La
prima volta, lo osserva avvicinarsi con un misto di fastidio e vaga
curiosità, gli lancia un breve sguardo gelido e diffidente
da sopra il suo libro e poi riprende a leggere, aspettando che se ne
vada. E lui, ovviamente,
lo prende come un invito a sedersi al suo fianco. E gli sorride, e
prova ad iniziare una conversazione. Per qualche minuto, Anatol tenta
di tornare a concentrarsi sul libro – poi, constatando che
semplicemente non ci
riesce, si
scopre a rivolgergli rapide occhiate sospettose e confuse. Alla fine,
si costringe a smettere quando i loro sguardi si incrociano per una
manciata di secondi, e lui sorride ancora di più.
La seconda
volta, è abbastanza sicuro che lui non ci sarà.
Ha torto. È arrivato prima di lui, stavolta, e lo saluta con
un gesto della mano. Anatol non si mette alla ricerca di
un’altra panchina solo per abitudine e per l’ombra
fresca dell’albero davanti a cui questa si trova, non certo
per curiosità.
La terza volta, spera che non ci
sarà, e lui ovviamente manda in frantumi tutte le sue
speranze e tutti i suoi desideri. Arriva subito dopo di lui, si siede e
ricomincia a sorridere e a parlare. Questa volta, Anatol presta
effettivamente attenzione a ciò che sta dicendo, e solo per
un brevissimo istante pensa che, forse, la sua compagnia potrebbe non
essere poi così sgradevole – ma è solo
un attimo, e si affretta a scacciare quel pensiero come fosse un
insetto fastidioso.
La quarta
volta, non è nemmeno sorpreso di trovarlo lì,
seduto su quella che, una volta, era la sua panchina. Un
paio di volte, deve resistere alla tentazione di rispondergli, o di
ribattere a qualche sua affermazione.
La quinta
volta, i loro incontri sono diventati un’abitudine, e lui
ormai nella sua testa è lui.
Anatol lo osserva per la prima volta: non che non lo abbia
mai guardato, certo, ma solo ora lo vede veramente,
come se prima avesse avuto un velo sugli occhi. Si ritrova a studiare
quei disordinati capelli castani, il ridicolo fermaglio a forma di
fiore che li tiene legati, il verde luminoso di quegli occhi dallo
sguardo vivace e attento – e poi, quel sorriso che continua a
rivolgergli, sfacciato e brillante. Si accorge che non vuole davvero
distogliere lo sguardo, ma lo fa comunque prima che lui possa fare
qualche commento sul modo insistente in cui lo fissa.
La sesta
volta, ha come la sensazione di essere arrivato in ritardo –
il che, davvero, non ha alcun senso. Insomma, loro non si danno mai appuntamento:
si incontrano ogni giorno alla stessa ora nello stesso luogo in modo
del tutto casuale. È così, davvero. Eppure, sotto
il suo sguardo verde e seccato, quasi di rimprovero, per un attimo si
sente a disagio. Non si scusa, ovviamente: non ha ragioni per farlo.
Questa volta si siede un po’ più vicino ad Elek,
anche se continua ad evitare il suo sguardo – solo in
seguito, nel mezzo di una lezione di geografia particolarmente noiosa
su cui proprio non riesce a concentrarsi, si rende conto che lui è
diventato Elek
Hédervàry, e Elek
Hédervàry è diventato
immediatamente Elek.
La settima
volta, si ritrova a sorridere a una battuta di Elek, e a cercare il suo
sguardo caldo e gentile. E si rende conto che, forse, ha un problema.
Questa volta, il loro incontro quotidiano dura meno del solito.
L’ottava
volta, rimangono entrambi in silenzio. Elek lo guarda e sorride
lievemente tra sé, gli angoli della bocca appena piegati, e
non dice una sola, unica, semplice, fastidiosa parola. Ha qualcosa
negli occhi, qualcosa che lo fa sentire strano e confuso. È
come una luce, un vago bagliore, e sembra illuminargli tutto il viso e
– beh, e non è poi troppo sgradevole. Il suo
silenzio, però, è frustrante, inusuale, estraneo. Anatol
gli lancia un’occhiata irritata, si morde un labbro, abbassa
lo sguardo sulle mani raccolte in grembo – ormai tenta sempre
più raramente di leggere o di studiare, se lui è
nei paraggi -, torna a guardarlo. – È l’ottava volta. Cosa
vuoi? – sbuffa infine, senza riuscire a trattenersi. Il
sorriso di Elek si allarga ancora di più, e Anatol ne
è quasi abbagliato. Alza le spalle, e gli risponde, il tono
casuale tradito da una nota soddisfatta nella voce: - Conoscerti. Tutto
qui -.
Anatol rimane
in silenzio. Poi, lo guarda dritto negli occhi e, freddo, gli chiede: -
Perché? -.
Elek sembra
rifletterci sopra, lo sguardo lontano e le sopracciglia aggrottate.
Un’altra alzata di spalle, e torna a sorridere, in un modo
che gli conferisce un’aria più calma, per quanto
ancora raggiante. – Ho davvero bisogno di un motivo?
– gli domanda a sua volta..
E a quel
punto, cominciano davvero a parlare.
E a quel
punto, comincia tutto.