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Autore: Ato    18/08/2012    4 recensioni
Non provare a nominare Itachi. [...]Avevano parlato di kunai avvelenati, di lame se possibili ancora più taglienti. Ne avevano parlato, naturalmente. Ma a volte sembrava che tutte le scuse che si erano scambiati con sguardi sfuggenti non fossero sufficienti. Allora non riuscivano nemmeno a litigare perché quando accadeva entrambi ricordavano di essere già arrivati in passato al punto per cui ogni scusa sembrava poco, e una cosa del genere non avrebbe mai dovuto ripetersi.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Una cosetta abbastanza inconcludente che ho scritto un po’ di tempo fa.

Mi è venuto in mente un seguito e doveva essere una oneshot ma me la sono presa comoda e la situazione si è fatta più lunga. In ogni caso lo pubblicherò solo se il risultato mi sembrerà convincente.

Per ora c’è questo ammasso di parole – non togliamo dignità alla parola oneshot includendo questa cosa nella categoria, insomma XD

Due citazioni dal manga: Sasuke che dice a Sakura che non perdonerebbe nemmeno a lei una cosa del genere e Sasuke che a Danzou dice di non nominare Itachi.

Il tutto è ambientato poco dopo la fine della guerra, quindi le relazioni sono ancora un pochino complicate ^^”

Buona lettura J

 

 

Imperdonabile

 

 

 

Il consiglio aveva deliberato. Naruto le aveva appena consegnato un rotolo con la copia delle disposizioni su cui avevano preso accordo. Lui era rimasto a sbrigare altre questioni per conto del villaggio, lei aveva corso tanto da avere il respiro mozzato lungo i viali infiniti del quartiere Uchiha, per rendersi conto solo alla fine che bussare alla sua porta sarebbe stato un modo ancora più doloroso di perdere il fiato.

Sasuke le aprì senza particolare trasporto e non si curò di cambiare espressione quando la riconobbe, col viso acceso di gioia e gli occhi colmi di commozione.

«Sasuke-kun!» trillò Sakura, «leggi qui».

Gli porse il rotolo e si portò le mani dietro alla schiena, per evitare di saltargli al collo prima ancora che avesse letto. Studiò attentamente il suo viso, per carpire il momento in cui una scintilla di soddisfazione avrebbe colto anche lui.

Attese, ma Sasuke restò impassibile. «Sasuke-kun…» provò, a bassa voce. «Hai letto? Itachi sarà riconosciuto…»

«Non provare a nominare Itachi» sibilò lui, a denti stretti.

«Ma…»

«Non farmelo ripetere, Sakura».

«Non essere assurdo» replicò, allungando una mano verso quella di lui, nonostante fosse abbastanza certa che Sasuke gliel’avrebbe scostata sgarbatamente. Sakura sospirò, per contenere l’agitazione. «Hai letto cosa c’è scritto sul rotolo? Itachi sarà…»

«Ti ho detto che non devi nemmeno nominarlo. Sakura, non perdonerei nemmeno te se facessi una cosa del genere».

Sakura spalancò gli occhi, lo sguardo trafitto da quelle parole. Tentò di avvicinarsi a lui, ma Sasuke fu più veloce. Le posò maldestramente una mano alla base del collo, imponendosi con la forza per farla indietreggiare. Con lo sguardo indugiò appena sulle proprie dita strette attorno alla pelle di Sakura.

Forse per un momento ebbero lo stesso, tragico ricordo negli occhi. Ma durò solo il tempo di battere le ciglia perplessi e avvinti. L’istante dopo Sasuke le aveva già sbattuto la porta in faccia.

 

 

Due giorni dopo.

 

Sakura pensava che se proprio avesse dovuto perdere di nuovo il fiato, allora desiderava farselo togliere dalle dita di Sasuke strette attorno al collo. Non sarebbero state violente, ma forti e poi tremanti, perché c’erano dei ricordi che a entrambi toglievano tutta la frenesia e la violenza dei litigi quotidiani ogni volta che arrivavano – solidissimi – a far presente che era inutile continuare a litigare su sciocchezze, che era inutile pretendere scuse per quelle stesse sciocchezze quando entrambi sentivano che prima di tutto, le scuse, dovevano porgerle.

Ne avevano già parlato, naturalmente. Avevano parlato di kunai avvelenati, di lame se possibili ancora più taglienti. Ne avevano parlato, naturalmente. Ma a volte sembrava che tutte le scuse che si erano scambiati con sguardi sfuggenti non fossero sufficienti. Allora non riuscivano nemmeno a litigare perché quando accadeva entrambi ricordavano di essere già arrivati in passato al punto per cui ogni scusa sembrava poco, e una cosa del genere non avrebbe mai dovuto ripetersi.

«Non sono arrabbiata, Sasuke-kun» lo salutò Sakura, quando lui le aprì di nuovo la porta senza nessun particolare trasporto.

Sasuke si strinse nelle spalle, come se la questione non lo riguardasse.

Lei si sentì ferita dall’ostentazione di tanta indifferenza – sapeva che lui non era del tutto indifferente, ma sapeva anche che il modo in cui fingeva di esserlo era un modo per dirle che voleva ancora tenerla fuori dalla sua vita, per quanto possibile.

«Non ho più dodici anni, Sasuke-kun, ma sono ancora la stessa persona che dopo aver parlato con te passa una notte insonne per tentare di capire il vero significato delle tue parole. E forse è un bene», soggiunse, spingendo di lato la porta per mettere almeno piede nell’ingresso, «perché tu sei ancora la stessa persona che preferisce parlare per enigmi, perlopiù».

«E allora?» si informò Sasuke, lo sguardo basso, forse proprio sulla difensiva.

«E allora a differenza di quando avevo dodici anni forse sono riuscita a capire qualcosa in più. Dici che mi avresti considerata imperdonabile se avessi…»

«Sakura».

Non riuscirei a perdonare nemmeno te.

«Il punto è: volevi dire che a me perdoneresti qualcosa che non perdoneresti ad altri?» Sakura sorrise, lievemente tesa. «Voglio sapere cosa, Sasuke-kun».

Sasuke fece di nuovo per chiuderle la porta in faccia, ma Sakura aveva la mano pronta e piena di chakra. Impose il pugno e lo usò per fare resistenza.

La porta ne uscì malridotta.

 

 

Due giorni dopo.

 

Sakura lo aveva portato vicino all’esasperazione per due giorni di fila. L’aveva provocato con sorrisi sottili, osando con piccole vendette e bonaria ironia, dimenticandosi puntualmente di scusarsi per il danno alla porta di casa sua.

Sasuke molto spesso si era limitato a sbuffare con aria regalmente seccata, aveva finto di legarsi le cose al dito ma aveva anche sopportato tutto con fare quasi stoico. Non aveva mai preteso delle scuse.

Sakura impiegò quei due giorni per capire cosa volesse dirle con quel comportamento curioso. Gli gettò le braccia al collo. Aveva gli occhi umidi quando affondò la fronte nella linea della sua spalla.

«Grazie» mormorò, con la voce sbrindellata dall’emozione.

«Che?» indagò Sasuke, immobile.

Lei lo strinse ancora più forte. Pensò che era strano quel loro modo di avvicinarsi, perché lei tentava di farlo dando un significato profondo a tutte le parole che gli diceva, e lui tentava di farlo – lui riusciva a farlo, a starle più vicino – servendosi di tutte le cose che non le diceva.

Sasuke non avrebbe mai preteso altre scuse da lei perché gli erano bastate quelle per un kunai avvelenato e bugie sottilissime. Sasuke aveva perdonato lei prima di perdonare se stesso.

E non era quello il modo più delicato per farle capire che…di nuovo, Sasuke-kun? Era così anche prima?

Le faceva capire che l’affetto che nutriva per lei veniva prima ancora del suo amor proprio.

«Dovresti perdonare entrambi, però, Sasuke-kun. Io non merito il perdono più di quanto non lo meriti tu».

«Sakura, stai dando di nuovo di matto», precisò lui, sostenuto.

«E mi perdonerai anche questo, no?» scherzò lei, quasi ilare. Sollevò il viso dalla sua spalla, senza allontanarsi troppo. «D’ora in poi mi perdonerai tutto?»

«Scordatelo».

«Allora forse rischio di fare qualcosa di imperdonabile» mormorò Sakura, un po’ abbattuta e senza nemmeno guardarlo negli occhi. «Ma devo proprio rischiare Sasuke-kun, non ce la faccio più a…»

«Sakura».

Lo baciò mentre sulle labbra di Sasuke moriva l’ultima sillaba del suo nome. Riuscì soltanto a sfiorarlo, prima di rendersi conto che le tremavano le mani e non riusciva nemmeno a chiudere gli occhi perché il terrore l’aveva praticamente paralizzata. Sentì il fiato di Sasuke che le entrava in gola, in un soffio. Forse stava tentando di parlare, di dirle qualcosa che sarebbe stato una sentenza.

Imperdonabile.

«Insopportabile» decretò lui, parlandole sulla bocca. Poi le inumidì le labbra, quasi carezzevole, e la sospinse contro la porta ancora spaccata.

Molti istanti dopo, chiamarlo per Sakura fu un vero atto di coraggio, uno di cui però avrebbe cercato di non pentirsi. «Sasuke-kun» sfiatò, mentre lasciava scivolare la fronte contro la sua guancia. «Arriverà un giorno in cui tenterò di fare davvero qualcosa di imperdonabile. Ed entro quel giorno spero di averti dato un motivo per perdonarmi anche quello».

Itachi sarà riconosciuto come eroe.

E un giorno riusciremo a parlarne, Sasuke-kun.

 

   
 
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