Sono immerso nell’aria gelida di dicembre. Sto andando, come tutti i  venerdì, dal mio psichiatra.   
  La seduta non sarà facile, non ho avuto tempo di riflettere e mi aspetto lunghi silenzi e vuoti di memoria.
  Il dottor Valenti mi accoglie ed entro nel suo studio, lieto di trovarmi in una stanza calda.
  Il medico è seduto davanti a me e iniziamo la seduta con comunicazioni di routine.
  Parliamo degli antipsicotici e degli antidepressivi che prendo e che mi consentono una qualche normalità.
  Contrariamente alle aspettative, qualcosa mi viene in mente.
  Comincio a raccontare un sogno, devo averlo fatto intorno ai venti anni o forse anche prima.
  Ero circondato da individui molto alti, vestiti di lunghi abiti neri, la testa dei quali era ornata da corna d’ariete.
  Stavamo esaminando una sorta di carta geografica e, del sogno, mi era rimasta la vaga sensazione che quegli uomini, o qualunque cosa fossero, mi stessero assegnando una missione (un compito da svolgere una volta incarnato?).
  Dell’incarico ricevuto non mi era rimasta memoria, tranne la appena percettibile impressione che non fosse propriamente nell’interesse dell’umanità, tutt’altro…
  Finito di raccontare il sogno, la mia mente si sposta verso un altro ricordo, molto più recente.
  Qualche mese prima, sarà stato agosto o settembre, mi trovavo a casa della mia cara fidanzata.
  Lei era in un’altra stanza, forse intenta a vedere le ultime battute di un programma televisivo, io mi ero disteso sul letto.
  Cambiai più volte posizione, finché non mi assestai nella posizione bocconi.
  Passato un po’ di tempo, del tutto involontariamente, la mia attenzione si spostò su un punto del mio corpo (sul dorso, in alto, a destra della spina dorsale e a pochi centimetri di distanza da essa, per la cronaca…).
  Mentre la mia attenzione restava fissa su questo punto, mi trovai completamente identificato con il maestoso volo di un grande rapace bianco.
  Poi questa situazione scomparve e la mia attenzione si spostò sulla mia posizione, a faccia in giu.    Mi resi conto che quella era la posizione in cui avevo passato i secoli, se non i millenni. Come è noto, i cadaveri dei coloro che hanno stipulato un patto col diavolo vengono ritrovati in quella posizione e la riassumono per quante volte si tenti di fargliela cambiare.
  Mi ritrovai a Venezia (sapevo che era quella città, anche se non vedevo nulla che potesse identificarla). Ero abbigliato come un uomo del sedicesimo secolo, con un vestito azzurro con tanto di gorgiera. Baffi e una corta barba nera a punta ornavano il mio volto. Il mio corpo era quello di una persona ancora giovane e avevo dinanzi, sul piano di un tavolo, un pugnale.
  Ero consapevole del patto stipulato, in quella o in una incarnazione precedente, probabilmente spinto dall’ ambizione…
  La mia mente tornò a ripercorrere le mie numerose incarnazioni dominate da quel patto scellerato.
  Patto col diavolo.
  Poi, improvvisamente, capii, il diavolo con cui avevo stretto il patto non era altri che io.
  Infine, comparve una testa olmeca, ma di quest’ultima visione tuttora mi sfugge il senso…
  Dopo avermi ascoltato, il dottor Valenti conclude che, poiché l’intero processo si era svolto all’interno di me stesso, la cosa era, nel complesso, rassicurante.
  Terminata la seduta, mentre mi dirigo verso casa, non posso fare a meno di notare che, dal giorno in cui ebbi quella strana esperienza, la mia vita, lentissimamente e quasi impercettibilmente, cambiò.