Arrossì. Davanti si trovò una bambina, probabilmente sua coetanea, dai grandi occhi azzurri contornati da lunghe ciglia e dei graziosi capelli rosa piuttosto corti, ma non abbastanza da impedirgli di legarli in due codini laterali. Certo, a giudicare dall’abbigliamento doveva essere un maschiaccio, ma era davvero carina… «Sei o non sei un maschio? Piangere è prerogativa delle femmine!» gli disse, sorridente. L’altro afferrò la sua mano per tirarsi su e si asciugò gli occhi con il dorso della mano, scuotendo la testa.
«No. Secondo me se devi piangere, devi farlo a prescindere dal sesso» brontolò. E che, poteva farlo solo lei forse?
«Se lo dici tu…» fece spallucce, per poi avvicinarsi inclinando la testa. «Posso chiedere perché piangevi?»
«Perché sono caduto. E perché…» le lacrime tornarono ad inumidirgli gli occhi. «Perché… prima ho sbagliato a suonare il piano e mamma si è arrabbiata, e…» fu bloccato dall’agitare le mani della bambina.
«Ok, ok, non ricominciare, ti prego!» si guardò intorno, cercando qualcosa che potesse tirarlo su di morale, ma lì c’era ben poco… in un istante, però, s’illuminò, afferrandogli la mano ed iniziando a correre, trascinandolo. «Qui vicino c’è un parchetto! Vieni!» incitò, portando il bambino in quello che aveva tutta l’aria di essere il giardino vicino casa sua. Takuto si guardò intorno e, infatti, poco più in lontananza notò il tetto della sua sontuosa abitazione. «Che ne dici, è un bel posto, vero? Ci sei mai venuto?» domandò la ragazzina, ma vedendo che l’altro non aveva intenzione di rispondere se non con un leggero scuotimento del capo, riprese a parlare al suo posto. «Come mai? Abiti lontano?» gli chiese curiosa, guidandolo fino alle altalene dove si accomodò, iniziando a dondolare. Shindo scosse il capo una seconda volta, voltandosi ed indicando la casa che aveva individuato in precedenza. Per poco la ragazzina non cadde dalla giostra.
«Quella casa stratosferica è tua?! Ma allora sei ricco!» spalancò occhi e bocca, mentre l’altro annuiva.
«Però mamma non vuole che frequenti gente tanto più povera, quindi non posso mai venire a giocare qui…» spiegò, abbassando la testa rattristato. La rialzò e si aggrappò alla catena che sorreggeva l’altalena libera accanto alla piccola, imbarazzato. «Tu… Ecco, tu ci vieni spesso, qui?» trovò il coraggio di chiedere.
«Tutti i giorni dopo scuola» dichiarò e l’altro ne sorrise, mentre gli occhi gli si illuminavano. Forse, tornando a piedi tutti i giorni dalle lezioni di piano poteva rivederla… Sempre che per lei non fosse un disturbo, ovvio. Strinse un po’ di più la catena tra le mani e tirò su con il naso, guardando i suoi piedi con i quali calciava l’aria in attesa di riuscire a parlare.
«Posso giocare con te?» domandò solamente. Le possibili risposte erano “sì” o “no” – o al limite un “forse” o un “dipende” – ma la bambina non disse nessuno dei due, limitandosi a ridere. Shindo sobbalzò, lasciando la serie di anelli ed allontanandosi di un paio di passi, con il labbro tremante. Perché rideva? Aveva detto qualcosa di strano o sbagliato?
«Ma certo che puoi! Altrimenti che senso avrebbe avuto portarti qui?» ridacchiò ancora la bimbetta, che si voltò a guardarlo e boccheggiò un istante. Aveva di nuovo gli occhi lucidi..! Saltò giù dall’altalena e si affrettò verso di lui, prendendogli le mani e avvicinando il volto al suo, preoccupato. «S-scusa, non volevo farti ripiangere!» disse, ma sentendo che l’altro sosteneva di non stare piangendo, si raddrizzò e gli puntò l’indice di fronte al viso. «Uffa! Facciamo così! Da oggi io e te saremo grandi amici, e i grandi amici si aiutano sempre! Quindi, ogni volta che starai per piangere…» gli asciugò velocemente gli occhi, alla buona «…io ti farò tornare il sorriso! Ti farò ridere, ok?» dichiarò, piazzandogli i due indici agli angoli della bocca e sollevandoli, in modo da far apparire una smorfia gioiosa.
Che vergogna, piangere davanti ad una bambina… Non poté far altro che acconsentire, mentre stringeva la mano che quella gli aveva porto subito dopo la sua esclamazione, in perfetto stile “l’affare è concluso”. «Comunque, io sono Shindo…» disse, una volta ritrovato il sorriso.
«E io Kirino!» ricambiò il sorriso la bambina. “Kirino”. Che cognome grazioso! Era proprio adatto ad una ragazzina come lei, davvero! Lei fece per dire altro, ma Shindo sobbalzò, facendola spaventare per lo scatto improvviso.
«Accidenti! Dovevo tornare subito a casa, mamma si arrabbierà!» esclamò, preoccupato, voltandosi verso la propria abitazione. Si rigirò a guardare la nuova amica, grattandosi la testa. «Vedrò di venire qui ogni giorno, ma… scusami, adesso devo scappare…» borbottò, mentre l’altra faceva spallucce.
«Non c’è problema. Ti accompagno, dai» gli sorrise, incamminandosi con lui. Non che Shindo ne sapesse tanto, ma gli faceva un po’ strano il fatto che fosse una ragazza ad accompagnare a casa un ragazzo. D’accordo che in effetti non erano “ragazzi” ma “bambini”, però… non era il maschio che doveva fare il “galante” di fronte alla femmina? Arrossì leggermente di quel pensiero, ma si riscosse quando sentì la sua voce salutarlo. «Arrivati! Mio Dio, casa tua è ancor più grande di come sembra dal parco…» ammirò. Poi, sorridente, diede un buffetto sulla spalla del ragazzino e fece un saltello all’indietro, salutando con la mano. «Insomma ci rivediamo domani, eh!» si raccomandò, iniziando ad allontanarsi. Shindo annuì, ricambiando il gesto con un sorriso. Era davvero contento di essersi fatto una nuova amica, per di più così carina! Vedendo che ormai era piuttosto distante fece per aprire il gande cancello che dava sul suo giardino, ma si sentì richiamare. «Ah! Aspetta!» Kirino si era fermata qualche metro più in là, guardandolo. Si portò una mano “a coppa” vicino la bocca e con l’altra cercò di attirare l’attenzione del bambino. «Shindo è il tuo cognome, ma come ti chiami?» urlò. L’altro si voltò per bene verso di lei e portò entrambe le mani alla bocca.
«Mi chiamo Takuto!» rispose. «E tu?»
«Io Ranmaru! Ci vediamo domani, Takuto!» replicò anche la persona dai capelli rosa, salutando nuovamente con un ampio gesto della mano e correndo via, fino a sparire. Shindo era rimasto a bocca aperta, impallidito, con le mani ancora a coppa rimaste a mezzaria. Sbatté le palpebre diverse volte, perplesso e piuttosto... deluso.
Aspetta, si disse, Ranmaru è un nome da maschio.
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Ecco qui l'ennesima boiat- fiction. 'llora. Ne avrei molte altre da postare, ma ho finito questa adesso, quindi... eccola. Sia chiaro, è una fic stupida. E venuta fuori... non lo so, così.
...e niente, volevo scrivere, siccome Kirino è una donna, di Shindo che lo pensa come tale. Semplicemente x° Uno sfizio. Ecco, io scrivo per sfizio. Vabbè, non voglio annoiare oltre nessun eventuale lettore, quindi... Spero la lettura vi sia piaciuta!