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Autore: dalialio    19/09/2012    1 recensioni
Una situazione difficile, degli inseguitori, poco tempo.
Un ostacolo da superare, un solo tentativo.
Un esito sconosciuto.
...
Ma chi me l’aveva fatto fare?
[The 30 Seconds to Mars experience]
Genere: Azione, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The 30 Seconds To Mars experience - This is War'
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Closer to the edge
*parte la musica della 20th century fox, con tanto di luci stroboscopiche e riflettori*

The Radiolina_936 production

presents






Che cos'è la "the 30 Seconds To Mars experience"?
È la serie di fanfiction e originali scritta da me le cui storie si ispirano alle canzoni dei 30 Seconds To Mars.

Le storie sono song-fic?
No, non sono song-fic. Ho provato tante volte a scriverne, ma il risultato non è mai stato quello che speravo. Forse in futuro imparerò a scriverne una.

Allora cosa intendi che le storie "si ispirano" alle canzoni?
Nella maggior parte delle storie ho solo preso spunto dal titolo della canzone, in altre ho usato anche alcune parti del testo. Preciso che comunque non ho seguito per filo e per segno il testo della canzone: come ho detto, mi sono solo ispirata.

Quante storie scriverai per questa serie?
Non ne ho idea! Finché non mi stufo, credo.

Possiamo leggere oppure continui ancora a rompere con questa presentazione?
Solo un'ultima cosa e poi vi lascio stare: le storie sono state scritte con l'intento di essere lette mentre si ascolta la canzona a cui mi sono ispirata. Closer to the edge potete trovarla qui.





La Radiolina_936 production

vi augura

buona visione lettura!











Closer to the edge




Ma chi me l’aveva fatto fare?
Correvo come un forsennato da un tempo interminabile su quelle mura di cinta un po’ troppo strette per i miei gusti. La larghezza del sentiero lastricato mi permetteva a malapena di posare a terra il piede. Mi sforzavo di guardare di fronte a me per evitare di buttare un’occhiata verso il basso. Quanto alte erano quelle mura? Trenta, forse quaranta metri?
Mettere un piede in fallo significava la morte.
I miei polmoni cominciarono a bruciare e i polpacci a dolere. Che cavolo, mi allenavo ogni giorno per due ore, facevo ogni tipo di esercizio fisico e non riuscivo a resistere nella corsa un po’ più del solito?
Avrei ridotto il compenso al mio personal trainer.
Diedi uno sguardo fugace alle mie spalle per cercare di scorgere i miei inseguitori e per poco non rischiai di cadere. Riuscii a recuperare subito l’equilibrio, temendo che quei mostri riuscissero ad avvicinarsi pericolosamente a me.
Che cavolo di creature erano quelle, poi? Tutte nere, con membra lunghe e il volto completamente bianco, come se indossassero una maschera. In qualche modo assomigliavano ai mangia-morte di Voldemort.
Ma che cavolo di pensieri mi vengono in un momento simile?
La mia scivolata aveva fatto acquistare terreno a quei mostri: ora erano proprio alle mie spalle, tanto vicini da riuscire a sentire il loro alito puzzolente sul mio collo. Con uno sforzo sovrumano raccolsi tutte le mie forze e scattai in avanti, cercando di allontanarmi il più possibile da quelle obbrobriose creature.
Il sollievo di aver distanziato quei mostri, però, fu subito annientato dalla vista di ciò che mi riservava il percorso: una svolta a gomito finiva bruscamente in un precipizio. Sembrava che in quel punto le mura fossero crollate e ricominciassero soltanto dopo qualche metro.
Il mio cervello si mise in moto, stabilendo il pericolo di quella situazione a livello “allarme rosso” e andando alla ricerca di una possibile via di fuga da quella impasse. Ponderai qualsiasi soluzione, dall’inchiodare e sperare che quei mostri mi superassero per forza di inerzia, al tuffarmi di lato e aggrapparmi al bordo delle mura.
Tutto tranne che saltare quel baratro.
Ma quella svolta si stava avvicinando troppo velocemente e non avevo altro tempo per pensare ad un’alternativa. A malincuore dovetti ammettere di essere costretto a saltare.
Rallentai impercettibilmente e arrivai alla curva a gomito. Pregai di non perdere l’equilibrio come avevo fatto prima, ma la forza d’inerzia mi fece piegare pericolosamente da un lato, così cercai di compensare inclinandomi dalla parte opposta. A causa del brusco spostamento del peso, arrivai a toccare il pavimento con le mani, ma riuscii ad usare quell’imprevisto per darmi più slancio per il rush finale.
Ero riuscito a superare il primo ostacolo, ma non potevo ancora cantare vittoria: ora si prospettava la prova peggiore.
A dieci metri si trovava il nulla: un baratro lungo poco più di cinque o sei metri, profondo trenta. Improvvisamente mi pentii di non aver mai praticato il salto in lungo.
Accelerai più che potei, ma ormai ero vicinissimo al bordo. Solo qualche falcata mi separava dal mio destino: sarei riuscito a saltare o sarei precipitato nel vuoto?
Sarei morto?
Senza pensarci due volte – anche perché le creature che m’inseguivano non me lo permettevano – misi il piede il più vicino possibile al bordo del precipizio, piegai le gambe più che potei e saltai.
La scena sembrò svolgersi al rallentatore: mi staccai dal suolo e iniziai a volare. Continuavo a salire lentamente, innaturalmente. E mentre mi rendevo conto di non sapere come diavolo ero finito in quel luogo, arrivai a metà del baratro e iniziai la mia discesa.
Dimenavo gambe e braccia, come se facendo così potessi sperare di rimanere in aria più tempo. Quando mancò mezzo metro per arrivare dall’altra parte, allungai un piede, cercando di posarlo sul suolo.
Ma non ci riuscii.





***

   





Mi svegliai di soprassalto, tirandomi su a sedere. Fu un miracolo se riuscii a evitare di sbattere la testa contro la mensola sopra il letto.
Diedi un’occhiata alla sveglia. Erano le tre di notte.
Tirai un sospiro di sollievo. Avevo il fiatone, come se avessi corso realmente, ed ero tutto sudato. La maglia del pigiama si era incollata alla mia schiena e le lenzuola erano tutte bagnate.
Quando il respiro e il battito del cuore tornarono normali, presi una decisione.
Afferrai l’iPhone dal mio comodino e lo sbloccai; la luce dello schermo illuminò la stanza a giorno. Scorsi le pagine finché non trovai l’icona che cercavo. La tenni premuta fino a quando non si mise a tremare, poi premetti la crocetta in alto.
Elimina “Temple Run”: eliminando “Temple Run” verranno cancellati anche i relativi dati. Vuoi eliminare?
Guardai l’icona beffarda mentre tremolava.
Diamine, sì!
Il mostriciattolo giallo sparì.
Ora potevo dormire sonni tranquilli.







Nota dell'autrice che ha giocato un po' troppo a Temple Run

Sì, sono colpevole. Sono una di quelle persone che gioca a Temple Run fino a mandarsi in pappa il cervello. Anzi, giocava. Ora sono riuscita a disintossicarmi e posso vivere meglio la mia vita. Il mio iPod ha implorato pietà finchè mi sono convinta a lasciar stare il gioco per un po', anche se non l'ho eliminato. Non sono stata così coraggiosa. Ogni tanto ci gioco ancora, ma più moderatamente.
(Sono riuscita davvero a fare la parte della drogata di videogiochi? Io non sono così nella realta! XD)
Non sapete cos'è Temple Run? Quindi quella figurina gialla alla fine della storia non vi dice niente? No? Allora cercate su Google :)
Fatemi sapere se la storia vi è piaciuta e se vi ha fatto ridere almeno un pochino! :)
Chiara.
   
 
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