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Autore: BigEyes    13/08/2012    2 recensioni
(SECONDO CAPITOLO DELLA SERIE: IN THE NAME OF JESUS)
La ragazza si voltò di scatto asciugandosi in fretta la lacrima col dorso della mano. Sentì rumore di passi.
- Lucia sei tu? – domandò, guardando l’interno del soggiorno al buio – Heliu non fare questi scherzi..- continuò, attraversata dall’adrenalina. Deglutì mentre si voltava verso il mare.
Ma di fronte si trovò un ragazzo, appoggiato al balcone con la schiena, con braccia e gambe incrociate
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In The Name of Jesus.'
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Heliu gridò il suo nome e corse verso il vuoto, senza pensarci due volte. Doveva salvarla. A tutti i costi.
Nuotò vero di lei, ma la vide sprofondare.
Il ragazzo andò sott’acqua e, nonostante  avesse la vista annebbiata, identificò la sua figura. Quando riuscì a portarla in superficie, un’onda li spinse sulla spiaggia lontana, come se una mano li avesse aiutati a tornare a riva.
Lucia si svegliò in braccio ad Heliu, che la guardava con occhi lucidi, mentre usciva dall’acqua, respirando affannosamente.
-Sono in paradiso? – sussurrò lei, prima di chiudere gli occhi e poggiare il viso sul petto del giovane. Lui  strinse a sé  il suo corpo esile. La guardò intensamente e poi le diede un bacio sulla fronte, mentre una lacrima gli scorreva sul viso: aveva avuto paura di perderla, di perdere il suo cuore insieme a lei.
Il sole picchiava e la sabbia bruciava sotto i piedi. Sdraiò la ragazza sulla rena facendo leva sulle ginocchia. Drizzò la schiena mettendo le mani ai fianchi, inspirando ed espirando lentamente.
Dopo aver riflettuto attentamente, constatò  che sarebbe stato opportuno toglierle i vestiti bagnati e lasciarli asciugare al sole, ma al solo pensiero di doverla spogliare, senza il suo volere, sentì un brivido che gli fece rizzare i peli lungo le braccia.

Si sedette accanto a lei, in quella spiaggia deserta e sconosciuta, osservando il suo respiro affannoso, rotto, ogni tanto, da qualche colpo di tosse.  Lui la scrutava, accarezzava con lo sguardo ogni sua parte del corpo. Si sdraiò accanto a lei, da un fianco, tenendosi la testa con una  mano e con l’altra le sfiorò il labro rosa. Avvicinò il viso, accarezzandole la guancia. La baciò, mentre la ragazza continuava a dormire.
 – Non  saprai mai – sussurrò – quello che realmente provo per te - giurò a se stesso il ragazzo, convinto di poter tenere per sé un segreto così grande.

Buttò la schiena sulla polvere dorata e, con le braccia sotto la nuca, osservò il volo dei gabbiani, ripensando alla tempesta improvvisa. “dito di Dio” rifletteva “ chiamano dito di Dio un tornado, l’opera di un demone” inspirò “ che bestemmia”.

 Poi si alzò, andò verso la riva, facendosi bagnare i piedi dalle onde. Smuoveva il brecciolino e con le mani in tasca, alzò il volto al cielo nuvoloso. Tra le nubi bianche, una figura, con una lunga veste nera mossa dal vento, lo osservava, immobile. Heliu accigliò lo sguardo, socchiuse gli occhi, per mettere a fuoco. Li sgranò e vide, sulla testa dell’essere, uno scintillio. Tuttavia, mentre il ragazzo lo stava studiando, quel personaggio scomparve, dissolvendosi come cenere.  

Lucia si svegliò battendo le palpebre, abbagliata dalla luce del sole. Si mise seduta, toccandosi il labbro, spalancando gli occhi, incredula. Fece scivolare la mano sulla guancia, mentre la colse un colpo allo stomaco, quando le balenò il pensiero che quello che la sua mente aveva immaginato, forse era la realtà: – non può essere – bisbigliò poi, sorridendo a testa bassa.


Ariel aprì gli occhi lentamente e ritrovatasi davanti alla schiena nuda di Acab, si sorprese . Girò leggermente il capo e si vide coperta da una camicia lucida nera. Cercò di rialzarsi, ma i muscoli erano come atrofizzati. Rimase in quella posizione, sul  fianco, a fissare le spalle del ragazzo.
Quando lui si girò, lei sussultò. I suoi occhi blu la sovrastavano. Inspirò, trattenendo il fiato qualche secondo, quando vide che l’adepto si mise seduto guardandola, con un sorriso. Passò la mano tra i capelli neri, abbassò lo sguardo al suolo, poggiando la testa sulle braccia, pensando:
” Come faccio a curarla?”si domandava” se la lascio qui, da sola, qualcuno potrebbe abusarne. Ma questa parte del regno appartiene a me, basterà dire che lei è mia prigioniera e che nessuno deve osare torcerle un capello”
 Così si alzò, mettendo in mostra gli addominali. La ragazza si sentì accaldata e cercò di coprirsi il volto arrossato con la camicia. Inspirò profondamente e sentì una fragranza di mandorla e sandalo: un profumo dolce per un adepto che vive tutti i giorni a contatto con la violenza.

-    E’ inutile che ti copri. – ghignò lui – si vede da un chilometro che sei imbarazzata. – e mettendosi le mani ai fianchi,  la guardò scoprirsi gli occhi grandi– Devo curarti. – disse, massaggiandosi la fronte, con i polpastrelli  -Per prima cosa – inspirò –Devono sapere che sei sotto il mio volere. Torno subito – disse poi avvicinandosi alla porta guardingo, dopo averle fatto l’occhiolino.
 La ragazza non riusciva a rigirarsi completamente, ma in lontananza sentiva le urla di un ragazzo e lo schioccare di una frusta: un'altra povera vittima di quel mondo.

Il ragazzo era Joshua. Tenuto con le braccia aperte, con la schiena rivolta a Lilith: una schiena sanguinante, per le troppe frustate ricevute.
 Frustata.
-   così vorresti uscire dal team? – domandò Lilith, con in mano la frusta sudicia. Joshua urlò, senza rispondere. Le sue ginocchia si flessero, ma venne  rialzato da due adepti.
Frustata.
 – Ancora non rispondi?– rise – sai, caro Joshua, mi ricordo una scena simile, una scena vissuta circa duemila anni fa – si fermò, avvicinandosi al ragazzo, incrociando le braccia al petto. – il tuo signore era di spalle,- si chinò verso il suo orecchio- io ero tra quelli che gridavano di crocifiggerlo – gli sussurrò. Lui spalancò gli  occhi, facendo scivolare una lacrima.
– E questa?! – urlò lei, prendendolo dal mento, fissando la lacrima che scendeva fino alle labbra tremanti. Il ragazzo iniziò a singhiozzare e a chiedere perdono. – sei  patetico! – esclamò, mollando il volto pallido di Joshua. Si girò, poi, verso i due adepti: - lasciamolo – disse – per adesso –   e facendo un ghigno,voltò le spalle ed uscì dalla cella.
-    Fratellino! – esclamò, con un sorriso a trentadue denti, vedendo arrivare Acab. – vedo che ti sei divertito – soggiunse poi, sorridendo maliziosamente, squadrandolo dalla testa ai piedi, a braccia conserte. – si abbastanza – disse lui, stirando le braccia al soffitto.
 Doveva ingannare Lilith, facendole credere che la ragazza aveva finito di soffrire per suo puro piacere.
–  chi  abbiamo qui?- domandò, indicando col pollice Joshua.
-    È Joshua, uno dei nostri benefattori..- sbuffò.
-    E come mai è ridotto così?- domandò Acab, facendo una smorfia di ribrezzo, vedendolo in ginocchio, sanguinante, col viso rivolto al cielo, con occhi supplichevoli.
-    Non so perché, ma sta iniziando ad avere un cuore di carne. Si è stancato, dice, di operare nell’occulto per il male del prossimo. Non vuole più controllare le menti.
-    Capisco…- inspirò Acab – continuo il mio giro di perlustrazione allora, ci si vede. – la liquidò il ragazzo, dirigendosi verso la caverna degli stregoni.
Joshua lo seguì con lo sguardo, mentre Lilith se ne andava con i suoi due sottoposti. “ Cosa le avrà fatto?” pensò il ragazzo, vedendo Acab con i pettorali al vento.

Ariel dopo una preghiera, tentò di rialzarsi e, a stento, arrivò alla porta a gattoni. Quando vide le scarpe lucide, i jeans neri, gli addominali scolpiti, i pettorali ed infine gli occhi blu profondo del giovane Acab, la ragazza si mise in ginocchio e, con occhi lucidi, indietreggiò, aiutandosi con una mano.
-    Non ti fidi di me? – domandò Acab, mettendosi in ginocchio, a pochi  centimetri dal suo viso. Ariel si allontanò, sgranando gli occhi e negando col capo.
-     – No? Allora non ti fidi nemmeno delle cure che potrei darti.- disse lui, dondolandole davanti agli occhi delle boccette.  
-    C ..chi era – balbettò Ariel – il ragazzo che urlava?
 Acab inspirò ed espirò profondamente, poi si mise a sedere accanto a lei, poggiando la schiena al vetro della cella – un certo Joshua – disse mentre giocherellava con le boccette trasparenti. Il ragazzo si voltò verso di lei e vide che singhiozzava, con gli occhi sbarrati, persi nel vuoto. Acab sentì un nodo alla gola, deglutì: non voleva vederla così.
Quella ragazza lo stava cambiando, di ora in ora. Non andava bene. Non andava affatto bene.

Si alzò di scatto, mentre Ariel piangeva, stringendo i pugni, gridando il nome di Gesù.
“Quel nome” pensò Acab “ non dire quel nome” digrignando i denti “ potrei farti del male” stringendo la testa tra le mani. – non dire quel nome –sussurrò, cadendo in ginocchio.

La ragazza lo vide e decise di continuare. “ devo liberarlo” diceva dentro di sé. Si mise in piedi, inondata da un calore familiare: riuscì a camminare, ad avvicinarsi a pochi passi da lui.
Acab si piegava, stringendo le braccia allo stomaco.
– Gesù ti libera se vuoi. Puoi uscire da questa prigione – disse Ariel, con il viso ancora bagnato dalle lacrime, poggiando una mano sul suo braccio. Il giovane urlò, spostando di scatto la spalla – brucia!- esclamò – la tua mano brucia.
Ariel sobbalzò e fece un passo indietro, guardandosi la mano.
-    Come fa la tua mano a bruciare? Qui non esiste il calore. – La squadrò e vedendola in piedi, continuò, respirando affannosamente – che rimedio hai usato?
-    La preghiera.
-    A chi hai pregato? – spalancando gli occhi per lo stupore – esistono pochi spiriti guaritori qui, tu come fai a conoscere i loro nomi? –domandò lui, poggiandosi al muro con una mano.
-    Ne conosco solo uno, quello vero – rispose lei, con lo sguardo torvo. – e il suo nome è Gesù Cristo.
Acab accecato dal suo demone, infuriato nel sentire un ennesima volta quel nome, che gli faceva scoppiare la testa, in un frazione di secondo,la prese per il collo e la alzò.
La ragazza tentò di aprirgli la mano per liberarsi,ma i suoi occhi erano diventati rossi e la voce gli mutò – non nominarlo più! – disse perentoriamente il demone.
-    Acab puoi essere libero se lo vuoi! – urlò la ragazza. – nel nome di Gesù sei libero! – gli ordinò.
Acab mollò la presa, Ariel cadde a terra.  Lui urlava e sbatteva le spalle contro le pareti, tenendosi la testa.
-    Ogni ginocchio si piegherà e ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore – sussurrò lei, ad occhi chiusi .
Il ragazzo cadde in ginocchio, balbettando, con gli occhi serrati – G..Gesù è..è …il Signo..-battendo i pugni in terra – Signore.
E, come liberato da un peso, il ragazzo cadde col viso al suolo spirando.

Il volto di Acab era rivolto verso di lei. Sembrava che non respirasse più. Ariel, gli si avvicinò a carponi e gli spostò un ciuffo di capelli. Il suo viso appariva rilassato. Lo osservò. – sei così bello – sussurrò poi – perché devi rovinarti l’anima?
Quando vide che la schiena nuda del giovane si inarcava, si sposò, stringendosi verso la parete opposta. Acab drizzò la schiena, si guardò le mani, sentiva di essere stato sgravato da qualcosa. Alzò il volto verso Ariel. La curva del suo sorriso le fece vibrare il cuore.
Si avvicinò lentamente alla ragazza, zoppicante. Si appoggiò alla sua spalla, e l’abbracciò stringendo i suoi fianchi a quelli di lei. Ariel rimase immobile, mentre le sue braccia muscolose l’avvolgevano e lui le bisbigliava all’orecchio- fammi sentire di nuovo quel calore.
  
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