improvvisamente sentì un suono familiare, era un verso di un uccello, era Quinn ne ero certa. Quinn mi stava avvisando che stavano per attaccare, avevamo provato miliardi di volte, in addestramento, quel segnale. Sapevo che i miei ragazzi stavano per arrivare e, se eravamo fortunate, saremo state fuori nel giro di un’ora. Era appena sorto il sole, io presi la mano di Santana e le dissi sorridendo
“stanno arrivando, non aver paura, ci tireranno fuori di qui”

Lei annuì spaventata. In quella stanza non c’era quasi niente se non un mobile alto. Le feci un cenno di aiutarmi e cercammo di spostare il mobile, in modo da farci da scudo, per un’eventuale granata che i miei avrebbero lanciato, per aprirsi un varco nella casa. Sperai scegliessero il lato giusto, perché se per caso avessero lanciato la granata dal nostro lato, era finita.

Aspettammo forse per dieci minuti, io continuavo a stringere la mano tremante di Santana ed a guardarla per tranquillizzarla, non ci dicemmo ne facemmo niente in quei lunghi ed interminabili minuti, eravamo solo intente a respirare correttamente e a non dare di matto per la paura. Sentì il richiamo più accentuato di Quinn e capì che era giunto il momento, infatti dopo pochi secondi, una forte esplosione invase la nostra stanza, frammenti di muro e di vetro della finestra volarono, il mobile ci riparò completamente dalle schegge, se non un piccolo frammento di vetro si incastrò nella mia gamba. Santana si girò terrorizzata verso di me, vedendo il sangue che macchiava i miei pantaloni
“non è niente tranquilla, stai con me ora” le dissi

Vidi che entrarono i miei compagni, riconobbi Mike e Finn in prima linea e Quinn che urlò
“Pierce!”
“siamo qui!” urlai, alzando la mano, mentre gli altri miei compagni sfondarono la porta ed iniziarono a sparare sui talebani
Quinn ci liberò dai detriti e mi prese la mano, per farmi uscire fuori
“finalmente! Ci hai messo troppo tempo sergente!” le sorrisi, mentre lei mi abbracciò sollevata.
Vide che c’era Santana e subito mi lasciò, per prenderla per un braccio e portarla fuori dal caseggiato
“andiamo, presto!”disse Quinn
“aspetta! Dammi la pistola, ho un conto in sospeso con uno di loro” dissi, porgendole la mano e già assaporando la mia vendetta, sul tipo che mi aveva pestato
“Britt non fare stronzate, ci penseranno gli altri” mi disse, evidentemente arrabbiata
La guardai senza dire niente e tenendo sempre tesa la mano, aspettando mi porgesse l’arma. Intanto osservai gli occhi preoccupati di Santana
“uff sei una testarda rompipalle” mi disse Quinn, porgendomi la pistola, mentre i miei compagni continuavano a sparare nell’altra stanza
Sorrisi prendendo la pistola e dissi
“porta in salvo Santana, ci vediamo dopo” poi guardai la mora che mi aveva fatto sbarellare la sera prima ed esclamai “e tu togliti quel coso orribile” assaporando ancora il suono di quella risata meravigliosa. Le feci l’occhiolino ed entrai in mezzo alla battaglia.
 
Riuscimmo a catturare tutti i Talebani ed a non fare vittime, io mi presi qualche soddisfazione sull’uomo che mi aveva picchiata, fino a che Finn non mi portò via di peso.

Tornai alla base dopo poche ore e non ebbi più notizie di Santana, Quinn mi disse che, appena portata in salvo, i servizi segreti l’avevano presa e portata al sicuro, ma non sapeva assolutamente dove.

Non mi diedi per vinta e la cercai, per tutta Kabul per un mese intero, senza sapere niente di lei, della sua famiglia, sembrava sparita, dileguata. Volevo rivederla, volevo incontrare di nuovo quegli occhi che mi avevano fatto sussultare il cuore e volevo ancora baciare le sue labbra, non poteva sparire così dalla mia vita, come se fosse stato un bellissimo sogno.
 

********

2 anni dopo New York


“Non potevi dire a Figgins che ci saresti andata da sola a questa inutile conferenza sui diritti delle donne?”
 
Ascoltavo un discorso di un qualche senatore, seduta affianco a Quinn, ero tremendamente infastidita quel giorno, perché inspiegabilmente la giacca delle grandi cerimonie, mi stava stretta ed io non ero per niente ingrassata.
“serviva la celebrità, il generale Figgins mi ha suggerito di chiedere a te, Colonnello Pierce” ironizzò la mia amica
“bè capitano Fabray, ci potevi andare con qualcun altro, per esempio con Puckerman, lui ha salvato cento bambini iracheni, è più celebrità di me” le risposi
“si certo, per poi chiedermi in cambio prestazioni sessuali, lo sai com’è fatto Noah!” rispose, cercando di non farsi sentire dalle altre autorità affianco a noi
“bè non ti farebbe male una bella scopata onestamente” la provocai ridacchiando, almeno potevo divertirmi un po’, in quella inutile giornata, fatta solo di gente che parlava a vanvera, senza sapere nemmeno il significato della parola diritto.
“se proprio vogliamo dirla tutta, direi che servirebbe più a te, da quando hai lasciato Kate, sei diventata un’acida zitella insopportabile”
“Uhhhh….” Mi girai sconvolta dal suo sfogo.


“ed ora, chiediamo alla presidente dell’associazione no profit che tutela i diritti delle donne Afgane, la dottoressa Santana Lopez di raccontarci la sua esperienza” sentì in lontananza quel nome e mi girai subito, ignorando completamente, quello che Quinn continuava a blaterare.

Non potevo crederci, solo aver sentito quel nome mi tolse il respiro, non l’avevo più vista dalla volta a Kabul, ero rientrata in America ed avevo fatto delle ricerche, ero ossessionata da lei, la sognavo, sognavo  di baciare le sue labbra, avevo perfino lasciato la mia compagna, perché sentivo che, dopo quel momento vissuto insieme a lei, non potevo più vivere altre storie, perchè niente mi avrebbe coinvolto così. Ero ormai rassegnata ad una vita di ricordi, ricordi di quel paradiso vissuto per quelle poche ore, in una sola notte.

Avevo perso tutte le speranze, ed invece lei ora era li, che saliva fiera su quel palco, con i suoi fogli in mano e sorridente. Seppur avevo cercato di tenere vivo il ricordo di lei, pensandoci ogni santa notte, non le rendeva giustizia, la visione che avevo davanti a me, era qualcosa che andava al di là di ogni ricordo, di ogni immaginazione stampata nella mia mente. Aveva una gonna nera strettissima ed una camicia bianca un po’ scollata, che lasciava intravedere un pezzo di reggiseno nero. Ma soprattutto, aveva il viso scoperto, quel viso che meritava solamente di stare alla luce del sole, perché tutti potessero ammirarlo.


Parlò per una decina di minuti della sua esperienza  Kabul e di come era stata salvata dall’esercito degli stati uniti e da una persona in particolare, che purtroppo non aveva avuto più modo di ringraziare, ma che portava sempre nel cuore.

Stava parlando di me, Santana si ricordava ancora di me e portava in giro nel mondo la sua esperienza, per non dimenticare. Teneva stretto con sé il nostro ricordo, come avevo sempre fatto anche io. Mi ritrovai a sorridere, mentre ascoltavo quelle parole ed osservavo quella bellezza rara davanti a me.
“ma… è quella Santana?” mi chiese Quinn
Io la guardai e le sorrisi come una deficiente, per poi alzarmi ed andare a prendermi quello che avevo bramato per tutti quegli anni. Lasciando la mia amica interdetta.
 

Percorsi quel lungo corridoio a grandi falcate, Santana aveva appena finito di parlare, non avevo la minima intenzione di lasciarmela sfuggire di nuovo.  Entrai dentro la sala dei relatori e non la vidi, chiesi ad uno del personale dell’hotel che ci ospitava e mi disse che era appena andata via ed aveva chiamato un taxi.

Persi il respiro e mi misi a correre, la vidi che fermò un taxi, mi misi ad urlare il suo nome ma, nel bel mezzo del traffico di New York, non mi sentì, ci separavano almeno un centinaio di gradini, se riuscivo a farli tutti senza cadere, ce l’avrei potuta fare.
Li feci velocemente anche a gruppi di tre, mentre lei saliva su quel maledetto taxi, col fiatone provai ad urlare di nuovo il suo nome, ma niente.
Arrivai, ma il taxi mi partì davanti, spalancai le braccia per farmi notare dal taxi, ma ancora niente.
“maledizione!” esclamai.

Mi guardai intorno e mi passò affianco un ragazzo in  motorino, era un porta pizze, perché dietro aveva un grosso baule. Lo fermai di colpo, mi guardò perplesso
“esercito degli stati uniti, questo veicolo è in regola?” dissi con serietà
“cos… come?” balbettò
“mi sembra evidente che la risposta è no! Scenda!” lo intimai.
Il ragazzo spaventato scese dal veicolo ed io ci saltai sopra
“è sotto sequestro!” pronunciai, mentre mi misi ad inseguire il mio taxi, con dentro la mia donna

Lo inseguì per un bel po’ di metri ,fino a che finalmente non si fermò ad un semaforo. Avevo letteralmente il cuore in gola dall’emozione. Mi avvicinai al finestrino al lato dove stava Santana e bussai forte. la mora si spaventò e si girò, la vista di quegli occhi mi sbilanciò e mi fece cadere rovinosamente a terra
“oddio si è fatto male?..... Brittany?” mi disse
Io le sorrisi e, pazza di gioia, annuì dicendo
“sono venuta per farmi ringraziare” rendendomi conto che era la frase più idiota, che potessi mai pronunciare in quel momento
“Brittany, ma sei proprio tu?” mi chiese, ancora incredula “stai bene?”
“si ora si” risposi, rimettendomi in piedi, ci guardammo per dei secondi interminabili
“ti ho cercato d’appertutto, per tanto tempo, non ti ho mai dimenticata Santana” le dissi, prendendole il viso trà le mie mani commossa ed emozionata dal fatto che potessi ancora vederla e toccarla
“anche io…. Siamo dovuti fuggire da Kabul e poi non sono più riuscita a rintracciarti” mi disse, con le lacrime agli occhi
“ora sei qui, io… io ho bisogno di baciarti Santana” pronunciai, avvicinando il suo viso al mio
Lei mi sorrise ed annuì, per poi baciarmi.
Mentre riassaporavo quelle labbra morbide, sentivo i clacson e la gente che urlava, eravamo in mezzo alla strada, io avevo la divisa ufficiale, ero un’autorità importante per il mio paese, ma non m’importava tutto quello, avevo trà le mie mani il viso più bello e delicato del mondo, quel viso di cui mi ero innamorata fin dall’istante in cui l’avevo visto, coperto da quel terribile velo.
“Sposala!” sentimmo urlare da un autista.
Ci staccammo e ci mettemmo a ridere
“non male come idea!” esclamai per poi abbracciarla forte.
 
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Bene, questa dovrebbe essere una Shot che è un po’ Long diciamo. Mi è venuta lunghetta.
Allora devo dire alcune cose, prima di tutto far presente che
L’idea iniziale è di Sara (Brit)
L’idea invece di Brittany soldato e Santana figlia di un diplomatico e di Margherita (Londra555)
Insomma in poche parole io non ho fatto niente, ho solo sproloquiato e scritto parole senza senso in questa storia.
Ditemi se vi è piaciuta se vi và e grazie Sara per aver vinto la tua Shot!
 
E
  
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