The forgiveness of the sin

-Prologo-

Lamenti di voci atone che si insinuano imponendosi da colonna sonora nei tuoi silenzi.

Piccoli e fastidiosissimi ticchettii che pulsano dentro te perché desiderano ardentemente di mettere fine a questa straziante tortura psicologica.

Il tempo guarda dalla sua postazione da Superiore la gente che nasce, cresce, invecchia e muore.

A volte, osserva apatico gli uomini che si uccidono tra di loro per il solo scopo di ottenere più potere, e, quando succede ciò, sorride sarcasticamente.

La sua è una risata gelida e di compassione.

Non riesce a comprendere la nostra stupidità, ma d’altronde siamo umani, cos’altro si aspetta?

Le stagioni passano, il freddo si sostituisce al caldo e il caldo al freddo.

Alla fine, il cerchio si chiude e inizia tutto nuovamente da capo.

Una routine che non avrà mai fine. Una roulotte che girerà in eterno.

L’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, la nostra vita paragonata metaforicamente ad un segmento che si muove e si evolve nello spazio.

Una volta raggiunto il termine, pensano di poter arrivare all’eterno riposo, compiacendosi di aver vissuto una vita di merda.

Gli artisti pagani utilizzavano rappresentare le loro opere purificate da ogni peccato, perché solo così - secondo loro - si poteva raggiungere l’Uno, il Divino, il Superiore.

Però, essi raffiguravano, in realtà, sul freddo marmo, quello che avrebbero voluto essere, ergo un ideale di perfezione candida, utopica per l’essenza del genere umano.

La crudeltà annebbia la mente dell’uomo.

L’avidità la muove.

Le stesse unite in unica sostanza, comunemente chiamata “malignità”, la uccidono, scacciando l’anima dal corpo e rendendo la persona un automa.

No, non è così che avviene il pentimento.

Non è credendo ipocritamente di vivere nel giusto che si salva, da morte certa, il nostro destino.

La grandezza sta nelle piccole cose

(O. Wilde)

Shizune, però, aveva capito.

Il giusto sta nel saper perdonare e nell’amare contemporaneamente.

                 Perdonare lo spirito che ha commesso il peccato e amarlo perché si è pentito.                  

Il nero che si sovrappone al bianco.

Lo sporco che infetta il puro.

La kunoichi avrebbe intrapreso, a breve, una dura lotta che avrebbe visto come protagonisti l’istinto e la ragione.

Salvarlo perché si è pentito…

… o reciderlo perché ha peccato?

[Che cosa è veramente giusto?] 

A/N

Sono tornato in pista con il prologo di una nuova fiction, che terminerà al prossimo capitolo.

È da molto tempo che volevo scrivere una Shizune/Kabuto, visto che è una delle mie coppie preferite.

Avverto chi legge che questo capitolo è solamente un'anticipazione contorta, confusa e, soprattutto, totalmente inutile, uscita dalla mia mente malata durante una lezione di storia dell'Arte, di quella che sarà la *vera* storia.

Si ringraziano in anticipo vari ed eventuali lettori e/o recensori.

Saluti,

Lupus

PS: Ringrazio, infine, l'assistente amministratrice del fandom di Naruto, Solarial, per i chiarimenti che mi ha dato.

Disclaimer:

I personaggi, purtroppo, non sono di mia proprietà, ma di Masashi Kishimoto.

Io dalla storia non ci guadagno un lira, e neanche un euro, se è per questo.