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Autore: Columbrina    15/09/2012    1 recensioni
Ecco come Denzel ha ottenuto il suo fiocco.
Ecco perchè Cloud ha sempre lo sguardo socchiuso.
"Tutti in famiglia ne abbiamo uno in memoria di lei. Tu fai parte della famiglia ed è giusto che ne abbia uno anche tu"
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Denzel, Marlene Wallace, Tifa Lockheart
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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#Memory
 

 
Gli interrogativi rifluivano distratti nella sua mente fino a sfociare apertamente su di lei, sul campo prospero di vita che si incarnava in suggestivi fiori dai bei colori e che aveva fatto da sfondo alle loro birichinate fanciullesche, quando Marlene non era impegnata a ravvivare con sbuffi vivaci delle mani quei petali turgidi; Denzel rimaneva a studiarla con la solerzia di bambino che giaceva sotto le spoglie di uno sguardo incurante, prendendo a esempio il suo papà adottivo. E proprio come lui, gli piaceva respirare l’anima delle persone attraverso gli occhi, gli piaceva coglierne ogni insignificante sfumatura dimenticandosi che forse lo stava facendo nel modo sbagliato.
Il bello è che con la sua visione analitica rischiava di perdere tutti gli imprevedibili sapori che aveva l’istante stesso, che erano i più inebrianti. Marlene glielo diceva spesso, a discapito degli otto anni che portava con fermezza nello spirito e negli occhi.
E lui, naturalmente, incespicava. Sia nei passi che nelle parole; perché, per quanto fossero abituati a percorrere quel lembo di vita immenso, Denzel finiva spesso per farsi guidare dalla mano di Marlene, che gli faceva saggiare tutti i colori e i sapori che i suoi occhi non riuscivano a cogliere.
Un refolo di vento colpì Denzel in pieno viso e si strinse istintivamente nelle spalle.
Marlene, china sui fiori, rise sommessamente.
“Perché ridi? Non mi hai neanche visto!” fece Denzel, intuendo che i risolini della sorella erano rivolti a lui.
“Non ridevo per quello. Ridevo per una cosa che ho pensato”
Fu in quel preciso istante, intriso dei più inebrianti colori di vita, che gli occhi di Denzel parvero svegliarsi da un tepore che credeva invincibile e troppo piacevole da dover lasciare, quando in verità stava solo compromettendo una realtà già distorta.
“A cosa hai pensato?” chiese, iniziando a fantasticare su mille pensieri distorti, chiedendosi perché i suoi occhi si colorarono dello stesso rosa che oscillava tra i suoi bei capelli, sempre raccolti in una treccia, che non lasciavano intravedere nulla, nemmeno una schiva traccia.
Invece il colore che si stava facendo più calzante era quello deciso e fermo delle sue iridi che sprizzavano salute e nostalgica allegria; Marlene si muoveva tra i campi con la stessa destrezza di chi ha fatto solo supposizioni sulla vita e di chi non smetterà mai di cercare una solerte verità, solo per costruire altre fantasie. Denzel ebbe una reazione strana, una di quelle che si potrebbero definire plausibili per chi è stato a stretto contatto con un torpore intenso; non si incarnava in un rifiuto, in una paura o in uno psichedelico morbo, piuttosto quel principio di contatto teso gli impediva di elaborare una supposizione e quindi permetteva a Marlene di prendere l’iniziativa con tutta la sua discrezione, facendolo sentire parte di un qualcosa a cui non si sarebbe mai immaginato di appartenere. Cadde nella consapevolezza quando lei gli prese il polso e lo strinse piano, indugiando un po’, come se avesse paura di carezzarlo, come se percepisse l’esitazione che traboccava dagli occhi di Denzel; lei, allora, sfaldò la tensione con un sorriso preso dal cuore.
“Tu non hai un fiocco come noi” disse, sfilando dalla tasca un nastro dello stesso colore inebriante di cui si erano colorati prima i suoi occhi, rasentando la sua pelle con un fruscio che somigliava a un battito impalpabile di ali. Come se avesse programmato tutto.
“Tutti in famiglia ne abbiamo uno in ricordo di lei. Tu fai parte della famiglia ed è giusto che tu ne abbia uno”
Cloud gli raccontava spesso che si sentiva spesso sopraffatto dalle emozioni quando era con lei, l’altra, la ragazza col fiocco tra i capelli che lo aveva reso triste prima del suo arrivo; infatti in famiglia tutti consideravano Denzel come uno spiraglio che tratta con estrema cura il nostalgico vuoto della vita degli altri, né bianco né nero, quindi semina speranza e fa rinascere un germoglio nella tormenta, come disse Marlene, e che è diventato un vero e proprio motto.
Sentì germogliare un nuovo sentore di vita quando il tepore venne stretto in un nodo sul punto di sciogliersi, fatto alla meno peggio e che comunque sortì l’effetto desiderato, perché Denzel lo sentiva saldo e fermo come lo sguardo e il sorriso di Marlene che lo guardavano con noncuranza o forse curiosità ben mascherata.
“Ora però… Aiutami a raccogliere i fiori così li portiamo a Tifa!”
Con un sorriso suggellarono un patto tacito fatto di compromessi e piccoli segreti che sarebbero rimasti inconfessati nel fruscio incontrollato del fiocco a ogni refolo di vento che si alzava come ad ammonirli affettuosamente, come se volesse giocare con loro.
Da una finestra che affacciava sul piccolo miracolo di vita prospera, una Tifa pasciuta li osservava con occhi rapiti, come se non si aspettasse altro dalla vita. Cloud meditava al suo fianco, con lo sguardo socchiuso, le braccia conserte e una coscienza fervida.
“I nostri bambini stanno crescendo …”  sospirò lieta Tifa, col volto rilassato e pacifico. Cloud, invece, soffocò nella bocca un verso borbottato dal disappunto, che impregnò l’aria di inaspettata apprensione.
Lei, prostrata dai flagelli di un tempo che scorreva inesorabile e che era sul punto di scadere, gli posò una mano fragile sulla spalla, adagio, come se non volesse turbare l’inquietudine in cui si crogiolava periodicamente; calò il respiro sul suo viso e sorrise.
“Guarda che presto toccherà anche a te”
“Cosa?” fece Cloud, dopo un attimo di esitazione, destandosi dallo stesso torpore
“Crescere”
Cloud socchiuse nuovamente lo sguardo, immergendosi nei suoi pensieri impregnati di placenta e trafugando ogni minimo stimolo, trovandovi sollievo. E Tifa aspettava altrettanti stimoli, pazientando come aveva fatto tante altre volte, anche se immaginando il motivo di tanta inquietudine le veniva da sorridere.
La stretta di Cloud reagì al calore della mano fragile di Tifa, ancora adagiata sulla spalla, ed era impenitente come non mai. Poi il suo sguardo si perse nella contemplazione del loro singolare gioco, che affascinava la suggestione più latente, in una mimica contorta: Marlene raccoglieva i fiori e Denzel la studiava con devozione. Non era quella curiosità ipocrita, usata come espediente per temporeggiare, perché sapevano entrambi perfettamente che la sua era pura innocenza dettata da istinti naturali che lo portavano a esplorare prospettive mai saggiate, in modo da potervi trovare ristoro.
Cloud lo sapeva e aveva paura, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Commetteva un errore madornale quando si crogiolava in quei silenzi, perché i pensieri superflui facevano capolino nel silenzio e popolandolo, come se fosse fatto di lacune per coloni. Non è difficile immaginare che per un’ascoltatrice e un’osservatrice attenta come Tifa quello era pane quotidiano, anche se si limitava a sfogliare superficialmente; questo perché sapeva esattamente cosa pensava, ormai lo conosceva a memoria.
“Dimmi cosa ti preoccupa allora. Accidenti uomo, perché non dici le cose chiaramente per una volta? Potrebbe farti stare molto meglio”
Cloud rise.
“E’ solo che… Stanno crescendo troppo in fretta”
Gli occhi scuri di Tifa – che solitamente assorbivano tutto – si aprirono in modo sconclusionato a quell’affermazione simile ai refoli di vento che soffiavano imperturbabili fuori. Poi sorrise, quasi compiaciuta.
“In effetti …” esordì Tifa nuovamente “Le somiglianze parlano chiaro. A te non ricordano qualcosa?”
“Cosa intendi, ora?”
“Niente, tranquillo” soffiò Tifa, con eloquenza disarmante
Cloud si voltò bruscamente verso di lei e il suo viso attraversato da un sorriso trasversale, con uno sguardo che si potrebbe definire confusionario a causa delle accozzaglie di emozioni che lo attraversavano. Tifa si avvicinò nuovamente alla finestra, per saggiare quel nuovo spiraglio che si era offerto lesto e invitante e che la deliziava oltremodo, insieme alle sue nuove supposizioni sul presente e sul futuro.
“Sai, penso che potrebbe succedere qualcosa in futuro”
“Neanche per sogno” sentenziò Cloud, socchiudendo nuovamente lo sguardo e mettendosi accanto a lei, vicino alla finestra “Non succederà mai”
“Mai dar credito agli scettici”
Per Tifa gli scettici erano come gli eretici, quindi andavano trattati come gli imputati al cospetto dell’inquisizione.
“Io sono obiettivo”
“Ma così diventi uno scettico e sai gli scettici cosa fanno? Periscono con le loro stesse parole. Cerca di aprire la tua mente a ogni possibilità”
“E devo proprio offrirmi a quella più assurda?”
Tifa sorrise, con la solita, disarmante lentezza che scindeva il suo volto, attraversato da quel buffo sorriso compiaciuto.
“Secondo me, il destino ha già deciso per noi”
Detto questo affondò nuove, inebrianti concezioni in calzanti riflessioni che si susseguivano velocemente e Tifa trafugava un nuovo sorriso in ognuna di loro, come per confondere ancora di più la realtà filata di rosso o semplicemente per prenderlo in giro. A un certo punto Tifa si accinse verso la porta, per salire al piano di sopra.
“Ti chiedo solo un favore, Cloud… Non dirlo a Barret”
E lo lasciò, frastornato e confuso, in un tepore che non l’avrebbe mai abbandonato, nemmeno quando si sarebbe incarnato in una realtà sempre più distorta, anche se quella era la sua realtà.
“Ma cosa non dovrei dire a Barret?” era il suo interrogativo del giorno, che premeva le meningi e le faceva cozzare come fanno le onde erosive sugli scogli frastagliati e al contempo più fragili.
Forse se ne accorse quando aprì la porta per farli entrare e notò come erano armoniosamente trafelati e affiatati; li salutò con il solito impeto e loro ricambiarono con trasporto, stringendo dei mazzi degli stessi fiori che prosperavano in quel campo di vita, nel grigiore arcadico di un luogo abbandonato a sé stesso.
“Cloud, dov’è Tifa?” gli chiese Marlene, ansimando un po’ e facendo oscillare il bel fiocco che portava tra i capelli, che aveva sempre osservato di nascosto.  Notò che in una mano tenevano quei mazzi vivaci, l’altra era stretta in un abbraccio reciproco.
“Di sopra” rispose, con lo stesso tono di sempre.
“Facciamo una gara” esordì Denzel, sciogliendo la presa e partendo in quarta, facendo rumore tra gli interspazi della distanza che aveva lasciato e che Marlene si premurò subito a colmare, tra le proteste e le risate.
Cloud ancora non aveva capito.
L’unica cosa che riuscivano a vedere gli occhi dell’anima erano quei pomeriggi scanditi solo dal tepore inebriante di quando la guardava raccogliere i fiori. Lei che sorrideva e lui che, semplicemente, la osservava.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stralci ricavati da un sogno che non ho mai dimenticato e che ho trasposto in parole vive.
Perché le parole non sono altro che lasciti dei sogni.
 
L’avvertimento OOC è stato messo per sicurezza.
 
Ed ecco spiegato come Denzel ha ottenuto il suo fiocco.
Ed ecco spiegato perché gli occhi di Cloud sono sempre socchiusi. Come se trovasse consolazione nel buio, come se il nulla non compromettesse le sue visioni.
 
Fortuna che Manila ascolta sempre i miei sogni sconclusionati.
 
 
Alla prossima,
S.
 
   
 
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