Una situazione difficile, degli inseguitori, poco tempo.
Un ostacolo da superare, un solo tentativo.
Un esito sconosciuto.
...
Ma chi me l’aveva fatto fare?
[The 30 Seconds to Mars experience]
Genere: Azione, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Closer to the edge
*parte la musica della 20th century fox, con tanto di luci stroboscopiche e riflettori*
The Radiolina_936 production
presents
Che cos'è la "the 30 Seconds To Mars experience"?
È la serie di fanfiction e originali scritta da me le cui storie si ispirano alle canzoni dei 30 Seconds To Mars.
Le storie sono song-fic?
No, non sono song-fic. Ho provato tante volte a scriverne, ma il
risultato non è mai stato quello che speravo. Forse in futuro imparerò a scriverne una.
Allora cosa intendi che le storie "si ispirano" alle canzoni?
Nella maggior parte delle storie ho solo preso spunto dal titolo
della canzone, in altre ho usato anche alcune parti del testo. Preciso
che comunque non ho seguito per filo e per segno il testo della
canzone: come ho detto, mi sono solo ispirata.
Quante storie scriverai per questa serie?
Non ne ho idea! Finché non mi stufo, credo.
Possiamo leggere oppure continui ancora a rompere con questa presentazione?
Solo un'ultima cosa e poi vi lascio stare: le storie sono state
scritte con l'intento di essere lette mentre si ascolta la canzona a
cui mi sono ispirata. Closer to the edge potete trovarla qui.
La Radiolina_936 production
vi augura
Closer to the edge
Ma chi me l’aveva fatto fare?
Correvo come un forsennato da un
tempo interminabile su quelle mura di cinta un po’ troppo strette
per i miei gusti. La larghezza del sentiero lastricato mi permetteva a
malapena di posare a terra il piede. Mi sforzavo di guardare di fronte
a me per evitare di buttare un’occhiata verso il basso. Quanto
alte erano quelle mura? Trenta, forse quaranta metri?
Mettere un piede in fallo significava la morte.
I miei polmoni cominciarono a
bruciare e i polpacci a dolere. Che cavolo, mi allenavo ogni giorno per
due ore, facevo ogni tipo di esercizio fisico e non riuscivo a
resistere nella corsa un po’ più del solito?
Avrei ridotto il compenso al mio personal trainer.
Diedi uno sguardo fugace alle mie
spalle per cercare di scorgere i miei inseguitori e per poco non
rischiai di cadere. Riuscii a recuperare subito l’equilibrio, temendo che
quei mostri riuscissero ad avvicinarsi pericolosamente a me.
Che cavolo di creature erano
quelle, poi? Tutte nere, con membra lunghe e il volto completamente
bianco, come se indossassero una maschera. In qualche modo
assomigliavano ai mangia-morte di Voldemort.
Ma che cavolo di pensieri mi vengono in un momento simile?
La mia scivolata aveva fatto
acquistare terreno a quei mostri: ora erano proprio alle mie spalle,
tanto vicini da riuscire a sentire il loro alito puzzolente sul mio
collo. Con uno sforzo sovrumano raccolsi tutte le mie forze e scattai
in avanti, cercando di allontanarmi il più possibile da quelle
obbrobriose creature.
Il sollievo di aver distanziato
quei mostri, però, fu subito annientato dalla vista di
ciò che mi riservava il percorso: una svolta a gomito finiva
bruscamente in un precipizio. Sembrava che in quel punto le mura
fossero crollate e ricominciassero soltanto dopo qualche metro.
Il mio cervello si mise in moto,
stabilendo il pericolo di quella situazione a livello “allarme
rosso” e andando alla ricerca di una possibile via di fuga da
quella impasse. Ponderai qualsiasi soluzione, dall’inchiodare e
sperare che quei mostri mi superassero per forza di inerzia, al
tuffarmi di lato e aggrapparmi al bordo delle mura.
Tutto tranne che saltare quel baratro.
Ma quella svolta si stava
avvicinando troppo velocemente e non avevo altro tempo per pensare ad
un’alternativa. A malincuore dovetti ammettere di essere
costretto a saltare.
Rallentai impercettibilmente e
arrivai alla curva a gomito. Pregai di non perdere l’equilibrio
come avevo fatto prima, ma la forza d’inerzia mi fece piegare
pericolosamente da un lato, così cercai di compensare
inclinandomi dalla parte opposta. A causa del brusco spostamento del
peso, arrivai a toccare il pavimento con le mani, ma riuscii ad usare
quell’imprevisto per darmi più slancio per il rush finale.
Ero riuscito a superare il primo ostacolo, ma non potevo ancora cantare vittoria: ora si prospettava la prova peggiore.
A dieci metri si trovava il nulla:
un baratro lungo poco più di cinque o sei metri, profondo
trenta. Improvvisamente mi pentii di non aver mai praticato il salto in
lungo.
Accelerai più che potei, ma
ormai ero vicinissimo al bordo. Solo qualche falcata mi separava dal
mio destino: sarei riuscito a saltare o sarei precipitato nel vuoto?
Sarei morto?
Senza pensarci due volte –
anche perché le creature che m’inseguivano non me lo
permettevano – misi il piede il più vicino possibile al
bordo del precipizio, piegai le gambe più che potei e saltai.
La scena sembrò svolgersi al rallentatore: mi staccai dal suolo e iniziai a volare. Continuavo a salire lentamente, innaturalmente.
E mentre mi rendevo conto di non sapere come diavolo ero finito in
quel luogo, arrivai a metà del baratro e iniziai la mia discesa.
Dimenavo gambe e braccia, come se
facendo così potessi sperare di rimanere in aria più
tempo. Quando mancò mezzo metro per arrivare dall’altra
parte, allungai un piede, cercando di posarlo sul suolo.
Ma non ci riuscii.
***