Serie TV > Once Upon a Time
Ricorda la storia  |      
Autore: Sylphs    10/09/2012    7 recensioni
Perchè l'aveva rinchiusa in quel castello corrotto, perchè si era messo a fianco quella creatura così diversa da lui, così incompatibile con ciò che era diventato? Era troppo marcio e corrotto per lasciare intatta l'innocenza di Belle, e allo stesso tempo Belle era troppo luminosa perchè lui potesse tollerarla.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Luce e tenebra
 

 
 
 
 
Belle era china ad attizzare il fuoco nel camino della vasta sala, una figura minuscola e indifesa illuminata dalle fiamme lingueggianti. La gonna azzurra le si allargava come una pozzanghera intorno al corpo esile e le mani erano nere di fuliggine mentre maneggiavano con goffaggine inesperta l’attizzatoio incandescente. Era l’unica figura a muoversi nel silenzio gravido e nell’immobilità pesante ed eterna che avviluppava il Castello Oscuro, soprattutto a notte inoltrata, quando il buio regnava sovrano in quelle camere polverose e decadenti e le ombre si infiltravano ovunque, ombre che sussurravano, ombre che parlavano di un passato ormai lontano, ombre che lei, così ingenua e luminosa, non poteva scorgere. Fuori dalle ampie finestre da cui aveva tolto le tende il cielo era scuro e immenso e la luna troppo esile e fioca per rischiarare un luogo tanto cupo. Il crepitio del fuoco e il fruscio della legna smossa dal ferro erano quasi assordanti, in quella totale assenza di suoni.
Rumpelstiltskin la scrutava nell’angolo più tenebroso e raccolto del salone, nascosto nell’oscurità e pressoché invisibile,  e la sua presenza si poteva avvertire solo grazie al gemito lugubre dell’arcolaio che faceva girare con continuità, mentre filava la paglia senza bisogno di osservare il proprio lavoro preciso e meccanico. Era grato alla buia protezione che lo celava allo sguardo di lei, benché sapesse che Belle era consapevole di averlo vicino: lo leggeva nella tensione dei suoi muscoli, nel pallore che dominava il suo viso fresco, nei gesti timorosi e fin troppo attenti con cui svolgeva le sue mansioni. Erano passate solo poche ore da che aveva rimosso le tende, invitando il mondo esterno ad infiltrarsi nel maniero, e lui l’aveva salvata dalla caduta, ed anche se aveva preso a guardarlo con meno ostilità del principio, era normale che la sua presenza la mettesse ancora in soggezione. Era pur sempre un mostro, una bestia, e la sua fama non si poteva certo cancellare con una singola buona azione che aveva peraltro compiuto senza una ragione precisa, così, d’istinto.
In quel momento, Rumpelstiltskin si stava domandando perché mai l’avesse presa con sé, infrangendo una solitudine che durava ormai da parecchi anni, e quale vantaggio avesse in fondo tratto dall’accordo stipulato con re Maurice. Aveva davvero bisogno di una governante? Le penose condizioni in cui versava il Castello Oscuro non l’avevano mai interessato più di tanto, ma se anche avesse gradito vivere in un luogo più pulito, non gli sarebbe forse bastato utilizzare la sua magia per raggiungere il suo scopo? Perché mai pretendere come merce di scambio una ragazza inesperta e totalmente estranea ai lavori umili, perché accettare accanto a sé un essere umano dopo tanto tempo? E perché permetterle di stravolgere quel fragile equilibrio conquistato così duramente, perché lasciare che lo privasse della protezione dal mondo offertagli dalle tende senza protestare?
Non sapeva trovare risposta, e la cosa lo irritava non poco. Era una fortuna che fosse così abile ad occultare le sue emozioni, altrimenti, forse, quella fanciulla dagli occhi tanto curiosi e intelligenti avrebbe potuto indovinare i dubbi che si celavano sotto la sua pelle spessa e perdere il timore reverenziale che tutti provavano nei suoi riguardi. Lui era l’Oscuro e aveva perduto da fin troppi anni l’uomo povero e semplice che avrebbe dato la vita in cambio di quella dell’unico figlio, quel figlio di cui non riusciva ormai neanche a formulare il nome senza avvertire un fremito di dolore sotto la carne dura e ruvida.
In qualche modo, Belle gli ricordava Baelfire. Aveva la stessa innocente determinazione nello sguardo, la stessa fiducia nella gente, spesso mal riposta, e la stessa spontaneità nei modi, nelle parole. Ma indugiare sul ricordo del figlio perduto era pericoloso, specialmente se la sua domestica si trovava ad appena pochi metri da lui, e si affrettò a scacciare i pensieri sgradevoli, abbassando lo sguardo sull’ipnotico moto circolare dell’arcolaio, che lo aveva sempre aiutato a dimenticare e a smarrire in un limbo torbido e sconosciuto gli ultimi fragili brandelli di umanità rimasti dentro di lui. In fin dei conti, non aveva bisogno di spiegazioni logiche per il proprio comportamento recente. Forse si era trattato di un semplice capriccio, di un gioco. Di una novità che si era concesso di assaporare nella noia della sua esistenza solitaria e statica. Forse, dopotutto, stringere patti non gli bastava più ad essere pienamente soddisfatto, per quanto seguitasse a ricavarne un piacere acutissimo.
L’imbarazzato colpo di tosse della ragazza lo distolse dalle sue riflessioni e alzò pigramente gli insondabili occhi color pece, puntandoli sul cono di luce proiettato dal camino in cui lei sostava. Si era appena strofinata le mani per pulirle alla meno peggio dalla cenere e si stava lisciando nervosamente le pieghe dell’abito azzurro, scandagliando l’oscurità che lo nascondeva con lo smarrimento di chi non riesce a vedere nulla: “Io…io avrei concluso” disse timorosamente: “Se non avete altre mansioni da affidarmi…”
Rumpelstiltskin piegò le fredde labbra affilate nel sogghigno che gli era abituale: “Per oggi hai finito, dearie” nonostante tutto, la sua voce aveva un tono stanco: “Va pure a dormire”.
Lei parve esitare: “E…voi?”
L’Oscuro emise una risatina ironica: “Io non dormo mai molto. Ad essere sincero, trovo la notte assai più confortante del giorno”.
“Ma prima che togliessi le tende” obiettò la ragazza, facendosi coraggio: “Giorno e notte non dovevano fare molta differenza per voi”.
Rumpelstiltskin sollevò le sopracciglia, suo malgrado sorpreso. Era assai raro, se non impossibile, che qualcuno lo contraddicesse o mettesse in dubbio le sue affermazioni, l’unico ad averlo fatto da quando era diventato l’Oscuro era stato Bae, e la presunzione, o forse l’intraprendenza della sua nuova serva in qualche modo lo colpì. La sua voce, tuttavia, era sardonica come sempre, e il suo ghigno intatto anche se lei non poteva scorgerlo: “Perspicace affermazione, dearie. Diciamo allora che intendo godermi appieno la prima vera notte di cui godo da molto tempo”.
“Quando vivevo a palazzo” raccontò lei, un po’ più sicura di prima e con la schiena più diritta: “La mia stanza si affacciava su un magnifico lago ed era uno spettacolo guardarlo alla luce della luna. L’acqua si tingeva d’argento e sembrava trasformarsi in un luogo magico, intoccato dal tempo, in cui tutto poteva accadere. Tenevo sempre le finestre aperte per addormentarmi di fronte a quello spettacolo” soggiunse con nostalgia, gli occhi azzurri persi in un vuoto in cui rivedeva ciò che aveva perduto e i bei lineamenti addolciti dal ricordo, come se avesse dimenticato con chi stava parlando. Le mani di Rumpelstiltskin, mani spesse e rudi, dalle appuntite unghie nere, avevano cessato quasi inconsapevolmente di far girare l’arcolaio e di filare le pallide matasse di paglia e ascoltava intento la ragazza, senza avvertire l’impulso di mettere in ridicolo il suo racconto. Nessuno gli aveva più narrato alcunché, la paura e la diffidenza erano troppo forti, e aveva dimenticato cosa significasse condividere il proprio passato, le proprie esperienze con qualcun altro, aveva finito per considerarla una cosa inutile e pericolosa, un modo per mettere a nudo le proprie debolezze. Il fatto poi che Belle si stesse aprendo proprio con lui lo sconcertava. Gli parlava in quel modo perché non poteva vederlo, ed aveva quindi l’illusione di essere in compagnia di un’altra persona? In fin dei conti era il suo carceriere, l’individuo che l’aveva strappata alla sua casa, alla sua famiglia, al suo fidanzato e che le aveva estorto ignobilmente sottomissione e obbedienza, tramutandola, da principessa, in una povera sguattera e dandole per stanza una gelida cella. Perché mai si confidava con lui, perché semplicemente non lo ignorava, inviandogli silenziosamente il suo astio? Di solito era abilissimo a comprendere ciò che le persone volevano o provavano, ma in questo caso la soluzione gli sfuggiva ed era per metà infastidito e per metà sorpreso.
Rimase in silenzio, senza sapere cosa ribattere. O meglio, sapeva perfettamente cosa ribattere ma una parte di lui si ribellava alla prospettiva di fare del sarcasmo a spese della ragazza, di liquidarla con un commento acido o una risata derisoria. E lei sembrò intuire il suo disagio, anche se si celava nel buio, anche se il suo viso non lasciava intravedere nulla, perché chinò il capo in segno di saluto e accennò perfino un lieve sorriso: “Buonanotte”.
Rumpelstiltskin udì i suoi passi leggeri che uscivano dalla sala, il fruscio della sua gonna sul pavimento, e si rifiutò di guardare dalla sua parte, gli occhi ostinatamente fissi sull’inanimato e cigolante arcolaio. La parola che Belle aveva pronunciato prima di ritirarsi ancora aleggiava intorno a lui, una parola che sapeva di un passato lontano in cui non era l’Oscuro ma un uomo comune, un uomo che ogni notte rimboccava le coperte al figlio e lo baciava sulla fronte, salutandolo con un affettuoso: “Buonanotte, Bae” a cui prontamente il ragazzino rispondeva: “Buonanotte, papà”. Era una parola piena di calore umano, di familiarità, che non sentiva da tanti, troppi anni. E se nei suoi ricordi aveva un senso, pronunciata da lei diveniva incomprensibile. Augurava la buonanotte al suo aguzzino, al suo carnefice. Al mostro che l’aveva sbattuta in una cella e rivendicata come propria come se fosse stata una mucca o un cavallo venduto in cambio di denaro.
Non riusciva a capire se fosse stupida, ingenua o semplicemente troppo umana per il suo stesso bene, esattamente come Baelfire, che aveva confidato in una bestia fino all’ultimo, fino a sprofondare  da solo in un mondo sconosciuto con il ricordo di un amaro e disgustoso tradimento. Digrignò i denti, pervaso da una rabbia che non riusciva a spiegarsi, e si alzò bruscamente dal seggio su cui si accomodava quando filava, attraversando la sala immersa nell’oscurità con i suoi passi rapidi e silenziosi e celando lo stupore, l’incomprensione e il turbamento sotto la sua pelle spessa e impenetrabile. La porticina di legno che conduceva alla cella di Belle era poco distante dal salone e quando vi giunse davanti mosse la mano quasi con furia, inducendola ad aprirsi da sé. Dentro il buio era ancora più gravido che nel resto del castello, i fiochi raggi lunari provenienti dall’unica finestrella irta di sbarre certo non bastavano a dissipare le tenebre, ma gli occhi di Rumpelstiltskin le penetravano senza difficoltà e individuò immediatamente l’esile figura raggomitolata su un ruvido pagliericcio. La fissò come se gli fosse sufficiente solo questo a comprendere, come se con lo sguardo avrebbe potuto intuire le ragioni del suo assurdo comportamento nei suoi riguardi.
Era solo una ragazza che non aveva ancora superato i vent’anni, una ragazza che non sapeva nulla del mondo se non quelle poche leggende ascoltate dai bardi e che non aveva idea degli abissi oscuri e disgustosi in cui un uomo poteva sprofondare, dei segreti sepolti sotto la terra e nelle viscere di un portale, del prezzo da pagare in cambio del potere e dell’invincibilità, dei peccati e dei cadaveri sui quali molti individui come lui avevano fondato i loro imperi. Eppure, nella sua inconsapevolezza, nella sua spensieratezza non ancora toccata dalle sventure, aveva qualcosa di tranquillizzante, quasi di attraente, proprio come Bae. I folti capelli castani le incorniciavano il viso disteso nel sonno, ombreggiato dalle ciglia abbassate sulle guance, e il suo petto si alzava e si abbassava dolcemente, la serenità con cui dormiva contrastava duramente con la misera cella e la sua infelice situazione. Si incantò a guardarla, attratto e insieme spaventato dalla sua purezza, e rifletté che gli sarebbe bastato un gesto a distruggerla, a strapparle quel candore. Perché l’aveva rinchiusa in quel castello corrotto, perché si era messo a fianco quella creatura così diversa da lui, così incompatibile con ciò che era diventato? Era troppo marcio e consumato per lasciare intatta l’innocenza di Belle, e allo stesso tempo Belle era troppo luminosa perché lui potesse tollerarla.
Non gli era mai accaduto di riconsiderare i termini di un accordo, eppure, per un breve istante, pensò di cacciarla via, di allontanarla da sé prima che uno dei due distruggesse l’altro, poiché questo sarebbe successo, lo sapeva con certezza.
Eppure non lo fece, non la scrollò brutalmente spezzando l’immobile serenità del suo sonno. Al contrario, si chinò senza far rumore, silenzioso come uno spettro, e la sollevò delicatamente in braccio, toccandola come se fosse qualcosa di delicato e prezioso che avrebbe potuto rompere da un momento all’altro, come se fosse fragile quanto la tazzina che lei aveva scheggiato la sera precedente e che aveva raccolto nel panico, terrorizzata da un suo eventuale scoppio d’ira. La stessa tazzina che aveva conservato e riposto con la stessa cura con cui adesso sorreggeva la fanciulla insieme al resto del servizio da tè. Uscì piano dalla cella, la cui porta si richiuse silenziosamente ad un suo comando, e si avviò in un corridoio trasportando quel dolce fardello addormentato, pensando che non prendeva più in braccio nessuno da quando Baelfire era scomparso, e che anche prima l’aveva fatto solo con lui, a costo di sopportare le fitte alla gamba menomata, perché lo amava, lo amava con tutto il cuore.
Si fermò dinanzi ad un uscio finemente intagliato, di nuovo esso si aprì senza bisogno di usare la maniglia. La stanza era ampia e accogliente, aveva un comodino, un armadio e perfino un tavolo con sopra un mazzo di fiori secchi, e un gran letto a baldacchino dalle cortine color rosso porpora. Sistemò Belle sul materasso con grande attenzione, ben deciso a non svegliarla e a non lasciarsi cogliere nel bel mezzo di quell’atto di inspiegabile debolezza, e le rimboccò le coperte con gesti furtivi, coperte in cui lei subito si avvolse, infreddolita. Uno schiocco di dita e il fuoco si accese vivo e allegro nel caminetto, rischiarando appena l’ambiente. Si ritirò silenzioso così come era entrato e, un attimo prima di richiudere l’uscio senza servirsi della magia, le sue labbra dure bisbigliarono quella parola che aveva ormai dimenticato, e che ebbe un suono stranissimo ora che a pronunciarla era la voce gracchiante di Rumpelstiltskin: “Buonanotte”.
 
Lei non disse nulla in proposito, la mattina seguente. Lo raggiunse nella sala mentre si versava del tè in quella tazzina e lui subito la guardò in modo strano, aspettandosi un commento, una richiesta di spiegazioni, qualsiasi cosa. Ma avrebbe dovuto abituarsi presto all’idea che Belle non era come le altre persone perché l’unica reazione da parte sua fu uno scintillio nelle iridi azzurre e un sorriso di considerazione e di amicizia sulle labbra rosse. Si sedette sopra al tavolo, leggera, e tutto quello che chiese, scrutandolo vivacemente, fu: “Perché mi avete voluta qui?”
Rumpelstiltskin sussultò, ripensando ai dubbi della notte prima. Quella ragazza leggeva dentro di lui così come lui leggeva dentro tutti gli altri. 
     
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Sylphs