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Autore: adamantina    22/08/2012    11 recensioni
Cameron e Jamie sono amici da una vita. Hanno un passato difficile alle spalle, ricordi comuni a cui preferiscono non pensare. Ora vivono a Chicago, sono entrati nel giro degli incontri clandestini di boxe e studiano all'università. Ma, come in ogni storia che si rispetti, intervengono nemici reali e sentimenti complicati a rovinare tutto...
«Forse riusciresti a batterti così, anche con le costole rotte, chissà? Ma mi chiedo cosa faresti se a rompersi accidentalmente fossero le braccia. »
Jamie impallidì e vide Cameron fare lo stesso. Poteva immaginare benissimo il terrore dell’amico a quella prospettiva. Un pugile con le braccia rotte non era nulla.

Prima classificata ai contest "Amore e Morte" di SilentlyAborted, "Cuori Infranti" di yuma92, "In love with Shakespeare" di Flaren97 e "Fammi innamorare. Miglior coppia Yaoi/Slash" di Faffina!.
Genere: Angst, Drammatico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Titolo: Fighters
Autore:
adamantina
Fandom:
Originale
Personaggi:
/
Paring:
/
Word: 14448
Rating: Arancione
Genere:
Drammatico, Sportivo
Avvertimenti:
Slash, Angst, Violenza descrittiva, One-shot
Disclaimer: Trama e personaggi appartengono esclusivamente a me.
Note: Mi sono informata sulla boxe (di cui sapevo poco o nulla) su Internet, guardando anche video su Youtube che ne spiegavano le basi. Le regole sono diverse a seconda del livello dei partecipanti, del paese eccetera, e io ammetto di aver probabilmente fatto un mix delle regole che mi facevano comodo xD

C'è una citazione tratta da Shakespeare: “Chi non ha mai avuto una ferita ride di chi ne porta i segni”, una da Dr House: “Non mi sento infelice o arrabbiato. Non mi sento bene né male. Non provo nulla” e una di C.S. Lewis: “Amare è in ogni caso essere vulnerabili. Ama qualcosa e il tuo cuore sarà certamente diviso e rotto”.
Credo sia tutto... buona lettura!

Contest “Amore e Morte” di SilentlyAborted: PRIMA CLASSIFICATA
Contest “In love with Shakespeare” di Flaren97: PRIMA CLASSIFICATA e vincitrice dei premi Giuria, Lacrima e Miglior personaggio maschile
Contest “Cuori Infranti” di yuma92: PRIMA CLASSIFICATA e vincitrice dei premi Giuria, Angst e Unhappy Ending
Contest "Fammi innamorare. Miglior coppia Yaoi/Slash" di Faffina!: PRIMA CLASSIFICATA
Contest “Keep Calm and make me cry (or smile)” di khika liz: TERZA CLASSIFICATA e vincitrice del premio Lacrima.



FIGHTERS


Lo specchio mi guarda e riflette l'immagine di un uomo.
I quarant’anni sono già arrivati e stanno scivolando via, come tutto il resto.
Un dolore sordo mi brucia nel petto, un dolore che non provavo da anni e pensavo di aver dimenticato.
Ricordo di lacrime versate e di parole non dette.
«Papà, ho deciso» mi ha annunciato mio figlio maggiore, di quasi otto anni, questa sera. «Voglio provare la boxe. Mikey la fa e gli piace un sacco. Posso?»
Mi volto di scatto e guardo la scatola che ho sempre tenuto nascosta nell'armadio. Non la tiro fuori da anni. In verità, pensò di non averla mai aperta da quando mi sono sposato.
Dentro c'è solo una cosa.
Un paio di guantoni da boxe.

X X X

Chicago - nowadays

Le urla eccitate della folla erano come un debole ronzio di sottofondo per Jamie, le cui orecchie vi si erano ormai abituate. La gente urlava i nomi dell'uno o dell'altro contendente e piazzava scommesse sempre più ardite man mano che il gong d'inizio si avvicinava.
Lo spazio era piuttosto grande, ma non abbastanza perché gli spettatori non si dovessero spintonare per guadagnarsi una posizione da cui poter vedere l'intero combattimento. Si trovavano al Black Hole, il cui nome ardito suggeriva chissà quale arredamento postmoderno, mentre in realtà non era altro che, per l'appunto, un buco -il parcheggio sotterraneo di una fabbrica abbandonata nei bassifondi della città. Pareti e pavimento erano di cemento sporco, macchiato, e l'odore che vi regnava era perlomeno caratteristico: sudore, fumo, sangue, a cui andava ad aggiungersi quello dell'erba spacciata da alcuni individui neanche troppo segretamente.
Jamie aveva una postazione personale al Black Hole, consolidata da anni di abitudinaria frequentazione: uno sgabello in legno malridotto che si trovava nello spazio sottile che separava la grata metallica -che arrivava fino al soffitto, formando un rettangolo al quale la gente premeva per avvicinarsi- dal quadrato rudemente tracciato sul pavimento con della vernice gialla sbiadita da anni. Soltanto una decina di persone avevano l'onore di assistere ai combattimenti da dentro la grata, e tutte se l'erano guadagnato. Jamie invece l'aveva ottenuto di riflesso, per così dire.
Le grida si alzarono di volume mentre una ragazza entrava nel quadrato di combattimento, quello che veniva chiamato (a sproposito) ring. Era alta, snella, flessuosa, il suo corpo slanciato messo orgogliosamente in mostra dagli shorts provocatoriamente corti, dal top scollato e dai tacchi neri. Qualcuno fischiò mentre la ragazza, i lunghi capelli corvini che ondeggiavano al ritmo dei suoi movimenti, raggiungeva il centro del ring.
«Signore e signori» annunciò con voce squillante, sovrastando gli strilli della folla, «Benvenuti al Black Hole!»
Le urla si alzarono di nuovo di volume, riecheggiando ovunque.
«Questa sera assisteremo ad un evento eccezionale... solo per noi, il campione in carica, finora imbattuto, l'eccezionale… Cameron... Spencer!»
La folla ruggì mentre un ragazzo faceva il suo ingresso nell'area cintata. Era sulla ventina, piuttosto alto, con un fisico snello e muscoloso, ben proporzionato; i capelli neri erano spettinati ad arte. Indossava una maglietta bianca e un paio di pantaloni corti neri, oltre, naturalmente, ai guantoni da boxe rovinati. Dedicò alla folla un grande sorriso, fece l'occhiolino alla presentatrice, Alice, e sollevò il pugno chiuso in aria, come a celebrare una vittoria certa, prima di raggiungere un angolo dell'arena, non a caso a pochi centimetri di distanza da dove lo sgabello di Jamie era sistemato.
«Aspetta di vedere Conrad, prima di festeggiare» commentò questi con calma.
Cameron si voltò e gli scoccò un'occhiata divertita.
«È grosso?» si informò.
«Un armadio» specificò Jamie, passandosi una mano tra i capelli castani senza troppa cura.
«Ottimo. Farà più rumore quando lo butterò giù.»
Jamie scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
«Presuntuoso» disse.
«Ah, sì? Hai scommesso su Conrad, allora?» ribatté Cameron.
In quel momento, la ragazza annunciò il secondo combattente:
«Ed è con noi stasera, direttamente da Baltimora, lo sfidante: David... Conrad!»
Un omone massiccio entrò nel quadrato e ruggì, possente, ricevendo a sua volta parecchie acclamazioni.
«No» sospirò Jamie. «Ho scommesso su di te, stronzo, perciò vedi di vincere.»
«Vedrò che posso fare» commentò allegramente Cameron, per poi voltarsi e fronteggiare l'avversario.
La ragazza uscì dal ring e fece un cenno ad un uomo lì accanto, che batté con forza due pezzi di metallo: il segnale di inizio.
I due contendenti si squadrarono a vicenda, cauti, quindi Cameron mosse una mano, chiusa nel guantone, nel gesto eloquente del “vieni qui”. Conrad si scagliò contro di lui e la lotta cominciò.
Jamie osservò Cameron che si muoveva con sicurezza, ogni colpo perfettamente calcolato, ogni movimento studiato, e riconobbe la differenza rispetto alla prima volta in cui si erano trovati al Black Hole, quattro anni prima.
Ricordò di aver chiesto a Duncan quali erano le regole, e che lui gli aveva riso in faccia. In quel momento, Duncan si trovava da qualche parte tra la folla, probabilmente per racimolare altri soldi dalle scommesse.
Un grido eccitato prodotto dal coro dei presenti lo fece tornare a concentrarsi. Cameron e Conrad erano a qualche passo di distanza l'uno dall'altro, e il secondo si massaggiava la mascella con una mano, gli occhi stretti per la rabbia. Jamie sorrise, certo che anche quel giorno avrebbe racimolato parecchio grazie alla sua scommessa.
E le sue speranze non furono deluse: Cameron, dopo aver tirato la corda per qualche minuto stuzzicando l'avversario, si stancò di giocare e si esibì in una rapida combinazione di colpi -sinistro, destro, montante, e poi ancora, finché Conrad non si abbatté al suolo, le ossa pesanti che scricchiolavano contro il cemento armato.
«Tre... due... uno... e Cameron Spencer mantiene il titolo, signori! Nulla ha potuto lo sfidante per contrastare il nostro campione!» gridò Alice, la presentatrice, tra le ovazioni del pubblico.
Cameron sollevò ancora il pugno in segno di vittoria, quindi fece cenno a Jamie di seguirlo e uscì dall'arena.
Si fece strada fino alla zona privata, una serie di corridoi e ex uffici ora riservati ai pugili e a chi stava dietro le quinte del Black Hole. Individuò immediatamente Jared Duncan, il boss in carica.
«Spencer!» esclamò questi. «Un'altra vittoria, a giudicare dalle urla che ho sentito, eh?»
«Naturalmente» commentò Cameron, con notevole mancanza di modestia. «Almeno finché non mi troverai un avversario degno di questo nome, sarai costretto a darmi i seicento dollari che mi spettano. E probabilmente dovrai farlo anche in quel caso.»
«Poche parole, più pugni, studentello» tagliò corto Duncan, allungandogli una mazzetta di banconote. «Il match è durato meno di cinque minuti.»
«Non è vero» sbottò Cameron.
«Invece sì. Vedi di prolungare il divertimento la prossima volta, se vuoi la cifra intera.»
«Vaffanculo» sibilò il ragazzo, intascando i soldi.
«Sì, a domani» replicò Duncan con calma, lasciando qualche banconota anche nella mano tesa di Jamie, per pagargli la scommessa.
«Che figlio di puttana» si lamentò Cameron mentre afferrava la sua giacca da un appendiabiti e usciva dal Black Hole.
La vecchia fabbrica si affacciava su un marciapiede dei bassifondi di Chicago, completamente deserto. Il fatto che il Black Hole fosse sottoterra non impediva al rumore di trapelare, ma decisamente più soffocato e sopportabile di prima.
«Effettivamente avresti potuto farlo ballare ancora un po'» affermò Jamie, impietoso, tirando fuori dalla tasca della felpa le chiavi della macchina e facendo scattare la serratura.
«Ti ho fatto vincere cento dollari, perciò vedi di chiudere la bocca» sbuffò Cameron, aprendo la portiera dal lato del passeggero ed entrando in macchina.
«Se vuoi che stia zitto, non ti dirò che cosa sono riuscito ad organizzare per te» replicò Jamie, stringendosi nelle spalle prima di mettere in moto.
«Sarebbe a dire?»
La macchina partì con un brontolio e si immise sulla strada.
«Pensavo non ti interessasse-»
«Jamie
«Ok, ok, ok. Bene, ho telefonato a mio padre-»
«Che cosa?»
«Hai intenzione di lasciarmi parlare o no?»
Cameron fece per dire qualcosa ma si trattenne.
«Stavo dicendo che ho chiamato mio padre e gli ho chiesto il numero di un tizio che conosce, uno che è nel giro della boxe ai livelli più alti. Quindi gli ho telefonato e lui ha accettato di venire a vedere un tuo incontro per considerare se darti una spintarella per farti entrare nei professionisti.»
Il silenzio assoluto che accolse quell'affermazione preoccupò lievemente Jamie, che distolse lo sguardo dalla strada per osservare il suo migliore amico, che sembrava paralizzato.
«Giuro che se mi ringrazi non mi offendo» disse.
«Dici sul serio?»
«Serissimo.»
«E quando verrebbe a vedere l'incontro?» domandò Cameron, ancora incredulo.
«Ecco, a questo proposito... volevo evitare che mandassi tutto a puttane-»
«Grazie per la fiducia.»
«Di nulla. Quindi è venuto stasera.»
Cameron batté le palpebre.
«Cosa?»
«Ha visto l'incontro di stasera. Ha scelto lui Conrad come avversario.»
«Stai scherzando.»
«Questa tua sorpresa per il fatto che abbia fatto qualcosa di buono è vagamente offensiva, Cam.»
«E cosa ti ha detto?»
«Guarda tu stesso» replicò Jamie, accostando davanti all'appartamento che condividevano e lanciando il cellulare all'amico prima di scendere dall'auto.
Lo voglio. Mercoledì alle 9 fatevi trovare al Boxing Club. A.Smith”.

«Non ci credo. Non ci credo» ripeté Cameron, lasciandosi cadere sul proprio letto, gli occhi chiari fissi sullo schermo del cellulare di Jamie.
«Stai diventando monotono.»
«Sai cosa significa, vero?»
«Che dovrò prestarti dei soldi per comprare dei guantoni decenti?» suggerì Jamie, nascondendo un sorriso.
«No... beh, anche. Ma vuol dire che potrei arrivare ad affrontare Eric Grant.»
«Sì, lo immaginavo quando ho chiamato, sai.»
Cameron distolse finalmente lo sguardo dal messaggio e guardò Jamie.
«Ma non mi piace che tu abbia chiamato tuo padre.»
Jamie alzò le spalle, infilandosi sotto le coperte del suo letto. La stanza che dividevano nel loro minuscolo appartamento era proporzionata a tutto il resto -microscopica. Poco più di mezzo metro separava il suo letto da quello di Cameron. Le pareti erano ricoperte da vecchi poster di famosi pugili e da qualcuno di belle donne seminude. La scrivania era invisibile sotto la massa di libri e ogni angolo libero era occupato da vestiti appartenenti all'uno o all'altro che ormai non facevano neanche più lo sforzo di provare a distinguere.
«Il fine giustifica i mezzi» ribatté.
«Non dopo tutto quello che ha fatto.»
«Lascia perdere, ok? Hai ottenuto quello che volevi, a chi importa di quel coglione di mio padre?»
Lo sguardo di Cameron si addolcì.
«Primo, importa a te, e lo sai. Secondo, importa a me, se importa a te. E terzo-»
«Stai diventando fastidioso.»
«-Grazie.»
Jamie ridacchiò, allungandosi per spegnere la luce per poi sistemarsi meglio sotto le coperte e chiudere gli occhi.
«Mi chiedevo se me l'avresti mai detto» brontolò prima di addormentarsi.

X X X

Prescott

La prima volta che Cameron Spencer aveva incontrato Jamie Walker avevano entrambi dieci anni. Cameron si era appena trasferito da Phoenix a Prescott, una cittadina dell'Arizona pressoché immersa nel nulla, e ora abitava nella casa accanto a quella di Jamie.
Naturalmente avevano stretto amicizia nel giro di pochi giorni.
Il padre di Jamie era stato un pugile famoso, aveva anche vinto un Campionato Mondiale parecchi anni prima, e ora gestiva una palestra in centro città. Aveva sempre spinto il figlio ad imparare a boxare, e Jamie l'aveva fatto controvoglia, almeno finché non era arrivato Cameron. Lui non ne sapeva nulla di pugilato e si era mostrato fin da subito desideroso di imparare. Il padre di Jamie adorava Cameron e sosteneva che avesse un talento innato per la boxe; iniziò ad allenarlo insieme al figlio.
Quando cominciarono il liceo, a quattordici anni, Cameron si impegnò sempre più seriamente nel pugilato. Jamie gli faceva da spalla, si allenava con lui tutti i giorni, ma senza la sua stessa passione, e cercava di evitare le sessioni con il padre il più possibile.
Cameron non aveva pienamente realizzato i motivi di questo distacco, almeno finché non era successo l'Incidente, quello con la I maiuscola.
Fino a quel momento, aveva più o meno preso per buone le spiegazioni di Jamie per i graffi, i tagli e le varie contusioni che comparivano spesso sul suo corpo.
Poi, dopo l'Incidente, aveva capito.
Avevano sedici anni. Iniziarono a pianificare con cura il loro futuro, stabilendo che se ne sarebbero andati da Prescott non appena avessero preso il diploma. I genitori di Cameron erano piuttosto accomodanti, mentre quelli di Jamie non ne volevano sapere, almeno inizialmente. Ma i due avevano le idee chiare. Cameron voleva studiare per diventare grafico pubblicitario; Jamie voleva fare Veterinaria.
Chicago, decisero, sarebbe stata perfetta.

X X X

Chicago – earlier

Le loro aspettative si erano rivelate decisamente troppo alte.
Tutto quello che erano riusciti a permettersi era un appartamento in periferia, e tra l'affitto e tutto il resto era rimasto poco o nulla per pagare le tasse universitarie. I genitori di Jamie non avevano sborsato un centesimo, mentre quelli di Cameron si erano detti disponibili ad aiutarlo, ma lui non voleva gravare sui loro stipendi quando avevano altri due figli da mantenere.
Perciò, dopo aver discusso a lungo, lui e Jamie si erano ritrovati, un venerdì sera, nel parcheggio sotterraneo di una fabbrica in disuso dove si tenevano incontri clandestini di boxe.
Duncan si era messo a ridere quando Cameron si era proposto per un incontro. Alla fine, più che altro per farsi due risate, aveva accettato di farlo combattere contro uno dei suoi pugili, spesso ex professionisti o semplicemente operai in cerca di qualche entrata aggiuntiva.
Era stato allora che Jamie si era informato sulle regole e aveva ricevuto solo una risata in risposta.
«Niente regole» gli era stato spiegato più tardi. «Vale tutto. Vince chi mette l'avversario fuori gioco o lo atterra per più di tre secondi. Questo è tutto.»
Così Cameron aveva dovuto dimenticare in fretta le regole del fair play -niente colpi in faccia né sotto la cintura, caschetto protettivo eccetera- e adattarsi a quelle brutali dei combattimenti illegali.
Durante il suo primo incontro aveva battuto il suo avversario, anche se a fatica, il che gli aveva aperto ufficialmente le porte del Black Hole.
Cameron aveva scalato le classifiche, battendo la maggior parte dei suoi sfidanti.
L’università procedeva bene, anche se conciliare esami e lunghe notti di combattimento era dura, almeno quanto lo era spiegare al docente esaminatore il motivo di un occhio nero fresco di giornata. In ogni caso, Cameron aveva ben chiaro il suo obiettivo: la laurea.
Il campione assoluto, in quel periodo, era un certo Eric Grant. Aveva poco meno di trent’anni ed era imbattuto da più tempo di chiunque altro prima di lui. Era anche il fratello di Alice, che aveva introdotto al Black Hole come presentatrice e arbitro di quegli incontri sommari e che aveva riscontrato fin da subito un grande successo, soprattutto tra il pubblico maschile, che era la grande maggioranza.
Cameron, naturalmente, aveva provato per lui un’immediata antipatia. Quando finalmente la sua reputazione era cresciuta abbastanza da consentirgli di battersi con lui, aveva fatto soffrire Eric per quasi quindici minuti prima che questi lo mettesse al tappeto. Per Cameron era stata una sconfitta umiliante; per Eric una vittoria non troppo soddisfacente, considerato l’impegno considerevole che era stato necessario per battere quel novellino.
Meno di due settimane dopo, Eric, entrando senza bussare nel camerino di Alice, aveva trovato la sorella a letto con Cameron.
Prevedibilmente, non ne era stato felice. I due si erano pestati a sangue e solo l’intervento tempestivo di Jamie e Duncan per separarli aveva impedito che si ammazzassero a vicenda.
Dieci giorni più tardi, Eric era stato convocato per partecipare ad un campionato ufficiale. Aveva vinto e aveva lasciato definitivamente il Black Hole, facendo sì che Cameron non trovasse grandi ostacoli per raggiungere le vette del pugilato clandestino.
In compenso, Eric Grant aveva vinto per tre volte consecutive il Chicago Gold Gloves Boxing Tournament, o CGGBT, uno dei riconoscimenti più ambiti dell’intero Paese.
A Cameron non interessava diventare un pugile professionista: amava la boxe, ma combatteva soprattutto perché gli servivano i soldi per frequentare l’università. Da quando Eric aveva raggiunto il livello del CGGBT, però, le sue ambizioni erano cambiate. Ora, anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, Jamie aveva capito che il suo migliore amico si era prefisso un traguardo. Voleva una seconda occasione per battere Eric Grant.

X X X

Chicago –nowadays

«Ti odio» sussurrò Cameron. «Perché mi hai fatto venire qua?»
«Tra mezz’ora mi ringrazierai» replicò Jamie, impassibile.
«Se sarò ancora vivo.»
«Pensavo avessi più autostima di così.»
«Ce l’avevo» sbuffò piano Cameron. Si scostò dalla fronte i capelli neri prima di decidersi ad infilare i guantoni nuovi di zecca.
«Andrà bene» disse Jamie, tranquillo. «Ricordati le regole che ti ha insegnato mio padre. Niente colpi bassi, niente calci, niente morsi…»
«Come se avessi mai morso qualcuno!»
«È vero, ma al Black Hole avresti potuto farlo, volendo. E poi ricorda che non si tratta più di fare spettacolo o di far durare il match.»
Cameron sospirò.
«Non sono le regole a preoccuparmi» decretò, quindi salì sul ring, dove il suo avversario lo raggiunse poco dopo.
Gli spettatori, non poté fare a meno di notare Jamie, erano quasi lo stesso numero che al Black Hole, con la differenza che qui erano tutti ricchi, annoiati e seduti su tribune ben tenute. Nessuno gridava, per il momento, né fumava o peggio. Jamie cercò di ricordarsi che era quella la normalità, quella a cui era abituato prima di Chicago, ma gli risultò difficile rientrare in quella mentalità.
«Dov’è il tuo manager?» sentì l’arbitro chiedere a Cameron.
«Non ho un manager.»
«E il tuo coach? Devi avere un coach.»
Cameron esitò, quindi indicò Jamie con un cenno della testa.
«È lui» affermò con calma.
L’arbitro squadrò Jamie dalla testa ai piedi, ma non aggiunse altro. Diede il via all’incontro.
Come Jamie sapeva che sarebbe successo, Cameron riuscì a mettere al tappeto l’avversario in un minuto e mezzo, e senza neanche ricorrere alle numerose tattiche sleali che aveva appreso in quattro anni di incontri clandestini.
Quella sera partecipò ad altri tre incontri, quanto bastava per assicurarsi un minimo di riconoscimento. L’uomo che aveva assistito all’incontro al Black Hole e lo aveva invitato lì, Aaron Smith, gli strinse la mano e decise, di comune accordo con alcuni colleghi, di inserirlo direttamente nella Silver League, la serie B del Boxing Club.
Quando uscirono dal Club, quella notte, Jamie ormai sapeva che Cameron sarebbe arrivato a battersi con il migliore.

Le luci della loro camera erano spente da oltre mezz’ora, ma Cameron e Jamie erano svegli.
«Non so cosa fare» disse Cameron per la prima volta.
Colpito da quell’ammissione, Jamie si voltò verso il letto dell’amico, anche se nel buio non riusciva a vederlo.
«Parli del Boxing Club?» chiese.
«Parlo di tutto. Di quello, del Black Hole, dell’università.»
«Non volevi fare il pugile professionista» disse Jamie.
«Ora non so più cosa voglio.»
«Hai studiato per quattro anni per ottenere la laurea, e boxare è sempre servito solo a pagarti… a pagarci gli studi.»
«Non è solo quello. Non lo è mai stato… si è sempre trattato di qualcosa di più.»
«Lo so. Lo capisco.»
«Non posso mollare l’università adesso.»
«Certo che no.»
«Sono riuscito a conciliare lo studio con la boxe, finora… Continuerò a farlo.»
«Non voglio spingerti in nessuna direzione, Cam. La scelta è tua. Ma devi sapere a cosa rinuncerai quando dovrai per forza scegliere o l’uno o l’altro.»
«Sì, il problema è proprio questo.»
«Vedrai che farai la cosa giusta.»
«Lo spero.»
Seguì un attimo di silenzio.
«Mio padre mi ha chiamato, oggi» disse alla fine Jamie.
«Perché?» chiese Cameron seccamente.
«Per farti gli auguri» replicò Jamie pacatamente. «In realtà voleva parlarti di persona per darti un paio di consigli, ma gli ho detto che non c’eri.»
«Hai fatto bene. Quel bastardo.»
Jamie sospirò e non aggiunse altro.

Jamie sapeva che non potevano essere tanto fortunati da non incontrare mai Eric Grant, considerato che passava la maggior parte del suo tempo al Boxing Club.
Jamie si stava allenando con Cameron quando lo videro per la prima volta dopo tanto tempo. Essere ufficialmente nel campionato significava avere l’accesso gratuito alla palestra del Club e alle sue attrezzature, che erano decisamente migliori di quelle che il Black Hole metteva a disposizione ai suoi pugili.
La boxe continuava ad esercitare un certo fascino su Jamie, ma più come qualcosa di famigliare e oggettivamente bello che non come vera e propria attività fisica. Tuttavia, poiché i soldi non bastavano per pagare delle vere e proprie lezioni professionistiche, lui si prestava volentieri a boxare con Cameron nel loro tempo libero.
«Non abbassare la guardia» gli ricordò questi, colpendolo leggermente ad un fianco.
Jamie si riscosse.
«Dovrei essere io ad allenare te» gli fece presente.
«Ma io sono più bravo» replicò Cameron allegramente, eseguendo una combinazione che Jamie, però, bloccò senza difficoltà.
«Continua a ripetertelo» lo prese in giro Jamie, tentando di colpirlo con un montante ma venendo facilmente bloccato.
Finalmente potevano allenarsi su un ring vero e proprio, il che rendeva Cameron di ottimo umore. Almeno finché, qualche minuto dopo, non sentì una voce conosciuta.
«Bene, bene… chi abbiamo qui? Spencer e il suo amichetto? Cos’è, avete cominciato a battere per strada per avere abbastanza soldi da allenarvi qui?»
Jamie chiuse gli occhi per un istante prima di voltarsi. Cameron fu più veloce di lui nel replicare:
«Se vuoi quel tipo di incontro con me, Grant, basta chiedere. Anche se ti risponderei che preferisco sempre tua sorella.»
Grant illividì, furioso.
«Non farei quel genere di battute qui, Spencer. Sei a casa mia, per così dire.»
«Pare che presto saremo coinquilini, allora» ribatté Cameron. «Sono nella Silver League e ho tutte le intenzioni di passare alla Golden.»
Lo sguardo sconcertato di Eric divertì sia Jamie che Cameron.
«Non ci arriverai, Spencer» ringhiò Grant, profetico. «Non avrai un’altra occasione di batterti con il migliore.»
«Paura di perdere?» commentò casualmente Jamie.
«Per poterlo fare dovrei lottare con me stesso» aggiunse Cameron nello stesso momento, facendo alzare gli occhi al cielo anche al compagno di allenamento.
Ma Eric Grant aveva già voltato le spalle e si stava allontanando.
L’avrebbero rivisto a breve.

Successe meno di un mese dopo.
Cameron aveva sostenuto diversi incontri, ottenendo quasi sempre la vittoria (insieme a non poche ammonizioni per fallo). Quella sera l’aveva passata tutta ad allenarsi insieme a Jamie in vista dell’incontro del giorno successivo, che avrebbe stabilito il suo eventuale passaggio dalla Silver alla Golden League. Sarebbe stato perciò l’incontro più importante della sua carriera fino a quel momento.
Quando uscirono dal Boxing Club era quasi mezzanotte. Jamie aveva diviso la sua attenzione tra l’allenamento con Cameron e la preparazione per un difficile esame di Anatomia Patologica degli Animali Esotici che avrebbe sostenuto la mattina seguente, ed era perciò completamente esausto. Cameron, dal canto suo, si stava allenando senza sosta da settimane, almeno sei o sette ore al giorno, e il resto del tempo lo passava a studiare per la sessione di esami che lo aspettava il mese successivo.
«Non ce la faccio più» si lamentò Jamie. «Credo che domattina crollerò addormentato, durante l’esame.»
«Aspetta almeno di averlo finito» replicò Cameron sorridendo. «Poi potrai dormire durante il mio incontro.»
«Perché sarà noioso?»
«Perché mi hai già visto vincere fin troppe volte.»
«Ti ha mai detto nessuno che la tua autostima ha bisogno di darsi una regolata?»
«Sì, tu. Almeno cento volte.»
«Tutto fiato sprecato, eh?»
«Puoi scommetterci.»
Risero insieme e imboccarono un vicolo laterale che li avrebbe portati direttamente al parcheggio dove avevano lasciato l’auto. Nel vicolo c’erano due uomini, entrambi appoggiati con naturalezza alle pareti, che si raddrizzarono nel vederli.
Cameron e Jamie si irrigidirono istintivamente e, scambiandosi uno sguardo d’intesa, si voltarono per andarsene, ma, non appena si girarono, si accorsero che dietro di loro erano comparsi altri due individui, uno dei quali era Eric Grant.
«Finalmente» disse quest’ultimo. «Pensavo che non sareste più usciti.»
«Togliti dai coglioni, Grant» disse duramente Cameron, facendo un passo verso di lui, come a volerlo aggirare per uscire dal vicolo.
Eric, con un gesto calmo e misurato, mise una mano in tasca e ne estrasse qualcosa.
Jamie trattenne il fiato per un secondo. Lui e Cameron avevano una pistola puntata contro.
«Ora non fai più lo spiritoso, eh, Spencer?» chiese Eric casualmente.
«Cosa vuoi, Grant?» chiese Jamie per impedire all’amico di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire.
«Niente di particolare. Solo che Spencer non partecipi all’incontro di domani.»
Jamie sentì il sibilo sottile di Cameron, furioso, e gli mise istintivamente una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo. La sua impulsività non era la migliore strategia in una situazione come quella.
«Puoi scordartelo» replicò comunque Cameron.
Senza alcun preavviso, i due uomini alle loro spalle si fecero avanti e attaccarono Cameron contemporaneamente. Questi si difese immediatamente, facendo ricorso ad ogni trucco sleale appreso negli anni al Black Hole. Jamie si fece subito avanti per intervenire e dare manforte all’amico, ma qualcosa lo fermò. Il terzo uomo lo aveva bloccato da dietro, le sue braccia strette saldamente contro il suo torace. Si divincolò con rabbia, scalciando, ma improvvisamente qualcosa di gelido gli venne appoggiato sulla tempia. Si immobilizzò.
«Se fossi in te mi darei una calmata, Spencer» disse Eric con calma.
Cameron si girò e vide immediatamente cosa intendeva. Jamie era tenuto fermo da uno degli scagnozzi ed Eric in persona gli teneva la pistola saldamente premuta contro la tempia.
«Ecco, bravo» commentò con soddisfazione quando Cameron si bloccò, smettendo di lottare contro i due avversari. «Non cercare di opporti, se non vuoi che faccia saltare la testa del tuo amico.»
Jamie non poté fare altro che assistere impotente mentre i due uomini si accanivano su Cameron, colpendolo con calci e pugni, violenti, senza scrupoli.
Durò per diversi minuti, fino a quando non fu Eric a fermare quel massacro.
Cameron cadde in ginocchio, il fiato corto, il viso coperto di escoriazioni, tutto il corpo dolorante.
«Molto bene» disse con calma Eric. «Ora spezzategli un paio di costole.»
«No!» protestò con furia Jamie, divincolandosi, ma la presa su di lui si rafforzò e la pistola non si spostò. Anzi, Jamie sentì Eric togliere la sicura.
Uno degli uomini tirò Cameron per i capelli, facendogli raddrizzare la schiena. Jamie incontrò lo sguardo di Cameron e tentò di comunicare con lui –di dirgli qualunque cosa, anche solo che gli dispiaceva, che non avrebbe mai voluto che succedesse una cosa simile. Cameron sostenne il suo sguardo finché non ricevette un calcio sulle costole che gli strappò un grido e lo fece piegare in due. Venne nuovamente tirato su e colpito ancora e ancora, fino a quando i due scagnozzi non furono certi che le costole erano spezzate.
«Ottimo» decretò Eric, «Davvero ottimo. Incassi i colpi piuttosto bene, sai, Spencer? Devo proprio concedertelo.»
«Vaffanculo» ringhiò Cameron, tossendo sangue, ma venne del tutto ignorato.
«Adesso arriviamo alla parte che mi preme di più. Rinuncerai a combattere domani?»
«No» ribatté Cameron con decisione.
«Come vuoi. Un po’ lo speravo, sai? Ora posso divertirmi davvero.» Sorrise ampiamente. «Forse riusciresti a batterti così, anche con le costole rotte, chissà? Ma mi chiedo cosa faresti se a rompersi accidentalmente fossero le braccia.»
Jamie impallidì e vide Cameron fare lo stesso. Poteva immaginare benissimo il terrore dell’amico a quella prospettiva. Un pugile con le braccia rotte non era nulla. Avrebbe dovuto dire addio alla sua carriera.
«No» disse Cameron, furioso, ricominciando con i tentativi di divincolarsi o di alzarsi in piedi, ma i due che lo tenevano fermo gli impedirono di muoversi.
«No! Ti prego, non farlo» pregò Jamie, sentendo le lacrime bruciargli negli occhi.
«Ho una proposta per te, Spencer» disse Eric, fingendo di riflettere. «Ti do la possibilità di andartene liberamente senza toccare le tue braccia. Hai la mia parola d’onore. Ma in cambio… romperò quelle del tuo amico. Cosa ne dici?»
Gli occhi di Cameron si spostarono da Eric a Jamie, quindi tornarono sul primo.
«No» disse con fermezza.
«Insomma, pensaci» proseguì Eric, «A lui non servono così tanto, dopotutto, no? A te, invece… se vuoi continuare a combattere ne hai bisogno.»
«Digli di sì, Cam» mormorò Jamie, guardandolo.
Cameron scosse la testa con veemenza.
«No» ripeté.
«Non essere stupido!» esclamò Jamie. «Digli di sì!»
«Certo che sa essere convincente» commentò Eric. «Quasi quasi lo ascolto, che ne dici?»
«Non toccarlo!» sbottò Cameron, cercando di nuovo di divincolarsi ma non riuscendoci.
«Molto bene» decise Eric. «Hai fatto la tua scelta. Cominciamo subito con il destro, eh?»
Fece un cenno ai due che lo tenevano fermo. Uno gli afferrò il braccio e lo tirò fino a tenderlo.
«No! Non farlo!» insistette Jamie, lottando per liberarsi.
«Non ti muovere» ruggì Eric, premendo la pistola contro la sua tempia con forza.
L’altro uomo prese la mira e colpì con un calcio ben assestato il braccio di Cameron. Jamie emise un singulto strozzato nel sentire il rumore orribile dell’osso che si spezzava. Cameron urlò dal dolore.
«Molto bene, passiamo all’altro» stabilì allegramente Eric.
Cameron, il respiro accelerato e gli occhi serrati, borbottò qualcosa tra i denti.
«Cos’hai detto?» chiese Eric, minaccioso.
«Ho detto… vigliacco» ripeté Cameron a voce più alta. «Hai paura… che possa batterti comunque… anche dopo che mi hai ridotto così. Si vede che… hai un’alta opinione di me.»
Eric sollevò le sopracciglia.
«È questo che pensi?» sbuffò. «Non mi facevi paura neanche prima, Spencer. Volevo darti una lezione.»
Cameron emise un suono che voleva somigliare ad una risata.
«Certo.»
«E sia» concluse Eric. «Ti lascerò il braccio sinistro. Considerami generoso. E ricordati –ricordatevi entrambi- che se qualcuno venisse a sapere di questo incontro non sarei più così clemente.»
Fece un cenno ai suoi compagni, quindi rinfoderò la pistola e si allontanò con loro dal vicolo.
Appena fu libero, Jamie si precipitò al fianco dell’amico.
«Cam!»
«Sto bene» replicò debolmente questi, tentando di mettersi in piedi ma non riuscendoci senza sforzare parti doloranti.
Jamie si inginocchiò al suo fianco e gli mise con cautela una mano sulla spalla sinistra.
«Non è vero, non stai bene» disse cupamente.
«Torniamo a casa» mormorò Cameron senza rispondere.
«No, ti porto all’ospedale.»
Cameron alzò gli occhi e incrociò quelli dell’amico.
«Tu odi gli ospedali» commentò.
«Allora ti lascerò qui a morire dissanguato in un vicolo nella periferia di Chicago» replicò Jamie con simulata leggerezza.
«Adorabile» disse Cameron, raddrizzando la schiena per poi pentirsene. Premette il braccio sinistro contro le costole e imprecò sottovoce.
«Fa male?» indagò Jamie, preoccupato.
«Parecchio» ammise Cameron.
«Riesci ad arrivare fino alla macchina?»
«Credo di sì.»
Jamie lo aiutò ad alzarsi. Cameron mormorò qualche altra imprecazione, ma poi gli mancò il fiato per continuare. Jamie non poté fare a meno di notare il suo pallore, che faceva risaltare ancora di più le ombre violacee dei lividi che si stavano formando. Mise un braccio attorno alle spalle di Cameron e lo sostenne fino al parcheggio, dove salirono in macchina e partirono.
«Avresti dovuto farlo» disse alla fine.
Cameron si strinse al petto il braccio rotto e lo guardò.
«Cosa?»
«Avresti dovuto dirgli di rompere il braccio a me
«Non avrei mai potuto» replicò Cameron con calma, reclinando la testa indietro e chiudendo gli occhi.
«Ora cosa farai?»
«Beh, pare che non dovrò più scegliere tra boxe e università.»
Jamie sospirò.
Rimasero in silenzio fino all’arrivo al pronto soccorso. Cameron venne immediatamente affidato alle cure dei medici e Jamie si lasciò cadere su una sedia di plastica in un corridoio.
La scena era angosciante per lui.
Gli ricordava il periodo che aveva trascorso nell’ospedale di Prescott, cinque anni prima, subito dopo l’Incidente. Allora però la situazione era invertita: era stato Cameron ad aspettare con ansia in un corridoio –e lui non sapeva se Jamie ne sarebbe uscito vivo.
Jamie cominciò a capire come doveva essersi sentito, e per la milionesima volta sentì le spine familiari del pentimento e del senso di colpa che si facevano strada nella sua mente.
Sospirò e si rassegnò a passare una nottataccia.

Cameron si risvegliò dall’anestesia la mattina seguente.
Aprì gli occhi e, confuso, si rese conto di non trovarsi a casa. Impiegò diversi secondi per ricordare quello che era successo e dove si trovava.
Voltò la testa e inquadrò Jamie nella sua visuale: era seduto accanto al suo letto.
«Ehi» lo chiamò, la voce leggermente roca.
Jamie, perso nei suoi pensieri, sussultò.
«Oh! Sei sveglio. Come ti senti?»
«Insomma.» Tentò di mettersi a sedere ma una fitta violenta alle costole gli fece cambiare idea. «Sono stato meglio.»
«Il dottore ha detto che ti ha ingessato il braccio e ricucito le ferite più brutte, ma per le costole non c’è molto da fare. Devi stare a riposo.»
«Merda. C’è l’incontro, stasera.»
«Niente da fare. Non puoi andarci.»
«È già programmato… se manco, non potrò partecipare ad altri incontri. Non potrò affrontare Grant.»
«Cam, non puoi combattere in quello stato. O meglio, potresti –ma con un braccio e due costole rotte, nonché pieno di lividi ovunque, dureresti meno di un minuto.»
Cameron sospirò, il che gli fece male alle costole. Fece una smorfia.
«Tanto è inutile» stabilì. «In ogni caso, non riuscirò più a combattere. Tanto vale che non mi faccia più vedere.»
«Non dire così. Guarirai.»
«E nel frattempo perderò il posto in Silver League. E in ogni caso non sarà più come prima.»
«Senti, Cam, troverai una soluzione. Pensarci adesso non farà altro che deprimerti.»
«Sì, d’accordo. Tanto non c’è nessuna soluzione da trovare. I soldi che abbiamo messo da parte basteranno fino alla laurea, mancano pochi mesi. Non ho più bisogno di boxare.»
«Non si tratta di soldi, e neanche della laurea. Voglio che tu torni sul ring ad affrontare Grant, quando sarai guarito.»
«No. Questa è la fine. Punto. Niente più boxe. Mi concentrerò sulla laurea, è la cosa più importante.»
«No che non lo è.»
«Non lo pensi davvero.»
«Se non lo pensassi, in questo momento starei sostenendo il mio esame, invece di essere qui.»
Cameron batté le palpebre.
«Oh, Dio. Mi ero dimenticato… hai studiato mesi per quell’esame, Jamie!»
«Non potevo mica mollarti da solo in ospedale, no?»
«Non avresti dovuto farlo.»
«E tu non avresti dovuto lasciare che Grant ti rompesse il braccio.»
Cameron tacque per un po’.
«Grazie» disse alla fine.
Lo sguardo di Jamie si addolcì.
«Grazie a te.»
«Non deve essere facile essere di nuovo qui, eh?»
Jamie si strinse nelle spalle.
«Essere dall’altra parte era peggio» si limitò a dire, e Cameron non insistette. Sapeva che a Jamie non piaceva parlare dell’Incidente.


X X X

Prescott

Era stato Cameron a trovarlo. Ricordava quel giorno come il più spaventoso della sua vita.
Avevano entrambi sedici anni e progettavano di andare ad una festa organizzata da una ragazza della scuola, molto popolare, alla quale avevano strappato incredibilmente un invito.
Aveva suonato il campanello a casa di Jamie, ma nessuno gli aveva risposto. Non era la prima volta che capitava: sapeva che spesso il padre di Jamie gli impediva di uscire. Perciò aveva deciso di entrare dal balcone, che distava da quello della sua stanza solo un paio di metri. L’aveva già fatto mille altre volte, dopotutto.
La porta-finestra era aperta. Cameron era entrato nella camera di Jamie e lo aveva chiamato sottovoce, ma non aveva ricevuto risposta.
Stava già per andarsene, convinto che veramente l’amico non ci fosse, quando un suono flebile aveva attirato la sua attenzione. Proveniva dal bagno.
Cameron aveva pensato che si trattasse di Rocky, il gatto di Jamie. Aveva aperto la porta e lo spettacolo che gli si era parato davanti lo aveva colpito con la forza di un uragano, togliendogli il fiato.
Jamie giaceva a terra, scomposto, in una pozza di sangue scarlatto che si stava espandendo sempre di più, partendo dai suoi polsi. Accanto a lui, una lametta insanguinata.
Cameron aveva urlato, colto da un terrore profondo, prima di gettarsi a terra al fianco dell’amico. Aveva freneticamente afferrato il cellulare dalla tasca per comporre il 911, che gli aveva assicurato che sarebbe arrivato immediatamente qualcuno.
«Jamie» lo aveva pregato, disperato. «Jamie… Jem, ti prego, apri gli occhi. Jamie…»
Jamie aveva socchiuso le palpebre, confuso e annebbiato.
«Cam?» aveva mormorato.
«Sì! Sì, sono io. Sono qui, Jamie. Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene, te lo prometto.»
Jamie aveva sussurrato qualcosa di indistinguibile prima di sprofondare di nuovo in uno stato di incoscienza dal quale non si sarebbe svegliato per molte ore.
Ore che Cameron aveva passato in ospedale, insieme ai suoi genitori e a quelli di Jamie, in attesa di sapere se il suo migliore amico ce l’avrebbe fatta.
L’avevano interrogato.
Uno psicologo gli aveva fatto delle domande su Jamie, sul loro rapporto, su quello che sapeva della sua vita famigliare; un poliziotto aveva voluto sapere tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Poi, finalmente, Jamie si era risvegliato, dopo due giorni di coma. Cameron era accanto a lui e gli aveva stretto la mano, ma con delicatezza.
Per settimane Jamie aveva tenuto le bende attorno ai polsi, e anche quando le aveva tolte aveva cominciato a portare delle fasce scaldamuscoli per nascondere le cicatrici.
Lui e Cameron non ne avevano mai parlato molto. Non ce n’era mai stato bisogno.
Ma Cameron aveva passato centinaia di notti succube di incubi che lo mettevano di fronte a quell'oggetto banale, una lametta, che si stagliava nitida su un lago di sangue.

X X X

Chicago-nowadays

Jamie telefonò a decine di persone, alla ricerca di qualcuno che potesse sostituire Cameron nel match di quella sera, ma nessuno accettò. Si trattava di un incontro importante, ma molto difficile e senza dubbio agguerrito, e non valeva la pena di affrontarlo solo per ricevere qualche centinaio di dollari, senza poi entrare effettivamente nella Golden League.
Quel pomeriggio accompagnò a casa Cameron, ancora fuori fase per colpa dell’anestesia, e poi raggiunse il Boxing Club.
Parlò con Aaron Smith, l’uomo che aveva assistito all’incontro al Black Hole, e gli disse che Cameron non avrebbe potuto gareggiare quella sera né le successive per colpa di una improvvisa mononucleosi.
Come Jamie aveva previsto, Smith gli disse che avrebbe potuto posticipare i futuri incontri, ma quella sera qualcuno avrebbe dovuto gareggiare, o Cameron sarebbe stato buttato fuori.
Jamie rifletté a lungo sul da farsi, e alla fine giunse ad una conclusione, per quanto non gli piacesse affatto.
Quella sera, quando il gong suonò, davanti all’avversario attualmente primo in classifica della Silver League –il cui soprannome era Tornado, chissà perché- c’era proprio Jamie, il cuore in gola, che si stava già pentendo della sua scelta.
Non combatteva seriamente da anni. Non si poteva dire che fosse fuori allenamento, perché continuava ad aiutare Cameron, ma non era esattamente la stessa cosa.
L’ultima volta in cui aveva partecipato ad un incontro legale aveva diciassette anni; poi ne aveva affrontati un paio al Black Hole, rinunciandovi però in fretta.
Tornado si fece avanti, minaccioso, i pugni alzati. Jamie trattenne un sospiro rassegnato prima di cominciare.
Sapeva che il pubblico era piuttosto numeroso, ma per fortuna non urlava come quello del Black Hole e gli permetteva di concentrarsi.
Alzò la guardia e parò immediatamente il primo attacco dell’avversario. Gli sembrava di sentire nella mente la voce di suo padre, il che non era mai un buon segno. Gli intimava cose come “tieni alte le braccia!”, “gomito a novanta gradi!” e “occhi sull’avversario!”. Naturalmente, se fosse stato lì davvero, avrebbe aggiunto al tutto vari insulti di diverso genere, inclusi i suoi preferiti, “ragazzina” e “perdente”.
Tornado eseguì una serie di combinazioni rapide che portarono Jamie nell’angolo. Incassò diversi colpi prima di riuscire, con una serie di colpi allo stomaco, a spingere via l’avversario.
Continuarono a muoversi rapidi per tutto il ring, testandosi a vicenda, fino allo scadere dei tre minuti della prima ripresa.
Jamie indietreggiò, osservando il coach di Tornado che gli parlava rapidamente. Lui aveva pagato cinque dollari un altro pugile perché rimanesse dietro al ring, fingendo di avere quel ruolo. Non era proprio la stessa cosa, ma bisognava accontentarsi.
Il tipo che aveva assunto si fece avanti e gli sorrise con ironia.
«Ora che ha preso le misure, ti farà fuori in questa ripresa.»
Jamie ricambiò il sorriso, vagamente teso.
«Grazie davvero.»
Il pugile si strinse nelle spalle e non aggiunse altro.
Ben presto cominciò la seconda ripresa.
Come predetto, Jamie la trovò sensibilmente più difficile. Tornado non voleva più studiarlo, ma abbatterlo. Allenandosi con Cameron, Jamie aveva sviluppato una certa abitudine ad incassare i colpi, ma non se vibrati con tanta violenza e pura forza bruta. Si ritrovò a terra, stroncato da un diretto che lo aveva colto al mento, trovandolo con la guardia abbassata. Riuscì comunque a rialzarsi prima dei dieci secondi contati dall’arbitro, e la seconda ripresa finì così.
Si ritrasse di nuovo e imprecò sottovoce. Si sentiva a pezzi. Aveva un taglio che sanguinava sul mento e lo stomaco, sul quale Tornado aveva infierito ripetutamente, gli doleva incredibilmente.
«Beh, complimenti, hai resistito» commentò il suo presunto coach. «Ma forse avresti fatto meglio a non alzarti. Adesso Tornado è incazzato.»
Jamie non lo degnò di una risposta. Saltellò sul posto per non far raffreddare i muscoli e aspettò l’inizio della terza ripresa.
Era più stanco, stavolta, e, se Tornado lo era a sua volta, non lo dava a vedere. Jamie incassò altri colpi allo stomaco, sempre più forti, e cadde di nuovo. Prese in seria considerazione l’ipotesi di aspettare i dieci secondi di rito e perdere, ma stavolta la voce nella sua testa suonò come quella di Cameron. “Alzati, idiota!”, gli intimò, e Jamie obbedì senza riflettere.
La testa gli girava un po’, non era più tanto stabile, ma si impegnò al massimo. Se avesse vinto, avrebbe permesso a Cameron di giocare in Golden League, il che significava che avrebbe potuto affrontare Eric Grant. Jamie rivide ciò che era successo ventiquattro ore prima in un vicolo lì accanto. Risentì la pistola fredda premergli contro la tempia e le braccia che lo tenevano immobile e lo costringevano ad assistere mentre Cameron veniva picchiato, il suo braccio spezzato.
Nella combinazione che seguì, Jamie, alimentato dalla rabbia scaturita da quelle immagini, tirò fuori un’energia nuova e feroce. Incassò i pugni di Tornado, che miravano allo stomaco già indebolito per sfinirlo del tutto, e rispose con una serie di colpi –destro, sinistro, montante! Destro, sinistro, destro, jab- che colsero Tornado impreparato. Un montante ben assestato al suo addome lo gettò a terra.
Dieci, nove, otto-
Jamie fece un passo indietro, pregando.
Sette, sei, cinque-
Tornado si mosse debolmente, spostandosi su un fianco.
Quattro, tre-
Si girò, sollevò appena la testa.
Due, uno!
La testa di Tornado ricadde sul ring quando l’arbitro annunciò il KO. Jamie lasciò che gli sollevasse in alto il pugno per sancire la sua vittoria, ancora incredulo.
Quando realizzò che non stava sognando, che aveva vinto davvero, scese dal ring e si limitò a dirigersi verso gli spogliatoi. Si svestì con gesti meccanici, togliendosi i guantoni con le mani che tremavano leggermente e gettandosi sotto la doccia gelata, che lo aiutò a schiarirsi le idee. Il suo primo incontro di boxe da una vita… e aveva vinto.
Suo padre non ci avrebbe mai creduto.
Non che avrebbe mai dovuto dirglielo.
Piegò la testa all'indietro e lasciò che l’acqua scorresse via, portando con sé il suo strano desiderio di non salire mai più su un ring.

Cameron stava già dormendo quando Jamie aprì la porta, ma il rumore lo svegliò. Sentì l’amico gettare a terra il borsone, entrare in bagno e uscirne dopo un paio di minuti. Quando entrò in camera si rese conto che lui non dormiva.
«Oh, ciao. Come stai?»
«Meglio» replicò Cameron, mettendosi a sedere con una smorfia. «Allora, com’è andata?»
Conoscendo Jamie, pensava che ci avrebbe girato intorno, scherzando, ma non fu così.
«Sei passato in Golden League» annunciò stancamente.
Cameron spalancò gli occhi.
«Sul serio?» chiese.
«Sì. Smith ha accettato di non fissarti incontri per almeno un mese. Gli ho detto che hai la mononucleosi.»
«Chi ha combattuto? Charlie? Dave?»
Jamie sospirò, sedendosi sul bordo del proprio letto.
«Nessuno ha accettato, perciò ho combattuto io.»
«Tu-cosa?» Cameron lo fissò, sconcertato. «Tu hai combattuto contro Tornado? E hai vinto
«Non è il caso di stupirsi così tanto» commentò Jamie, gli occhi bassi.
«Non sono… stupito. Cioè, sì, lo sono, ma non che tu abbia vinto, che tu abbia partecipato. Perché lo hai fatto?»
Jamie alzò le spalle.
«Perché altrimenti saresti stato squalificato» rispose semplicemente.
Cameron fece per dire qualcosa, ma parve ripensarci. Decise di non commentare ulteriormente il fatto che avesse partecipato.
«Raccontami dell’incontro» gli ordinò. «È stato difficile? Quante riprese avete fatto?»
Jamie cominciò a parlare e Cameron lo ascoltò interessato, facendo delle domande. Quando il racconto fu concluso, Jamie sospirò.
«Ora è meglio che io vada a dormire. Sono a pezzi.»
«Aspetta» intervenne Cameron, deciso, alzandosi in piedi ma tenendo la mano sinistra premuta sulle costole. «Se vai a dormire così, domani non riuscirai ad alzarti dal letto. Vado a prendere la crema.»
Jamie sapeva di cosa si trattava perché gliel’aveva applicata lui stesso decine di volte. Era un unguento all’arnica e alla calendula che calmava il dolore e attenuava il gonfiore dei lividi. Certo, finora lui non ne aveva avuto bisogno.
Cameron tornò e si sedette accanto a lui, sempre con molta cautela per non sforzare le costole rotte. Jamie alzò pazientemente la testa per permettergli di disinfettare il taglio sul mento, che venne poi coperto da un cerotto. Quindi si sfilò la maglietta.
«Wow» commentò Cameron. «Certo che Tornado si è dato da fare.»
Jamie abbassò gli occhi e prese in considerazione i vari lividi che gli ricoprivano il torace, e in particolar modo la zona dello stomaco.
«Direi di sì» convenne, appoggiando la schiena alla testiera del letto.
Cameron aprì il tubetto e spremette una generosa quantità di crema sulla proprie mani prima di cominciare il massaggio, il tutto usando solo la sinistra, visto che il braccio destro era ingessato.
«È gelata» si lamentò Jamie.
«Quando lo dico io, mi dai della bambina piagnucolosa» ribatté Cameron.
«È completamente diverso» affermò Jamie, e chiuse gli occhi, esausto.
Rimasero in silenzio per un po’.
«Cosa c’è che non va, Jamie?» chiese Cameron alla fine, mentre gli spalmava la crema sulle spalle tese.
Lui, gli occhi ancora chiusi, esitò. Sperava che Cameron non si fosse accorto di nulla, ma si conoscevano da talmente tanto tempo che sarebbe stato impossibile.
«Niente» rispose comunque. «Semplicemente… ricordi.»
«Brutti ricordi?»
«Solo ricordi.»
Cameron prese altra crema e proseguì il massaggio.
«Si tratta di tuo padre, vero?» domandò cautamente.
Un attimo di silenzio.
«Non posso non pensarci, quando si tratta di boxe» replicò debolmente Jamie. «Ma non è nulla di grave. Solo brutti pensieri.»
«Non era il caso che combattessi.»
«Dobbiamo veramente riprendere questo tipo di conversazione, Cam?» sospirò Jamie. «”Non era il caso che perdessi l’esame”, “non era il caso che combattessi”…»
«”Non era il caso che ti facessi rompere il braccio”» gli fece il verso Cameron.
«Sono contento di averlo fatto» affermò Jamie, quindi sussultò quando Cameron cominciò a spalmare la crema sul suo stomaco. «Ah… fai piano.»
«Scusa» disse automaticamente Cameron.
Proseguì senza dire nulla. Il silenzio, lungi dall’essere imbarazzante, era tranquillo e riposante. Jamie riaprì gli occhi solo quando sentì la mano di Cameron fermarsi, qualche minuto dopo. Incrociò il suo sguardo, quegli occhi così familiari, e non riuscì a distoglierlo. Rimasero così per qualche secondo prima che Cameron sorridesse e indietreggiasse.
«Meglio?» volle sapere.
«Molto. Grazie» replicò Jamie, leggermente confuso, scivolando sotto le coperte dopo essersi rivestito.
«Grazie a te.»
Spensero la luce e il silenzio tornò, ma l’atmosfera era diversa, anche se nessuno dei due avrebbe saputo dire in che modo.

Tornare ad allenarsi al Boxing Club era impossibile, visto che Cameron avrebbe dovuto essere a letto ammalato, perciò Jamie propose di tornare al Black Hole.
La prima risposta di Cameron fu un secco no. Disse che non sarebbe mai riuscito a fare nulla con un solo braccio e con le costole rotte, e tantomeno con il corpo dolorante per il pestaggio.
Ma Jamie insistette in modo così fastidioso, facendogli notare che lui aveva combattuto soltanto per dargli la possibilità di affrontare finalmente Eric Grant, che alla fine Cameron cedette.
Nei dieci giorni che lo separavano dalla rimozione dell’ingessatura al braccio si limitò ad esercitarsi con flessioni, addominali ed esercizi a terra, sempre al sicuro delle mura domestiche.
Poi, il primo pomeriggio disponibile, Jamie riuscì a convincerlo ad andare al Black Hole.
Duncan li accolse volentieri, senza fare troppe domande, e mise a loro disposizione la piccola, polverosa palestra dove si allenavano di solito. Cameron si guardò intorno con nervosismo, riconoscendo molte facce note che lo salutarono con cenni e sorrisi.
«Non posso farlo» disse sottovoce.
«Certo che puoi» ribatté Jamie, dopo che ebbe lasciato felpa e borsone nella stanza soffocante che fungeva da spogliatoio. Allungò a Cameron i guantoni. «Avanti» lo invitò.
Cameron esitò, quindi si arrese e li prese, usando la mano sinistra. Era ancora molto cauto nell’utilizzare la destra.
Jamie attese che li infilasse prima di posizionarsi dietro al sacco da boxe e tenerlo fermo. Gli fece un cenno di incoraggiamento.
Cameron sospirò, sciolse le spalle e cominciò con qualche diretto sinistro prima di tentare con il destro. Al primo colpo, gli sfuggì una mezza imprecazione e si ritrasse.
«Merda» sibilò.
«Dai» insistette Jamie. «Riprovaci. Sinistro, destro, montante.»
Cameron sbuffò, ma obbedì senza protestare. Il braccio destro cedette nuovamente, ma stavolta Jamie non dovette più incoraggiarlo a riprovare. Ripeté la combinazione più e più volte, ma il braccio raramente resistette allo sforzo. Il più delle volte mandava delle fitte lancinanti oppure rifiutava di colpire il sacco con forza sufficiente a smuoverlo.
Stavolta Jamie dovette fermare Cameron dopo quasi venti minuti di colpi furiosi e mal riusciti.
«Cam, basta. Aspetta» disse con calma, lasciando andare il sacco.
Cameron fece un passo indietro e prese fiato, asciugandosi il sudore dalla fronte con la maglietta, gli occhi stretti.
«Mi stanno guardando tutti» disse a denti stretti. «Sono uno spettacolo pietoso.»
Jamie non contraddisse la prima parte dell’affermazione, perché effettivamente metà degli occupanti della palestra avevano continuato a lanciare occhiate curiose e sprezzanti per tutta la durata del loro allenamento.
«Ignorali» disse. «Chi non ha mai avuto una ferita ride di chi ne porta i segni.»
«Facile a dirsi, per te» replicò Cameron, acido.
Jamie strinse gli occhi, quindi, senza distogliere lo sguardo da quello dell’amico, si sfilò con decisione gli scaldamuscoli dai polsi, gettandoli a terra.
«È troppo presto per il sacco» disse. «Proviamo con delle flessioni con un braccio solo, per stimolare il tono muscolare.»
Cameron lo guardò con stupore. Non ricordava di aver mai visto Jamie senza un paio di scaldamuscoli o una maglia a maniche lunghe da quando si era verificato l’Incidente. Non poté fare a meno di notare che le cicatrici che gli sfregiavano i polsi erano ancora evidenti e in rilievo. Annuì appena e si mise a terra.
«Coraggio. Prova con due braccia, prima» lo esortò Jamie, abbassandosi al suo fianco.
Cameron eseguì. Non trovò particolari difficoltà, ma si rese conto di sforzare il sinistro molto di più quando fece il primo, goffo tentativo di sollevarsi sul destro soltanto. Non vi riuscì e dovette soffocare un gemito di dolore.
Riprovò ancora e ancora finché non vi riuscì, anche se a fatica. Continuò a lungo, finché Jamie non suggerì di prendersi una pausa, per evitare di sforzare eccessivamente il braccio con il rischio di peggiorare la situazione.
Cameron accettò di buon grado, ma meno di mezz’ora dopo era di nuovo lì ad allenarsi, deciso, fingendo di non notare gli sguardi della gente.

«Jamie» lo chiamò Cameron.
Lui alzò gli occhi. Stava studiando, seduto in equilibrio precario su una vecchia cavallina, nella palestra del Black Hole.
«Che c’è?»
Cameron gli lanciò qualcosa, che Jamie, dopo aver afferrato istintivamente, si rese conto essere un paio di guantoni da boxe. Sospirò e rinunciò a studiare, chiudendo il libro e raggiungendo l’amico.
«Il ring è libero. Voglio scoprire se sono ancora in grado di batterti.»
Jamie acconsentì. Erano passati diversi giorni dal primo allenamento di Cameron dopo l’aggressione, e finora non aveva ancora provato un vero e proprio incontro sul ring. In compenso, il braccio destro era lentamente migliorato, anche se Jamie notò che la posizione di guardia dell’amico era al contrario ora, con il braccio sinistro davanti, come quella dei mancini. Non c’era molta gente in palestra quel giorno, per fortuna, il che doveva aver indotto Cameron a decidersi a provare a combattere di nuovo.
Jamie terminò di allacciarsi i guantoni e fece un cenno a Cameron, che attaccò per primo.
Jamie parò i colpi senza difficoltà, e per i primi minuti i due furono alla pari. Poi Jamie decise di sfruttare la debolezza di Cameron sul lato destro per bloccarlo, e con un colpo più deciso lo chiuse nell’angolo, per poi colpirlo un paio di volte prima di ritrarsi.
Cameron lo guardò con un’espressione che oscillava tra lo stupore, l’offesa e la rabbia.
«I tuoi avversari non esiteranno a sfruttare ogni mancanza» spiegò Jamie. «Devi proteggere di più la destra.»
Cameron annuì rigidamente prima di riprendere. Stavolta ballarono più a lungo, cercando di sopraffarsi a vicenda, finché Jamie non colpì, involontariamente, le costole doloranti di Cameron, che sussultò ed emise un gemito di protesta. Jamie si immobilizzò e Cameron decise di sfruttare il fatto a suo vantaggio, cogliendolo con la guardia abbassata e spingendolo a terra senza troppa fatica.
«Sei uno stronzo» annunciò Jamie, mentre Cameron gli teneva le spalle premute contro il tappeto per impedirgli di muoversi.
«Cinque, quattro, tre, due, uno!» concluse allegramente Cameron. «Knock Out. Ho vinto. E ho solo sfruttato una tua debolezza.»
«Sì, ma nessun avversario smetterà di colpire se ti lamenterai» replicò Jamie.
«Tu l’hai fatto, però, e in questo momento il mio avversario sei tu» ribatté con leggerezza Cameron.
«Touchè» ammise Jamie, accettando la mano di Cameron per rialzarsi.
«Cameron Spencer!» esclamò una voce allegra alle loro spalle.
Si voltarono entrambi. Alice Grant, sorella di Eric e vecchia fiamma di Cameron, li osservava con vivacità. I suoi capelli neri erano stati tagliati di recente e ora non arrivavano a coprirle il collo. Indossava una canottiera bianca e shorts militari, con scarpe da ginnastica di vernice fucsia che fecero fare una smorfia a Jamie.
«Alice» la salutò Cameron. « È bello rivederti.»
«Anche per me. Sono mesi che non metti il naso qui dentro. Solo perché sei nella Golden League non significa che devi dimenticare da dove vieni.»
«Non l’ho fatto» replicò Cameron.
«Beh, è da una vita che io non annuncio il tuo nome! Se ti va, posso organizzarti un incontro con il nostro campione in carica.»
«Sarebbe fantastico. Che ne dici di parlarne stasera a cena?»
«Sei sempre il solito» si lamentò Alice, ma sorrideva. «A che ora?»
«Passo da te alle otto?»
«D’accordo. A stasera, dolcezza.»
Alice si allontanò e Cameron scese dal ring con un sorriso compiaciuto.
Quella notte, quando Cameron tornò, erano passate le due e Jamie fece finta di dormire.

Jamie era disteso sul proprio letto e stava leggendo un romanzo. Con la coda dell’occhio osservava Cameron che faceva qualche flessione sul pavimento della camera da letto.
«Sei migliorato» commentò quando l’amico passò a sollevarsi sul solo braccio destro.
Cameron terminò la serie e rotolò sul pavimento per rimettersi in piedi.
«Non abbastanza» replicò con amarezza. «Non è più come prima.»
«No, ma hai rafforzato molto il sinistro. Hai compensato. Credo che non avrai problemi.»
«Non so. Alice mi ha fissato un incontro la prossima settimana, ma non credo che confermerò.»
«Dovresti. Sai che il Black Hole è una buona palestra per testare cosa sei in grado di fare.»
«Sì, ma se dovessi perdere?»
«Immagino che la tua autostima potrebbe scendere di qualche punto, ma resterebbe ancora più alta di quella di chiunque altro.»
Cameron ridacchiò e si sedette sul bordo del letto di Jamie.
«Comunque è possibile che io perda, se non probabile.»
«E allora? Hai già perso, qualche volta. Sarebbe una tragedia così grande?»
«Non lo so. Forse.» Cameron posò per caso gli occhi sui polsi di Jamie, scoperti, e sulle cicatrici profonde che li segnavano.
Jamie seguì il suo sguardo e sospirò.
«Ci sono cose peggiori che perdere un incontro, Cam. Se anche succedesse, cosa cambierebbe? Ci proveresti di nuovo, finché alla fine non riusciresti a vincere. Sai che è così. La cosa peggiore che potrebbe capitare è che io perda i soldi della scommessa.»
«Stai dicendo che scommetteresti ancora su di me?» domandò Cameron, scherzando solo per metà.
«Io scommetterò sempre su di te» rispose tranquillamente Jamie, guardandolo con serietà.
Cameron sorrise e, con un movimento sicuro e fluido, si chinò sull’amico e gli posò un casto e veloce bacio sulle labbra. Jamie spalancò gli occhi e colse il sorriso di Cameron, che si ritrasse e tornò sul proprio letto.
«Buonanotte» disse, spegnendo la luce.
«Buonanotte» replicò Jamie debolmente, cercando di capire cosa diamine fosse successo.

Alla fine Cameron si convinse e accettò di partecipare ad un incontro al Black Hole qualche giorno dopo.
Il suo avversario, Laurent, era una delle vecchie glorie del pugilato che ruotavano intorno agli incontri clandestini. Dimostrava almeno quarant’anni, ma era ancora in ottima forma e superava in altezza Cameron di quasi dieci centimetri.
Alice annunciò i loro nomi con entusiasmo e il pubblicò ruggì, felice di rivedere il campione nell’arena di cemento.
Jamie, dalla sua solita vecchia postazione al di fuori del quadrato tracciato a terra, osservava l’incontro con una certa ansia.
La prima ripresa fu difficile. Dopo pochi colpi, Jamie capì che Laurent aveva intuito la debolezza di Cameron sulle costole e continuò a mettere a segno pugni su pugni su quella zona, sfruttando anche le mancanze di Cameron sul lato destro.
La seconda ripresa fu disastrosa. In pochi secondi Laurent riuscì a mettere Cameron all’angolo e lo tempestò di pugni sull’addome, sulle costole e in viso, finché Cameron non finì a terra.
Alice contò fino a dieci a voce alta, mentre il pubblico scherniva Cameron con furore.
Laurent venne dichiarato vincitore e Jamie si affrettò a raggiungere l’amico.
«Cam» mormorò, chinandosi accanto a lui. «Stai bene?»
Cameron respinse i suoi tentativi di aiutarlo e si alzò faticosamente in piedi.
«Sto bene» ringhiò.
Alice li raggiunse.
«Vuoi venire da me, stasera, Cameron?» gli propose, sbarazzina, senza curarsi dell’espressione tesa del ragazzo. «Ti offro qualcosa da bere e ti fisso un altro incontro. Ti riscatterai in fretta.»
Jamie si aspettava che Cameron rifiutasse bruscamente l’offerta, ma avvenne l’opposto.
«D’accordo. Jamie, non aspettarmi alzato» disse brevemente, prima di allontanarsi verso l’uscita insieme ad Alice.
Jamie rimase solo, perplesso e ferito, e con un sospiro si decise a tornare a casa.

Quando la porta si aprì, Jamie era ormai addormentato. Cameron raggiunse la loro camera da letto e osservò cupamente la sagoma del suo migliore amico sotto alle coperte.
Sospirò silenziosamente, incerto se svegliarlo o meno. Alla fine mise da parte l’orgoglio e lo chiamò.
«Jamie?»
Lui, che evidentemente non dormiva profondamente, si rigirò e aprì gli occhi, gonfi di sonno.
«Eh?» borbottò.
«Credo di… aver bisogno di una mano» ammise controvoglia Cameron.
Jamie diede un’occhiata alla sveglia sul comodino: erano quasi le tre del mattino. Sbuffò, accese la luce e si tirò a sedere.
«Cosa c’è?» domandò.
«Le costole mi fanno un male terribile» disse Cameron a denti stretti.
Jamie scacciò il sonno, realizzando che Cameron, abituato ai dolori che derivavano dal fare a pugni tutto il giorno, non l’avrebbe svegliato se la situazione non fosse stata grave.
Prese il tubetto di crema dal cassetto dove l’aveva lasciata e gli fece cenno di avvicinarsi. Cameron obbedì, docile, e si sedette sul letto dell’amico.
«Preferisci andare in ospedale?» chiese Jamie, lanciandogli un’occhiata inquisitoria.
«No! Non è il caso.»
Jamie non insistette. Cameron tentò di sfilarsi la maglietta, ma il movimento risultò troppo doloroso e gli strappò un suono strozzato. Allora Jamie si sporse per aiutarlo.
«Dove sei stato?» gli chiese casualmente.
«Da Alice» replicò Cameron.
Jamie gli sfilò la t-shirt dal capo e gli fece cenno di stendersi. Cameron eseguì con movimenti cauti. Jamie aggrottò la fronte nel vedere l’estensione del livido violaceo che campeggiava a livello delle costole.
«Hai esagerato, stavolta» lo rimproverò. «Avresti dovuto arrenderti.»
«E dargli quella soddisfazione? Non credo proprio» ribatté con decisione Cameron.
«Hai ragione. Molto meglio farsi massacrare e mettere a rischio la possibilità di tornare a combattere nella Golden League, per non parlare di affrontare Eric Grant.»
Il tono di Jamie era così brusco che Cameron lo guardò con un sopracciglio sollevato.
«Qual è il problema, Jamie?» chiese.
«Io non ho nessun problema.» Jamie svitò il coperchio della crema senza guardare l'amico. «Tu ti sei fatto picchiare, hai perso, mi hai mollato al Black Hole per andartene con Alice, sei tornato alle tre del mattino e mi hai svegliato per farti rimettere in sesto, e chiedi a me qual è il problema?»
«È perché me ne sono andato con Alice, quindi?»
«Non ha niente a che vedere con Alice!» sbottò Jamie, cominciando a spalmare la crema sul torace di Cameron con troppa energia, facendolo sussultare.
«E allora cosa c'è che non va?»
«Nulla. Non mi piace vederti ridotto così.»
«Dovrai abituartici, temo.»
«Che fine ha fatto la tua leggendaria autostima?» domandò cupamente Jamie.
«Ovunque sia finita, probabilmente lì c'è anche il tuo senso dell'umorismo.»
Jamie alzò gli occhi al cielo e continuò a spalmare la crema lenitiva, ma con meno forza.
Rimasero a lungo in silenzio.
«La prossima volta andrà meglio» disse alla fine Jamie.
«Forse. Ma mancano meno di due settimane al mio primo incontro in Golden League, e in questo stato non riuscirò mai a vincere.»
«Devi continuare ad allenarti, Cam, e non sottovalutare più nessun incontro.»
«Poco più di due settimane fa avrei battuto quel Laurent a occhi chiusi.»
«Le cose sono diverse, adesso. Ma se non perderai tempo ad autocommiserarti, vedrai che tornerai in sesto.»
«E tu continuerai a scommettere su di me, nel frattempo?»
«Sì, ma non troppo. Dobbiamo pur pagarlo, l'affitto.»
«Che stronzo!» protestò Cameron, ma rideva.
Jamie si rilassò, finalmente. Terminò di passare la crema con cautela sul livido violaceo che faceva mostra di sé sul torace di Cameron, quindi la richiuse e la ripose nel cassetto.
«Fatto» annunciò. «Ma sappi che sarai a pezzi, domattina.»
«Lo sono già adesso» replicò Cameron, cercando di tirarsi a sedere senza sforzare le costole.
«Te lo meriti.»
«Ti ho mai detto che sei adorabile?»
«Non abbastanza spesso.»
«Allora sarà meglio rimediare.»
Con quell'ultima battuta, Cameron si avvicinò all'amico, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. Lo guardò come a chiedergli il permesso. Jamie, il respiro bloccato, ricambiò lo sguardo, senza riuscire a muoversi o a scostarsi. Poi Cameron si fece sempre più vicino, chiuse gli occhi e Jamie fece lo stesso. Sentiva il proprio cuore battere veloce, e accelerare ancora quando finalmente le labbra di Cameron toccarono le sue.
Le mani di Cameron si posarono una sulla sua spalla e l'altra sulla sua vita, attirandolo più vicino a sé. Jamie assecondò il movimento e, ripresosi dallo shock iniziale, iniziò a rispondere al bacio.
Tutti i suoi dubbi e le sue paure divennero una nube indistinta che si fece sempre più lontana, finché, mentre la sua schiena scivolava sulle coperte e la sua testa affondava nel cuscino, scomparve del tutto e non si fece più vedere.

A svegliarli fu il suono squillante del campanello.
Jamie brontolò qualcosa di indefinito, rigirandosi nel letto. Cameron aprì gli occhi, strofinandoseli con una mano, assonnato. Incontrò lo sguardo appannato di Jamie e un sorriso gli nacque sulle labbra.
«Buongiorno» mormorò.
«Buongiorno» replicò Jamie con uno sbadiglio.
Il campanello suonò di nuovo.
«Vado io» decise Cameron, alzandosi e vestendosi rapidamente.
Jamie si stiracchiò pigramente prima di seguire il suo esempio.
«Oh, ciao» sentì Cameron dire.
Poi udì un'altra voce, stavolta femminile, e la riconobbe subito: era Alice. Si vestì con calma prima di raggiungere i due all'ingresso.
«Jamie» disse Cameron allegramente, «Io esco con Alice. Ci vediamo in palestra stasera?»
Jamie sbatté le palpebre, colto di sorpresa.
«Io -sì, ok.»
«A dopo, allora» concluse l'altro con un sorriso distratto, afferrando il giubbotto dall'appendiabiti e chiudendosi la porta alle spalle.
Jamie sentì la risatina di Alice attraverso la porta e respirò profondamente.
Non si sarebbe arrabbiato; non ne valeva la pena. Probabilmente Cameron aveva organizzato già il giorno precedente di uscire con lei e si era dimenticato di parlargliene. Certo, avrebbe preferito che, perlomeno, facessero colazione insieme per parlare di quello che era successo, ma non significava nulla. Vivevano insieme: avrebbero avuto un sacco di tempo per discuterne.
Quindi tirò fuori i libri, si preparò un caffè e iniziò a studiare.

Cameron arrivò in ritardo quella sera, ancora insieme ad Alice.
Jamie era al Black Hole già da un'ora, e stava studiando su una panchina, cercando di non dare troppo peso all'irritazione che provava.
«Allora, ci mettiamo al lavoro?» propose tranquillamente Cameron, colpendolo scherzosamente sulla spalla con il guantone appena indossato.
Jamie fu tentato di rifiutare, ma non lo fece. Assentì e lo seguì sul ring, dove passarono due lunghe ore a combattere, finché, esausti, non ne scesero per tornare a casa.
All'uscita, videro di nuovo Alice, che si stava passando lo smalto sulle unghie, in precario equilibrio su uno sgabello.
«Buonanotte» la salutò Jamie senza pensarci.
Lei alzò lo sguardo e sorrise; si alzò e mise le braccia al collo di Cameron. Jamie si irrigidì e fece un passo indietro mentre Cameron ricambiava il sorriso e si chinava per baciarla.
Jamie resistette pochi secondi, poi li superò e uscì dalla palestra, salendo in macchina, la mente che turbinava, furioso e confuso.
Non si era immaginato quello che era successo la sera prima, vero? Gli sguardi magnetici, i baci e tutto il resto? Cosa pensava di fare Cameron esattamente?
Quando l'amico entrò in macchina, pochi minuti dopo, Jamie mise in moto senza dire una parola. Per tutto il viaggio, Cameron parlò del più e del meno senza accennare a nulla che avesse a che fare con loro due o con Alice.
Parcheggiarono di fronte a casa.
Jamie salì le scale dietro a Cameron, quindi chiuse la porta di casa con uno scatto rabbioso.
«C'è qualcosa che non va?» chiese alla fine Cameron. «Sei stato strano, oggi.»
«Come hai fatto ad accorgertene? Eri incollato ad Alice.»
«Qual è il problema?»
«Mi chiedi qual è il problema? Dici sul serio? Ieri notte abbiamo-» si interruppe, mordendosi il labbro. «Insomma, stamattina sembrava che non fosse successo nulla! Te ne sei andato con Alice e stasera vi siete baciati, e sembrava che- che non te ne fregasse nulla di quello che era successo tra noi! Questo, Cameron, è il problema!»
Cameron lo guardò in silenzio per un po'.
«Non pensavo che dovesse per forza significare qualcosa» replicò alla fine, atono.
Jamie scosse la testa, la delusione evidente sul suo volto, quindi si diresse verso la loro camera da letto, afferrò una borsa, ci infilò bruscamente qualche vestito e poi uscì senza più guardarsi indietro.

X X X

Prescott

Era successo poco tempo dopo l'Incidente.
Jamie era uscito quella mattina dall'ospedale. I suoi genitori, naturalmente, non volevano lasciarlo solo, perciò, quando erano usciti per andare al lavoro, avevano chiesto a Cameron di passare il pomeriggio con lui.
«Vai pure, caro» gli disse la madre di Jamie quando lui arrivò. «Jamie è in camera sua. Io sto uscendo, ma, per qualunque cosa, sul frigo c'è il mio numero.»
Cameron annuì rigidamente e salì le scale. Bussò alla porta dell'amico dopo un momento di esitazione e venne invitato ad entrare.
Jamie era seduto sul letto a gambe incrociate e leggeva un libro. Lo sguardo di Cameron corse immediatamente alle bende candide che gli avvolgevano i polsi.
«Ehi» disse con un sorriso sforzato.
Si guardarono. Cameron riusciva a percepire l'atmosfera strana, tesa, diversa che regnava nella casa di Jamie, e sapeva che l'amico ne era altrettanto consapevole.
«Ehi» replicò Jamie. «Il mio babysitter è finalmente arrivato, eh?»
«Oh, chiudi il becco» sbuffò Cameron.
Jamie ridacchiò.
«Sì, hai ragione, scusa. Preferisci... non so... badante
«Perché mi suona come un sinonimo di prostituta
«Perché lo è.»
«Ottimo. In tal caso, pagamento anticipato.»
Jamie rise e la tensione si sciolse.
«Allora, come vanno le cose a scuola?» chiese.
«Tutto come al solito. Oggi c'è stata una rissa nel parcheggio... non guardarmi così, giuro che non ero coinvolto!»
«Non ho detto una parola!»
«Non ce n'era bisogno. Che altro? Ah, alla professoressa Michaels manca il suo alunno preferito. Ti raccomanda di leggere 1984 per tenerti al passo con il programma di Letteratura, ma è anche sicura che uno studente diligente come te lo abbia già terminato.»
Jamie ridacchiò.
«In effetti l'ho fatto. Mi annoiavo.»
«Esistono altre cose da fare! Internet...»
«So a cosa stai pensando, ma è un'attività rischiosa, con mia madre che mette il naso in camera mia ogni cinque minuti.»
Stavolta fu Cameron a ridere.
«D'accordo, allora esiste la TV...»
«Solo repliche.»
«I videogame...»
«Uhm, quello è un po'... problematico, ecco.» Jamie colse lo sguardo confuso di Cameron e si passò una mano tra i capelli castani, in imbarazzo. «Muovere i polsi, intendo» specificò.
«Oh» commentò solo Cameron. Lo guardò per un momento con assoluta serietà. Jamie ebbe paura che l'amico volesse davvero parlarne, e lui non era certo di esserne pronto. «Ma allora Internet sarebbe stato fuori discussione comunque.»
Jamie spalancò gli occhi. Nel giro di cinque secondi, si stavano entrambi rotolando sul letto dalle risate.
Quando si calmarono, Jamie rilassò la testa sul copriletto, scoprendo quella di Cameron a pochi centimetri di distanza. I loro occhi si incrociarono di nuovo.
«Non dobbiamo parlarne, se non vuoi» sussurrò Cameron dopo un po'. «Non sono uno di quegli psicologi del cazzo.»
Jamie esitò.
«Un giorno, forse» disse alla fine.
Cameron annuì, quindi, istintivamente, si sporse verso di lui e posò le labbra sulle sue. Jamie rimase immobile per un secondo, quindi si staccò da lui e lo guardò con sconcerto.
Cameron sostenne il suo sguardo senza dire una parola, serio.
Un istante dopo, si stavano baciando.

X X X

Chicago-nowadays

Jamie convinse con facilità un compagno di università ad ospitarlo nel suo appartamento, offrendogli un contributo per l'affitto.
Quindi si dedicò allo studio, tentando di dimenticare tutto quello che era successo, anche se riuscirci era praticamente impossibile.
Non sapeva neanche perché era così arrabbiato: non avrebbe dovuto crearsi aspettative, né vedere in quella notte qualcosa che non c'era.
Ma lui e Cameron non erano mai andati oltre ai baci prima, e in ogni caso non si erano scambiati nulla di più intimo di pacche amichevoli sulla spalla per oltre quattro anni, dal loro primo bacio nella sua stanza da letto.
Perciò era normale, si diceva Jamie, che avesse attribuito un significato a quello che, per Cameron, probabilmente non era altro che sesso.
Erano riusciti a distruggere un'amicizia secolare in un modo tanto stupido che faceva venir voglia a Jamie di prendere a calci qualcosa, o meglio ancora qualcuno.
I giorni passarono, e una sera, più di un mese dopo, qualcuno suonò al campanello del suo nuovo appartamento. Era una visita inaspettata, e si sentì gelare il sangue nelle vene quando vide di chi si trattava.
«Papà» sussurrò.
«Ciao, Jamie. Ho saputo dal tuo amico che ti sei trasferito qui.»
«Sì, io...» cominciò debolmente Jamie, ma si interruppe. «Hai parlato con Cameron?»
«Sì. In realtà sono qui per questo. Io... uhm, sono stato contattato da un certo Grant.»
Jamie si irrigidì istintivamente e corrugò la fronte.
«Eric Grant?» chiese, sospettoso.
«Esatto. Mi ha chiesto di incontrarci... ha detto di essere un mio ammiratore, si ricordava di quando ero un pugile professionista... E io avevo sentito parlare di lui, ovviamente, perché è campione in carica del CGGBT, ha vinto tre volte...»
«Sì, lo so» tagliò corto Jamie con urgenza. La presenza del padre lo rendeva nervoso, e la menzione ad Eric Grant non rendeva quel momento più facile. Sentiva che c'era qualcosa di importante che doveva capire, qualche tassello che mancava. Non era possibile che fosse una coincidenza il fatto che Eric avesse contattato un ex pugile che, casualmente, era anche suo padre.
«Ho pensato che sarei potuto venire qui a Chicago, così con l'occasione sarei passato a trovarti. Quel Grant mi ha chiesto della mia carriera... di cosa faccio ora... poi ha scoperto che tu eri mio figlio, non lo sapeva, ha detto che siete amici, tu, lui e Cameron.»
Jamie strinse i pugni, ma non disse nulla. Voleva sentire il resto della storia.
«Sì, insomma, poi mi ha chiesto qualche informazione su di voi... dove abitate... mi ha parlato dell'incontro di stasera...»
«Quale incontro?» lo interruppe Jamie.
Il padre lo guardò con sospetto.
«Beh, quello tra Cameron e quel Grant, no? La sfida per il titolo di campione del CGGBT? L'ultimo livello della Golden League?»
Jamie batté le palpebre, colto alla sprovvista. Non aveva calcolato quanto tempo era passato, e si era tenuto il più possibile lontano dal mondo della boxe, tanto che non aveva saputo che Cameron, alla fine, ce l'aveva fatta a combattere in Golden League. E doveva aver fatto anche parecchia strada, per giungere a battersi contro Eric per il titolo.
«Comunque» proseguì il padre, indifferente allo stupore di Jamie, «Gli ho detto un po' di cose, ma penso che sapesse già tutto, essendo vostro amico.»
Jamie scosse lentamente la testa.
«Devo andare» disse.
Il padre lo fissò, confuso.
«Cosa?»
Ma Jamie non aggiunse altro e si precipitò fuori da casa. Solo quando fu sul marciapiede esterno si ricordò che Cameron aveva tenuto la macchina e quindi lui era a piedi. Imprecò sonoramente, quindi corse fino alla via principale più vicina, dove riuscì a fermare un taxi.
«Al Boxing Club» disse affannosamente. «Più in fretta che può.»
A che ora si tenevano gli incontri? Di solito quelli importanti erano intorno alle nove di sera. Jamie guardò l'orologio: erano esattamente le otto e ventisei.
Poteva farcela in tempo?
Erano le otto e trentotto quando finalmente il taxi si fermò. Lasciò Jamie in una strada parallela al Boxing Club, perché raggiungerlo a piedi, per gli ultimi metri, sarebbe stato molto più rapido che non farsi strada in taxi nel traffico.
Jamie pagò, quindi si lanciò fuori dall'auto e corse verso il Boxing Club. Decise di passare dal retro, dall'ingresso dei pugili, dove entravano sempre lui e Cameron quando lo frequentavano.
Quando giunse nella via laterale, trovò quattro uomini ad aspettarlo.
Deglutì.
Anche se se l'era aspettato, il suo cuore batteva comunque rapidissimo, e la paura gli immobilizzava i muscoli.
Poi ricordò un detto. perché temi il tuo ultimo giorno? Esso non contribuisce alla tua morte più di ciascuno degli altri. Non lo calmò, ma almeno gli fece recuperare un minimo di lucidità.
Fece qualche passo in avanti, cauto, diretto verso l'ingresso secondario.
I quattro si fecero più vicini. Jamie, razionale, si prese il tempo per osservarli con attenzione. Non erano gli stessi che avevano picchiato Cameron mesi prima.
«Cameron Spencer?» chiese in tono casuale uno di loro.
Jamie socchiuse gli occhi, ragionando.
Probabilmente Eric aveva informato i suoi scagnozzi che era abitudine di Cameron entrare dal retro. L'aveva descritto loro, magari mostrando anche una foto -un ragazzo alto, moro, con un accento del Midwest. In quel momento era buio, e Jamie rispondeva alla descrizione tanto quanto lui.
Avrebbe dovuto negare e filarsela.
Eppure... Cameron era sicuramente sulla strada, e sarebbe arrivato a breve. Non poteva essere già dentro, o loro l'avrebbero visto.
Avrebbe potuto andarsene e telefonare a Cameron, avvisarlo... ma se non fosse riuscito a trovarlo? Se Eric aveva altri complici da qualche parte?
Doveva permettergli di avere la sua rivincita contro Eric Grant.
Doveva impedire che gli facessero del male.
Jamie lottò contro la paura; prese fiato e decise.
«Sì, sono io» replicò. «Posso fare qualcosa per voi? In caso contrario, ho un titolo da vincere.»

Un arbitro dall'aria seria e professionale annunciò l'ingresso sul ring di Eric Grant.
La folla, stavolta numerosa e rumorosa quasi quanto quella del Black Hole, lo acclamò con urla e cartelloni sventolati.
Eric salì sul ring con baldanza, sollevando il pugno chiuso verso il soffitto in segno di una vittoria già preventivata.
L'arbitro annunciò Cameron Spencer, ed Eric sorrise, convinto al cento per cento che non si sarebbe fatto vivo.
Quando Cameron entrò nel ring, perciò, venne fissato come un fantasma dal suo avversario.
La folla ruggì come incoraggiamento.
«Che c'è, Grant? Pensavi che non mi sarei fatto vivo?» scherzò Cameron, il tono allegro ma gli occhi che trasudavano una bruciante minaccia.
Eric non ebbe il tempo di rispondere, perché l'incontro cominciò.

Jamie venne trascinato con la forza in un vicolo laterale a pochi metri dall'ingresso sul retro del Boxing Club.
Due dei quattro uomini lo tennero fermo e in piedi mentre gli altri cominciarono a colpirlo.
«Pensavi di vincere il CGGBT, eh, ragazzino?» lo sfottevano. «perché non metti noi al tappeto? Coraggio, difenditi! O ti facciamo troppa paura?»
Jamie cercò di liberarsi, di lottare, ma sapeva già dal principio che era una battaglia persa.
Un pugno lo raggiunse allo stomaco e Jamie ripensò alla stessa situazione, ma con Cameron al suo posto, e lui inerme a guardarlo. Ricordò di aver guardato negli occhi il suo migliore amico mentre lo colpivano, e aver desiderato essere al suo posto. Ora il suo desiderio era esaudito, ma avrebbe voluto che Cameron fosse lì per dargli, almeno con gli occhi, la forza necessaria a sopportare quella tortura.

La prima ripresa fu rapida. Non c'era spazio per round di prova, per tentativi ed errori: ogni colpo doveva essere quello potenzialmente definitivo, ogni mossa calcolata.
Finì alla pari, lasciando entrambi i contendenti con il fiato corto.
Cameron osservò il coach di Eric porgergli dell'acqua e sussurrargli dei consigli.
Guardò la zona vuota alle sue spalle e desiderò che Jamie fosse lì.

Jamie cominciava a sentire davvero il dolore.
I colpi sul suo stomaco si erano fatti sempre più violenti, sempre meno sopportabili, e poi erano diventati calci. Aveva sentito chiaramente qualcosa che si incrinava, qualcosa che si spezzava, e non si trattava solo delle costole.
La sua dignità era presa a calci, svilita, umiliata.
I suoi quattro tormentatori ridevano di lui e della sua debolezza.
Non avevano mai riso di Cameron.
Lui si era opposto, li aveva insultati, si era divincolato... ma Jamie non poteva, non voleva farlo. Se lui se ne fosse andato -pensava la sua mente ormai confusa- avrebbero preso Cameron.

La seconda ripresa fu sensibilmente più dura.
Eric sfruttò più volte le poche, quasi impercettibili -ad un occhio non allenato- mancanze che Cameron ancora aveva sul lato destro. Lo colpì più volte, mostrandosi spietato, ma Cameron non si fece prendere dallo sconforto.
Incassò i colpi, come aveva imparato a fare negli ultimi mesi, e li restituì al momento giusto, avendo cura di entrare nella difesa dell'avversario, di sfruttare i propri punti di forza per avere la meglio.
Poi, alla fine della ripresa, Cameron gettò Eric a terra. Lui atterrò con un tonfo sordo.
L'arbitro riuscì a contare fino a sei prima che Eric si rialzasse.
La folla rumoreggiò e la ripresa si concluse.
Eric raggiunse il suo coach. Cameron si sedette sul proprio sgabello e vide con chiarezza una figura familiare che si avvicinava a Grant. Era sua sorella Alice. Gli disse qualcosa a bassa voce, ma Cameron udì con chiarezza la risposta:
«Cosa cazzo dici? Pensi che io stia combattendo da solo?»
Lei rispose parlando in fretta, e Cameron non sentì le parole precise.
«Che stanno facendo? Dì a quei coglioni che lui è qui! Merda! È possibile che...»
La voce di Eric svanì in un ringhio mentre l'arbitro annunciava l'inizio della terza ripresa.
Cameron si rialzò, confuso. Cosa stava succedendo?

Ormai non sentiva più un granché.
Il dolore era stato acuto, lancinante, insopportabile, ma ora sembrava quasi essersi calmato.
Jamie vedeva gli uomini continuare ad accanirsi sul suo corpo inerme, spezzando ossa, aprendo nuove ferite, versando altro sangue; ma vi assisteva come dall'esterno, come se non lo riguardasse.
Il buio attorno alla sua visuale si faceva sempre più imponente.
L'ultima cosa che vide prima di cedere all'attrazione magnetica del sonno fu una ragazza dall'aria familiare, ma non la riconobbe.
Chiuse gli occhi.
Il suo ultimo pensiero fu per Cameron, e su come fosse felice di avergli risparmato tutto ciò. Ricordò, come se li stesse rivivendo, i loro giochi fantastici in un parco giochi di cemento, quando erano bambini e volevano cambiare il mondo, e si erano giurati amicizia eterna.
Era stato l'amore, Jamie seppe in quel momento, che aveva cambiato tutto. Amare è in ogni caso essere vulnerabili. Ama qualcosa e il tuo cuore certamente sarà diviso e rotto, così come sarà distrutto tutto ciò che di puro e innocente c'è in un'amicizia sincera.

Cameron guardò Eric con sospetto.
«Cosa succede?» gli chiese tra i denti poco prima che suonasse il gong d'inizio della terza ripresa.
«Di che parli?» ribatté Eric, cupamente.
«Tutta quell'agitazione. Avevi ordinato che mi facessero fuori e non ci sono riusciti?»
Il tono di Cameron era del tutto casuale, la sua una supposizione buttata a caso, ma Eric aggrottò le sopracciglia e si incupì ulteriormente.
La ripresa iniziò. Eric si scagliò contro Cameron, ma questi si scansò, evitandolo.
«Cosa stai facendo, Spencer? Giochi a nascondino?» sibilò con irritazione.
«Cosa sta succedendo?» replicò Cameron con fermezza.
Aveva una brutta, orribile sensazione. C'era qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.
«Non sono cazzi tuoi» sostenne Eric, e lo colpì con forza.
Cameron indietreggiò,ma poi rispose ai colpi. Divennero rapidi, letali.
Era lo scontro decisivo, e Cameron ne era consapevole.
Vedeva Eric diventare sempre più stanco, più debole, più vulnerabile.
«Ho una proposta» sussurrò Eric.
Cameron, impegnato a tempestarlo di pugni in un angolo del ring, non si preoccupò di rispondere.
«Vuoi sapere cos'è successo?» insistette Eric, riuscendo ad uscire dall'angolo. «Avevo degli uomini pronti a farti a pezzi ed impedirti di salire sul ring, stasera.»
«Beh, è un peccato che io abbia previsto una cosa del genere... e sia entrato, scortato, dall'entrata principale» replicò con calma Cameron, continuando ad attaccare.
«Hanno preso qualcun'altro» aggiunse Eric. «Credevano fossi tu. Ha detto di essere te. Avete lo stesso accento.»
Cameron si immobilizzò. Eric ne approfittò per colpirlo duramente allo stomaco, ma lui sembrò non notarlo.
«Cosa...?» chiese debolmente.
«Facciamo così» disse Eric, ritrovando la solita baldanza. «Se vuoi sapere dove sia il tuo amico e andarlo a salvare, lasciati sconfiggere.»
Cameron, gli occhi spalancati per lo sconcerto, non parve neanche valutare l'ipotesi, né tantomeno pensare alla possibilità che Eric stesse mentendo.
Al colpo successivo dell'avversario non reagì e si lasciò mettere KO.
«Knock Out!» annunciò l'arbitro. «Dieci! Nove! Otto...»
Furono i dieci secondi più lunghi della vita di Cameron. Quando, finalmente, il conto alla rovescia si esaurì, lui si rimise in piedi e guardò un esultante Eric con furia.
«Dov'è?» urlò.
«Nel vicolo a est dell'ingresso sul retro» replicò con allegria Eric, sollevando in aria il pugno in segno di vittoria.
Quando si voltò, l'avversario sconfitto era già sparito.

Cameron corse velocissimo, la stanchezza scomparsa, l'adrenalina che circolava rapida nelle vene.
Doveva raggiungere Jamie prima che gli facessero del male.
Ma, quando raggiunse il vicolo, capì immediatamente di essere arrivato troppo tardi.
Jamie era a terra, la faccia premuta contro il cemento sporco, il sangue ovunque, le braccia piegate in un modo innaturale.
Cameron si ritrovò per un istante -un solo, brevissimo istante- nel bagno di casa dell'amico, nel giorno orribile in cui l'aveva trovato con i polsi tagliati.
Solo che ora era diverso.
Cameron si lasciò cadere al fianco di Jamie e lo scosse, prima con delicatezza, poi con più forza.
«Jamie! Jamie, svegliati... Jamie... Jem, ti prego, apri gli occhi...Jamie...Jamie...Jamie...»
Divenne una cantilena colma di orrore.
Voltò lentamente l'amico e potè vedere il volto tumefatto, gli occhi gonfi e chiusi, le labbra livide.
Premette due dita contro la sua carotide, ma non sentì il battito. La sua pelle era ancora tiepida, ma il suo corpo era rigido. Spezzato.
«Jamie» ripetè, il panico che lottava per emergere, la paura che combatteva con la disperazione, il dolore che li vinceva tutti.
Immaginò per un momento che, come in un film, Jamie aprisse gli occhi e gli dicesse che andava tutto bene. Avrebbero pianto insieme per il sollievo, ogni diverbio dimenticato, le loro mani strette l'una all'altra.
Invece non accadde.
Cameron sapeva che non avrebbe avuto neanche delle ultime parole da portare con sé. Jamie era morto -perché era morto, realizzò confusamente- pensando che a lui non importasse nulla... che quello che c'era stato tra loro, quei baci, quei sospiri ansimanti nel buio, per lui non fossero valsi nulla.
Non avrebbe mai potuto dirgli quanto li aveva desiderati. Quanto aveva aspettato di potersi fare avanti, quanto aveva temuto di rovinare il suo rapporto con lui. Quanto aveva avuto il terrore di provare qualcosa di più e finire per esserne ferito o, peggio ancora, per ferire Jamie.
Ed era proprio quello che era successo.
Aveva permesso ad un attimo debolezza di gettare tutto all'aria.
Aveva permesso che Jamie se ne andasse di casa.
Aveva permesso che si sacrificasse per lui, per uno stupido incontro di boxe.
Aveva permesso che Jamie pensasse che a lui non importava nulla, che era stato solo sesso. Che i loro giuramenti di amicizia eterna fossero stati solo parole.
Cameron era stato sconfitto nella battaglia più importante di tutte.

X X X

Ha poco senso, ormai, provare risentimento, senso di colpa, dolore.
I ricordi sbiadiscono lentamente nel nulla, opachi, rovinati dal tempo come i guantoni da boxe che tengo in mano.
Non mi sento infelice o arrabbiato. Non mi sento bene né male. Non provo nulla.
Vorrei poter definire questo vuoto, questa mancanza di emozioni.
Vorrei avere parole coerenti da dire, inquadrare razionalmente la situazione.
Ma ormai non ha più senso farlo.
Né lo hanno gli sciocchi propositi di vendetta che avevo pianificato anni fa.
La colpa, l'ho sempre saputo, è stata solo ed esclusivamente mia.
Ripongo i guantoni nell'armadio.
Ci sono ricordi che non dovrebbero mai essere rispolverati, e ci sono dolori sordi che non svaniscono mai e che neanche il tempo, cancellatore crudele, potrà mai sopire.
So improvvisamente la risposta giusta.
«Certo che puoi provare la boxe, Jamie. Ti insegnerò io.»
E l'abbraccio di mio figlio sarà la ricompensa più grande e l'unica possibile espiazione.
   
 
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