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Autore: SilviAngel    28/08/2012    6 recensioni
“Che vuoi farci” ironizzò “io e il mio istinto di sopravvivenza abbiamo una relazione complicata”
Cercando di non ridere, Derek notò il piccolo occhieggiare l’orologio e così propose “Stiles, è tardi, forse è meglio che tu vada a casa”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La storia è nata in una noiosa mattina di fancazzismo in ufficio.

Contesto: post seconda stagione.
Spero vi piaccia! 


Luna Nera

Stiles era un osservatore, un sottilissimo osservatore ed era in grado di costruire teorie e piani intricati partendo da lievi e labili congetture, ma la situazione che si trovava di fronte era per lui divenuta oramai chiara e lampante.
Ai suoi amici succedevano molte cose strane e di ciò ne era stato diretto spettatore: adolescenti che si trasformavano in lupi, migliori amici che lo assalivano per ucciderlo, la ragazza per la quale stravedeva da una vita che diventava un’invasata… e avrebbe potuto continuare fino a seccarsi la gola.
L’ultimo tassello della sua attuale e distorta situazione riguardava la strana condizione in cui si riducevano i suoi compari lupacchiotti durante di tanto in tanto.
 
Ad esempio, era stato testimone, un paio di mesi prima, di una vera e propria crisi isterica da parte di Scott, che appena dopo aver discusso per la centunesima volta nel giro di un semestre con la sua bella, era piombato in camera sua nel bel mezzo della notte e gli si era accucciato contro lamentandosi e disperandosi come un bambino.
Il mese precedente era accaduto un evento altrettanto strabiliante, quando nel tardo pomeriggio, passeggiando per le strade del centro cittadino si era imbattuto in Erika e lei gli si era attaccata al braccio, iniziando a chiacchierare amabilmente, arrossendo di tanto in tanto e abbassando gli occhi, ogniqualvolta, nel rispondere, il ragazzo indugiava a guardarla per un lasso di tempo che riteneva troppo intimo. L’intera questione giunse a un punto inequivocabile, quando distratta da una apparentemente anonima vetrina, quasi gli rovinò addosso inciampando nei suoi stessi piedi.
Dove erano finiti i suoi sensi da lupo e il suo carattere sfrontato e decisamente portato all’eccesso? Indossava perfino una gonna delle dimensioni maggiori di una sciarpa!
 
Aveva in mano due elementi, troppo poco per elaborare una valida teoria e necessitava di ulteriori fattori su cui basare i suoi ragionamenti, era per questa ragione che, a pomeriggio inoltrato, si trovava davanti alla casa di Isaac, essendo stato indirizzato lì da Boyd dopo che il castano era andato a cercarlo al capannone dove oramai il branco di Derek viveva.
Il ragazzo venne ad aprirgli con l’aria spaventata di chi crede di aver commesso, anche solo respirando, il più grande disastro dell’universo e quando si accorse chi fosse sull’uscio, la sua espressione non muto, mantenendo quell’aria afflitta e colpevole.
Non appena entrò, Stiles venne colpito dall’odore di chiuso e di polvere accumulatasi nel tempo che lo fece starnutire “Scusa, ma uso talmente poco questa casa che oramai sa di vecchio e abbandonato”
“Beh, potresti sempre trasferirti qui con i tuo amici, così non sareste più costretti ad accamparvi in un fatiscente autobus” propose guardandosi attorno.
“N-no, non potrei” rispose Isaac con voce tremante “mio padre non approverebbe e io non voglio deluderlo ancora, l’ho fatto già talmente spesso”
“Isaac, tuo padre ti riempiva di botte ogni volta che ne aveva occasione” ribatté stranito dalla lealtà che continuava a serbare nei confronti del genitore defunto “e ora non può più farti nulla”
Senza rispondere, il padrone di casa fece cenno di sedersi sul divano e sempre in silenzio prese posto accanto all’ospite che attese ancora qualche attimo e poi iniziò a porre le domante per le quali era venuto.
“Isaac, ascolta, ho bisogno di capire una cosa: che diavolo succede a voi licantropi a intervalli pressoché fissi?”
Il ragazzo evidentemente non comprese subito ciò a cui l’altro si riferiva e scuotendo interrogativo il capo, gli chiese di spiegarsi meglio.
Stiles senza girarci attorno narrò gli eventi che erano accaduti con Scott prima e con Erika poi, aggiungendo in ultimo che neppure il suo stato attuale sembrava rientrare nel tipico comportamento da licantropo.
Sospirando Isaac lo guardò e prese a raccontare.
“Derek ha spiegato a ciascuno di noi, subito dopo la completa trasformazione, tutti i nostri punti di forza, tutte le nostre caratteristiche super-umane, ma ci ha messo di fronte anche alle nostre debolezze”
“Debolezze?” lo interruppe Stiles “Davvero ne avete? Fidati, non si direbbe!”
“Non so come tu possa valutarla” riprese “ma già la luna piena è per noi un punto debole, se non impariamo a gestire la rabbia, rischiamo di uccidere, attirando l’attenzione di cacciatori e polizia. Un licantropo senza controllo, come dice Derek, è un licantropo morto. Oltre a rappresentare un pericolo per il branco”
Dopo aver regalato una lenta occhiata alla sua vecchia casa, Isaac parlò di nuovo “La luna influenza sempre la nostra parte animale e come sai, ciò raggiunge l’apice quando è piena, siamo più bestie che uomini. Quindi secondo te, cosa può accadere quando all’opposto, la luna è apparentemente sparita e non visibile?” domandò sibillino, ben sapendo quanto Stiles avrebbe apprezzato arrivare alla soluzione per conto proprio, anche se ben indirizzato.
“Aspetta, stai cercando di dirmi che nella fase di luna nuova, la vostra natura di lupo rasenta lo zero assoluto?” domandò stranito.
“Sì e siamo vulnerabili come non mai” concluse Isaac osservandosi le mani chiuse a pugno e poggiate in grembo.
 
Il ragazzo rimuginò su quanto scoperto per tutto il tragitto che lo separava dalla propria abitazione e, se l’intero ragionamento non aveva la benché minima falla per quanto riguardasse tutti i beta che aveva incontrato in tali frangenti, enormi dubbi nascevano e si moltiplicavano riguardo l’alfa.
Come si sarebbe comportato? Quale umanità sarebbe stata in grado di far emergere quella particolare fase della luna, dato che Derek era un licantropo puro e quindi tale dalla nascita?
Intento a formulare e distruggere ipotesi, Stiles non si accorse di essere arrivato davanti alla porta di casa, di essere entrato – compiendo quelle abituali azioni come un automa – e di non aver degnato di risposta il saluto del padre, fino a che quest’ultimo non lo scosse energicamente per le spalle.
“Ehi figliolo? Che ti prende, problemi?” domandò incuriosito e al tempo stesso preoccupato il signor Stilinski.
“No pa’. Tutto bene, stavo solo ripassando mentalmente i nuovi schemi per la partita. Hai già cenato?” vedendo l’altro negare continuò “Allora mi cambio e preparo qualcosa” e correndo su per le scale, si stupì – e non in modo positivo – della facilità con cui oramai era in grado di formulare le menzogne indirizzate a suo padre, sentendosi così tremendamente in colpa.
Purtroppo non gli era data possibilità di agire in modo diverso.
 
I giorni passarono e Stiles utilizzò ogni occasione utile per osservare, con la speranza di non essere preso per pazzo e peggio, i comportamenti di Derek e mai che notasse un accenno di gentilezza, di empatia con gli altri lupi o di sentimenti che potessero mostrare una seppur effimera connotazione umana. Se tanto gli dava tanto e l’intera sua umanità, a causa di un drastico contrappasso, avesse dovuto manifestarsi nella fase di luna nuova, Derek si sarebbe trasformato direttamente in un Teletubbies alla strenua ricerca di coccole.
E lui voleva poter documentare l’evento.
 
Per quel motivo, la prima sera di assenza di luna, si nascose a una distanza tale dal capannone da non essere individuato dai loro sensi e attese. La sua pazienza fu premiata poco dopo, in quanto Isaac lasciò la tana stretto nel suo giubbino e con le mani infilate nelle tasche dei jeans e pochi minuti dopo, Boyd e Erika sgattaiolarono, mano nella mano, verso il bosco.
Avendo visto, prima di questi movimenti, l’alfa parcheggiare l’auto ed entrare, L’osservatore era assolutamente sicuro di poter sorprendere l’alfa da solo.
Attese ancora, sempre al sicuro nel proprio piccolo rifugio, e solo dopo un’ora si diresse a passo malfermo all’ingresso del capannone.
Dato che tutto ciò che aveva in mano erano mere teorie, a pochi metri dalla porta comunicò la propria intenzione di entrare, sicuro che Derek l’avrebbe udito.
Non ricevendo suoni o ringhi in risposta, decise di tentare comunque la sorte e farsi avanti.
 
Il buio permeava tutto l’ambiente ad eccezione di una piccola porzione, rischiarata da una singola lampadina che tristemente pendeva dal soffitto e nel cono giallo da questa creato, se ne stava il suo oggetto di studio.
Seduto a terra con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro scrostato, Derek alzò il capo e con il viso disteso, privo di quello maschera di frustrazione e sofferenza che oramai era divenuto il suo marchio, lo salutò “Ciao Stiles”
Gli occhi del ragazzino si sgranarono immediatamente, a sua memoria, il maggiore non si era mai preso un disturbo simile, con nessuno di loro, men che meno con lui.
Forse la serata avrebbe avuto risvolti interessanti ed estremamente inaspettati.
“C-ciao” e muovendo qualche passo verso di lui notò, aperto sulle ginocchia, un grande libro che, avvicinandosi ancora, appurò essere un album di fotografie. Quando Stiles fu sotto la luce, il moro con un cenno gli indicò di sedersi accanto a lui e in silenzio, il primo ubbidì.
 
In quelle immagini era immortalato, il sorriso vero di Derek, non il ghigno che spesso riservava al castano e agli altri.
Vi erano foto in cui era ritratto in braccio a una donna che aveva i suoi stessi occhi ed era molto bella, altre in cui faceva il verso e ringhiava bonariamente all’obbiettivo e altre ancora in cui giocava con una ragazzina di poco più grande di lui.
Ed era felice, un bambino normale con la sua famiglia.
Stiles ripensò alle proprie fotografie di quando era piccolo e che da anni aveva deciso di non sfogliare più neppure per caso, neppure per sbaglio perché facevano male, ancora troppo male. In quei ritagli colorati vedeva sua madre e suo padre ridere ed era per lui una morsa che si stringeva attorno al cuore, perché la prima non era più e il secondo non aveva più riso da quando era rimasto vedovo.
Certo, il padre di Stiles sorrideva e scherzava, ma non rideva più.
 
Il ragazzo si rese conto di essere in procinto di porre una domanda stupida e ovvia, ma aprì lo stesso la bocca “È la tua famiglia?”
Il moro, sfiorando leggero i volti impressi sulla pellicola, annuì.
“Era molto bella tua madre” continuò con le frasi fatte, che forse potevano portare un poco di conforto e lo liberavano da un imbarazzante silenzio.
“Grazie” e volgendo il capo fissò i propri occhi in quelli del ragazzino al suo fianco “Questa è stata scattata pochi giorni prima… prima che tutto finisse, mi ero preso una bella sgridata perché ero stato tutto il giorno in giro per il bosco senza rispondere alla voce di mia madre che mi chiamava” e si sentì un piccolo sbuffo, un sospiro o un accenno di sorriso, Stiles non lo seppe mai.
“Per anni non ho avuto il coraggio di guardare queste foto, all’inizio pensavo si fossero salvate per sbattermi in faccia ogni giorno la mia colpa, ma adesso sono tutto ciò che mi resta. Ricordi. Tutto ciò che ho è una manciata di ricordi”
“È vero non hai più la tua famiglia, e in parte so cosa vuol dire, ma non sei solo. Hai un branco che ti segue ed è leale e fedele”
“Sono legati a me perché li ho morsi, non di certo perché apprezzano la  mia compagnia! L’unico che aveva possibilità di scegliere in piena libertà era Scott e lui che ha fatto? Preferisce restarne fuori, preferisce ridursi allo stato di omega che restare con me” controbatté iniziando ad arrabbiarsi, ma in modo umano, nulla a che vedere con gli scoppi di rabbia a cui era abituato il ragazzo.
Ed era triste vederlo ridotto così e, oramai dimenticata la motivazione scientifica che lo aveva condotto lì, Stiles si ritrovò a improvvisare un tentativo di conforto “Beh… ci sono io”
“Cosa?” domandò Derek, per nulla sicuro di riuscire a dare l’esatta connotazione a quelle poche parole.
“Ci sono io con te, abbastanza spesso! E non mi hai morso quindi non ho legami di branco. Anzi a dirla tutta immagino di essere una spina nel fianco! Ti sono sempre in mezzo ai piedi e prova ne è il numero di volte in cui mi hai letteralmente ringhiato contro, sbattuto a terra, insultato fino a farmi sentire un insetto inutile…”
“Davvero? Sono davvero così insopportabile e meschino?” e mentre queste domande si perdevano nell’aria fresca del capannone, Stiles vide di fronte a sé uno sguardo affranto e dispiaciuto.
“NO! Cioè sì, ma no, mi spiego meglio… io sono spesso insopportabile e tu sei sempre teso come una corda di violino, quindi nella maggior parte dei casi posso affermare che tu abbia ragione ad agire e reagire così. Solo vorrei che capissi come sto io: se hai paura possa succedere qualcosa a te o a uno dei tuoi, immagina come posso sentirmi io a vivere costantemente al margine delle vostre vite”
Con un solo e solitario gesto secco del capo, assorbì il colpo assestato dalle sue parole e riportò gli occhi sulle immagini del passato.
Girando lentamente e con reverenza la pesante pagina dell’album, fece scorrere lo sguardo su tutti i ricordi e si soffermò su una fotografia che lo ritraeva davanti a un edificio che Stiles conosceva bene.
“Guarda, ci sei anche tu qui” lo distrasse la voce del moro e seguendo le dita di questo, notò che quasi sullo sfondo di quel lontano giorno di scuola era possibile intravedere la sagoma di un altro bambino.
“Come fai a essere sicuro che sia proprio io? È passato tanto tempo” cercò di essere realistico Stiles.
“Riconoscerei quella felpa ovunque, la evitavo accuratamente ogni volta che la scorgevo” spiegò, dando forza alla sua prima affermazione senza riflettere su ciò che stava effettivamente dicendo.
“P-perché mi evitavi? Non eravamo in classe insieme e già non mi sopportavi?” domandò ingenuamente il castano.
Derek decise di essere sincero “Un giorno, per caso, mi ritrovai accanto a te nella calca dell’uscita e venni colto alla sprovvista, sapevi di morte e dolore”
“Morte?” chiese incredulo e, come se il suo cuore già conoscesse quale sarebbe stata la seconda metà della spiegazione, i suoi occhi si velarono.
“Sentivo il tuo odore, ma su di esso vi era una strato di sofferenza e… mi spiace ripeterlo, morte che mi rendeva insopportabile stare vicini e così iniziai a fare in modo di non ritrovarmi mai a meno parecchi metri di distanza da te”
“In quegli anni mia madre era già malata, entrava e usciva dagli ospoedali e passavo tutti i pomeriggi seduto in fondo al suo letto. Amava che io le raccontassi tutto quello che facevo durante le ore di scuola e non facevo altro che parlare. Pensavo che mentre lei era così attenta ad ascoltarmi non le sarebbe potuto succedere nulla di brutto. Così faccio tutt’ora, ho la stupida paura che negli spazi vuoti tra le mie parole possano accadere solo cose brutte”
“Era quindi la sua malattia ad attaccarsi a te e io la sentivo. Mi spiace, non avrei dovuto evitarti” tentò di scusarsi in modo goffo il lupo.
“Ehi, eravamo due bambini, non devi giustificarti, anche se ammetto essere gratificante avere il grande Derek Hale che implora perdono” sdrammatizzò di punto in bianco il piccolo.
“Basta parlare di cose tristi. Dimmi, cosa ci fai qui Stiles?”
“Io?” tergiversò l’interpellato.
“Sì tu? Vedi qualcun altro?”
“Beh, io sono qui perché… perché… volevovederecosatisuccedevaconlalunanuova” disse tutto d’un fiato sperando di non essere costretto a ripetere.
“Cosa ne sai tu della luna nuova o come la chiamiamo noi Luna Nera?*” domandò deluso forse dal fatto che Stiles fosse lì esclusivamente per sfamare la propria curiosità.
“Nei mesi scorsi ho notato alcuni comportamenti strani in Scott ed Erika e poi ho parlato con Isaac che ha dato conferma alle mie convinzioni. Quella chiacchierata ha però generato un dubbio nuovo: volevo scoprire quali effetti avesse questa fase lunare su di te e così eccomi qui”
“E allora? Soddisfatto di quanto scoperto?”
“Penso di sì, anche se a essere sincero, non so neppure io cosa speravo di trovare. Alla fine ti succede la stessa cosa che accade a loro, anche tu lasci intravedere ciò che sei” confidò Stiles.
“Ti sconvolgerei eccessivamente se ti dicessi che io ero esattamente ciò che stai vedendo adesso fino al giorno dell’incendio? Mio padre mi riprendeva sempre perché mancavo di disciplina e controllo, perché seguivo solo i miei desideri e non pensavo alla famiglia. Io gli rispondevo che tanto difficilmente sarei stato un Alfa, non essendo il figlio maggiore e poi me ne scappavo in città e correvo da lei, da quella puttana, pazza e assassina” e poggiando i gomiti sulle pagine, lasciò che il suo viso crollasse sui palmi aperti delle mani.
“Kate?” bisbigliò Stiles.
Il capo del lupo si mosse in piccoli segni di assenso, senza proferire neppure una parola.
“Forse parlo senza comprendere, ma perché non mostri agli altri chi sei davvero? Non è poi così brutto starti accanto quando non ringhi” tentò si scherzare il ragazzo.
“Devo essere forte… devo portare a termine degli obiettivi… devo protegg” iniziò a cantilenare Derek.
“Devo, devo, devo! Ma ti senti? Sei un ragazzo! Perché non pensi anche un po’ a quello che vuoi? La tua vita non può essere solo un susseguirsi di battaglie e lotte” si scaldò il più piccolo alzandosi in piedi e camminando su e giù, entrando e uscendo a intervalli serrati dalla zona illuminata.
“Stiles” il ragazzo non si fermò “STILES!” urlò il moro, costringendo l’altro ad interrompere la sua monotona passeggiata.
“Che c’è?”
“Fermati, mi stai facendo venire il mal di testa”
“Va bene” rispose il castano fermandosi e sedendosi a gambe in crociate di fronte all’altro “Comunque ho ragione, devi svariarti un poco, altrimenti prima o poi esploderai e io dovrò fare in modo di essere lontano anni luce da qui nel momento in cui accadrà” smorzò la tensione sorridendo e arricciando il naso.
“Non posso, Stiles, lo sai! Ho il terrore di cosa potrebbe succedere se mi dovessi distrarre, il branco non è sufficientemente preparato e tu? Non voglio che ti succeda qualcosa! Avrei dovuto obbligare Scott a tenerti fuori da tutto”
“Stai scherzando vero? Quando mai Scott fa quello che gli dici e soprattutto quando mi hai mai visto ascoltare qualcuno che sia al di fuori dalla mia testa?”
“Tu sei umano, devo… dobbiamo proteggerti”
“L’Abominevole Uomo delle Nevi di solito fa da sé, anche se potrei accettare un aiuto di tanto in tanto, ma solo se mi permetterai di fare altrettanto e, anche se non amo puntualizzare l’ovvio, tu sai che è già accaduto in passato” concluse sventolandogli un dito davanti al naso.
“Hai ragione e se non ricordo male, non ti ho neppure ringraziato vero? Sono proprio uno stronzo. Mi chiedo perché tu continui ancora a rivolgermi la parola” terminò, fissandolo con quei suoi occhi dal colore così chiaro e luminoso.
“Che vuoi farci” ironizzò “io e il mio istinto di sopravvivenza abbiamo una relazione complicata”
Cercando di non ridere, Derek notò il piccolo occhieggiare l’orologio e così propose “Stiles, è tardi, forse è meglio che tu vada a casa”
“Non ti preoccupare” rispose circondandosi le caviglie con le mani e dondolando sul posto “domani iniziano le vacanze di primavera, quindi niente scuola per qualche giorno”
“Stiles?” e il moro si chiese quando esattamente avesse iniziato ad apprezzare il modo in cui quel nome rotolava leggero sulla sua lingua.
“Umh”
“Qual è il tuo nome?” e le parole uscirono da sole mentre poggiava il mento sulle nocche delle dita intrecciate.
“Che domanda è? L’hai appena usato” rispose distogliendo lo sguardo e posando gli occhi ovunque tranne che sul viso che aveva di fronte.
“Non prendermi in giro, ho sentito alcune conversazioni e mi pare di aver capito che non sia il tuo vero nome” e così lo mise all’angolo.
“Ok, non è il mio nome, ma quello vero è così strano…”
“Più strano di Stiles?” ironizzò il moro.
“Fidati! Ben più strano. È il nome di mio nonno e… lo conoscono solo mio padre e Scott” riprese anche se visibilmente imbarazzato.
“E il coach… tuo padre stava parlando con lui quando è venuto fuori il discorso, ma non lo hanno mai detto ad alta voce. Se non vuoi dirmelo, non è un problema”
“È Genim. Il mio vero nome è Genim” confessò sottovoce, sicuro che Derek avrebbe sentito.
“Genim” ripeté il lupo “Beh, devo darti ragione è strano forte, ma ha un bel suono. Tranquillo non lo dirò in giro. Farò come se questa conversazione non fosse mai avvenuta” lo rassicurò il maggiore “Potremmo usarlo come parola di sicurezza**, quando ti chiamo così, sai che ne hai combinata una delle tue e ti conviene scappare” e scoppiò a ridere.
Stiles trovava così bizzarro, ma in modo piacevole, avere a che fare con un Derek così diverso, aveva voglia di conoscerlo, di scoprire cosa gli piacesse e cosa invece detestasse. Sperava che gli fosse concessa tale possibilità e la paura che la luna di nuovo visibile gliela avrebbe portata via, decise di agire e alzatosi, si spazzolò i pantaloni e, allungando una mano verso il moro ancora seduto a terra, rischiò.
“Derek, ti va un gelato?”
Gli occhi del licantropo si spalancarono stupiti e la bocca si aprì pur senza lasciar uscire alcun suono.
“O una birra? Decidi tu”
Ancora silenzio e Stiles, imbarazzato, decise di ritrarre la mano, ma non gli fu concesso perché la sentì stretta dalle calde dita di Derek.
 
 
*So che è il nome del vecchio caro gioco della Zingara, ma mi piaceva.
 
**Chiara e per nulla velata allusione alla safe word del BDSM. 
   
 
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