Fanfic su artisti musicali > Altri
Ricorda la storia  |      
Autore: Andrewthelord    14/03/2007    8 recensioni
Un figlio trova i dischi del padre defunto assieme ad un suo pensiero su carta. La storia di come un cantante, Elvis Presley, abbia dato così tanto a tutti noi. Grazie al mio amico Edoardo che mi ha fornito uno spunto così interessante.
Genere: Romantico, Poesia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mio padre era una persona eccezionale, giovanile, patito di tutto ciò che può rendere un padre una persona strepitosa. E’ nato nel 1932 ed un tumore lo ha stroncato nel maggio del 2003. Era un professore di letteratura inglese all’università, molto amato, bravo cristiano, con il mito dell’america. Già. Me lo immaginavo come Alberto Sordi negli anni ’50 a mangiare mostarda, lui, il mio eroe. Quando mi parlava dei suoi viaggi in america da bambino quando ci lasciava due mesi dai nonni materni e se ne andava con la mamma e là chissà cosa faceva. Me lo immaginavo sparare agli indiani o andare giù per il kayak nei grandi laghi. E poi quattro anni fa me lo sono visto chiudere dentro una cassa saldata con lo zinco mentre il suo corpo sorrideva. L’ultima immagine che ho, con i miei figli che piangevano il nonno nell’altra stanza – li ho cacciati perché non volevano lo vedessero così – il suo volto ridente. Cadaverico, bianco, incerato, ma ridente. Va bene, era cristiano, ma non mi spiegavo quel sorriso. Una contrazione del corpo? No. Sicuro. Sono un fatalista e do ad ogni cosa un senso. Poi ho capito tutto. Pochi giorni fa ho portato i miei bambini dalla nonna, ed allora ho colto l’occasione di recuperare qualche nuovo giocattolo mio per loro, dato che la più piccola ormai ha già 10 anni, così con mia moglie ci siamo trovati in cantina a recuperare cose che nemmeno ricordavo di avere. Poi ho visto un baule che non ricordavo, l’ho aperto e ci ho trovato i vecchi dischi di papà. Quanti anni che non li vedevo. Musica italiana, qualche opera, ma quello che mi ha sorpreso erano tutti quei dischi di Elvis Presley. Sapevo che gli piaceva, ma Signore Dio, aveva vinili originali, pezzi da collezione, al che, sotterrando per un momento l’avarizia del figlio che prende i soldi dal papà anche quattro anni dopo la sua morte, mi sono fatto un po’ di domande. Ho esplorato i vinili, tutti in ottime condizioni, “Aloha from Hawaii via satellite”, “Elvis country”, “Kentucky Rain”. Ricordi della mia infanzia. La prima edizione dell’ultimo album di Elvis, del 1977, “Moody blue”. Elvis morì il 16 agosto di quell’anno. Il ’77. L’anno della mia laurea. Wow. Mi ricordo tutto. La mia fidanzata, che divenne poi mia moglie, mia mamma, mio papà. Mio papà. Che sorriso dalle sue foto. Autunno ’77. Sessione autunnale. 105 su 110. Mentre facevo questi pensieri da dentro la confezione del vinile scivolò fuori un foglio protocollo tutto scritto con inchiostro blu. Una folgorazione. La calligrafia di papà. Mio papà usciva dalla tomba per parlarmi. Immaginatevi la commozione di un figlio. Mi misi a leggere e per la prima volta conobbi mio papà. Il segreto dietro a quella sua serenità anche di fronte a quel tirocinante che masticando un chewingum gli comunicava che le metastasi erano ormai troppo diffuse e bla bla bla. Sorrideva di fronte alla sua condanna a morte. Sorrideva sul letto di morte con noi che piangevamo e mentre Don Luigi gli passava gli oli santi. E sorrideva cadavere mentre l’impresa funebre lo consegnava come cibo sotto scatola per i vermi.

Questa è la sua lettera. Questo il suo segreto. Strambo, forse. Non applicabile a nessun altro, forse. Forse anche banale o frutto di una vivida immaginazione. Ma mi sento in dovere di condividere con il mondo questo dono che mi è stato fatto.

 

                                                                                  Avv. Franco De Cesari. 14/3/2007

 

Scrivo questo stralcio in quanto ne sento il dovere. L’altro giorno Elvis Presley si è spento. Quando ne hanno dato notizia sul giornale radio mi sono commosso in quanto fin dalla mia giovinezza era stato un mio punto di riferimento. Mi trovavo a metà degli anni ’50 per il mio dottorato di letteratura americana, a vagare con un professorino di Yale per le biblioteche di tutto il Connecticut a trovare manoscritti risalenti alla guerra di secessione. Era un periodo di segregazione razziale, quando vidi al cinema un film di questo ragazzo che cantava come un nero e faceva chiari rimandi di carattere pubico. Elvis Presley. Mi conquistò subito. Eppure i puritani americani si scandalizzavano, vuoi per i riferimenti sessuali, vuoi per quel razzismo che non si sono ancora scrollati di dosso, dopo quei maledetti proiettili al reverendo King e al presidente Kennedy. Ma i giovani lo amavano, ed i vecchi si spaventavano. Come avviene per ogni cosa che piace ai giovani e che i vecchi osteggiano, questo ragazzo crebbe sempre più, migliorando la sua musica, insegnando ai ragazzi figli di reverendi astemi e donne della continenza cosa significa divertirsi. Già, ci si poteva divertire anche quando i tuoi fratelli maggiori sono andati a morire qualche anno prima in Europa. Ci si poteva divertire quando venivi chiamato a combattere in Corea. Ci si poteva divertire quando la democrazia era martoriata da lobbysti di ogni tipo. E ci si divertiva parecchio. I film, i dischi, la televisione, la radio. Già, la radio, che trasmetteva in frequenze diverse per bianchi e per neri, si trovava unita per la prima volta con i ritmi di Elvis, che univa i cori protestanti dei bianchi alle preghiere urlate dei neri, la musica country della campagna dei bianchi ed il jazz dei neri delle grandi città. Mi ricordo quando tornai in Italia e mio padre non tollerava quei dischi. Mi ricordo Elvis che cantava nel giradischi quando timidamente mi baciavo e chiedevo la mano della madre dei miei figli. Mi ricordo Elvis un po’ più adulto che faceva i film che guardavo al cinema con mia moglie in quegli strani anni ’60, mentre ottenevo la cattedra. Lo vidi Elvis, per parecchie estati, negli anni ’70, ai concerti a Las Vegas, quando, con la scusa dell’università, andavamo a vederlo. Eravamo lontani dagli anni ’50 quando il ragazzino cantava con l’aria estiva dei campi dell’east-side. Ormai il deserto di Las Vegas si era forse insediato anche nel cuore di tutti noi, ma il Re continuava a cantare. Dal divertimento si passava all’eccesso. Noi che speravamo in un mondo sempre più grande. Cominciavamo a chiamarlo, oltre che a Re, anche con altri epiteti, più da semidio che da cantante vistosamente alcolizzato ed obeso. Lui però era lì, con i suoi divorzi, i suoi chili di troppo, i suoi figli, il suoi scandali, la sua gloria e la sua voce, che cantava con la voce tenorile sia inviti sessuali espliciti che canti religiosi latini che neanche il Papa li ha mai sentiti così belli e profondi. 42 anni. E’ morto solo a 42 anni e la gente comincia a non crederci. Nemmeno io ci credevo all’inizio. Potrà finire il suo successo? Potrà finire la sua gloria? Potrà finire quello che ci ha insegnato? Sicuramente no. Ne sono sicuro. Ed è per questo che è immortale. Sono giunto ieri, mentre interrogavo svogliatamente i miei studenti – scommetto anch’essi sconvolti, ma meno di me, ne sono sicuro – ad una conclusione forse assurda, rifacendomi alla mia infarinatura filosofica di base. Sant’Anselmo dice che Dio esiste perché è qualcosa di talmente bello, grande e immenso che non può non esistere. Allora Elvis? Anche lui è grande, anche lui è importante. Ci ha insegnato tante cose. Ci cantava la ninna nanna, i canti d’amore, i canti quando ci dovevamo arrabbiare, i canti quando dovevamo divertirci. Poi la sera ho visto le immagini via satellite – che novità – del funerale di Presley. Presley era la vita, non poteva esserci il funerale della vita. Ho visto una città bloccata, cortei di macchine, gente che cantava le sue canzoni. Ho visto scene di vita, non di morte. Ed ho capito che se un uomo, con tutti i suoi problemi, con tutti suoi vizi ed errori riesce a dare così tanto a così tanta gente, allora, allora l’uomo è veramente qualcosa di straordinario. E noi siamo come lui. Lui è nostro fratello. Come un Cristo che scende in terra facendosi uomo e mostrandosi come uomo per farci capire quanto siamo importanti. Così importanti da essere immortali. Elvis è vivo. Ha superato questo mondo e sta cantando nell’altro. Ne sono sicuro. Deve essere così. Se così non fosse, tutto quello che ho provato e che so non sarebbe vero e se non fosse vero io non saprei nemmeno di essere qui ma perché ci sono so che è tutto vero e so che quelle cose erano così grandi che nascevano da un’anima immortale. Dio esiste e me lo ha mostrato anche Elvis con la sua grandezza. Qualcuno potrebbe trovare la grandezza di Dio in un tramonto, in una guarigione, in qualcosa, insomma. Io Dio l’ho visto negli occhi dei miei figli che nascevano e nella folla che seppelliva, anzi, eternizzava Elvis. Sono uno scemo forse? No. Credo di no. Inserisco questo mio breve trattatino teologico nell’ultimo album del Re. Così ogni volta che crederò erroneamente che quell’angelo sia solo cibo per vermi, mi ricorderò di ciò che avevo capito così nitidamente in questo momento, e non potrò mai pensare in maniera errata.

                                                                       Prof Giuseppe De Cesari, 20 agosto 1977.

 

 

 

 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Altri / Vai alla pagina dell'autore: Andrewthelord