Videogiochi > Ace Attorney
Ricorda la storia  |      
Autore: Cheche    08/08/2012    5 recensioni
La storia di Dahlia Hawthorne e delle sue quattro morti. Dall'innocenza alla crudeltà, dalla crudeltà alla redenzione. La sua filosofia e il significato della vita scritti di suo pugno.
E’ la prima volta che lo dico – anzi, che lo scrivo -, ma mi sento questa parola rimbombare nella mia testa da quando i piedi hanno toccato di nuovo la terra ferma per mezzo di una mistica. Però vorrei comunicarlo lo stesso: grazie.
[Dahlia Centric] [Accenni di Dahlia/Phoenix] [Partecipante alla Challenge "Six Prompts for Valentine" indetta da Akemi_Kaires sul forum "Writer's Palace"] [Prima classificata al Contest "Tutti pazzi per le Fey" indetto da gm19961 sul forum "Writer's Palace"]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dahlia Hawthorne
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa: No. Adesso qualcuno qui mi deve spiegare perchè non ho trovato "Dahlia Hawthorne" tra i personaggi selezionabili. Eppure vi assicuro che è l'unico vero personaggio di questa fic, uff. Gli altri sono stati semplicemente citati, Nick compreso. Dunque, non sono mai stata su questo fandom, ma sono stata contenta che questa mia fic sia arrivata prima, dandomi il diritto ad un bannerone esclusivo (NaruMayo) che posterò alla fine insieme al giudizio. Mi sono impegnata molto per scriverla, e spero che voi vogliate impegnarvi altrettanto per leggerla e darmi anche il vostro parere. Mi farebbe un gran piacere. ^^
Questa fanfiction partecipa anche alla Challenge "Six Prompts for Valentine" del forum Writer's Palace. Il prompt è lacrime.
Buona lettura. : D

 


Image and video hosting by TinyPic

Eden

 
 

Sono la rosa più bella di quell’immenso giardino che porta il nome di ‘Terra’. La più rossa, profumata ed invitante. Mi ergo dalla cima del mio cespuglio, nessun altro fiore sopravvive oltre a me. Mi prendo ciò che appartiene agli altri per crescere sempre di più. Con le mie umili radici traggo a me tutto l’agognato nutrimento. Crescono insieme al colore anche le mie acuminate spine. Perché io sono la più bella, ma anche la più letale. Vivo alle spalle degli altri, pensando solo ad accaparrarmi tutto, come se questo mi spettasse di diritto. E i miei aculei grondano del sangue di chi ha tentato di cogliermi. Nessuno sarebbe riuscito a fermare la mia corsa alla supremazia del Paradiso Terrestre. Questo è ciò che ho creduto e questa è stata la filosofia di vita di Dahlia Hawthorne. Nientemeno che Io.
 

All’età di otto anni portavo ancora il nome di Dahlia Fey. Ero piccola e fragile, ma solo all’apparenza. Tra me e mia sorella Iris, la più delicata era lei, non certo io. Invidiavo un po’ quel suo candore, ma non gliel’ho mai confidato.
Lei piangeva copiosamente, singhiozzava, quando Morgan Fey ci abbandonò. Io ero quella forte. Resistetti al trauma anche per Iris, sorridendo controvoglia alla schiena di mia madre, sempre più lontana. Quella donna non mi vide mai con tale espressione in viso: non si voltò neppure per un istante.
Da allora fui in grado di resistere a tutto, e non piansi mai più per davvero. Per lo sforzo che dovette sopportare, il mio cuore si tramutò in pietra. O almeno così mi sembrò.
Fui portata a vivere in città da mio padre, un ricco gioielliere che preferì separarsi da Iris per tenere me. Allora non compresi affatto perché lui avesse una tale predilezione nei miei confronti.
Ad impensierirmi fu la sistemazione mia e di mia sorella. Io, così frugale e capace di sacrifici, avrei trascorso una vita immersa negli agi; Iris invece sarebbe stata destinata ad un tempio remoto sferzato da un clima rigido. Era tanto cagionevole che sarebbe stata sufficiente una brezza autunnale per causarle un’influenza e costringerla al letto. Chiesi di poter andare io al tempio al suo posto, ma mio padre fu irremovibile. Mi stupì molto sapere che Iris non aveva impiegato poi troppo tempo ad adattarsi.
Quella fu l’ultima volta in cui tentai di sacrificarmi per qualcun altro.
Cominciai ben presto a stufarmi di essere Dahlia Fey, ormai sepolta dal corso del tempo. Dahlia Fey era troppo rude, troppo mascolina, troppo in conflitto con l’immagine della perfetta ‘figlia di un gioielliere’. Negli anni che seguirono, nacque la nuova me stessa col nome di Dahlia Hawthorne.
I miei lineamenti s’impreziosivano, il mio sorriso splendeva come un diamante incastonato in un gioiello, i veli che indossavo sul corpo esile confezionavano la mia figura. Sembravo il bijoux più desiderabile che si potesse mai immaginare.
Camminavo come i gatti, senza far rumore. Marciavo con leggerezza sopra alle maldicenze delle coetanee invidiose del mio carisma, mantenendo il capo ben alzato ed un portamento degno di una regina.
I ragazzi che mi incontravano non potevano trattenersi dal posare un delicato bacio sulla mia mano. Sembravano tutti ugualmente piccoli, mentre li osservavo prostrarsi al mio cospetto con la devozione che si riserva ad una loro superiore.
A quattordici anni compiuti, non c’era uomo che non mi desiderasse. Individui di tutti i tipi ruotavano attorno alla mia persona: giovani e anziani, puri di cuore e pervertiti. Nessuno escluso, tutti si comportavano con me allo stesso modo. Nell’atto di dirigermi verso la mia abitazione, sentivo spesso i miei spasimanti impegnati in insulsi diverbi, dato che erano in molti a seguirmi fin dove era loro concesso.
Mi stancai ben presto di quella situazione, iniziai quindi ad uscire con un certo Terry Fawles e gli concessi di affiancarmi sulla strada di casa. Credetti di essere attratta da lui per l’età, oltre che per la sua mole che allontanava gli altri corteggiatori importuni. Era una sorta di guardia del corpo, per me. Protettivo a livelli ossessivi, mi riempiva di regali che si procurava col sudore della sua fronte. Più lui mi viziava, più io mi scoprivo avida. Ogni volta lo ringraziavo sempre con maggiore freddezza; spesso mi ricordavo di farlo solo quando lo sorprendevo ad osservarmi con quei suoi occhi da cucciolo vagamente patetici.
Istupidito com’era dall’amore che nutriva nei miei confronti, non si era neppure accorto quanto talvolta ero infastidita dalla sua presenza. Lo tenevo con me solo per i bei doni con i quali mi omaggiava.
Fino a quando, un pomeriggio, morii per una seconda volta.
Ero sempre rimasta in contatto con mia sorella Iris, e anche lei rientrava in quella che io chiamo ‘la messinscena del Ponte Dusky’. Si svolgeva tutto in una zona adiacente a quella del tempio che costituiva la sua dimora.
Qualcosa andò storto, e io vidi distintamente Iris allontanarsi. Mi sentii tradita da colei di cui più mi fidavo; ignorai ciò che accadeva tra la mia sorellastra Valerie e il mio fidanzato Terry, afferrai il diamante che era stato messo in ballo in quel finto riscatto e mi buttai dal ponte, sparendo tra le rapide del fiume. Ripensandoci adesso, in quel momento avevo sicuramente avvertito l’impulso del suicidio, e avevo quindi portato con me la pietra preziosa per affondare con più facilità.
Io, così fredda, in quel momento avevo sofferto terribilmente. Mi ero sentita sola come non lo ero mai stata. Non avrei mai creduto, allora, di essere capace di provare un sentimento tanto forte da mozzarmi il respiro.
Ma non piansi neanche in quell’occasione. Quando scoprii di essere sopravvissuta, sorrisi. Non credetti al miracolo, ma pensai che l’ormai vecchia Dahlia Hawthorne fosse morta di nuovo per far posto ad un’altra ancora più nuova.
Questa Dahlia sarebbe rimasta anche dopo la morte del mio corpo, fino a quella che avrebbe dovuto essere la distruzione della mia anima. Sfacelo che poi non è davvero avvenuto, altrimenti non sarei qui a scrivere queste righe, dopo essere stata evocata da una mistica di cui non conosco l’identità.
In quel momento, sana e sorridente, fradicia fino alle ossa, distesa su un basamento roccioso bagnato dalle correnti del Fiume Eagle, avevo deciso di far tesoro di quella dolorosa esperienza, di iniziare da lì la mia terza e nuovissima vita.
Decisi di fidarmi solo di me stessa, di vivere alle spalle degli altri, approfittando delle altrui debolezze come fossi stata un parassita.
Avevo trovato un nuovo modo per vivere, iniziando la mia ricerca personale della felicità, pensando esclusivamente al mio benessere, ottenendo sempre con l’inganno ciò che bramavo. Se poi le persone che rimanevano coinvolte nel mio percorso sopravvivevano o perivano non rientrava nei miei interessi. Per me la loro vita era irrilevante: ciò che contava era la mia felicità, e non importava se per raggiungerla avrei dovuto sacrificare degli innocenti. Tutte le persone con una discreta intelligenza avrebbero fatto meglio a seguire il mio modello.
Ero assolutamente convinta che, per coloro che agivano guidati da insopportabile buonsenso e ponevano la morale innanzi a tutto, la ricerca della felicità fosse una battaglia destinata al fallimento e alla resa. Per loro il mondo doveva essere davvero malato, colmo com’è tutt’oggi di piaghe di cui si sente parlare accoratamente da chiunque segua un po’ di attualità. Ma io ridevo di questo: a scatenare ciò erano state sicuramente persone che avevano capito come funziona il complesso meccanismo del benessere personale. Inseguire progetti utopistici era inutile, e solo gli stolti potevano appellarsi agli ideali di amore reciproco e compassione.
Per chi ragionava come me, questo mondo stravolto appariva come un giardino fiorito, pieno di ricchezze che si rivelavano solo agli occhi di chi sapeva come attingere a tali risorse. E questi eletti venivano apostrofati come ‘persone malvage’ e ‘ipocriti’ dai cosiddetti benpensanti – a farsi chiamare così dimostravano tale presunzione, quegli stupidi! Ecco cosa pensavo di loro -.
Non prendevo mai sul serio chi mi considerava una bugiarda, perché ciò che contava era che io fossi sincera con me stessa: sapevo ascoltarmi e comprendere i traguardi che volevo raggiungere. Non mi consideravo neppure malvagia, perché stavo semplicemente mettendo in pratica la mia ricerca filosofica edonistica. Non ero una pensatrice che si limitava a formulare i propri concetti a livello teorico: ero in grado di passare all’azione, anche se sapevo che avrei corso grossi rischi.
Il processo in tribunale in cui Terry Fawles si tolse la vita sembrò confermare le mie teorie. Me la cavai grazie alla mia buona sorte, perché è un bene, dopotutto, che esistano persone tremendamente buone e poco intelligenti come Terry.
Mi venne da ridere alla fine dell’udienza, e dovetti trattenermi per evitare di sghignazzare in modo ben poco raffinato. Come sospettavo, quel tribunale era straripante di gente che non sapeva vivere appieno, tanto era confinata nei suoi stupidi obblighi morali. Persino quella serpe del procuratore Edgeworth sembrava sconvolto. Non parliamo poi di Mia Fey! Com’era brutta col viso contrito dal turbamento, paonazza per il pianto convulso che scuoteva le sue membra! Mi parve la più ridicola tra tutti i presenti, con i suoi lustri occhi castani che saettavano sulla mia figura e gridavano mute accuse. ‘Bugiarda’, sembrava urlarmi. ‘Vipera’. Sicuramente era destinata ad una vita piena di sofferenze; sarebbe morta giovane senza alcun dubbio.
E così è stato, anche se non potevo certo immaginare che mi avrebbe trascinata con sé nella tomba.
E poi c’è stato quell’altro processo otto mesi dopo, quello in cui fu segnata la mia condanna. In quella situazione incontrai per la seconda volta una persona che mutò inesorabilmente la mia vita e la mia morte.
Phoenix Wright per me era solo uno dei tanti spasimanti che mi ronzavano attorno. Era anzi ancor più stupido, diceva cose melense senza un minimo di imbarazzo, indossava i ridicoli capi che gli cuciva mia sorella Iris, tutto convinto che fossi stata io a fargliene dono. Se avessi saputo come un tale bamboccione confinato nel suo mondo dei sogni e convinto di essere un principe azzurro – o forse rosa, considerando il colore dell’orrenda maglia confezionata da Iris che lui esibiva con tanto orgoglio – avrebbe condizionato il resto della mia esistenza, non avrei mai affidato a lui quel ciondolo con la boccetta. Avrei evitato in tal modo di vincolare indissolubilmente la mia vita alla sua.
Come già ho accennato, lasciai ad Iris il compito di uscire con lui. Probabilmente il desiderio di mia sorella di aiutarmi risiedeva nel senso di colpa che provava nei miei confronti da quel giorno in cui lei fuggì ed io mi buttai nel fiume, segnando la fine della mia vecchia vita. Il rimorso è qualcosa di assolutamente deleterio. Io non provavo nulla verso coloro che per causa mia avevano incontrato la morte, e riuscivo a vivere serena senza rimpianti. Non perché fossi malvagia, ribadisco: mi imponevo semplicemente di ragionare solo su me stessa, di osservare il mio riflesso nello specchio per sentire il cuore gonfiarmisi di orgoglio, scacciando la malinconia col suo battito.
Come tutti già sapranno, in quel processo Mia Fey riuscì a stabilire la mia condanna a morte. Ero furente; non mi sentivo spaventata, ma ero assolutamente fuori di me. Le augurai ogni genere di sventura: forse è stato grazie alle mie maledizioni che lei è stata assassinata solo tre anni dopo. Quando ricevetti la notizia, sentii l’impulso irrefrenabile di urlare, anche se il giorno in cui l’avrei raggiunta nell’aldilà si faceva sempre più vicino.
Passai nel carcere anni tranquilli, paradossalmente. Avevo incontrato di nuovo mia madre, e mi sorprendeva che lei volesse arrivare a tanto per la sua stupida figlia Pearl, che era tanto ingenua e di buon cuore da non approfittare delle macchinazioni della sua genitrice. Quella bambina era stata dotata dalla natura di grandi poteri spirituali e tante sciocchezze delle quali quella donna parlava con tanta commozione, ma a quanto pareva la provvidenza divina non le aveva generosamente concesso un cervello ben funzionante. Avrebbe potuto trarre vantaggio dai piani di Morgan ed essere felice pensando al suo personale benessere.
Prima di morire, comunque, non pensai a Phoenix Wright neppure per una volta. Solo nell’estremo momento, quello in cui ogni essere umano ripercorre in un istante la propria vita, mi apparve nitida l’immagine di me che consegnavo nella sua mano aperta e fremente di emozione il ciondolo colmo di subdolo veleno. Poi nel mio cervello tutto si bloccò, mentre la fune si stringeva attorno alla mia tenera gola e sentivo come ultima cosa un filo di saliva scorrermi sul mento e le gambe protendersi nel vuoto, agitandosi un’ultima volta nel vano tentativo di toccare il suolo. La mia anima scivolò fuori dalla salma impiccata, senza staccare lo sguardo da quel bel corpo che un tempo era stato la mia dimora.

E la bella rosa impallidì, i petali tanto profumati cominciarono ad emanare un odore acre. Si arricciarono, piangendo per aver perso quella forza attrattiva che li contraddistinguevano. Anche il sangue che impregnava le spine si era ormai seccato, e il suo tanfo si spandeva nell’aria.

Avevo solo perso il mio corpo, ma ora tutto quello che avrei dovuto fare era prendere possesso del fisico di un’altra mistica. Morgan mi aveva assicurato che avrei potuto agire sotto le spoglie di Pearl, ma le cose andarono diversamente, e io mi ritrovai ad invadere Maya Fey, la vittima designata dal piano di colei che non ho neanche adesso il coraggio di chiamare ‘madre’.
Sciolsi la ridicola pettinatura della ragazza che ospitava la mia anima, ignara di trovarmi nelle vesti della futura maestra di Kurain. Indossai un abito di mia sorella ed intrecciai le mie ciocche come io stessa usavo fare, tutto al fine di poter essere confusa per lei. Il mio piano sarebbe stato perfetto, se solo non mi fossi trovata nel corpo di quella sciocca ragazzina.
Tutto prese una deviazione inaspettata. Avevo compiuto molti errori in quel delitto, ed essi aspettavano soltanto di essere smascherati da un avvocato difensore. Tutto mi sarei aspettata, però, tranne che il legale in questione fosse Phoenix Wright.
Il Phoenix Wright che avevo conosciuto tempo prima era un totale incapace, e trovavo quasi perturbante vederlo atteggiarsi con aria professionale dietro al suo banco. Riuscii tuttavia a controllare lo stupore, mostrandomi fredda e ricordando quanto ristretto fosse il suo intelletto.
Mi piacque giocare con i suoi sentimenti come già avevo fatto tempo addietro. La sfida che lui mi aveva lanciato era intrigante e impregnata di un’insospettabile eleganza, che mai gli avevo attribuito prima di allora. Riuscii anche a farlo disperare con la storia del suicidio di Maya Fey. In quel momento mi parve di rivederlo con la sua ingenuità e con la ridicola disperazione che mi aveva già mostrato cinque anni prima. Sentii un effimero sollievo, come se un atroce sospetto fosse stato sul punto di trovare la via di uscita dalla mia mente.
Le obiezioni che Phoenix e il procuratore Godot si rivolgevano fra loro suonavano quasi musicali, talvolta sicure, talvolta traballanti. Ero ammaliata dalle loro voci che si sovrapponevano, quasi riuscivano a distrarmi dal mio obiettivo.
Mi accorsi che Phoenix Wright era un uomo diverso rispetto a quel ragazzotto testardo e semplice che rimembravo con tanto fastidio. Dimostrava un ineccepibile acume che mai avevo immaginato possedesse. Era riuscito a meravigliarmi come nessun uomo aveva mai fatto prima di allora.
In men che non si dica aveva stretto la speranza tra le dita, quindi mi aveva indicata con veemenza, puntandomi addosso i suoi ardenti occhi che quel giorno mi avevano tanto distratta e scombussolata.
Era la mia fine. Lui era la mia fine, ma anche l’inizio di qualcos’altro. L’origine della mia nascosta umanità, della mia debolezza, del sentimento più puro e devastante che avessi mai provato.
Come il suo dito si protese verso di me, il mio intestino si contorse, il mio stomaco fece una capriola, il mio cuore perse un battito e il respiro si fermò nella mia gola.
Tutum. Era impossibile. Il cuore di quella mistica stava battendo. Tutum. Un rimasuglio della sua coscienza si era celato nel suo corpo, sfuggendo alla mia invasione. Non poteva essere altrimenti. Tutum. Era Maya Fey ad essere innamorata, era lei a sudare, erano le sue mani a tremare! Non io! Non potevo essere io! TUTUM. E le proteste della mia mente furono ridotte al silenzio. Il cuore aveva sottolineato la contraddizione di ciò che mi stavo ripetendo in quei fatali secondi.
“Spirito di Dahlia Hawthorne, rivelati!”
No, non mi uccidere! Adesso ho capito, ora ho compreso tutto!
Ricordo ancora adesso la mia anima a carponi, che lasciava emergere tutto quel dolore che aveva trattenuto nel corso della sua intera esistenza. Gridava terrorizzata, ferita da un amore sbocciato all’improvviso e da tutti quei sentimenti che erano traboccati dai vetri spezzati che avevano rappresentato fino a poco prima i freni che mi ero imposta nella mia fallimentare vita. Tutta la mia purezza, il mio pianto, ciò che io stessa mi ero negata, stavano per svanire in un vortice di fiamme.
Questa volta non potrò rinascere! Giuro che ho capito! D’ora in avanti seguirò il mio cuore, ti starò sempre accanto, ma tu lasciami qui!
La mia anima aveva il viso bagnato di lacrime e muco. Ciò che aveva trattenuto era davvero troppo, e me ne accorsi solo allora.
La colpa era tutta di Phoenix Wright. E anche il merito, probabilmente.
Fatto sta che le mie urla dovevano aver mosso qualche dio clemente, grazie al quale io mi ritrovo ancora qui per un puro miracolo. Non mi sono più sporcata le mani da quando ho solcato di nuovo la terra, e non ho alcuna intenzione di farlo.
Voglio solo lasciare un messaggio, quello che ora sto scrivendo, perché Phoenix Wright sappia quanto lo odio e quanto lo amo. Voglio anche comunicare a tutti coloro che leggeranno che io esisto ancora, e che sono rinata un’ultima, definitiva volta. Non vi fiderete di me, comprendo bene lo stato delle cose. Ma veglierò comunque su di voi, osservandovi.
Anche se non posso abbracciare Phoenix, e lui non potrà mai sorridermi né lo vorrà, cercherò di essere felice, e di piangere ogni qualvolta io ne senta il bisogno.
E’ la prima volta che lo dico – anzi, che lo scrivo -, ma mi sento questa parola rimbombare nella mia testa da quando i piedi hanno toccato di nuovo la terra ferma per mezzo di una mistica. Però vorrei comunicarlo lo stesso: grazie.

La rosa, ormai rovinata, fu estirpata da un giovane avvocato che passava di lì. La pioggia aveva lavato via il sangue rappreso sulle spine, che apparivano ora più consumate e innocue. Era pronta per lasciare l’Eden ed approdare nel mondo dei vivi. Una terra scura, eppure splendida nella sua durezza.
Il povero fiore, ora più puro, riposerà per sempre nella calda mano di Phoenix Wright, l’unico essere umano in grado di coglierlo.






Giudizio

 ~A k i no YUUTSU;
Magatama verde: Dahlia Hawthorne
Senitmento: Amore

IC: 5/5
Gradimento personale: 5/5
Storia in generale: 10/10
Originalità: 5/5
Attinenza al sentimento scelto: 9/10
Punto extra se è sentimento dell’amore: 1/1
Estetica Fic: 2/3
Totale 37/39

Se devo essere completamente sincera me lo aspettavo. Mi aspettavo che tu fossi in grado di scrivere bene, ma non così bene. Io non ho parole. Il primo posto è assolutamente meritato, Aki.
E il tuo personaggio e prompt erano davvero difficili, soprattutto perché legare Dahlia Hawthorne al sentimento Amore deve averti fatta dannare. Ma il mio giudizio finale può essere espresso solo nella parola “complimenti”.
Complimenti, davvero. Non ho notato errori di grammatica o altro, e l'IC di Dahlia è assolutamente perfetto. Hai scritto in modo dolce, raffinato, ma nelle tue parole (o in quelle, in questo caso, di Dahlia) si nota un sottile velo di crudeltà. Come lei era, dopotutto: bella e dolce fuori, ma maligna dentro.
Non sono riuscita a darti il massimo per il sentimento perché parli di Phoenix alla fine, ma rivedendo per bene tutto il suo percorso, hai ottenuto quasi il massimo dei punti e non potevo sperare di meglio. Odio Dahlia Hawthorne, ma è un male se ti dicessi che me l'hai fatta amare in queste cinque pagine di word?
Bravissima.
Devo ammettere che ero combattuta su chi potesse raggiungere il primo posto tra la fic di Pao e la tua, ma alla fine ho seguito razionalmente la mia testa, anche se il mio cuore dice che meritavate il primo posto tutte e due.
Comunque, complimenti ancora, Aki!
Non ho altro aggiungere: semplice, bella, raffinata, originale quanto letale nelle parole.
Come la protagonista, del resto.



Un grazie sentito alla cara Ricciolo, che si è rivelata davvero una giudice formidabile e rapidissima! E complimenti a tutti gli altri partecipanti! <3
wt9fz8





 

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ace Attorney / Vai alla pagina dell'autore: Cheche