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Autore: _CodA_    16/09/2012    6 recensioni
E per rendere omaggio allo spirito natalizio, pubblico una long-fic BRITTANA in tema (il fatto di averla iniziata il 6 giugno sono dettagli...)
Vedrete che ci sarà quasi sempre uno schema fisso di intro + personaggio in prima persona. Spero vi piaccia! :)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I segreti.
Quelli che custodiamo veramente, per onorare la parola data.
Quelli che chiudiamo dentro di noi, per paura o vergogna.
Quelli che stanno stretti, nel loro essere segreti, e vogliono solo essere parole libere.
I segreti che ad una sola persona confesseremmo. Altrimenti a nessuno, perché preziosi.
Segreti così dolorosi da esplodere.


Brittany's PoV

Parenti. Tanti parenti. Così tanti da sembrare una ciurma, un esercito, una mandria affamata di cibo, notizie, gossip familiari e chiacchiere insensate.
C'erano più persone della sera prima, più gente di ogni Natale e di ogni festività;
mia madre si era data davvero da fare.
Aveva voluto un pranzo in grande stile, riunire tutti, per il mio ritorno:
incolpandomi di non essere rimasta la sera prima e punendomi con altro tempo sprecato, sottratto a noi, a me e lei, e a Santana.
Santana...
Sedeva accanto a me silenziosamente, con la testa sul piatto, cercando di tagliare in pezzi sempre più piccoli un pugno di fagiolini e patate.
Cercava qualcosa per impegnare la mente e il corpo, qualcosa per distrarsi, ma io leggevo l'imbarazzo nei suoi occhi bassi che, per tutta la durata del pranzo, non avevano incontrato i miei.
Decisi di smettere per un attimo di pensare a mia madre, ai parenti che impegnavano la tavola coi più disparati e fastidiosi rumori, e mi rivolsi con dolcezza a lei, che aveva chiaramente bisogno di me.

"Ehi..." sussurrai, posandole delicatamente una mano sul ginocchio.
Ma, persa com'era nei suoi pensieri e nei suoi fagiolini, quell'improvviso tocco la spaventò, facendola sobbalzare sulla sedia.
Le rivolsi un sorriso tranquillizzante; la mia mano ferma e lo sguardo fisso su di lei.
La osservai chiudere gli occhi e posarsi una mano sul petto, mentre il suo battito si normalizzava dopo lo spavento.

"Nervosetta?!" chiesi retoricamente in una risata soffocata, mentre riapriva le palpebre.
"Intuitiva..."
"Oh andiamo... sono io ad essere circondata dai parenti..."
"Esatto! I tuoi parenti, tutti. Ignari di trovarsi in mezzo ad una guerra fredda..."
"Dici?" le domandai retorica.
Si girò completamente verso di me, scioccata e incredula.
"No, ma... hai notato vero che tua madre non ti degna più di uno sguardo?! Chiede agli altri di passarle le cose, anche se sei tu quella più vicina; non ti ha rivolto la parola nonostante, tecnicamente, siamo tutti qui per festeggiare te. Non senti anche tu un ticchettio?"

Avevo notato ogni cosa. Ero stata attenta ad ogni singolo gesto di mia madre, ad ogni parola. Sapevo perfettamente che palleggiavamo una bomba pronta ad esplodere.
Eppure avrei tanto voluto che non fosse così. Che per una volta non fosse tutto così dannatamente complicato.
Ero cresciuta, avevo imparato a fare scelte e a subirne le conseguenze, avevo sofferto.
Era ancora necessario tutto quel dolore? Era davvero indispensabile complicare le cose, quando sarebbe bastato un abbraccio, magari anche una lacrima, per perdonare e riprendere da dove tutto si era interrotto?
Ma soprattutto... quando mai c'erano stati tanti segreti tra noi?
Subivo ancora il peso del, forse eterno, segreto che avevamo io e Santana.
Non riuscivo a credere che, per anni oramai, mia madre avesse fatto finta che fosse tutto ok, che non ci fosse rancore da parte sua.
Più ripensavo alle sue parole, più mi convincevo che avevamo bisogno di parlare, di chiarire. E se significava guerreggiare, ero pronta a farlo.
Ma lei no, preferiva il silenzio, lasciandomi agonizzante ed impotente.
Preferiva una maschera, quando io, di mentire, non ne potevo proprio più.

"Ehi, ti ho rabbuiato? Perdonami, non volevo.."
Strinsi la mia mano sul suo ginocchio, tornando alla realtà e impedendole di continuare.
"Non è colpa tua, non scusarti..."
Mi avvicinai pericolosamente a lei per sussurrarle quelle parole ed, improvvisamente, la voglia di tranquillizzarla con un bacio, anche a fior di labbra, si fece impellente.

"Ehm!!!"

Quello schiarimento di voce, fin troppo familiare, mi fece riprendere a malincuore il controllo delle mie azioni. Mi allontanai lentamente dal viso di Santana, sedendomi meglio sulla sedia per ricompormi. Poi alzai lo sguardo di fronte a me.
"Dawn... volevi dire qualcosa?" chiesi, leggermente innervosita, sebbene sapessi che mi aveva appena evitato l'ennesimo problema.

"Sì. Contegno."

Vidi la sedia di Santana alla mia sinistra muoversi repentinamente all'indietro.
"Senti...!!" cominciò minacciosa.
Afferrai appena in tempo il suo polso destro per tenerla giù, seduta, ed impedirle una scenata.
"Per favore..." iniziai a bassa voce, mentre lei riportava la sedia più vicino al tavolo. "...finitela di comportarvi come due bambine! Non è il momento! Vi chiedo di cessare ogni ostilità per oggi. Potreste farlo, per me?" le supplicai, spostando nervosamente lo sguardo preoccupato da una all'altra.
Ci fu uno scambio di sguardi d'odio tra le due e poi vidi Santana alzare gli occhi al cielo.
"E va bene!" sbuffò, cosciente della situazione, dell'atmosfera grigia che aleggiava.
"D'accordo." concluse con sufficienza Dawn, spostando rapidamente lo sguardo sugli invitati.
"Stringetevi la mano." ordinai ad entrambe un secondo dopo.
"Starai scherzando, spero!" sbottò Santana, stringendo più forte le braccia incrociate al petto.
Con un gesto del capo indicai Dawn di fronte a lei, invitandola seriamente a darsi una mossa.
Alzò per l'ennesima volta gli occhi al cielo prima di lasciar scivolare rapidamente una mano al centro del tavolo per poter incontrare la sua.
Dawn, riluttante, la strinse.
"E' solo rimandato..." disse tra i denti Santana.
"Ci puoi scommettere..." rispose Dawn a tono, aumentando la forza nella sua presa.
"Farò finta di non aver sentito.." conclusi, tornando al mio piatto, mentre loro facevano lo stesso.
Tirai un lungo sospiro cercando di liberare la mente, cercando di non pensare, ma era diventata una cosa troppo complicata da fare.
Non riuscivo a ricordare il momento esatto in cui avevo smesso di essere spensierata come lo ero stata per tutta la mia adolescenza.
Forse il giorno del diploma...
Forse quando mi ero resa conto di essere innamorata di Santana.
Sì, doveva per forza essere quello il momento.
Quando realizzai di essere innamorata della mia amica, della mia migliore amica, della ragazza che mi capiva con uno sguardo, che mi rimaneva accanto quando gli altri andavano via; che mi difendeva da tutto e tutti, anche se io non gliel'avevo mai chiesto.
Quando capì che era l'unica persona di cui non avrei potuto più fare a meno.
Anche se ci avessi provato, anche se l'avessi desiderato con tutte le mie forze, mi sarebbe stata necessaria come l'aria.
Era il mio pensiero al mattino, la mia gioia perenne, il mio sogno notturno.
Sapevo che bastava pensare ai suoi capelli corvini, ai suoi occhi scuri, per sentire il calore avvolgermi, per sentire di essere amata e protetta come meritavo.
Capivo solo ora che amare significava anche complicazioni.
Amare voleva dire mettersi in gioco, fino in fondo, rischiare. E tener conto improvvisamente di un'altra persona, curarsi di lei meglio di se stessi.
Sapevo perfettamente che io mi sarei presa cura di Santana meglio di chiunque altro, come lei faceva e avrebbe fatto con me.
Ed eccola lì, al mio fianco.
Con la coda dell'occhio spiai ancora la sua figura.
Era ancora alle prese coi fagiolini, ma meno impassibile stavolta.
I capelli neri le ricadevano fluidi davanti al viso, ma potevo leggerne lo stesso ogni espressione, ogni movimento.
Era nervosa, gelosa, spazientita. E io sorrisi. Perché quelle erano le sue complicazioni; quello era il suo amore per me.
Mi risultava così poco chiaro come un amore così lampante, sincero, così poco pretenzioso, andasse tenuto nascosto, celato, segreto, agli occhi e alle orecchie degli altri, della gente e dei parenti.
Perché mai avrebbero dovuto giudicare male l'amore?
Non erano anche loro innamorati come me?
Santana tanti anni prima si era negata la felicità. L'aveva negata anche a me, dimenticando di curarsi di me, mettendo da parte l'amore.
Non ne avevamo parlato, ma era chiaro che adesso fosse pronta ad amare, ma non sapevo a quale prezzo.
Forse a costo del sole.
Io ero pronta a diventare il suo segreto, sebbene lo trovassi profondamente ingiusto.
Io volevo la luce per lei, volevo il sole, volevo il mondo intero per lei.
Perché io avrei dovuto lottare per poterglielo donare, quando per gli altri era così scontato?

"A che pensi..?"
La sua voce dolcemente preoccupata mi distolse da quei cattivi pensieri.
Mi voltai per risponderle serenamente, ma qualcuno mi chiamò dalla parte opposta della tavolata, costringendomi a darle le spalle.

"Brittany! Allora! Raccontaci un po', cos'hai fatto negli ultimi due anni?"
Era lo zio Albert: grassoccio e baffuto, col naso sempre rosso.
-Allergia!-  diceva. Ma la conoscevano tutti la sua propensione a bere sempre un bicchiere di troppo.
Era comunque innocuo, un tipo simpatico tutto sommato.
Almeno quando non diveniva la pedina di un gioco pericoloso a cui non sapeva nemmeno di star partecipando!
In un istante tutti gli occhi si puntarono su di me, curiosi.
Per qualche secondo il mio sguardo vagò sul piatto, sulle posate, sulla tovaglia che mai avevo trovato così interessante.
Ero a disagio.

"Beh... zio Albert... due anni sono tanti..."
"Oh su, raccontaci!!! Non sei mai stata timida!"
Non era timidezza la mia. Era confusione.
Come raccontare quel periodo, come descriverlo senza entrare in dettagli che mai avrei voluto confidare così apertamente?!

"Da dove comincio..? Ho... ho trovato lavoro! Diversi lavori a dir la verità!" smorzai con una risata. "Ho preso in affitto un appartamento..."
"Hai capito?! La nostra Brittany è cresciuta!"
Istintivamente l'occhio mi cadde sul tavolo più piccolo riservato ai bambini, alle spalle di Dawn che mi sedeva di fronte, dove i miei cuginetti erano impegnati a sporcarsi di sugo e a riempirsi di coca-cola.
Non sembrava essere passato tanto tempo dall'ultima volta che avevo anch'io seduto a quel tavolo, preoccupandomi solo dei regali, della famiglia felicemente riunita.
Non sedevo più lì, ero tra gli adulti adesso, per davvero; per quanto potesse essere strano e sconvolgente, ero come ognuno di loro.

"E dicci... nessun fidanzato all'orizzonte? Nessun ragazzo che fa la corte ad una bella ragazza come te?"

Guardai mia madre, in piedi dall'altro capo del tavolo, che raccoglieva i piatti.
Non lo feci apposta, lo feci senza neanche pensarci.
E nel suo sguardo ricambiato capì perché.
Lei sapeva, lei l'aveva sempre saputo. E non aveva mai detto niente, mai proferito parola.
Ignoravo se perché avesse voluto negarlo, fingere che non fosse realtà, o semplicemente perché avesse voluto concedermi spazio e tempo per capire da sola.
Sapeva di me e Santana, sapeva che non avevo mai mostrato interesse particolare in nessun altro. Lei, sempre e solo lei.
Così continuai a guardarla, complice, ma anche spaventata.
Cosa si supponeva che io dicessi? Mentire, sviare, svelare?
Mentire significava proteggere me e Santana, o comportarsi da codardi?
Eludere la domanda non sarebbe stata una risposta.
E svelare...  nemmeno riuscivo a pensare a quante cose comportasse.
Un segreto più è tenuto nascosto, più si carica di migliaia di significati che altrimenti non gli avremmo neanche attribuito.
Ora come ora svelare significava rivelare l'impensabile, sorprendere e sconvolgere.
Significava avere coraggio e decidere per due.
Significava forse anche dichiararsi e fare coming out.
Significava, a questo punto, ufficializzare un rapporto ancora instabile, ancora incerto.
E più pensavo alle conseguenze, più mi rattristavo. Perché non era più lo stesso.
Perché non era più ammettere, con orgoglio, di amare Santana, e basta.
Mia madre attendeva come gli altri, più ferma di loro però, più impietrita, ma mai come Santana, di cui non sentivo più il respiro sui capelli.
Tratteneva il fiato, moriva, straziata dall'attesa, incapace di decifrare quale sarebbe stata la mia decisione.

"A dire il vero... sto con una persona..." risposi distogliendo lo sguardo da mia madre. Non volevo guardarla mentre lo dicevo. Non volevo leggere i suoi occhi, non volevo che fosse lei la prima a giudicarmi, non l'avrei sopportato.
A quella breve risposta la tavolata si rianimò di chiacchiere, come se fosse stata la notizia del secolo. Io mi poggiai allo schienale della sedia per fissare il vuoto e riprendere a respirare.
Ma sentivo lo sguardo di Santana fisso su di me e sapevo che era spaventata.
Semplicemente avevo preso la mia decisione, volevo affrontarla ed ero pronta a subirne io le conseguenze. Lei doveva limitarsi a starmi vicino.
"E chi è? Quando ce lo presenti?" tentò di sovrastarli lo zio Albert.
"Veramente la conoscete già.."

A Dawn andò di traverso l'acqua che stava bevendo. Iniziò a tossire forte, attirando l'attenzione di tutti che credettero di aver fatto i conti giusti sulla nuova arrivata.
Si voltarono rapidamente verso di me, con visi interrogativi ed espressioni confuse.
Fortunatamente Dawn si riprese in tempo tra un colpo di tosse e l'altro.

"Oh, no! Non sono io! Almeno non quella attuale..."
"Dawn!" la rimproverai per essersi lasciata scappare quel dettaglio.
Santana fissò lo sguardo sgomento su di lei.
Io mi affrettai a recuperare il viso di mia madre, incerta su come avrebbe reagito a quella nuova notizia inaspettata.
Ma tutti intercettarono la direzione del mio sguardo e in un baleno gli sguardi furono su di lei che era ancora in piedi, ancora con i piatti accatastati davanti a sé e lo sguardo perso su Dawn.

"Margaret... tu lo sapevi?"

Ancora una volta fu lo zio Albert a parlare a nome di tutti, ma stavolta a sproposito.
Il silenzio calato rese l'attesa preoccupante.
In un attimo il vociare era cessato, i visi avevano smesso di vorticare, di balzare da una parte all'altra del tavolo, mescolando gli sguardi. Adesso tutti eravamo in attesa, della persona sbagliata.

"Di mia figlia non so più niente, oramai..." concluse sconsolata.
E io non potevo accettarlo.

"Perché continui a fare la vittima? Cosa ti ho fatto?"
Attirata la sua attenzione, la situazione cominciò a degenerare.
Le carte erano davvero in tavola, le pedine pronte a giocare, il filo della bomba sganciato.

"Tu... tu non sai cosa significa essere una madre. Crescere per anni la propria figlia, ritrovarsela grande da un giorno all'altro e scoprire che è scappata, senza una spiegazione valida, senza alcuna spiegazione! Non sai cosa significa essere una madre e sentire di aver perso la propria figlia, di non averla mai capita forse! Ho fallito..."

Le sue parole mi avevano sicuramente toccata. Mi sentivo spiazzata da quelle emozioni forti che non avevo preso in considerazione, perché troppo lontane da me.
Sapevo di essere stata un'incosciente, di essermi comportata da immatura per inseguire la maturità. Ma non riuscivo a pentirmi della mia scelta, non potevo rinnegare quello che avevo fatto, cosa e chi c'era stato lungo il cammino.
La persona che ero diventata era l'insieme di tutto ciò che mi aveva accompagnato.
Anche un viaggio improvviso verso una città grande e sconosciuta.
Anche la totale assenza di genitori ed amici.
Anche la lontananza dal mio unico amore.
Dovevo a tutto questo un ringraziamento.
E in fondo anche i miei genitori, sostenendomi da lontano, lasciandomi camminare da sola, avevano contribuito. Solo che questo non potevano saperlo.

"Hai ragione... non posso sapere cosa significa essere una madre. Ma so cosa significa amare qualcuno, preoccuparsi, sentirsi impotenti. Ti chiedo scusa."
Abbassai il capo, un po' in imbarazzo.
"So di non aver agito nel migliore dei modi per voi, ma lo era per me. Mamma.." cercai lo sguardo anche di mio padre, seduto a capotavola alla sinistra di mia madre. ".. papà. Siete stati fondamentali anche se distanti. Vi ho tenuti costantemente aggiornati sulle mie decisioni, sui cambiamenti… nel modo in cui una figlia che cresce deve fare con i suoi genitori."
Feci una breve pausa e poi tornai a rivolgermi solo a lei.
"Io non sono madre, ma tu sei stata figlia a tua volta. Sono sicura che puoi capirmi."

"E invece non ci riesco, Brittany. Non ci riesco!" rispose frettolosamente sconsolata.

Che razza di risposta era? Cosa voleva dire? Magari che aveva perso ogni speranza? Che rinunciava a me?

"Adesso basta!"
Santana si era alzata dalla sedia e aveva gridato sbattendo le mani sul tavolo per attirare l'attenzione ed essere ascoltata.
Si ammutolì il brusio di sottofondo; anche il rumore di posate e gli urletti dei bambini. Aveva davvero tutti gli occhi puntati addosso.

"Sono stufa di assistere a questi melodrammi inutili! Siamo qui per un motivo, uno solo, e quel motivo è Brittany! Non ho visto neanche l'ombra di un festeggiamento degno di essere chiamato tale! E' Natale, Brittany è tornata a casa e dovremmo essere tutti più buoni e felici! Invece vedo solo musi lunghi, rancori, silenzi imbarazzanti e atmosfere spiacevoli."

Io la seguivo sorpresa e ammaliata. Sapevo che Santana avrebbe sempre preso le mie parti e sapevo anche che mi avrebbe sempre difesa da chiunque e da qualsiasi cosa. Ma non immaginavo che fosse in grado di affrontare la mia famiglia meglio di come avessi saputo fare io. Fui rapita dalle sue parole, cariche di rabbia e tensione inespressa.
Aveva sentito il bisogno di urlare per sfogare le sue emozioni. Ed ora, seguendo più che altro i suoi pensieri, poteva esprimersi con più calma.

"E' questa casa Pierce? Davvero?! Perché non la rammentavo così! Ho sempre avuto un bel ricordo delle serate passate qui. Che dico... I migliori ricordi sono quelli racchiusi in questa casa! Per tre Natali consecutivi ho avuto il privilegio di essere ospitata qui, alle dieci in punto, per scartare i regali, stare in compagnia, sentirmi parte di una famiglia che non era la mia, per fortuna..."

Abbassò lievemente lo sguardo e io seppi che stava pensando ai suoi genitori, se ancora potevano essere definiti così. Portai la mia mano delicatamente sulla sua, che poggiava in tensione sul tavolo.
Strinsi le mie dita nelle sue e lei riprese forza per credere e continuare; solo un semplice tocco.

"Il Natale in casa Pierce era la mia salvezza. Mi sentivo accolta, amata, coccolata,  anche solo per qualche ora. E non posso credere che le stesse meravigliose persone di qualche anno fa si siano trasformate così tanto. Non posso credere che il tempo abbia modificato radicalmente la vostra capacità di comprensione e giudizio, ma soprattutto di perdono."

La vidi alzare fieramente lo sguardo verso mia madre: non per sfidarla, ma per smuoverla dall'interno, come smuoveva me con la passione, l'amore e la forza che si nascondevano dietro quegli occhi scuri.

"Signora Pierce... qua c'è sua figlia. E' Brittany. Un paio di centimetri in più, i capelli lunghi e sciolti, nessuna divisa da cheerleader, ma sempre la stessa ragazza. Una giovane donna dal cuore d'oro che, chissà come, sono riuscita a conquistare..."

Senza paura o inganno aveva pronunciato quelle parole in piedi, davanti a tutti. E adesso, quella donna meravigliosa, mia, mi guardava con un sorriso innamorato e orgoglioso, che mi diceva
 -Visto? Ce l'ho fatta. Adesso possiamo essere felici!-
Strinsi di più la mia mano sulla sua, mentre la guardavo dritto negli occhi, sentendo qualche lacrima di gioia e fierezza offuscarmi la vista prima ancora di cadere giù.
Poi tornò a guardare mia madre.

"... che cosa aspetta?" le domandò retoricamente con un sorriso sicuro.

Nessuno azzardava a muoversi o a parlare.
Erano increduli e ancora curiosi di sapere quale sarebbe stata la reazione della padrona di casa.
Ma Santana era fiduciosa. Sapeva che si trattava di attendere ancora qualche istante, qualche secondo affinché il muro crollasse completamente e mia madre tornasse a fidarsi di nuovo di me, dei miei sentimenti e del nostro rapporto.
E così fu.
Mentre la osservavo in attesa, vidi il viso di mia madre trasformarsi.
All'istante la sua bocca si piegò all'ingiù, il naso si arricciò e gli occhi si velarono di lacrime, lacrime disperate di gioia e frustrazione.
Un secondo dopo iniziò a percorrere il perimetro del tavolo come fosse stato un lungo ponte a dividerci. E finalmente, attendendola alzata, mia madre mi abbracciò con forza, stringendo il viso nel mio collo e le mani sulla mia schiena.
Non mi avrebbe più lasciata andare.
Io sorrisi, lasciando scivolare ancora qualche lacrima, mentre ricordavo finalmente cosa significava sentirsi la figlia più fortunata del mondo.

"Uhhhh huuuuuuuu!!!"
Come al solito fu lo zio Albert ad iniziare ad urlare e a battere le mani.
Ma, per una volta, gliene fui grato.
Contagiati, tutti i parenti presero ad applaudire e a ridere, contenti dell'esito di quella scenata improvvisa, di quelle rivelazioni, all'apparenza, scomode.

"Io… io voglio essere come Santana, da grande!"
Dawn, con un orecchio teso alle sue spalle, intercettò quella piccola confessione proveniente dal tavolo dei bambini: era la dolce Jenny, che applaudiva assieme ai grandi, guardando estasiata il suo idolo.
E sempre Dawn, tornando a prestare la sua attenzione a noi, a una Santana raggiante e a me sorprendentemente felice, prese a battere le mani anche lei, con forza, sorridendo.



Piccola nota:

Lo so, lo so... sono mesi che manco... almeno un paio. E a quelli che mi seguono assiduamente chiedo scusa davvero. So cosa significa attendere un capitolo di una storia a cui si è affezionati!
In ogni caso, il capitolo è qui. L'avete finalmente letto, spero vi sia piaciuto, nonostante le millemila critiche che mi si potrebbero muovere (e che io stessa mi faccio!). 
E purtroppo o per fortuna questo è il penultimo capitolo. Ebbene sì, il prossimo è il definitivo, quello che conluderà, si spera bene, la storia.
Lo prevedo pieno zeppo di roba, credo lungo, per cui vi chiedo di scusarmi fin da ora se ci metterò ancora un po' a scriverlo.
Questo come al solito è stato un parto! 
E poiché mi sono dilungata tantissimo, da brava persona prolissa quale sono, concludo solo chiedendovi di farmi sapere schiettamente che ve n'è parso questo. Let me know!!!   :)


_CodA_
  
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