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Autore: detoxIretox    14/07/2012    2 recensioni
[COMPLETA]
Come regalo di Natale/Capodanno ecco a voi una nuova mini-longfic sui nostri adorati Kagamine. Si applicano tutti gli avvertimenti che si applicano sempre ai Kagamine: tristezza, angst, no happy ending, ugh, why, e via discorrendo.
***
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
***
[Len/tragedia, Rin/tragedia, Gumi/tragedia, insomma vedete dove sta andando a parare]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7~ If only I could love you for the rest of my life
 

A quell’unione ne seguirono tante, tante altre. Per le seguenti due settimane non bastò più a nessuno dei due semplicemente starsene nella radura con la loro musica. Ciò che però non era cambiato era probabilmente che entrambi sembravano non aver tanto bisogno delle parole. Quando si parlava tutto diventava troppo reale da poterlo tollerare; la parola era come una sorta di strumento assassino di verità assoluta e insopportabile.
No, molto meglio rifugiarsi nell’utopia che tutto quello fosse il paradiso, che stessero facendo un sogno bellissimo e che non si sarebbero svegliati mai.
E Rin si era praticamente convinta che l’unico modo per evitare di svegliarsi fosse... non svegliarsi mai più. Terminare la propria patetica vita. In una parola, morire.
L’aveva sempre spaventata l’idea della morte, ovvio. Non amava andare incontro a qualcosa di cui non sapesse nulla, odiava essere spaesata come un cieco che brancola nel buio senza sapere che direzione prende, e a cosa va incontro. Ma tutto - tutto - sarebbe stato meglio che essere condannata a una vita matrimoniale con un uomo che non amava. E, ancora peggio, vivere con il pensiero che colui che possedeva il suo cuore potesse essere lontano e irraggiungibile.
Così, aveva deciso per l’estrema soluzione, quella che la gente prende quando è disperata e non resta nient’altro da fare: il suicidio.
Si era chiesta a lungo se Len non l’avesse potuta odiare per quello. Ogni volta che lui le sussurrava che la amava e la inebriava di quel potente sentimento, devastante ma allo stesso tempo così delicato, si chiedeva se una volta scoperto che si era uccisa non avesse sofferto le pene dell’inferno.
In quel caso sperava che Len potesse comprendere la sua disperazione assoluta; la frustrazione per ciò che l’attendeva, e il pensiero dell’impotenza per evitare l’inevitabile. Sperava che potesse andare avanti - in fondo, in un modo o nell’altro avrebbe dovuto abituarsi alla sua assenza. Rin non ci sarebbe mai riuscita; lui era forte. In un qualche modo sarebbe andato avanti anche senza di lei.
Solo dopo eterni ripensamenti, infiniti discorsi auto convincenti, e tanti complessi e paure da abbattere - paura della reazione di Len e dell’ignoto, soprattutto - arrivò il giorno in cui Rin non ce la fece più a sopportare l’attesa; erano passate esattamente sedici notti da quando lei e Len avevano giurato a Miku di farla finita; e tra soli tre giorni ci sarebbe stato il matrimonio del secolo. Se avesse aspettato ancora, probabilmente non ci sarebbe più stata l’occasione di trovare un momento adatto; doveva farlo quell’esatto martedì, e dopo non ci sarebbe più stato nulla a cui pensare, tutto sarebbe finito davvero.
Capì di aver deciso per il giorno perfetto proprio quando suo padre le disse che quella stessa mattina sarebbe andata a trovare Kamui Gakupo nell’accademia nella quale si addestrava e insegnava alle giovani reclute l’arte della guerra. Rin avrebbe sicuramente colto l’occasione per trovare una qualche arma con cui farsi fuori. Bastava che fosse appuntita e avesse terminato tutto con un colpo netto. Nessun dolore.
L’accoglienza di Gakupo fu come sempre ben misurata e cordiale, quando Rin e padre arrivarono all’accademia. La prima cosa che disse? “Oggi siete incantevole, Rin. Vi va se vi mostro l’accademia?”
Quella era una buona idea. Probabilmente l’avrebbe portata in un’armeria o qualcosa del genere, e avrebbe potuto rubare tutto il necessario che voleva, nascondendolo sotto il kimono largo che indossava appositamente per l’operazione. Per un attimo la sua sicurezza vacillò - davvero non avrebbe mai sospettato che si sarebbe data all’arte del furto, prima di allora, e la paura di diventare una specie di criminale era fomentata in parte anche dal briciolo di buon senso che le rimaneva.
Subito scacciò il pensiero: lei, proprio lei che stava per suicidarsi, si preoccupava se commetteva il furto di un pugnale in un’armeria probabilmente fornitissima? Tanto non avrebbe nemmeno avuto il tempo di pentirsene, no?
Dopo essersi messa, almeno relativamente, il cuore in pace, accettò di buon grado la passeggiata per i corridoi dell’accademia al braccio di Gakupo. Chissà perché, l’idea che stava per morire la aiutava a portare avanti la commedia meglio di quanto avesse fatto fino ad allora.
Gakupo le mostrò le aree destinate agli addestramenti delle reclute, in una zona più bassa dell’edificio; man mano che si saliva, si raggiungevano i posti più ricchi e attrezzati, quelli dei veterani, di cui lui faceva parte - probabilmente, era anche il più giovane tra loro. Rin giurò di averne visto uno di più di sessant’anni. Avevano tutti un’aria molto truce e determinata. E decisamente patriottica. Doveva essere praticamente i migliori nel difendere il loro Paese.
Pensò che Gakupo era uno di quelli. Pensò che per ogni guerra che faceva, guadagnava montagne di soldi. Pensò che ogni donna del paese avrebbe dato tutto ciò che possedeva per essere al suo posto, la ricca moglie di un ancor più ricco (e bello, niente da dire) soldato. Pensò che, se fosse rimasta con lui, avrebbe avuto di tutto, e forse anche di più.
E poi pensò a Len.
Len sarebbe stato contento se Rin avesse vissuto una vita degna, piena, felice. Lui diceva sempre che se lei stava bene, tutto andava per il meglio. Se fosse morta, be’, tutti quei discorsi non avrebbero più avuto valore e magari... magari Len sarebbe stato male. Troppo male.
Ma non solo lui. Sua madre le voleva molto bene. Gakupo, non è che la amasse, ma aveva sviluppato per lei una certa simpatia. Suo padre... era pur sempre suo padre. E Gumi? La dolce Gumi? Che l’aveva sempre sostenuta, e ci teneva tantissimo a lei. Lei come avrebbe reagito?
Rin tentò di immaginare la reazione di Gumi se per caso fosse venuta a sapere l’intera vicenda.
Non poté fare a meno di vedersi davanti gli occhi scintillanti e le mani congiunte, mentre trillava con voce zuccherosa: “Una storia d’amore così intensa eppure così impossibile e struggente? Rin, tu non capisci! Questo è oro colato per il romanticismo! È l’amore sventurato per antonomasia! Tu e Len siete destinati a stare insieme, e nemmeno la morte potrebbe separarvi!”
E invece, come avrebbe reagito se avesse saputo il suo piano di uccidersi?
“Oh! E’ così romantico. Andresti incontro a qualunque cosa, per quanto ignota, pur di non perdere la tua libertà e non rinnegare il tuo amore.”
Ma... ci sarebbe stato un ma, se lo sentiva.
“...Ma tu non puoi desiderare la morte. Altrimenti lui vorrà morire insieme a te. Saperti salva, viva e vegeta persino in un mondo in cui non può raggiungerti almeno farà in modo di alleviare il dolore, a la cicatrice potrebbe rimarginarsi più in fretta. E poi, è orfano. Ha perso tutto. Come puoi essere così crudele da volerlo privare anche della tua stessa vita?”
“Ma che differenza fa? Se non può avermi perché sono di un altro, o se non può avermi perché sono morta, non cambia nulla. Anzi, cambia. Per lo meno non soffrirà di gelosia. E poi andiamo, lui ama la vita. E sa che io non gli permetterei mai di decidere una cosa del genere... morire anche lui, dietro di me! Se lo facesse, sa che non glielo perdonerei mai; io desidero solo la sua vita.”
“Anche lui desidera solo la tua! Se le parti fossero invertite? Che faresti?”
“Be’... farei di tutto per impedirgli una tale pazzia. Però, se mi assicurasse che non c’è via di scampo... che altrimenti soffrirebbe tutta la vita... forse riuscirei a capire che in fondo è il male minore. E rispetterei la sua scelta.”
Vide la Gumi della sua testa diventare più determinata di quanto non l’avesse mai vista in realtà. “No, Rin. Non è così che funziona. Fai ragionamenti troppo logici, troppo meccanici. Una persona che ama non ragiona così. Anzi, non ragione affatto. L’amore sarà bello quanto vuoi, ma è insano, irrazionale. Stai certa che Len non si farà troppi complessi prima di decidere che non può vivere in un mondo dove non ha nessuno. So quello che stai per dire; avrà Miku, magra consolazione, avrà la musica. Ma ricordi la prima volta che vi siete parlati, la sera dopo del vostro incontro? Ricordi cosa vi siete detti? Non aveva nient’altro a cui aggrapparsi, e tu gli hai offerto te stessa e il tuo amore. Lui ha accettato quest’ancora di salvezza. Quanto credi che possa resistere al dolore se dovesse perderla? Credi veramente che la musica potrebbe risollevarlo?”
A quel punto Rin non aveva nient’altro da controbattere. Ma nel momento in cui si rese conto che in un litigio tra sé stessa e una Gumi inventata, stava vincendo la falsa amica, si infuriò così tanto che si costrinse a farla svanire dalla sua mente, pensando intensamente: “Non mi interessa. Chiamami egoista, se vuoi, ma io non sono abbastanza forte da poterlo sopportare. Len se ne farà una ragione, e con lui tutti gli altri: io morirò oggi pomeriggio, e nessuno potrà impedirmelo.”
La falsa Gumi, ovviamente, non replicò, né si fece viva per protestare quando Rin riuscì ad approfittare di un momento di distrazione di Gakupo e mise le mani su un pugnale dall’elsa riccamente intagliata.
Il sole della bandiera giapponese si stava alzando sulla lama. Lei, dal canto suo, non vedeva l’ora che venisse il tramonto, così tutto sarebbe piombato nella notte infinita.
 

***

 
Ci misero almeno una quindicina di minuti per cercare di declinare tutti gli inviti che Gakupo faceva a Rin e padre, per cercare di trattenerli più tempo possibile; alla fine riuscirono a liberarsi dell’insistenza del soldato, e a tornare a casa in tempo per un tè con la madre.
“Che programmi hai per il pomeriggio, cara?” chiese delicatamente a Rin.
“Credo che farò un po’ di pratica... cucito e il resto” fu la risposta evasiva. Anche solo quelle parole furono in grado di strappare un sorriso orgoglioso al padre.
“Avrai bisogno di aiuto?”
Rin fece un cenno di diniego con la testa, stanca di dover parlare. Per fortuna presto avrebbe smesso. Si alzò dal kotatsu, congedandosi educatamente - sentiva un po’ la voglia di salutare come si doveva i suoi genitori, che non avrebbe rivisto mai più; ma il tutto sarebbe sembrato troppo sospetto, così si limitò a raggiungere una delle sue stanze, chiudersi il pannello scorrevole alle spalle e sospirare pesantemente.
Non appena era arrivata a casa aveva nascosto il pugnale con il sole sorgente sotto il materasso. Controllò che si trovasse ancora lì, ma non lo prese fuori - non aveva ancora quella briciola di coraggio che le mancava per completare l’operazione. La falsa conversazione con Gumi l’aveva spossata e scombussolata parecchio; ora non era più tanto sicura come prima sul da farsi.
Avrebbe voluto fare una conta, una di quelle che le balie le insegnavano da bambina, e lasciar decidere alla sorte se fosse stata vita o morte. Ma non poteva lasciare che il destino decidesse anche quello al posto suo. Per una volta, voleva essere padrona della sua esistenza. Era stata manipolata fin troppo, e da troppe persone. Concluse che l’avrebbe finita lì e ora; quella era la sua decisione definitiva, nessun ripensamento di alcun genere.
Si impose di fermare i flussi di ogni pensiero, ma più cercava di scrollarsene, più ne arrivavano di nuovi.
In un vortice confuso di immagini, la più nitida e dolorosa era senza dubbio quella di Len, con gli occhi sgranati e un’espressione di orrore stampata in faccia, che guardava il suo cadavere, afferrava il pugnale con il sole sorgente e-
Ma quello non sarebbe successo, si disse Rin. Non sarebbe successo. Perché Len era abbastanza intelligente da capire che Rin avrebbe fatto ciò che andava fatto perché lui fosse in grado di continuare a vivere per entrambi, portare avanti quel sogno dal quale erano stati costretti a svegliarsi...
...O no?
“Len-se-ne-farà-una-ragione” fece ad alta voce, i denti serrati, sottolineando ogni singola parola mentre stringeva tra le mani il pugnale. “Basta. Basta. Non pensare più, maledizione, non pensare.”
Chiuse gli occhi, ma non aiutò molto. Dei due peggiorò la situazione.
Rin proruppe in un grido di frustrazione; come poteva fare per liberarsi di tutti quei pensieri molesti?!
Adagiò la testa sul cuscino e alcune timide lacrime iniziarono a scendere, senza che Rin se ne accorgesse davvero; stava cercando di ricordare una conversazione che aveva avuto con Len parecchio tempo prima che Miku li scoprisse, quando ancora l’idea di un addio sembrava lontana e di poca importanza. Parlavano della concentrazione di un musicista, se non ricordava male.
“Ogni volta che provo a suonare qualche composizione davanti agli ospiti dei miei genitori”, si ricordava di aver confessato, “non riesco a non pensare che sbaglierò qualcosa e tutti rideranno di me.”
“Capisco ciò che intendi, ma non puoi lasciare che la paura ti freni. Proprio non puoi permettertelo, a un musicista non è concesso pensare mentre suona.”
“E come ci si libera dei pensieri? Io ci ho sempre provato, ma anche quando provo a liberare la mente, comunque penso sempre a qualcosa, e cioè a liberarmi la mente.”
Len aveva ridacchiato, e a quel ricordo Rin sorrise nostalgica. “Va bene, ti insegnerò il trucco che i miei genitori insegnarono a me” aveva detto, in tono altamente confidenziale. “Siccome è impossibile liberare del tutto la mente, bisogna concentrarsi su un solo pensiero. Uno solo. Il più felice che hai. Può essere un ricordo, una persona, un momento passato... io, quando suono, penso ai miei genitori che battevano le mani ogni volta che avevo finito una composizione e che mi lodavano. È per questo che, modestia a parte, mi vengono bene come dici tu.”
Concentrarsi su un solo pensiero... un pensiero bello... Rin decise che valeva la pena tentare, tanto di quel passo non sarebbe nemmeno riuscita a procurarsi un tagliettino su un polpastrello.
Afferrò l’elsa decorata del pugnale, guardò la sua lama immacolata - probabilmente non era mai uscita dall’armeria, né aveva mai visto sangue. Al pensiero di tanta purezza Rin perse ancora una volta la concentrazione - “No, Rin, ricorda cos’ha detto Len. Un solo pensiero. Un pensiero bello.”
Si asciugò le lacrime e si deterse quel poco di sudore che le imperlava la fronte. Sperò di non tremare troppo nel colpirsi al ventre, altrimenti il tutto avrebbe raddoppiato l’agonia e forse non sarebbe nemmeno morta subito, ma solo in seguito a un dissanguamento - “Un pensiero bello. Un pensiero bello.”
Appoggiò delicatamente la punta della lama (che era veramente appuntita) alla stoffa del kimono, all’altezza dell’addome.
Le mani le tremavano ancora; non era riuscita a trovare un bel pensiero, sebbene stesse cercando e cercando nei meandri della sua memoria. Pensare a Len, sebbene fosse ciò che di più bello conservava, la faceva stare troppo male. I suoi baci, la sua voce, i suoi continui, sinceri “ti amo”...
La composizione! La sua composizione. Yume Sakura, ecco con che cosa sarebbe morta. Con quella melodia rassicurante nelle orecchie. Che sapeva di speranza, di futuro.
Era perfetta. Tanto perfetta che ora non tremava più. La sentiva riecheggiare nella mente, proprio come se la stesse ascoltando.
E mano a mano tutto intorno a lei si faceva meno reale, persino la percezione dell’elsa fredda tra le sue mani o la lama sull’abito.
I battiti del cuore andavano rallentando, come se stesse per addormentarsi. Finì persino per convincersi che tutto quello fosse un sogno. Sì, un’illusione. Che non appena si fosse colpita, e avesse sentito la stilettata acuta penetrare nella sua carne, si sarebbe svegliata.
Sospirò un’ultima volta. Sì, quello era il momento adatto per morire. Non seppe da dove ne trovò la forza, ma sorrise, mentre l’ultima nota della composizione svaniva nella sua testa...
E poi lo sentì. Un suono che non era né quello immaginario del violino, né qualcosa di naturale come il canto di un uccello. Ma non ne era troppo sicura, perché tutto era ancora troppo ovattato a causa della melodia.
Così fece finta di nulla e riprese da dove si era fermata.
Però quel suono - meglio dire rumore - si ripeté nuovamente, uguale a prima. Ma cosa stava ripetendo? Sembrava un nome. Un nome molto corto. Il suo, magari?
Nonostante il mezzo intontimento (a quanto pareva, il pensiero di Yume Sakura aveva avuto una specie di effetto anestetizzante su di lei), riuscì a muovere piano la testa di lato per vedere da dove provenisse quel rumore. Strizzò gli occhi per riconoscere meglio la sagoma fuori dalla sua finestra: quando lo riconobbe, ovviamente era certa che fosse un’allucinazione. Len non poteva essere lì veramente, non poteva fissarla con quello sguardo disperato e la mano tesa verso di lei, come una specie di preghiera.
Rin batté le palpebre un po’ di volte, mentre vedeva le labbra di Len muoversi ma non sentiva nulla, solo la melodia in testa. Forse era impazzita, alla fine.
O forse era mezza morta, perché magari si era colpita male e aveva le visioni - insomma, si diceva che una persona in punto di morte potesse prevedere eventi futuri. Magari stava vedendo Len che si disperava per la sua morte, no?
Abbassò lo sguardo sulla lama. No, era ancora bianca come prima. Il sole sorgente non si era ancora tinto di rosso. Avrebbe solo dovuto dare una spinta e nulla di più. A quel punto le sembrava davvero facile. Chissà perché si era preoccupata tanto per quel momento?
“Guardami. Guardami.” Un altro richiamo che questa volta sentì nitido la fece voltare verso la figura di Len fuori dalla finestra. La stava lentamente aprendo, nel frattempo la fissava dritta negli occhi con un lucore terrorizzato. “Esatto, brava, guardami così. Continua a guardarmi.”
Rin obbedì, ma sentiva anche che, se avesse voluto concludere il tutto, quello sarebbe stato il momento opportuno. Cominciò a comandarsi di spingere la lama nel ventre, ma non successe nulla, perché era troppo impegnata a vedere Len che, con gesti cauti e lenti, entrava nella stanza.
“Bravissima. Rimani immobile e guardami negli occhi” continuava a ripetere. Rin continuava ad obbedire, docile, fino a che Len non fu davanti a lei, e in meno di un secondo si fu inginocchiato alla sua altezza e le ebbe afferrato con forza il pugnale dalle mani, strappandoglielo senza che lei opponesse un minimo di resistenza e gettandolo di fianco.
Solo a quel punto Len osò tirare su col naso in una sorta di singhiozzo liberatorio, e la abbracciò, stringendola talmente forte da farle male.
“Ma sei impazzita? Sei totalmente impazzita? Cosa stavi per fare, eh? Me lo spieghi?” Ora che il pericolo che potesse pugnalarsi era passato, si sentì libero di parlare ad alta voce, usare movimenti meno misurati, strattonarla per farla tornare in sé. Sembrava davvero in stato catatonico. Ma per adesso, l’importante era che era viva. “Cosa ti è saltato in mente!? Proprio non ci pensi a me, vero?”
“Io ci penso a te...” riuscì a mormorare Rin, “era per questo che volevo farlo. Per te.”
“Per me? Per me!?”
Len le afferrò il volto, imprigionandolo in entrambe la mani, e la costrinse a guardarlo. Era il vero e proprio volto della disperazione. Chissà come sarebbe stato trasfigurato se, invece che in procinto di morire, l’avesse vista in una pozza di sangue... per la prima volta la ragazza sembrò realizzare come l’avrebbe davvero presa Len. “Rin, e secondo te ucciderti sarebbe stata una soluzione presa per... per me? Mi prendi in giro!?”
Balbettò un po’ incerta, senza sapere cosa rispondere, né cosa fare. Si limitò a lasciarsi cullare da lui, nel silenzio più assoluto.
“L’avevo capito” ammise Len dopo un po’, accompagnando le parole con un sospiro basso. “Avevo capito che c’era qualcosa che non andava da un po’. Eri troppo assente, più del solito. Era ovvio che qualcosa di malsano ti frullasse in testa. E, testarda come sei, scusa” ridacchiò incerto, “non mi sorprende che tu ce l’abbia quasi fatta.”
“Perché sei qui?”
“Te l’ho detto, mi preoccupavo.” Tacque, poi riprese: “Sono un tipo ansioso. Se qualcosa ti assilla lo capisco. E oggi che non arrivavi avevo paura che potessi commettere un qualche errore... in realtà, non potevo immaginare che fosse tanto - tanto idiota. Ho cominciato a intuirlo man mano che mi avvicinavo. E poi ti ho vista qui. Oh, Rin” affondò il volto nei suoi capelli, “la prossima volta avvisa prima di farmi quasi morire d’infarto. C’ero più vicino io a restarci secco, credimi.”
“Sì, scusa” mormorò con un tono così basso da essere praticamente inudibile. Era sincera; sinceramente le dispiaceva di averlo fatto stare così male - e ora si rendeva conto di quanto male sarebbe potuto stare, se fosse morta. Ma come le era venuta in mente un’idea del genere? Come aveva potuto essere così menefreghista nei confronti delle persone che amava...?
Ah, giusto... la disperazione, no? “Perché non me l’hai lasciato fare, Len?” chiese, mettendo nelle parole più rabbia e determinazione di quanto in realtà provasse.
“Hai la faccia tosta di chiedermelo, anche?” replicò lui, aspro. Poi la mollò e la fissò severo. “Se credi che con la tua morte avresti, che so, fatto un favore a me e a tutti, non hai capito nulla. Ai tuoi genitori, avresti procurato dolore inutile. E a me? Semplicemente sarei morto anch’io.”
“Non ti saresti mai ucciso” protestò Rin. “Sei più intelligente di così, abbastanza da capire che non era questo che avrei voluto!”
“Su questo ti do ragione. Non mi sarei ammazzato, se ci avessi ponderato sopra. Eppure so che l’avrei fatto” spiegò, e Rin lo guardò senza capire. Quella frase non aveva senso.  Len sospirò. “Non credo che il buonsenso avrebbe fatto in tempo a fermarmi, sai. Il mio primo istinto è quello di stare con te e non lasciarti mai andare. Dovunque tu vada, di seguirti. Se ti avessi vista moribonda, non sarei stato capace di ragionare e... sarebbe finita in tragedia. Puoi starne certa.”
Ah, ora capiva. Era esattamente come le aveva detto la falsa Gumi. L’amore era irrazionale. Alla fine aveva ragione.
Len afferrò il pugnale con il sole nascente inciso lì dove la lama si fondeva con l’elsa. “Questo non ti servirà più, sono stato chiaro? Non osare ripetere un gesto simile. Se ci riprovi e muori, giuro che ti uccido.” Sorrise, e Rin sorrise insieme a lui, abbracciandolo.
E quando aprì gli occhi, un po’ della serenità momentanea che quello scambio veloce di battute le aveva portato svanì completamente, provocandole una morsa lacerante al petto - ancora peggio di quando aveva visto Miku nella radura osservarli allucinata.
Quello che stava vedendo appariva molto più pericoloso, perché Kamui Gakupo in persona era entrato nella sua stanza con il sorriso sulle labbra - magari con l’intenzione di farle una sorpresa. Ma ora il sorriso era paralizzato, congelato, sul suo volto sorpreso. Non si era nemmeno preso il disturbo di scomparire. Gli occhi saettavano da lei, a Len, al suo pugnale.
Non ci volle tanta perspicacia per capire che aveva frainteso tutto.
“Gakupo-” fu tutto quello che Rin fu capace di proferire, staccandosi da Len, prima che il diretto interessato si muovesse rapido nella loro direzione.
Non lo vide nemmeno mentre li separava fulmineo, e piantava un calcio in faccia a Len, col chiaro intento di allontanare il più possibile quell’aggressore da una giovane ragazza indifesa, nella sua stanza... la figlia del consigliere dell’imperatore... sola.
Rin rimase paralizzata dalla paura per una manciata di secondi - ma a lei sembrò molto di più, perché vedeva Gakupo picchiare Len per difenderla, anche se il pericolo non esisteva. Ma quello lo sapeva solo lei! Perché non reagiva!? E intanto Gakupo non dava nemmeno il tempo di parlare al ragazzo. Gli aveva già fatto un occhio nero e tagliato un labbro. Sembrava una furia inarrestabile. E Len così preso di sorpresa da non riuscire nemmeno a difendersi-
“Basta così! BASTA COSI’!” La voce di Rin era tanto alta che non sembrava nemmeno la sua. Si alzò e raggiunse Len, piazzandosi proprio tra lui e un altro calcio destinato al suo volto - Gakupo si fermò appena in tempo, prima di colpire lei.
Rin piangeva disperata. “Non voleva farmi del male!” gridò, e si lasciò cadere accanto a lui, abbracciandolo e al contempo proteggendolo col suo corpo da altre eventuali percosse. Lo guardò in faccia - rabbrividì, era uno spettacolo davvero miserabile. Non poteva credere che Len fosse stato ridotto così solo perché era entrato per salvarla dalla sua stessa stupidità...
Per colpa sua!
Vide con la coda dell’occhio Gakupo, che spostava lo sguardo sconvolto sul pugnale che era caduto mentre se la prendeva con Len - no, era decisamente troppo elegante, elaborato, brillante per appartenere a un poco di buono qualunque. Inoltre, portava anche il simbolo dell’esercito giapponese, il sole nascente... segno inequivocabile che quello provenisse da un’armeria di una qualche accademia... come la sua...
Allargò gli occhi nel momento in cui intuì tutta la verità. Ma non si mosse nemmeno quando sentì Rin balbettare: “Mi dispiace... mi dispiace...” Capì che quelle scuse non erano rivolte a lui.
“Non fa niente. Forse è meglio che me ne vada, eh?” Len cercò di mostrarsi meno sofferente di quanto in realtà fosse, e ammiccò anche - cosa che gli provocò un piccolo lamento.
Rin non riuscì a dire nulla. E forse fu anche un bene, o le cose si sarebbero protratte all’inverosimile.
Come Len aveva desiderato, tutto fu molto netto. Non ci fu nemmeno un ultimo bacio.
Sgusciò fuori dalla finestra, e qualcosa a causa di quel gesto si infranse echeggiando. Rin era abbastanza sicura che fosse qualcosa dentro di lei, perché l’aveva capito abbastanza bene, fra le righe - l’aveva capito che non l’avrebbe rivisto mai più.


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Sherlock Giu alla riscossa! 8D AliYe, questo è per te. E' sempre bello cercare le immagini su ZC, con un "kagamine twins, wings" l'ho trovata subito. Spero che sia questa, ma da come me l'hai descritta non credo di essermi sbagliata. Ecco qua:

http://static.zerochan.net/Vocaloid.full.582670.jpg
http://www.youtube.com/watch?v=LB-dG5xtFo8
  
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