Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: MarchesaVanzetta    13/07/2012    3 recensioni
Sulla chiesa di Vimercate ci sono tre statue, di un anonimo del 1350 circa. Questa è la storia della terza scultura, la più piccola e la più bella.
Dovrei dedicare questa storia a tantissime persone, che mi hanno supportata durante la stesura e l'invio a un concorso ma a doverne scegliere, credo che Florelle e Deim Debussy III meritino i primi posti, perché l'hanno letta, mi hanno fatto vedere alcuni errori e mi hanno riempita di complimenti assolutamente immeritati. E poi, bhe, a ShadeFlash. Perché è sempre qui.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Circiter Anno Domini 1350


“Andrea” lo chiamò il maestro, interrompendo il suo accurato lavoro di pulizia: in quanto ultimo garzone preso dal Maestro Algiso aveva il compito di mantenere in ordine lo studio e stava alacremente pulendo la polvere bianca che fioccava sul pavimento dai vari blocchi di marmo che gli allievi scolpivano. Si avvicinò riverente al famoso scultore.
Con un cenno del capo l’uomo gli indicò la stanzetta di fianco al grande studio. Entrarono nella stanza piccola e poco illuminata, spoglia di quasi ogni mobile, fatto eccezione per uno spesso zoccolo di legno che sosteneva tre grandi blocchi di marmo bianco e uno scranno relativamente semplice.
“Devo pulire qui, Maestro?” domandò, non capendo la situazione. Non gli era mai stato dato il permesso di entrare lì dentro. Era il luogo privato del Maestro e dei suoi allievi prediletti.
“Affatto. Spogliati” ordinò, girandosi poi verso un angolo buio e aprendo una cassapanca.
Quando guardò di nuovo, il giovane era nudo e impaurito. Chissà cosa aveva capito…!
“Ecco, rivestiti. Sarai il mio modello per san Damiano” disse, porgendogli una tunica a maniche lunghe, una lunga veste da panneggiare intorno al corpo e dei calzari. Vide l’espressione perplessa sul volto del giovane, e si ricordò che, essendo un contadino, forse non aveva mai visto quegli abiti, figuriamoci averli indossati.
Con mani abili e esperte spiegò la tunica e gliela fece indossare dalla testa, sistemando con i palmi la stoffa raggrinzita sul petto e sui fianchi. Tornò alla cassapanca e prese una cintura spessa che gli strinse in vita, divertendosi a stuzzicarlo con dita dispettose non appena il giovane riprendeva a respirare.
Gli fece indossare la toga e gli sistemò i lunghi capelli ondulati con un pettine, pegno d’amore ricevuto al tempo della sua licenziosa gioventù.
Infine, gli mise nella sinistra la lavorata elsa della spada che gli arrivava a metà polpaccio e nella destra una palma ormai secca, segno del martirio.
“Bene, sei pronto. Iniziamo” lo esortò, cominciando a sgrossare il pezzo di marmo più piccolo che gli aveva mandato Melosi perché lo scolpisse. La settimana prima, quando gli era giunto il messo, credeva che le statue fossero commissionate per la chiesa dedicata a santo Stefano, in modo da contrastare i Rustici anche lì, ma si era dovuto ricredere: la politica non c’entrava nulla. Erano ex voto per la guarigione del figlio, il primogenito maschio, da porre sulla Porta di san Damiano. Per una volta Melosi aveva avuto senno e non aveva cercato lo scontro con i ghibellini Rustici anche in chiesa.
Passarono diversi giorni e lui lavorava velocemente, volendo finire prima del sopraggiungere dell’estate: odiava scolpire al caldo.
Il san Damiano era quasi completo: le vesti che lo panneggiavano sembravano vere, la spada era definita nei singoli dettagli, le dita di marmo erano più belle di quelle di carne. Mancava solo il viso.
Invece di avvicinarsi subito alla statua, aspettando che Andrea fosse pronto, si sedette sullo scranno e lo guardò vestirsi, ancora impacciato e in imbarazzo ma autonomo. Si accorse che aveva problemi ad allacciare la pesante cintura e gli si avvicinò, cogliendolo di sorpresa: quel viso stupito meritava una statua a sé. Era così bello… senza farsi distrarre allacciò la fascia di cuoio ma, invece di consegnargli spada e palma, lo prese per mano e lo condusse fuori dalla stanza e poi fuori dalla casa, nel piccolo giardino che curava personalmente.
Lo fece sedere su una lastra di pietra che faceva da panca, circondato da felci e fiori profumati che stavano ormai sfiorendo. Si avvicinò e gli prese il mento tra due dita, rivolgendogli poi il viso verso la luce: doveva studiare attentamente quei tratti e i giochi di ombre che doveva ricreare, stando attento a non sciupare l’incantevole bellezza del suo Damiano.
Accostò il viso al suo per memorizzare la linea delle labbra e dopo qualche istante sentì quelle stesse labbra sul viso, incerte e vagabonde. Andrea gli stava baciando  la fronte, le tempie, il naso.
Stranito, gli mise una mano sul petto e lo allontanò, guardandolo poi negli occhi. “Cosa pensavi di fare?” domandò duro.
“Io… scusatemi Maestro…” farfugliò, imbarazzato oltre ogni dire.
“Andrea…” lo richiamò meno gravemente l’uomo.
“Mio padre mi ha detto di soddisfarvi in ogni modo e adesso credevo… perdonatemi, non volevo offendervi, io…” balbettò sempre più rosso in viso, cercando si schermirsi dallo sguardo dell’altro nascondendo il viso tra le mani.
“Li fanno sempre più smaliziati, questi ragazzi” commentò tra sé l’uomo, capendo però i motivi del padre: sistemare un figlio in bottega era un ottimo risultato e non voleva trovarselo di nuovo tra i piedi.
“Ascoltami. Se avessi voluto fare qualcosa di te l’avrei già fatto” gli disse, per poi allungarsi e baciarlo sulle labbra, umettandogli il labbro inferiore. Si staccò non appena il ragazzo si riprese dallo stupore.
“Visto? Quindi, non ti preoccupare, nessuno mira alle tue grazie. Devo studiare bene il volto di san Damiano” gli spiegò, continuando poi ad osservare i bei lineamenti: il naso dritto, le orecchie regolari, gli occhi ben disegnati. Avrebbe potuto scolpire a memoria. Ma il divertimento nell’averlo lì, imbarazzato e curioso al tempo stesso, gli fece ordinare al giovane di rientrare con lui per finire la statua.
In qualche ora finì la prima statua del trittico e si concesse una pausa, congedando il garzone. Osservò il suo lavoro mentre il sole tramontava e il viso di marmo sembrava prendere vita, gli occhi guizzare di vita e le labbra muoversi.
Si passò una mano sugli occhi, stanco. Era acclamato come il più grande scultore della Pieve ma era sempre sotto osservazione e non poteva cedere mai o avrebbe perso tutto. La sua gloria era fugace e i suoi amori pressoché inesistenti. Si diede dello sciocco per quei pensieri e si alzò, prendendo un telo e coprendo la scultura.
A passi lenti e con un’espressione mesta in viso si diresse verso la sua camera, lasciando sotto quel panno di lana grezza ogni desiderio e ogni speranza.
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: MarchesaVanzetta