Nella creazione di
Vuoto di Potere mi capita di creare materiale che per un motivo o per
l'altro non trova poi posto nella storia. La maggior parte di questo
materiale viene scartato per la sua bassa qualità
(pezzi contorti, contraddittori o semplicemente noiosi).
Però può capitare che alcuni brani siano "di troppo" dal
punto di vista del lavoro complessivo, ma presi individualmente non
siano malvagi: magari, come quello qui sotto, rischiano di complicare
troppo la storia, oppure hanno uno stile che striderebbe con il resto,
o sono completamente assurdi ma a loro modo interessanti.
Questo è il raccoglitore di quei brani che ho deciso di non far
sparire e che sono abbastanza slegati da VdP da poter essere letti
anche da chi non ha letto la storia, o da chi la vuol leggere e ha
paura di spoilers.
BlackWarGreymon
N.d.A.:
Originariamente questo pezzo avrebbe dovuto introdurre BlackWarGreymon
come personaggio di rilievo nella mia storia principale, ma dopo
attenta considerazione ho deciso di non includerlo vista la
quantità di trame già presenti. Ciononostante il
risultato mi è sembrato degno di essere divulgato lo stesso,
perciò eccolo qui.
Fallen’s Memorial:
così erano chiamati i dieci chilometri
quadrati di Mondo Digitale direttamente corrispondenti ad Hikarigaoka.
Un tempo, quella
regione era stata una montagna. La guerra contro Myotismon
l’aveva rasa al
suolo, lasciando al suo posto una terra devastata e fumigante, coperta
di
detriti e sterile. Ma il tempo passa, e giovani alberelli erano
cresciuti sulle
ceneri del castello del vampiro. Quando Myotismon era risorto per la
terza e ultima
volta, un eroe nero si era sacrificato per bloccare il passaggio fra i
mondi
che passava in quelle rovine, e da allora quell'ampio parco era stato
dedicato a lui. Una grande statua in basalto si ergeva al centro
del parco, una mano sollevata a indicare il cielo, l’altra
allargata ad
abbracciare la terra. Il basamento era coperto su tre lati di
bassorilievi, e
sul quarto recava il nome di BlackWarGreymon.
“Ricordatevi delle cose belle e grandi che sono state!” ammonivano le
silenziose colonne che fiancheggiavano il viale principale.
Nel memoriale si respirava un’aria di tristezza e pace, quasi sacrale. Il cielo
era raramente limpido, ma quando lo era, il sole sembrava meno intenso, e una
lieve brezza spirava costantemente da Nord.
La grande statua aveva un’aria determinata e solenne. L’abilità
dell’artista aveva saputo superare la staticità della maschera facciale del Digimon virale
e vi aveva impresso il sentimento della grave nobiltà e
dell’intelligenza vivace che lo aveva caratterizzato in vita.
Ogni due anni, un piccolo gruppetto si riuniva ai
piedi della scultura: i Dodici, vestiti in nero, senza lo sfarzo dovuto
solitamente al loro rango, insieme ai loro Digimon. Un piccolo tributo per un
grande sacrificio.
“Chissà dov’è la sua anima, ora” avevano pensato un po’tutti, prima o poi.
“Sicuramente in cielo”
Non era così. Sebbene il corpo di BlackWarGreymon non fosse
più, il suo spirito e la sua intelligenza non erano spariti. Come per tutti i
Digimon, il colosso creato dagli Obelischi era destinato al ciclo eterno di
morte e rinascita.
L’aldilà per i Digimon è solo un luogo di passaggio, dove si perde ciò che si
ha di più caro. Un fiume, il Lete, attraversa una caverna vulcanica. Gli
spiriti che vi si immergono vengono nettati dalle memorie della vita appena
trascorsa e volano, attraverso delle grandi spaccature in cielo e in terra, ai
nuovi corpi che devono abitare. I digimon dei Prescelti fanno eccezione:
finché il loro partner è vivo, non muoiono, ma si riducono alla loro pura
essenza, senza mai lasciare il mondo Digitale. Perché l’oltretomba non è a
Digiworld, ma in un altro cosmo accessibile solo dai morti e da un
gruppo rarissimo di Digimon, e non si ha notizia di alcun mortale che entratovi
ne sia uscito.
Lo spettacolo offerto dal Lete è impressionante. Rive rosso fuoco, cosparse di
sedimenti sulfurei e carboniosi; un corso d’acqua impetuoso, trasparente e puro
ma ardente come acquaragia. Una fila sterminata di anime simili per forma
all’aspetto del loro vecchio corpo ma pallide e slavate vi entra a passo di
marcia, fino a venir completamente sommersa dall’acqua. Ciascuna di essa perde
in pochi minuti consistenza: chi più in fretta, chi più lentamente, a ognuno la
corrente strappa tutto. Resta solo una sorta di impronta nell’aria, che si vede
e non si vede: è il kernel del Digimon, privato di ogni cosa, rancori, gioie,
paure, aspettative. Pronto ad una vita nuova.
In mezzo al Lete c’è un’isola rocciosa, percossa dagli spruzzi continui del
Fiume dell’Oblio, e incatenato a questa roccia un Digimon nero come la pece,
immerso fino al petto nell’acqua. È BlackWarGreymon. I flutti corrosivi ne
lambiscono il corpo, ma egli non permette alle sue membra di consumarsi,
rifiutando il destino che la sua natura gli assegna. Di fronte a lui,
Anubismon, il Digimon che presiede alla caverna, ha posto il trono. E ormai da
sei anni BlackWargreymon gli urla di
lasciarlo libero.
“Non per me, Anubismon!” grida, facendo rimbombare l’aria stagnante della
volta. “Non per me, ma per i miei amici! Mi aspettano. Che ne è di loro?
Dimmelo!”
Anubismon non è un re crudele, ma deve obbedire alle leggi. Per questo guarda
tristemente il guerriero. Più di una volta ha tentato di convincerlo ad
accettare la dimenticanza e le onde del fiume, ma BlackWarGreymon ha sempre
risposto che il suo dovere era un altro.
Ormai da sei anni, in un mondo dove il tempo non si può misurare, con una
combinazione di indomabile volontà e forza mentale, il Virus mantiene la
propria forma e memoria. Spesso lembi del suo corpo immateriale perdono
consistenza, ma egli è rapido a riconsolidarli concentrando su di essi
qualunque cosa gli sia rimasta dopo la cancellazione. Anubismon guarda ogni
secondo questa tortura, e vorrebbe concluderla in un modo o nell’altro: ma le
leggi ferree della regione glielo impediscono, la natura deve fare il suo
corso.
“Anubismon!” urla ancora il titano incatenato, con le stesse parole che ha già
usato infinite volte. “Che fine ha fatto WarGreymon, il mio commilitone? Tai
vive ancora? La virtù del Coraggio brilla ancora in lui?” Anubismon vorrebbe
non sentire. Egli è il guardiano dell’oltretomba, sa tutto e vede tutto, ma non
può parlare. “E Cody? E Yolei? E Kari? Credono ancora nell’amicizia,
nell’amore, in quelle virtù che mi hanno donato? Dimmelo!”
Solo nomi per Anubismon. Ha visto passare inconcepibili miliardi di vite, nella
sua esistenza infinita come un cerchio, e ha trovato in loro ogni cosa preziosa
e vile che possa essere immaginata. Egli dovrebbe essere impassibile, ormai. Ma
non lo è. Ogni nuovo nome si aggiunge ai precedenti, ogni perdita la sua
perdita.
BlackWarGreymon tira le catene che lo bloccano. Ma esse sono fisiche, mentre
lui è un fantasma: un grumo di memorie legate insieme, e poco altro. Gli anelli
tintinnano, e le braccia che spaccavano montagne faticano a muovere di pochi
millimetri quegli insignificanti anelli d’acciaio. Per lo sforzo, la prodigiosa
volontà del Digimon vacilla, e un piede sembra sciogliersi come cera. Ma non è
ancora giunta l’ora: il drago nero chiude gli occhi e riafferma se stesso, le
misere memorie di pochi mesi di vita, il desiderio divorante di dare un senso
alla propria esistenza. L’appendice sformata si ricompatta, riacquista solidità.
Per l'ennesima volta - dirne il numero sarebbe vano- BlackWarGreymon è scampato al destino
che lo assale continuamente. Anubismon soffre, perché è un digimon buono e non ama vedere
il dolore, ma non può muovere un dito dal trono scolpito su cui è assiso da
prima che esistesse la notte.