Diventerai la vecchia
zitella pazza e
bisbetica del quartiere,
con questo tuo caratterino adorabile, e avrai almeno sette gatti!,
Gilbert gliel’ha detto e ripetuto: ci scherza sopra in
più occasioni, e le sue parole sono sempre seguite da quella
sua risata chiassosa e sguaiata. Roderich spesso tenta di sventare
questa triste eventualità con articolati discorsi sul
matrimonio che non arrivano mai al punto e allusioni così
educate e velate che, se non lo conoscesse da anni, potrebbe quasi
fraintendere.
Alla fine,
Gilbert viene sempre messo a bada con la vaga minaccia di una padella
scagliata con precisione chirurgica dritta contro la sua testa, e
Roderich con un rapido cambio d’argomento che, lo sanno
entrambi, equivale ad un rifiuto gentile ma netto. Non che non voglia
sposarsi un giorno – un giorno possibilmente molto, molto lontano.
Non è per colpa di Roderich, certo che no: lo ama come lo
amava il giorno in cui si sono messi insieme, se non di più.
Semplicemente, non capisce perché lui abbia tutta questa
fretta: sono giovani, stanno bene insieme, hanno tutta la vita davanti.
Non le servono
una cerimonia e un contratto, per saperlo, e non ha bisogno di una
decisione forse troppo affrettata che potrebbe logorare il loro
rapporto invece di miglioralo. Un matrimonio non aggiungerebbe proprio
nulla a tutto ciò che già hanno.
Un giorno, se
le cose continueranno ad andare così bene tra di loro,
probabilmente sposerà Roderich. Per ora, rimane una giovane fidanzata
fondamentalmente tranquilla ed equilibrata con un unico gatto.
Anzi, una
gatta. E pensare che lei si è sempre ritenuta una dog person: ama i cani,
forse perché si è sempre sentita socievole e
affettuosa come loro.
Ma quando ha
visto per la prima volta lei,
non ha davvero potuto resistere.
Elizaveta si
volta a guardarla. Natasha, placida e silenziosa, è sdraiata
per metà sul pavimento e per metà su un vecchio
maglione che le ha regalato Roderich anni fa e che dopo il suo riposino
sarà inevitabilmente pieno di pelo bianco e soffice, e
sembra trovare entrambi abbastanza comodi.
È
difficile credere che, solo qualche giorno fa, era solo una randagia,
in cerca di cibo, sperduta, sporca. Elizaveta l’ha trovata
nel parco che soffiava minacciosa contro un paio di ragazzini in vena
di stuzzicarla, il portamento in un certo qual modo fiero, come una
regina offesa, e gli occhi chiari e freddi che mandavano lampi.
Elizaveta non è riuscita a trattenersi, e l’ha
portata a casa con sé.
Ha provato a
rintracciare il suo padrone, ovviamente. Ha scritto annunci a cui
nessuno ha risposto, ed è tornata più volte nel
parco a cercare un collare e una targhetta che non c’erano.
Al collo,
Natasha aveva solo un consunto fiocco di stoffa blu, strappato e
macchiato in più punti. Quando Elizaveta ha provato a
toglierglielo per la prima volta, temendo che potesse rimanere
soffocata o impigliarsi in uno degli arbusti nel suo giardino, lei
l’ha graffiata. Solo dopo qualche giorno è
riuscita a convincere la gatta ad abbandonarlo, e ha subito dovuto
rimpiazzare il nastro con uno identico, dello stesso blu scuro e
intenso.
Scegliere il
suo nome, invece, è stato molto più facile: ha
ripensato al loro primo incontro, a quella regina guerriera felina,
candida tra il rosso delle foglie morte che scricchiolavano sotto il
peso dei ragazzini nel parco. Ha accarezzato il pelo morbido e bianco
come la neve della sua nuova amica, per una volta senza temere per
l’incolumità della sua mano, ha osservato i suoi
occhi chiari e profondi e ha deciso.
- Ho una gatta
zarina. Quindi, perchè non un bel nome russo? –
ripete guardandola ora, un sorriso che le aleggia sulle labbra. Natasha
miagola piano, forse in segno d’apprezzamento, ed Elizaveta
si china ad accarezzarla.
Essere la
gattara pazza del quartiere, pensa Elizaveta, forse non sarà
poi così male.