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Autore: Cali F Jones    17/07/2012    1 recensioni
Perchè non piangi, fratello mio? Guarda come mi hai ridotto! Guardami! Perchè te ne stai lì impalato? Perchè non dici nulla? Parla! Bastardo! Parla!
Genere: Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Alfred!"
La voce del fratello lo richiamò dai suoi giochi infantili. Lanciò una veloce occhiata al suo compagno. Lo sguardo perso di Matthew pareva spaventato, ansioso. Terrorizzato all'idea di restare da solo. Alfred accennò un sorriso. "Tranquillo, vedrai che Francis arriverà" lo rassicurò, posando una mano consolatoria sulla sua spalla.
"Alfred! Eccoti qui! Forza, andiamo a casa". Stavolta la voce di Arthur era più vicina, sopra di loro. Alfred alzò la testa. Davanti ai suoi occhi si trovava suo fratello maggiore, la nazione, l'uomo che egli più ammirava. Non mirava ad altro che a diventare come lui. Lui era il suo modello, il suo ideale. Lui era il suo amato fratello e, in quel momento, non desiderava altro che restare con lui.
"Fratellone, possiamo aspettare che arrivi Francis?" domandò supplichevole il piccolo Alfred. Arthur sgranò gli occhi "Ma...ma..." A quel punto il suo sguardo cadde su Matthew seduto solitario nell'erba. Sospirò con un leggero sorriso: "D'accordo". Alfred lo ringraziò, cingendo con le braccia la sua vita in un abbraccio. Poco lontano, Matthew abbandonò il suo timore, lasciandosi andare ad una gaia risata nel vedere Alfred tornare. Arthur osservò i due allegri bambini, di nuovo intenti a giocare ed un sottile sorriso si dipinse sul suo volto.
"Sei stato gentile ad aspettarmi" disse una voce alle sue spalle. Arthur non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi quella voce appartenesse; il suo accento era inconfondibile.
"Non l'ho fatto certo per te, razza di idiota" fu la risposta secca dell'inglese. Francis sorrise maliziosamente e disse: "Oh, non preoccuparti, lo so, lo so bene che non lo fai per me. Lo fai per Canada, non è vero? Sei sempre stato così...possessivo. Non c'è nulla di romantico nell'avidità, non un briciolo d'amore nè di passione!"
L'inglese era pronto a rispondere a tono, ma Francis lo anticipò, chiamando a gran voce il suo Matthew: "Vieni! Andiamo a casa, mon petit". Canada scattò in piedi, correndo verso il suo fratellone. Francis lo prese in braccio, facendo per andarsene, ma non prima di aver lanciato un'ultima frecciatina al suo storico nemico: "È questo il tuo problema: per quanto tu ci provi, non sarai mai nient'altro che un dominatore, un re, un dittatore. E Alfred si stancherà, prima o poi, di stare sempre un gradino sotto rispetto a te. Au revoir, mon cher roi!"
Arthur digrignò i denti e strinse i pugni, voltandosi per rispondere, ma, ancora una volta, qualcosa glielo impedì. Abbassò lo sguardo. Alfred gli stringeva la mano e, lentamente, sul suo viso si disegnò un allegro sorriso. "Io non ti considero affatto un re, fratellone".
I verdi occhi incerti dell'inglese incontrarono quelli azzurri e felici del fratellino, al che la sua espressione si rilassò completamente. Non gli interessava come lo vedeva quel pervertito di Francia e nemmeno come lo vedeva Canada. Solo America gli importava. E nient'altro. E in nessun'altro modo avrebbe potuto essere felice, se non con il suo fratellino. Lui era l'unica valida ragione, l'unica cosa per cui valeva davvero la pena vivere, essere una nazione. Nulla doveva cambiare. Tutto era perfetto così com'era.

La pioggia cadeva incessante. Fredda e pungente. L'odore di terra bagnata stuzzicava le narici dei morti. Non ci sono parole per descrivere ciò che accadde quel giorno. Nessuna frase a effetto, nessuna dotta citazione. Fango. Lacrime. Sangue. Tutto il resto era scomparso. Non c'erano più i morti, solo il loro sangue. Camicie rosse su un campo rosso. Pioggia che lava via. Fango e pioggia in un campo di sangue.
Che cosa...che cosa avevano fatto? Perchè? Perchè lo avevano fatto? Non si poteva evitare? Evitare i morti, evitare il sangue, evitare la guerra. No! No! No! Cosa stava pensando? No, non si poteva evitare! Quella era l'unica soluzione! L'unica! L'unica, davvero! Solo lui, ora, il capo di quell'esercito di sangue rimaneva in piedi. Davanti ai suoi occhi, i soldati dalle giubbe blu. Quando anche l'ultimo soldato inglese era caduto, sul campo scese improvvisamente il silenzio.
-Fratello mio, le senti? Senti le campane che suonano? In questo giorno d'estate, tu mi uccidi, fratello mio-.
Dalla prima fila, un giovane si fece avanti. Alzò il suo moschetto. "Ehy, Inghilterra!" parlò a gran voce "Non sono più un bambino e nemmeno il tuo fratellino. Da questo preciso momento, divento indipendente!" si fermò, digrignando i denti "Concedimelo!"
Le braccia dell'inglese erano deboli, a fatica ancora reggevano l'arma.
-Quelle parole, fratello mio...-
"Non lo permetterò!" gridò e, assalito dall'ira, si lanciò addosso al fratello. Un secondo, un solo secondo di spaesamento si potè leggere negli occhi dell'americano. Alzò il moschetto, difendendosi dalla baionetta nemica che andava a scalfire la canna della sua arma. Ma quell'attimo, quella distrazione, gli fu fatale. Il moschetto cadde a terra. Silenzio. Il freddo metallo cadde nel fango e lì rimase.
-È finita, fratello mio-.
Un solo colpo, uno soltanto. Alfred sarebbe morto, ma i suoi soldati non avrebbero esitato ad aprire il fuoco contro il nemico. L'unico rimasto. E, una volta ucciso Alfred, cosa sarebbe successo? Cosa sarebbe cambiato? Ma, soprattutto...lui ne sarebbe stato capace? Sarebbe mai stato in grado di sparare, di premere quel dannato grilletto? No! Non poteva farlo! Non pensava affatto alla sua morte, non era la paura di morire a muoverlo. Era solamente la paura di uccidere lui! Lui! Il suo amato fratellino! Non avrebbe mai potuto farlo. No! Mai!
-Fratello mio, tu mi uccidi...-
"Non posso...non posso assolutamente colpirti" sussurrò Arthur.
Le braccia gli ricaddero pesantemente, come se fossero di piombo. Quel moschetto...era così duro, impossibile da sostenere. Le gambe gli tremarono. Cadde in ginocchio. La mano della vergogna gli coprì il viso. La pioggia imperterrita lo colpiva, mentre lacrime amare scivolavano dai suoi occhi. "Perchè? Perchè? Merda..." pianse con voce soffocata.
Alfred giaceva ancora in piedi, davanti a lui. E, in quel momento, Arthur alzò lo sguardo e lo maledì. Ma non c'era odio nei suoi occhi. No, non c'era odio. Non poteva odiarlo. Ma lo maledì, o almeno questo volle far credere a sè stesso.
-Perchè non piangi, fratello mio? Guarda come mi hai ridotto! Guardami! Perchè te ne stai lì impalato? Perchè non dici nulla? Parla! Bastardo! Parla!-
E lui parlò: "Inghilterra...eri così grande..."
-A...Alfred...-
Il campo era deserto. Il suo corpo inginocchiato era scosso dai singhiozzi. La pioggia cadeva e tutto intorno era silenzio.
Poi il cielo si scoprì. Le nuvole si allontanarono e la pioggia cessò. Ma tutto intorno rimase silenzio.

Quel giorno d'estate, quel maledetto 4 luglio, la vita di due nazioni, di due uomini cambiò completamente. Come ho già detto, non ci sono parole per descrivere ciò che accadde quel giorno. Nessuna frase a effetto, nessuna dotta citazione. A volte, semplicemente, il giorno...
-Fratello mio-
...finisce.




NDA: Aggiungo un piccolo commento personale per spiegare alcune scelte effettuate durante la scrittura.
Allora, in questa fan fiction ho voluto inserire alcuni elementi simbolici per cercare di dare un aspetto più profondo e ricercato della semplice narrazione dei fatti.
Prima cosa: il titolo. L'aquilegia è un fiore originario dell'America e una delle varie interpretazioni date al suo nome deriva proprio dal fatto che i suoi petali ricordino il becco o gli artigli di un'aquila (che è anche il simbolo degli Stati Uniti). A questo fiore veniva attribuito un significato di tristezza, malinconia e gelosia. E questi tre sentimenti sono forse quelli che ho voluto mettere in maggior rilievo in questa fan fiction: tristezza e malinconia, ovviamente, riflettono la separazione di Arthur e Alfred, mentre gelosia è un sentimento tipico di Arthur che non vuole lasciare libero il suo fratellino.
Inoltre, nelle rappresentazioni cristiane, si pensa che l'aquilegia rappresenti la nascita del Cristo, quindi un momento di grande gioia, ma, allo stesso tempo, la sua futura morte e la sua sofferenza. E questo è un sentimento che si ritrova in Alfred. Alfred ottiene la sua indipendenza, ma è costretto ad arrecare dolore ad una persona che ama e, così facendo, anche a sè stesso. Ma il tutto per raggiungere un fine più alto.
E questo è il titolo. Passiamo al testo.
Come avrete notato, la fan fiction è divisa in due parti; nella prima il rapporto tra Arthur e Alfred (ancora bambino) è descritto in modo colorato , vivace, ma disturbato dalla presenza di Francis e della sua "profezia" che anticipa quello che poi accadrà in futuro (ricordo che durante la guerra di Indipendenza americana, la Francia fornì un aiuto essenziale ai coloni americani contro gli inglesi). Nelle ultime righe della prima parte, ho voluto mettere sotto discorso indiretto libero i pensieri di Arthur e non dare alcun indizio per interpretarli; all'inizio i suoi pensieri sembrano sinceri, tuttavia il dubbio si insidia nella seconda parte. La cosa che maggiormente si nota nella seconda parte sono le "interferenze" in corsivo che, ancora una volta, riflettono i pensieri di Arthur. In queste parti, in particolare, ho fatto molta attenzione alla scelta delle parole: all'inizio Arthur chiama Alfred "fratello mio", mentre, nell'ultima battuta, lo chiama con il suo nome. Questa è stata una scelta pensata per mostrare il sancimento della separazione tra Arthur e Alfred e l'accettazione da parte del primo dell'indipendenza. Tuttavia, questa accettazione è, alla fine, solo apparente perchè, subito prima dell'ultima parola, c'è un'altra intromissione di Arthur che riprende a chiamare Alfred "fratello mio". Parole che ho voluto inserire per far capire che, nonostante tutto, Arthur vuole ancora molto bene ad Alfred e non riuscirà mai veramente a separarsene.
Pensata è stata anche la scelta, nella seconda parte di usare i nomi propri dei personaggi, anzichè i nomi dei paesi. Nella prima parte, Arthur si preoccupa solo di America (il che riflette il discorso di Francis), mentre nella seconda parte, dopo che lo ha perso, capisce "l'umanità" di Alfred. Nella prima parte, i personaggi sono prima nazioni e dopo uomini, mentre nella seconda prevale l'umanità sul fatto di essere nazioni.
Altro simbolo: alla fine, il fatto che la pioggia cessi è un ritorno ad una condizione di normalità (appunto per questo ho sottolineato più di una volta che si trattava di un giorno d'estate), dopo la guerra. Però, anche in questo caso, rimane il silenzio, non tornano le risate, i sorrisi e i "giochi infantili" della prima parte. Nonostante il ritorno ad una condizione apparentemente felice (sole) permane un elemento di amara tristezza (silenzio).
Nelle ultime righe, come avrete notato, c'è una ripetizione di una frase già scritta all'inizio della seconda parte. Ho voluto dare alla seconda parte una struttura circolare: è iniziata con quella frase e finisce con quella frase. Tuttavia, questa struttura circolare è in aperto contrasto con il corso degli avvenimenti, perchè la situazione non ritorna ad essere quella di prima e quindi il cerchio non si chiude.
  
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