Ennesimo viaggio, ennesima città, ennesima camera d’albergo.
Ogni cosa, negli ultimi due anni, era stata uguale; e quella mattina, iniziata come tutte le altre, non prometteva certo di essere diversa.
Si alzò di malavoglia dall’enorme letto matrimoniale al centro della stanza, soffermandosi un secondo di troppo con lo sguardo sul lato destro del baldacchino: vuoto e freddo, esattamente come si sentiva lei in quel momento.
Scosse la testa, cercando di scacciare quei malinconici pensieri prima che la sua mente decidesse di condurla, senza il suo permesso, verso oscuri e pericolosi baratri da cui si era tanto impegnata a stare lontana.
Mentre si alzò, facendo vagare lo sguardo nella suite che la sera precedente, un po’ per stanchezza e un po’ per noia, non si era nemmeno soffermata ad ammirare, le sue iridi andarono a posarsi sulla valigia aperta ai piedi dell’armadio di pesante mogano lavorato. Un sorrisetto amaro le incurvò impercettibilmente le labbra sottili: ogni volta la stessa, identica, storia…
In soli ventitré anni era già stata in quattro dei cinque continenti, fermandosi in numerosissime città, ma mai aveva avuto il piacere di vedere le meraviglie racchiuse nei luoghi da cui passava: tutto gli scivolava addosso, la sfiorava impercettibilmente senza quasi farsi sentire; era come se fosse cieca, passava accanto alle cose ma in realtà non riusciva a vederle davvero…
E rischiava di essere così anche quella volta: eseguiva le stesse azioni da un tempo indefinito, come un burattino nelle mani di una persona che ne tirava accuratamente i fili al momento giusto, come un robot.
Non poteva permettere che succedesse di nuovo: doveva riprendere in mano la sua vita, chiudere definitivamente con il passato e con le persone che facevano parte di esso, con tutti loro, e soprattutto doveva ritrovare la sua identità.
Recuperando velocemente la biancheria intima si diresse sicura verso il bagno, dove la aspettava una rilassante doccia mattutina al sapore di frutti di bosco: l’acqua calda e il profumo del suo bagnoschiuma preferito la aiutarono a schiarirsi le idee e a far sì che il suo piano per ritrovare se stessa prendesse man mano forma nella sua mente.
Mezz’ora dopo era di nuovo seduta sul letto: vestita di tutto punto, i lucenti capelli ricci che le arrivavano appena sotto il seno e gli occhi truccati con meticolosa cura; nelle mani teneva un’elegante stilografica nera e su di un foglietto recante il nome e l’indirizzo della prestigiosa catena alberghiera incise con sicurezza poche, semplici parole:
Ho bisogno di tempo.
Ti chiamo io.
P.
Con un gesto deciso appoggiò il biglietto sul cuscino color crema e afferrò la valigia già chiusa e pronta ai piedi del letto. Infine, dopo aver lanciato un’ultima, frettolosa occhiata a quella che avrebbe dovuto essere la sua “casa” per i prossimi quattro giorni, aprì la porta per lasciarsi definitivamente alle spalle quella vita e rinchiuderla nella stanza 89 al ventesimo piano di quell’hotel che lei non aveva avuto nemmeno la possibilità di scegliere e prenotare.
Note dell’Autrice:
Si, lo so: questo prologo è proprio striminzito! Ma d’altronde è solo un prologo, quindi potete riporre momentaneamente pomodori e uova e aspettare i prossimi capitoli che avranno una lunghezza molto più ragionevole… :)
Detto ciò, questa è la prima long che posto (non che scrivo, intendiamoci!!) e cercherò di impegnarmi al massimo per riuscire a portarla a termine come si deve!
Spero che vogliate farmi sapere cosa ne pensate (anche commenti negativi e critiche, se costruttive, sono ben accette…).
Baci, Sel.