Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
Ricorda la storia  |      
Autore: Codivilla    02/08/2012    6 recensioni
Amore e tragedia si intrecciano in una breve storia che si svolge al chiaro di Luna, in una estiva e mite notte nella Russia Siberiana, fra dolci ricordi e orride scene di cruda realtà, pur vissuta nel sovrannaturale. Dimitri e Selena, il filo di un amore che si spezza senza possibilità di ritorno, nel sangue di uomini innocenti versato per saziare la fame di un lupo.
• Dal testo:
Rivolsi gli occhi color ghiaccio alla luna, un brivido mi scosse la schiena, facendomi rizzare il folto pelo completamente candido, salvo per il muso e la gola, chiazzate dal rosso del sangue. Annusai l'aria per qualche secondo, prima di esplodere in un forte ululato, spaventoso e lacerante, nel silenzio, quasi un grido di pietà o una consapevolezza di colpa, ammissione dell'ennesimo omicidio che avevo commesso.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Racconto scelto per la pubblicazione sul sito bookshelfmag.itLINK -
 


Homo Homini Lupus Est



L'odore ferroso del sangue inebriava a sazietà le mie narici. Rivoli di nettare purpureo bagnavano le mie labbra, mentre affondavo un'ultima volta le zanne affilate nel collo di quel povero disgraziato che, per puro scherzo del destino, aveva deciso proprio quella notte di attraversare la foresta. La luce della luna piena filtrava attraverso il marasma di foglie nere minacciose, dalle punte alte delle conifere e dei larici che popolano tutt'oggi in gran numero la Foresta Vergine di Komi, nella parte più settentrionale degli Urali, cuore e gioiello della natura della più profonda e remota Siberia. Alla sua luminescenza risplendeva adesso il sangue a terra, sull'erba bagnata del sottobosco, fluente e delicato dalla carotide perforata dell'uomo, mentre io ancora stringevo con forza minore fra le mie fauci quello che sarebbe presto stato il mio pasto. Non appena il cuore avrebbe cessato di battere, non appena fossi stata sicura della morte di lui. Percepii sotto i denti l'ultimo palpito e poi, il silenzio di quella notte, null'altro. Scossi la testa due o tre volte, prima di spalancare le zanne e lasciar cadere a terra completamente il corpo esanime di colui che avevo ucciso, neanche sapevo il suo nome. Rivolsi gli occhi color ghiaccio alla luna, un brivido mi scosse la schiena, facendomi rizzare il folto pelo completamente candido, salvo per il muso e la gola, chiazzate dal rosso del sangue. Annusai l'aria per qualche secondo, prima di esplodere in un forte ululato, spaventoso e lacerante, nel silenzio, quasi un grido di pietà o una consapevolezza di colpa, ammissione dell'ennesimo omicidio che avevo commesso. 
 

***


Tremavo come una foglia nascosto dietro un cespuglio di more piuttosto alto. La notte non era fredda, tutt'altro, in Russia non c'è sempre neve come molti pensano, le notti d'estate possono essere anche piuttosto miti, nella taiga uralica. Ma come facevo, a non tremare? Quel lampo bianco che andavo rincorrendo da mesi, oramai, me l'ero ritrovato di fronte nel momento stesso in cui esprimeva il massimo del suo essere immorale, della sua mostruosità, accanendosi come una vera belva sull'uomo che di qualche metro, precedeva i miei passi nella foresta. Magari quell'uomo stava tornando a casa, dalla sua famiglia. Forse lo aspettava una donna, chissà. Avrebbe aspettato in eterno, ormai, vista la misera fine che gli era toccata. Il terrificante ululato del lupo bianco mi fece accapponare la pelle, e tremai ancora più spaventato, e disgustato già in anticipo per quello cui stavo per assistere. Era quasi un anno che trascorrevo nella foresta, dietro al lupo. E non avevo mai mancato di ritrovare i resti di quelli che erano i suoi macabri pasti. Ma assistere dal vivo, non ero sicuro di reggerlo. Eppure non riuscivo a staccare gli occhi da quella scena, da quelle zanne poderose che brillavano sotto i raggi quieti della luna piena e tonda, sua maledizione, mentre decise e senza alcuna pietà affondavano nelle carni ancora calde dell'uomo, macchiandosi di un rosso che non poteva essere più spaventoso. Il lupo era enorme, terrificante nelle sue dimensioni e nella brutalità dei suoi lineamenti, selvatici e primitivi, mentre banchettava tranquillamente. Intanto, io cercavo il momento opportuno per sbucare fuori. Controvento, non aveva potuto sentire il mio odore, l'animale non pareva essersi accorto di me, e cauto straziava le carni che erano il suo nutrimento, mugolando e ringhiando con tono sommesso, come solo una fiera selvaggia poteva fare. Presi un grosso respiro, quasi soffocavo per i pesanti vapori che salivano dal sottobosco, e per lo spettacolo allucinante che mi si offriva agli occhi. Ebbi la sensazione di svenire, sentivo freddo alle orecchie e il sudore mi imperlava la fronte, mentre gli occhi mi si offuscavano rabbuiandosi. Deglutii, cercando di raccogliere a mano ferma il coraggio che mi restava, e respirando pesantemente affinchè scacciassi via il moto di paura e di vigliaccheria che mi intimava di darmela a gambe. Era il momento, dovevo farlo, senza perdere un attimo in più. Mi alzai con uno scatto, imbracciando il fucile che portavo con me, e mi parai davanti al lupo ed al cadavere ormai dilaniato, puntando la canna verso la belva con l'occhio sinistro chiuso, ed il destro ben fisso nel mirino.
 

***


Avevo annusato appositamente l'aria. Non mi era sfuggito il suo odore, affatto, come poteva sfuggirmi? Poteva anche pensare di cogliermi di sorpresa, ma nella realtà, mi sarebbe bastato saltare con tutta la mia mole sul cespuglio, dove avevo percepito si fosse nascosto, per schiacciarlo sotto il peso del mio corpo e sotto le zampe. Mi seguiva da tempo, ormai, senza mai riuscire a prendermi, più per mia astuzia che per sua incompetenza. Conoscevo la foresta molto meglio di lui, il mio corpo da lupo era molto più agile fra i rovi ed i tronchi caduti a terra nel corso dei secoli, il mio fiuto più fino per individuare il suo odore e allontanarmi sempre in tempo, tanto da farmi passare anche la tentazione di aggredirlo. Talmente avevo perso la mia vera natura, tanto il mio essere si era svilito ed indemoniato, che riuscire a trattenermi dal fargli del male era stata una sofferenza oltre ogni limite, seppure solo per due giorni al mese. Alzai gli occhi di ghiaccio sul ragazzo, quando finalmente si decise a saltar fuori dal cespuglio. Mi puntò addosso il fucile, e non mi scostai. Non feci altro che alzare la testa, col sangue che ancora fresco colava dal muso, dacchè fino a quel momento avevo usato le carni dell'uomo per placare la mia fame, e saziare la sete di omicidio che era diventata parte di me dal momento della maledizione in poi. I capelli neri di lui si agitavano appena appena, mossi dal leggero venticello, nella serata estiva, e lo vedevo bene al chiarore della luna. Dimitri era sempre stato bellissimo, e non lo era di meno in quel momento, in cui minacciava la mia morte puntando su di me il suo fucile. Dimitri era perfetto, i suoi lineamenti sottili erano il mio vanto, il mio orgoglio quando passeggiavamo nella piazza di Syktyvkar, la domenica mattina. Mi stringeva la mano come se avesse paura che potessi scappar via, come se volesse tenermi vicina per sempre. Come se già presagisse, in tempi non sospetti, quello che sarebbe successo. Voleva proteggermi dai miei genitori. Non immaginava che potesse capitarmi qualcosa di molto peggiore, della loro ira quando mi vedevano con lui, che odiavano dal profondo del cuore. Ebbi l'impulso di azzannarlo alla gola, e come da mesi facevo lo repressi sotto il ricordo dell'ultimo suo bacio, in una fredda notte invernale, unico fra i tanti ricordi che riusciva a vincere i sentimenti di furia animalesca che mi permeavano ogni qualvolta incontrassi essere umano, quando ero nella forma di lupo. Non potevo fargli del male. Nonostante quello che era successo, non a lui. Mi distesi a terra sulle zampe, abbassando il muso, e mugolando sommessamente mentre lo guardavo. Ero ancora in grado di percepire amore? Non l'avrei detto, a giudicare da come il sangue ribolliva rabbioso nelle vene, chiedendomi di squarciargli il ventre senza pietà. Era il momento di farla finita. Ed era compito di Dimitri, far sì che ciò avvenisse.
 

***


L'unica cosa che non mutava, quando quel corpo lupesco si impossessava di lei, era il colore dei suoi occhi. Quasi trasparenti, colore della brina in inverno, erano l'unica cosa che mi ricordasse adesso che, dietro quell'aspetto da bestia col muso pieno di sangue e gli istinti selvatici di un assassino, si celava un'anima umana. Era la mia Selena. O meglio, lo era stata. Perchè, per quanto quell'aspetto di lupo fosse suo per due soli, miseri giorni al mese, l'estremo deturpamento del suo animo era evidente, quando da lupo uccideva sconosciuti per il semplice intento di uccidere. Se ne sfamava per senso di colpa, o almeno questo immaginavo, dato che in qualche modo quando era in forma umana poteva sfamarsi. Non ne aveva bisogno. Selena non era più tornata a casa dopo quella notte, e riusciva a farmi perdere completamente le sue tracce un attimo prima che tornasse umana. Non sapevo che fine facesse, in quella foresta intricata peggio di un labirinto. Quanto era bella, con quell'abito candido che le cingeva le forme, e il mantello di pelliccia, la fredda sera di Dicembre che decidemmo di incontrarci al margine della foresta stessa. La luna piena era alta nel cielo nero come un pozzo senza fondo. Ricordavo i suoi capelli, neri come la pece, sciolti lungo la schiena e sottili, lisci come fili di ragnatela. Incorniciavano l'ovale perfetto del suo viso, pallido più della stessa neve, su cui spiccavano solo le labbra rosso sangue e gli specchi d'acqua che aveva al posto degli occhi. Per un assurdo, brutale scherzo del destino, quella sera maledetta che la persi per sempre, Selena era più bella che mai. Mi raggiunse col calesse, di nascosto dai suoi. Non avrebbero mai accettato che uno spiantato musicista senza speranza come me chiedesse la mano della loro figlia, loro, che erano ricchi per volere assoluto del destino, senza alcuna dote particolare se non quella di possedere lande e lande di terreno e magioni sparse per l'intero Komi. Loro che credevano di essere superiori in tutto, loro che volevano dare Selena al miglior offerente, e che neanche immaginavano il numero di notti che avevamo passato insieme, ben nascosti, grazie alla complicità di una delle cameriere della loro casa, che nascondeva perfettamente il fatto che Selena non dormisse nel suo letto, aspettandola sveglia per permetterle di rientrare alle prime luci dell'alba. Io la amavo. La amavo sopra ogni altra cosa al mondo. Ma se adesso vi dicessi che avrei sfidato il mondo per lei, sarei uno sporco bugiardo. Perchè quella sera...non sfidai proprio nulla. Ci inoltrammo per qualche centinaio di metri fra gli alberi, ridendo e scherzando, sommessamente, come qualsiasi coppia di giovani innamorati potrebbe fare. Non avevamo dato alcun peso alle notizie dei giorni precedenti, degli strani avvenimenti avvenuti nella foresta, strani omicidi, corpi dilaniati irriconoscibili per quanto erano stati sfigurati. Credevamo fosse una presa per i fondelli del giornale locale, tanto era noiosa la regione, che per vendere dovevano pure inventarsi qualcosa. Non ce ne importava nulla. Finchè non vidi le zanne di un enorme lupo conficcarsi nel braccio di Selena. Ci aveva sorpresi, all'improvviso, e i denti si aggrapparono alle carni di lei con una forza talmente brutale da spezzarle quasi il braccio a metà. Feci appena in tempo a guardarla negli occhi, quel ghiaccio che mi raggelò quando, con mio disgusto e terrore, ai suoi lineamenti iniziarono a sostituirsi quelli di una bestia immonda. Le labbra scarlatte si allungarono fino a divenire un muso di lupo, e il suo corpo crebbe ad una velocità impressionante, coprendosi di pelo candido come la neve che era in terra. Solo gli occhi, mi permettevano di scorgere ancora qualcosa di lei. Restai pietrificato, senza riuscire a fare nulla. Sentii solo un rumore assordante, come un cozzare di due enormi massi fra di loro: quando guardai, Selena si era scagliata contro l'altro lupo, dando inizio ad una battaglia ad armi impari per lei, cui quelle spoglie erano del tutto nuove. Ebbi paura. E feci la cosa più codarda che un uomo possa fare. Scappai, senza pensarci due volte. Mi credete ancora, se vi dico che la amavo? Mi credete, ora che sapete che sono un vigliacco? Non seppi mai che fine fece l'altro lupo. Ma ero ben cosciente da quel momento che le notizie erano più che fondate. E soprattutto, che la mia Selena era diventata una di quegli assassini. Licantropi, così li chiamavamo. Avevo sempre pensato fossero una leggenda. Nulla più. Una storia paurosa da raccontare ai bambini. Ma quando le leggende ti squarciano l'anima, allora forse non sono più semplici storie.
 

***


Avevo vagato per tutta la notte, dopo la battaglia col lupo che mi aveva morso. Non sapevo cosa mi stesse accandendo. Sapevo soltanto che ero diventata un mostro. E questo lo percepivo, dall'istinto omicida del tutto nuovo che mi pervadeva, e che per un attimo mi aveva portata a rincorrere Dimitri che fuggiva via, per il solo intento di appropriarmi della sua gola ed affondarci pesantemente le zanne che mi erano spuntate in bocca, affilate e pericolose come coltelli. Dimitri mi aveva baciata, per l'ultima volta, solo un attimo prima. E il ricordo del suo bacio, fu l'unica cosa che mi diede la forza di lasciarlo scappare. Mi aveva abbandonata, alla mercè di quell'enorme lupo che con fatica avevo messo in fuga, e che, ne ero certa, non aveva voluto uccidermi per sua volontà, avrebbe potuto farlo senza problemi, forte com'era e più abituato di me a muoversi sulle quattro zampe. Era come se fra noi, dopo quel morso, si fosse stabilito un patto di fratellanza, di sangue. Non mi ero scagliata contro di lui per fargli del male, no. L'avevo fatto per proteggere Dimitri. E lui se l'era squagliata. Bè, cos'altro potevo aspettarmi, che restasse? Ero un mostro. Uccisi due persone, quella notte. Due viandanti di passaggio. Le mie prime vittime. Le uccisi mentre la luna piena stava quasi per lasciare il posto all'alba, e mi ritrovai nuda, col corpo intriso del loro sangue, e il sapore del ferro in bocca. Nelle notti di luna piena ero un lupo. Ma quando non c'era la luna a guardarmi, pur perdendo quelle sembianze bestiali, stentavo a definirmi ancora umana. Fuggii nel fitto della foresta. Non sarei più tornata. Non volevo più tornare. Non c'era più posto per me, da nessuna parte, ormai. Guardai Dimitri un'ultima volta, il suo fucile rimaneva puntato su di me, giudice e padrone della mia esistenza. "Non è colpa tua".
 

***


Sparai e basta. Mirai al cuore del lupo, sulla sinistra, quasi a caso, io che non avevo mai imbracciato un fucile in vita mia. Non avrei mai potuto ucciderla quando era in forma umana, non avrei avuto il coraggio di piantare una pallottola nel corpo della donna che amavo ancora sopra ogni cosa, nonostante tutto. E in forma di lupo riusciva sempre a sfuggirmi. Avevo quasi la sensazione che avesse deciso lei, in quel momento, di lasciarsi scovare, come se avesse progettato di uscire di scena proprio quella notte. Mirai a quella bestia accovacciata, senza neanche guardare, poichè i miei occhi erano pieni di lacrime. Gli anziani dicevano di usare proiettili d'argento puro, lavorati a mano. E l'avevo fatto. Sentii l'esplosione e il proiettile che fuoriusciva dalla canna, lasciandosi dietro un alito di fumo grigiastro, e sporgendomi un pò indietro per il rinculo del fucile dopo lo sparo. Aprii gli occhi, in tempo per vederlo conficcarsi nel pelo del lupo. Un pugno d'argento nel cuore della mia Selena.
 

***


Il cuore mi si aprì esattamente a metà, in un dolore lancinante che percepii in ogni sua singola nota, straziante, quello che meritavo di soffrire mille e mille altre volte ancora, per tutti gli abomini che avevo commesso. Stava per finire tutto, sarebbe finito tutto a breve. Avrei smesso di uccidere, avrei smesso di essere un mostro. Avrei cessato di esistere. Un ringhio mi salì spontaneo alla gola per il dolore, non riuscendo a produrre un vero ululato perchè si bloccò in un ansito di agonia, e dal cuore una serie di fitte si fecero prepotenti in tutto il mio corpo, squassandolo dall'interno. Mi sentivo come se stessi per esplodere da un momento all'altro. Il pelo candido del mio manto si ritirò velocemente, lasciando solo il candore della pelle color del latte. Sentivo di nuovo i capelli lunghi sulla schiena, il freddo della morte incombente su di me, perfettamente cosciente del fatto di essere di nuovo in forma umana, nuda, ormai morente, com'era giusto che fosse. Dovevo scomparire. Mi sembrò che le labbra di Dimitri sfiorassero ancora dolci le mie, mentre la neve ci avvolgeva, come era accaduto tanto tempo prima. Mi sembrò di sentirlo di nuovo, mentre mi chiedeva di sposarlo e di andare via con lui, lontano dai miei e dalla loro possessività. Quando ancora ero una donna. Quando ancora la mia anima non era stata traviata. Quando ero ancora in grado di amarlo, senza dover trattenere con fatica l'impulso di ucciderlo e ridurlo a brandelli. Chiusi gli occhi, e non sentii più niente.
 

***


Nello spasmo dell'agonia, Selena perse le sue sembianze di lupo. Il sangue sgorgava copioso dalla ferita sul suo petto, a sinistra, proprio sopra il seno, mischiandosi a quello del cadavere ancora a terra, mentre moriva sotto i miei occhi, da donna come l'avevo amata. Mi avvicinai, lasciando cadere il fucile, che risuonò con un tonfo sinistro sul terreno umido. Caddi impotente in ginocchio, in preda alla disperazione, impotente come ero stato dall'inizio della storia, io stesso autore involontario dell'inizio, e consapevolmente della fine, di quell'orrore. La presi in braccio, la mia Selena. Era più bella che mai, nel silenzio rispettoso e tranquillo della sua morte, nuda ed inerme, con quella pelle bianca di cui ero innamorato alla follia, e il rosso acceso di quelle labbra che tanto avevo assaporato senza mai esserne sazio, e di cui troppo presto ero stato privato. La strinsi forte fra le braccia, accostandola al petto, e il sangue della sua ferita mi macchiò la camicia. Aveva la bocca e il collo sporchi del sangue dell'uomo che aveva ucciso, e delle cui carni si era nutrita. Chinai il viso sul suo e la baciai, incurante del sapore del sangue, piangendo tutte le mie lacrime più amare. La luce dell'alba fece allora capolino tra i rami, illuminando fiocamente quel che restava del nostro amore, e il corpo straziato accanto a noi, unico testimone di quello che era successo. Unico testimone della più amara sconfitta che la vita avesse potuto riservarmi.




ANGOLO AUTRICE:
Niente di che, una storia triste di licantropi e amore.
Finisce male, lo so, quando l'ho scritta dovevo essere particolarmente triste.
Ringrazio Ely79 per le correzioni che hanno contribuito
a rendere più scorrevole questa storia.

Vi lascio recapiti vari per contatti/insulti/complimenti (?)/rotture di scatole:
Pagina Facebook: Codivilla Vicariosessantanove Efp
Gruppo Facebook: La Canonica del Vicario
Ask: Chiedi e (forse) ti sarà detto

Alla prossima e grazie a chiunque passi di qui.

         

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Licantropi / Vai alla pagina dell'autore: Codivilla