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Autore: ConsultingFangirls    29/07/2012    3 recensioni
Era iniziato in un nebbioso mattino di febbraio quando, marciando per l'appartamento di Baker Street con le mani nei capelli e gli occhi da folle, Sherlock Holmes si era imbattuto in qualcosa che non sarebbe dovuto esistere.
L'uomo seduto nella poltrona dei clienti, un tizio magro, alto, con un completo a righe blu e marroni, Converse rosse e capelli spettinati, stava imperturbabile e con le gambe accavallate, seguendo con gli occhi il famoso detective uscire di testa. John non ci avrebbe scommesso, ma sembrava si stesse divertendo.

/ «Rose? È finito il latte»
«E perché non vai a prenderlo?»
«Perché ci vai tu» Layne le tese il cappotto con un sorriso e svuotò la pipa sul divano «E prendi anche del tè, che è quasi finito»
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Rose Tyler, TARDIS
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender
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«Siamo arrivati» disse River, tirando una leva della TARDIS. Questa si posò senza alcun rumore, il che non mancò di far aggrondare il Dottore. «Pianeta Terra del Sistema Solare, Regno Unito, Galles, Cardiff, 16 giugno 2007. Vi è familiare, come posto?»
«La frattura di Layne…» Rose si passò una mano sul viso. Era rimasta in disparte per tutto quel tempo, seduta in un angolo con le ginocchia sotto il mento ed il Dottore seduto accanto, con un braccio attorno alla sua vita. Non si erano detti niente per tutto il tempo, ma fra di loro c’erano legami che si riformavano e altri che si spezzavano, ed era assurdo il modo in cui riuscivano a non volersi separare anche se reagivano l’uno all’altra come due poli che si respingono. 
«Già. Ma non è per questo che siamo qui…» River alzò lo sguardo sullo schermo appeso alla consolle e controllò l’ora. «Mancano esattamente dieci, nove, otto…»
«A cosa?» chiese il Dottore.
«All’arrivo di qualcuno, mi pare ovvio» lo rimbeccò Sherlock. Essere se stesso era più facile che sentirsi spezzato dentro, diviso perfettamente a metà, un parte persa e morta ai suoi piedi.
«…quattro, tre, due, uno…»
La porta della TARDIS si aprì con un tonfo. «Accidenti, Dottore! Non pensavo ti avrei più rivisto… Sempre la stessa faccia, eh? E… Rose!» L’uomo appena entrato era fra i trenta e i quaranta, bello e mascolino, con un lungo cappotto da militare stile anni Quaranta. Notando le altre persone nell’astronave, fermò il suo chiacchiericcio, smise di stritolare Rose in un abbraccio e prese un’espressione grave. «Sono il Capitano Jack Harkness» disse, e per una volta nessuno lo zittì. Nella sua voce non c’erano i soliti sottintesi. «A quanto pare avete fatto un gran bel casino e vi serve il mio aiuto.»
«Adoro la tua perspicacia, dolcezza. Ora, se tu avessi un mantello dell’invisibilità sotto cui nascondere il cadavere…»
«Oh, e tu chi sei, dolcezza?»
«Non mi pare il momento, Capitano» disse il Dottore, in tono stanco. Adesso che non stava più vicino a Rose non sembrava sapere cosa fare delle proprie mani, e per buona misura le infilò in tasca. «Lei è la dottoressa River Song. Ora… dove siamo?»
«Nella base operativa del Torchwood. Operativa da un paio di mesi, cioè, e con me solo come manovale.» Jack si strinse nelle spalle. «Non preoccuparti, troverò qualche bel culetto da piazzare su queste sedie.» Così dicendo aprì la porta della TARDIS e mostrò quello che sembrava l’interno di una grotta con dell’alta tecnologia – parecchia aliena – appesa alle pareti di roccia.
«È stranamente sobrio per essere tuo» commentò Rose.
«È perché non hai ancora visto le camere di congelamento e le prigioni per il bondage.»
«Aaah, chiaro» Rose rise un po’, fiocamente, ma il Dottore sapeva che la sua risata sarebbe stata molto più aperta, se solo… se solo.
«È meglio che portiamo fuori John. Anche se, dottoressa Song, non capisco come la base operativa del Torchwood potrebbe aiutarci.»
«Vado a prendere una barella. Però, Dottore, ero sicuro che saresti uscito di testa vedendo tutto questo… che fossi contro il Torchwood.»
«Sono uscito di testa, quando l’ho scoperto… fra un paio d’anni.»
Jack fece per dire qualcosa, ma River lo interruppe. «Spoilers, tesoro. Questa barella?» 

«… e quindi stai dicendo che puoi riportare la gente in vita con quei cosini dorati?»
«No, ovvio che no. Quelli possono soltanto guarire le sue ferite. Per riportarlo in vita ci va qualcosa di un po’ più… epico» Jack iniziò a frugare in un grosso scatolone nero fino a tirare fuori un guanto d’argento. 
«E quello l’hai rubato dal set del Signore degli Anelli?» 
«No, Rose, sarebbe stato troppo facile. Lo inventerà una mia amica tra qualche anno, ma questo è il principale vantaggio del viaggiare nel tempo. Può riportare in vita le persone per due minuti, giusto quanto serve per sapere perché siano morte» fece per metterselo addosso, ma Sherlock lo fermò con un colpo di tosse «Credo sia meglio che lo faccia io»
«TU? Stai scherzando vero? Serve forza fisica, il guanto prosciuga in parte chi lo usa per donare la forza all’altro… non per offenderti, ma tu non solo sembri una mezza sega, ma pure una mezza sega un po’ denutrita»
«Mezza sega? È un termine tecnico?» il Dottore guardò verso Jack e gli tese una mano «Sai anche tu cosa succederà con Ianto. Se avessi potuto farlo tu, non l’avresti fatto?» il Capitano abbassò gli occhi e un angolo della sua bocca si piegò in un sorriso strano, più amaro che triste, e lanciò il guanto a Sherlock «Vedi di non scomparirmi, pallidone, ne ho abbastanza di gente che mi sparisce sotto il naso senza bisogno che ti ci metta anche tu» lui annuì e si infilò il guanto. Posò la mano sotto la testa di John e si fermò a guardarlo.
«Com’è, Sherlock?» Rose gli si era avvicinata, e si tormentava le mani sopra la gonna di velluto. 
«Caldo» mormorò lui «Caldo e vivo»

Mi ci ero abituato, in realtà. Avevo già iniziato a farmi tutti i miei piani, osservare Sherlock dall’alto, restare all’appartamento, magari, guardarlo dormire. Aiutarlo, se avessi potuto. Vedere ancora il mio cadavere su quella barella, però, è stato davvero un colpo basso. Sono così… piccolo, e insignificante, e pallido quasi quanto lui. Solo che io sono morto. Wow. Almeno adesso l’ho ammesso. Morto. Come suona definitivo. Andato, scomparso, estinto… quello sembra tutto un temporeggiare. Quando qualcuno muore nessuno dice “è morto”. Abbiamo inventato miliardi di parafrasi per non doverci affacciare alla verità. Se n’è andato è più socialmente accettabile. Se n’è andato non fa capire che non tornerà mai più, anche se è sottinteso. Noi esseri umani siamo così barocchi che a volte mi da anche fastidio. Ma quando sei morto accettare l’evidenza è più facile. Sì, sono morto. Addio. 
Però il problema è che se sei morto dovresti… restare morto. Vederli che si affaccendano così tanto intorno a me per cercare di riportarmi indietro è brutto. Bruttissimo. Sono morto, ormai, e scommetto che vi siete anche già abituati all’idea. Scommetto che parlate già di me al passato. Perché farmi tornare in vita, così poi un giorno dovrete riprendere tutto da capo? Tutti moriamo. Non c’è nulla di più naturale della morte. Eppure continuiamo a combatterla con tutte le armi che abbiamo, io primo tra tutti. Forse questo è un concetto che si capisce solo una volta che si è morti sul serio, però. 
Sherlock e quel guanto magico del ballerino di tip tap non mi rassicurano per niente. Ho paura per lui. Una parte di me vorrebbe… beh, vorrebbe che morisse anche lui. Così resteremmo insieme. Poi però c’è la parte razionale, naturalmente, quella che vuole che continui a vivere la sua vita tranquillo tranquillo aiutando l’umanità, e ho paura che quel- cos’è, alla fine? L’ultimo armamentario di Iron Man? - quello non gli farà nulla di buono. Lo sento. È come se mi avesse legato le mani e i piedi e cercasse di riportarmi dentro il mio corpo. Ma, ehy, nessuno ha contemplato la possibilità che io non lo voglia? Forse sto benissimo così come son…
La luce è troppo debole. Non ci sono più abituato. Sono abituato a vedere, non a guardare tutti questi colori smorti e grigiastri, che non hanno il minimo senso di essere. Voglio tornare alla mia condizione di morto. LASCIATEMI MORTO, CAZZO! L’unica cosa che si illumina davvero sono questi pallini dorati che adesso mi circolano intorno. Zanzare luminose? Cerco di scacciarle, ma non riesco ad alzare le braccia. Sono legato. Sono vivo, adesso, sento l’odore dell’aria, un odore malato di metallo e febbre, e sento la barella sotto il corpo, ma mi fa schifo, è appiccicaticcia di sangue e fredda. Quanto vi costava lasciarmi andare? Queste mosche geneticamente modificate mi entrano nel naso, nella bocca, nel.. eh no, eh! Così non ci sto! Però mi danno una sensazione calda dentro, è come se mi avessero acceso un fuoco sotto lo sterno, e sento i tagli rigenerarsi e il sangue tornare al suo posto. Anche quello che sono sicuro essere il mio fegato è tornato dove avrebbe dovuto essere, e le ossa della cassa toracica si stanno riattaccando l’una all’altra come se ci avessero messo dei giri di scotch. Non è poi così male, come sensazione. 
Appena finisce, e tutto diventa un po’ più freddo, ora che i miei occhi si sono abituati di nuovo alla piattezza del mondo reale, guardo verso Sherlock.
«Quindi? Che mi è successo?»

Erano tutti attorno a lui, ma John, anche se voleva delle risposte, non riusciva a concentrarsi. Essere vivo era distraente quanto essere morto, in un certo senso. Perché, pur non vedendo, vedendo sul serio, colori, suoni e gusti - vedendoli, sì, visto che erano troppo reali e lui era morto, morto, e il suo corpo era laggiù come un mucchietto patetico di ossa e sangue e l’unica cosa che gli rimanevano erano gli occhi, come un’immagine residua che aveva catturato molto più di quanto non ci si accorgesse al primo sguardo - insomma, vedere da vivo era quasi sconcertante come vedere da morto. Dov’erano finite le vere essenze di queste persone? Dov’era quella cosa immensa e spaventosa e bellissima che era il Dottore, e quella cosa infinitamente più piccola e corazzata che era Sherlock, e…
E perché c’erano quei puntini luminosi che sembravano volere entrare ancora una volta dentro di lui, riempirlo di luce - il suo spettro ottico catturava troppa luce, rispetto a quella che c’era nella grotta, ma forse erano solo quelle strane lucciole che Rose stava chiamando “nanogeni”. I capelli di Rose sembravano d’oro e gli occhi di Sherlock una galassia intrappolata in uno spazio troppo piccolo e quello spazio era la sua testa, che lentamente tornava ad essere se stessa. Aveva visto quell’universo gocciolare lentamente via attraverso le sue lacrime.
Adesso Sherlock stava seduto contro il muro con quel guanto-da-Iron-Man sulle ginocchia e le mani che gli penzolavano lungo i fianchi e la testa china e sembrava sfinito e se fosse stato un’altra persona probabilmente avrebbe pianto o tentato di trattenere le lacrime; ma invece sembrava più che altro che stesse per scoppiare a ridere, quella risata stanca e sfinita delle situazioni che prosciugano tutta l’energia e ti lasciano semplicemente sollevato che sia finita. Finita. John era morto e sarebbe dovuta finire lì, e invece finiva con lui che tornava in vita.
Buttò le gambe giù dalla barella e quando poggiò i piedi per terra la sua gamba sinistra tremò così forte che ebbe paura di cadere a terra. Subito un nugolo di moscerini dorati - nanogeni, nanogeni - si raggrupparono attorno a lui, danzandogli attorno come i pallini di neve finta in uno di quei globi che si comprano a Natale. Lui era immobile e fermo come le chiesette dentro quei globi e i nanogeni erano la neve, e anche se la sua gamba non tremava più il dolore era ancora dentro la sua testa, come un chiodo di ferro arrugginito, passava attraverso tutte le zone del suo cervello - lobo frontale, area di Broca, uditoria primaria no fermati aspetta cosa c’entra questo - e l’unica cosa che gl’impediva di squarciarlo, ne era sicuro, era un pensiero che faceva a mo’ di muro ed il pensiero era Sherlock, era sempre stato Sherlock fin da quando era tornato dall’Afganistan.
Si avvicinò a lui barcollando con Rose che cercava di sorreggerlo; Sherlock alzò il capo, allora, gli occhi che sembravano lucidi ma forse era solo stanchezza, doveva essere così, persino nel suo cervello confuso e dolorante c’era la consapevolezza che far piangere Sherlock due volte in un giorno, in un’intera vita, anzi, doveva essere impossibile, anche se in realtà non era lo stesso giorno, visto che erano balzati nel futuro - insomma, dettagli. Gli si avvicinò e quell’insopportabile idiota aprì la bocca per dire qualcosa ma lui lo troncò lasciandosi cadere per terra e avvolgendogli le braccia attorno al collo.
Affondò il viso nella sua spalla e i nanogeni finirono dappertutto attorno a loro come se il globo di neve finto si fosse spaccato e i pallini di neve avessero deciso che la forza di gravità non li riguardava. Le spalle di Sherlock tremavano un po’, o forse erano le sue mani, John non riusciva a capirlo. Però le braccia di Sherlock erano anche loro attorno a lui, lo stringevano tanto forte da fargli uscire l’aria dai polmoni. I nanogeni svolazzavano nell’aria e non erano neanche fastidiosi, a questo punto, perché li nascondevano ed era un po’ come essere tornati al 221B, il loro 221B, come se tutto ciò che il Dottore aveva mostrato loro non fosse mai successo. La luce era accecante quasi come mentre John tornava in vita, ma era più morbida, come lampade a olio.
Sherlock sussurrò qualcosa che solo John poteva capire, non ascoltandolo, in realtà, ma percependolo con quella cognizione del mondo che gli era rimasta di mentre era, chissà, un fantasma?, e che lentamente stava scemando. E quindi ripose e si dissero cose, in quell’abbraccio di luce, cose ch’erano fatte di luce anch’esse ed erano meglio che stringersi la mano in cima ad un tetto, meglio che aver paura l’uno per l’altro, meglio che sorridersi di nascosto mentre nessuno vedeva. 

Rose pensò cose, guardando la luce dei nanogeni scintillarle attorno alle mani, anche se non c’era niente da guarire, cose che riguardavano Layne e il Dottore e i viaggi nel tempo. Gli occhi lucidi e scuri del Dottore splendevano e catturavano la luce di quelle scintille di vita, ed il sorriso che gli attraversava il viso le ricordò quella volta a Londra durante la seconda guerra mondiale, e… Just this once, Rose, everybody lives!
Si avvicinò al Dottore e prese la manica del suo cappotto lungo e appoggiò il mento sulla sua spalla, e mentre lui la guardava con tutta la sua attenzione, forse un po’ preoccupato, gli parlò.

 

((FINALE ALTERNATIVO PER ARIA: John stave morendo, oh che male, oh che male, ma arrivò una scimmia meccanica che suonava i piatti e Jaawn se ne innamorò perdutamente, quindi decise a) di mandare a cagare Shuuurcock e b) per una questione puramente pratica e riproduttiva - anche se ancora non ci è dato di sapere esattamente come si sia riprodotto con una scimmia meccanica che suona piatti - decise di restare vivo. Oh, niente più male, niente più male. Quindi Shuuuurcock andò in bianco per il resto della sua vita e Jawn e la scimmia meccanica che il buon dottore aveva chiamato Ashassarenbamdnednrosnehrksanejn II, per gli amici Ash Ketchum, ebbero tanti figliolini mezzi piatti mezzi umani che poi divennero l’armata del Dottor Destino. THE SWEETEST END. ))



S. vorrebbe rendervi partecipi dell'onore di cui viene investito questo capitolo, chiamandosi come uno dei suoi episodi preferiti di Supernatural *fades*
  
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