Ah...per chi non sapesse chi è Dan Hawkins ecco un paio di foto, così potete focalizzarlo meglio mentre leggete:
La casa era immersa nel silenzio della notte. Dan entrò, posò delicatamente la custodia della sua Les Paul a terra, lasciandola in piedi lì, vicino alla porta che chiuse senza fare rumore, per non svegliarla, e su cui si appoggiò con la schiena, esausto.
Sospirando volse gli occhi, contornati
da leggere occhiaie, all’oscurità della stanza, smorzata solo dalla luce dei
lampioni giù sulla strada, che debole cercava di superare la barriera imposta
dalle tende tirate. Lentamente iniziarono a delinearsi gli oggetti che lo
circondavano: il grande divano bianco, lo schermo piatto appeso al muro, le
gigantografie in bianco e nero alle pareti. Un arredamento di un lusso discreto,
ma tutto sommato sobrio.
Le prove erano state uno schifo: Ed era
di pessimo umore, quella sera, e aveva suonato da cani, senza energia. Toby era
con loro da poco, e dovevano ancora trovare un’intesa; lui stesso era stato
alquanto irritabile e aveva suonato male, sbagliando un sacco di note, e Richie…Beh,
Richie era bravo, ma sicuramente non all’altezza di Justin. Da quando suo
fratello li aveva lasciati si era creata una tensione a dir poco snervante
all’interno del gruppo. Ma una cosa era stata subito chiara a tutti:
sostituire un front man come lui non sarebbe stato affatto facile, e tutti e 4
avrebbero dovuto farsi il culo se volevano rimanere al livello d successo che
avevano raggiunto.
Dan sospirò. Stanco si risollevò e
prese il corridoio davanti a lui, camminando alla cieca tastando il muro sulla
sinistra, finché questo non gli mancò sotto la mano per lasciargli la porta
della camera da letto. Ci scivolò dentro. Qui le tende erano più sottili, e la
poca luce penetrava meglio, illuminando il letto a due piazze, dove una figura
femminile riposava avvolta dalle lenzuola candide.
Si sfilò la camicia e la T-shirt nera
con la scritta bianca dei Thin Lizzy, una delle innumerevoli della sua
collezione, abbandonandole sullo schienale di una delle due poltroncine beige
poste obliquamente rispetto alla
grande finestra, su un folto tappeto bianco, in un angolo della stanza. Quindi,
a torso nudo, si diresse verso la cabina armadio: lì, su uno scaffale a destra,
c’era una comune scatola da scarpe, priva di quel sottile strato di polvere
che ricopriva gli altri contenitori impilati accanto. La prese e la portò sul
tavolino di vetro davanti alle poltrone, e si sedette su quella dove giacevano i
suoi indumenti. Allora spostò il suo sguardo sulla ragazza che dormiva nel suo
letto.
Era distesa su un fianco, rivolta verso
di lui, i capelli castani un po’ spettinati sparsi intorno, i lineamenti
rilassati, il respiro pesante: era profondamente addormentata. Un piccolo
sorriso intenerito si fece largo sulla bocca di Dan. Ma sparì subito quando
tornò alla scatola: ne alzò il coperchio di cartone ruvido, lasciandolo sul
piano: e frugando tra una miriade di piccole cianfrusaglie, estrasse un oggetto,
ben nascosto sul fondo: una comune bustina di plastica con la chiusura a
pressione.
Proprio in quell’istante, quando
l’ebbe gettata sul vetro spesso, la ragazza si mosse, voltandosi nel sonno
dalla parte opposta, come se subconsciamente non volesse assistere alla scena.
Dan se ne accorse…
Ma non aveva certe intenzioni. Aveva
riflettuto tanto, negli ultimi giorni, e si era chiuso in sé stesso.
Suo fratello aveva toccato il fondo, per
quella polverina bianca che ora sorrideva a lui angelicamente per essere
liberata da quell’involucro trasparente del quale era prigioniera.
Certo, era stata utile quando doveva
tenere le energie al 200% per suonare ore di fila durante i concerti nei tour
estenuanti. Ma qual’era la sottile linea bianca oltre la quale non eri più tu
a comandare? Quand’era che lei sconvolgeva i ruoli per farti suo schiavo? E
quanto ci era vicino, lui, a quel confine?
Gli venne agli occhi l’immagine di
Justin, ridotto a uno straccio dopo l’ultimo concerto, e lo rivide ricoverato
in quella fottutissima clinica di riabilitazione.Si maledisse per non aver fatto
di più per aiutarlo…
La rabbia gli salì dentro dalle
viscere: guardò con odio quella stupida bustina e la scagliò via
violentemente. Questa colpì il muro con un rumorino sordo, e ricadde a terra.
Si prese il viso tra le mani, reggendosi coi gomiti sulle ginocchia. Respirò a
fondo, riavviandosi i capelli lunghi e ricci, prima di rialzarsi e spogliarsi
dei vestiti che aveva ancora addosso. Slacciò la cintura lasciando scivolare a
terra i jeans mentre si era tolto scarpe e calzini, lasciando tutto sul
pavimento. Con indosso solo i boxer si avvicinò al giaciglio, scostando le
lenzuola per scivolare accanto al corpo della sua ragazza, che gli dava le
spalle. Dolcemente le mise una mano sul ventre, coperto dal tessuto piacevole al
tatto della sua camicia da notte, e la attirò a sé, intrecciando i piedi coi
suoi per trovare un po’ di calore.
“Dan…” mormorò la ragazza,
accortasi del suo ritorno
“mh…”
“Scusa se non ti ho aspettato
sveglia…”
“Non fa niente, piccola….”
Bisbigliò strofinando delicatamente la punta del naso sulla pelle liscia della
sua spalla, per poi lasciarci un lieve bacio. Pensò a quanto fosse fortunato ad
avere qualcuno a cui aggrapparsi nelle difficoltà…qualcuno che suo fratello
non aveva avuto.
“Ti amo” le sussurrò
all’orecchio, quasi impercettibilmente, prima di chiudere gli occhi.