I love you, Mr. Holmes.
John Watson quella notte non dormiva.
Non era solito a prendersi molte ore di sonno, solitamente: non sempre per sua
decisione era costretto a fare le ore piccole per molte nottate di seguito, a volte
per casi irrisolti che lo tenevano sveglio a pensare, altre per il suono del
bel violino del suo coinquilino che rompeva sempre il silenzio.
Ma quella notte, la motivazione era ben diversa: John aspettava con ansia
l’arrivo del mattino del 6 Gennaio, non sapendo però bene che cosa dovesse
aspettarsi.
Aveva scoperto l’avvenimento che si nascondeva dietro quell’innocua data per
caso, spulciando cassetti ripieni di scartoffie alla ricerca di pile per il suo
walkman. E John sapeva che non avrebbe dovuto ficcare il naso nei documenti di
Sherlock, ma… andiamo, chi non avrebbe voluto saperne di più del suo criptico
migliore amico?
In una busta ingiallita dal tempo, macchiata su un angolo da chissà cosa e già
aperta da decenni, un biglietto d’auguri firmato da “mamma” era stato scritto
con cura in data 6 Gennaio 1981.
Il dottore era rimasto allibito. Mancavano solo due giorni al compleanno del
consulente investigativo!
John sapeva benissimo che, oltre a lui, nessuno era a conoscenza del suo
compleanno a parte Sherlock stesso e Mycroft. Il detective era sempre così
misterioso e non lasciava mai trapelare nulla di sé stesso, se non piccole e
inutili nozioni. Mycroft certo non avrebbe festeggiato e John conosceva
abbastanza il migliore amico per sapere che questo non avrebbe fatto una certa
differenza, ma…
Il dottore se lo sentiva dentro: avrebbe dovuto fare qualcosa. E poco importava
che Sherlock avrebbe potuto reputare le sue idee malsane o fregarsene delle sue
attenzioni: John aveva bisogno di dimostrargli che lui era un amico vero.
Così, eccolo lì: steso sul materasso, le candide coperte abbassate fino a metà
busto nonostante la fredda aria invernale e gli occhi chiari spalancati nel
buio, certo che non sarebbe riuscito a nascondere a Sherlock le sue occhiaie,
il giorno dopo.
… O meglio, poche ore dopo: si rese
conto, con rammarico, che annegando nei pensieri era rimasto sveglio fino alle
quattro del mattino.
Pur a conoscenza del fatto che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, tardi
com’era, cercò di mettersi comodo e si girò su un fianco. Addormentarsi sulla
spalla di Sherlock non era nei suoi piani per la giornata.
John rinunciò all’impresa di addormentarsi solo un’ora dopo. Udiva il
coinquilino suonare al violino una melensa e triste canzone, al piano inferiore.
Ormai John gli si era abituato: Sherlock suonava sempre, quand’era annoiato e
non aveva nessun caso con cui tenere impegnata la propria mente.
Consapevole che Sherlock gli avrebbe posto domande sul suo risveglio così
primaticcio rispetto al solito ma anche indeciso sul cosa aspettarsi dal
compleanno del detective, John scese al piano inferiore per prepararsi una
tazza di caffè.
Sherlock lo aspettava.
Seduto sulla poltrona, senza smettere di suonare, lo fissò con occhi truci.
«So che stai organizzando qualcosa per il mio compleanno, John, e non ho idea
di stare al gioco».
«Buongiorno anche a te, Sherlock». John ignorò il suo commento, procedendo a
lunghi passi verso la cucina. Sicuro che l’amico l’avrebbe notato comunque,
tentò di nascondere il suo sconforto davanti al suo misterioso astio. Non era
certo che sarebbe riuscito a portare a termine tutto ciò che aveva organizzato,
se Sherlock avesse fatto così per tutto il giorno.
Quest’ultimo non aveva una reale idea di cosa davvero avesse in mente il dottore,
ma aveva notato il modo in cui correva da una parte all’altra di Londra
affannandosi per realizzare gli obbiettivi che si era posto chissà quando. E
vedendolo così sfuggevole e schietto nei suoi confronti, quale altra
motivazione poteva esserci?
Anche se non voleva darlo a vedere, Sherlock era in realtà molto curioso di
sapere che cosa avesse escogitato l’amico. Era veramente in dubbio con sé
stesso, per una delle prime volte nella sua vita.
Crucciato, smise di suonare il violino. Non era davvero il genere di persona
che si lasciava andare alle emozioni, di quella gente che amava festeggiare il
proprio compleanno e ricevere regali; ma, d’altronde, desiderava soddisfare
John dopo i suoi lunghi sforzi. Non si meritava tutta quest’impassibilità, no?
Non lui.
Si lasciò sprofondare nella poltrona.
«Non ho organizzato un bel niente, comunque», proseguì il dottore, a sorpresa.
«Ah no?».
John si sedette al tavolo con la sua tazza di caffè, senza fissare Sherlock.
Ormai la sua bella figura di scemo che non sa tenere nascosta una sorpresa
l’aveva fatta, quindi perché continuare ancora quella pantomima?
«No. Avevo avuto diverse idee, ma le ho scartate una dopo l’altra per la loro
malsania. Temo di non avere più nulla da offrirti, se non una fetta di torta,
se ti va».
Sherlock ridacchiò sotto i baffi, improvvisamente divertito e curioso di sapere
cosa era passato per la mente del suo coinquilino. John, intuendo la domanda
che stava per porgli, alzò le mani mostrandone i palmi all’amico.
«Ah, no! Non chiedermelo nemmeno!», ridacchiò, evasivo.
«E dai, solo qualche pseudo idea», replicò il detective.
John non poteva più mentire a sé stesso: lo amava. Amava alla follia Sherlock
Holmes, non poteva negarlo. Amava il modo in cui lo fissava con i suoi grandi
occhi chiari, mettendolo in soggezione. Amava la nonchalance con cui dimostrava
le sue doti intellettive. Amava tutto di lui, persino il suo egocentrismo o il
suo esibizionismo.
Lo guardò negli occhi, e in quel momento i loro sguardi si fusero in un
tutt’uno di comprensione e spensieratezza. John avrebbe potuto rimanere in quel
momento per sempre, se non fosse stato per il nuovo incessante desiderio di
soddisfare la sua richiesta.
«Volevo portarti al planetario, per insegnarti qualcosa sul sistema solare»,
azzardò, infine.
Sherlock scoppiò a ridere, e John ne fu talmente felice che si lasciò
contagiare, lasciando defluire fuori da sé la tensione.
«Che altro? Volevi comprarmi la nuova versione di Cluedo?», esordì Sherlock,
provocando un secondo attacco di risatine isteriche.
La giornata si prospettava interessante.
Un paio di tazze di the e qualche altra strana teoria dopo, le risate si erano
finalmente ridotte a smorfie divertite sul volto dei due coinquilini. Sherlock
pareva essersi dimenticato dei suoi dubbi su come avesse dovuto comportarsi,
John non era più preoccupato di come la giornata si sarebbe prospettata. Non
erano più due amici in dubbio su come definire la loro relazione, non erano più
il detective e il medico militare, non era più nemmeno il compleanno di Sherlock.
Erano semplicemente due amici in un giorno qualunque che si divertivano
insieme, e cos’altro importava?
Verso metà della mattinata arrivò anche la signora Hudson che, ignara di cosa
si nascondeva dietro quella normalissima data, sembrò confermare le supposizioni
di poche righe fa. Aveva con sé due bagel glassati e, inconsapevole del fatto
che i due avessero già fatto una colazione più
che abbondante, glieli fece praticamente ingurgitare a forza.
«Sono pieno da scoppiare!», esclamò Watson, lasciandosi cadere sulla poltrona
con una forza tale da spostarla di mezzo metro. Sherlock, di buon’umore, rise
sotto i baffi.
Nonostante la sua improvvisa serenità, aspettò che la signora Hudson se ne
andasse per poter porgere a John la domanda che tanto lo aveva tormentato.
«E quindi non ti è più venuto in mente nulla da escogitare per il mio
trentunesimo compleanno?».
John impallidì, titubante.
Sapeva di per certo cosa Sherlock voleva sentirsi dire – anche se, in realtà,
ciò che lui credeva l’amico stesse pensando era lungi lontano dall’effettiva
verità – ma temeva di sbagliare qualcosa e di rovinare la salda amicizia
stretta con Sherlock. Dozzine di differenti “E se…” ormai gli riempivano il
cervello, ronzanti, e lo fecero impazzire ancora di più.
Sherlock, poveretto, non aveva intenzione di fare riferimento alla cotta che –
era certo della sua presenza – John aveva per lui, ma l’innocuo dottore aveva
ormai frainteso e non c’era più verso di sistemare le sue parole. Watson si
avvicinò a lui e, fondendo i loro sguardi, raccolse il briciolo di coraggio che
gli era rimasto nel cuore.
«I love you, Mr. Holmes».
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crede)
Angolo Autrice
Buongiorno a tutti. Mi presento: sono
WaryJMS, aka Marianna.
Vi prego di avere pietà di quest’anima innocua: è la prima volta che scrivo
nella categoria di Sherlock, nonché la prima volta che scrivo una
Bromance. Siete liberi di rivolgermi
minacce, di alzare i forconi e le torce e di riempirmi di insulti: non ho idea
di cosa io possa aver combinato con quest’idea che mi ronzava da tempo.
Amo scrivere a proposito dei compleanni, ed è la terza one shot che pubblico a
proposito di questo argomento. Ci terrei però a precisare alcune cose, salvo
inconvenienti.
• Questa shot ha luogo durante l’episodio “Uno scandalo in Belgravia”. Non
sconvolge nessuno dei fatti accaduti in “Il Mastino di Baskerville” e “La
caduta di Reichenbach”, dato che, come intuibile, Sherlock dopo le parole di
John non ammetterà di ricambiare il suo amore.
• Sherlock sa che John è innamorato di lui, ma quando gli chiede cosa abbia in
mente alla fine per il suo compleanno non si aspetta che il medico decida di
rivelargli il suo amore, come regalo.
• Ho in mente un’altra one shot incentrata sul compleanno di John, che si
svolgerà dopo l’episodio della caduta. In questo ne vedremo delle belle, e
quando pubblicherò quella nuova shot la inserirò in una serie insieme a
questa, perché sarà, diciamo, una sorta
di “sequel”.
(E si, Sherlock si lascerà andare finalmente ai suoi sentimenti).
Detto questo, non ho più altro da dire se non che mi scuso per eventuali errori
di battitura e per aver insozzato una serie TV meravigliosa come Sherlock con i
miei racconti da quattro soldi. Mi scuso immensamente, ma non potevo tenermi
dentro quest’idea.
Lasciate pure recensioni, non mordo!
Baci,
WaryJMS