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Autore: BlueHairGirl    21/09/2012    0 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che, a causa della sua natura, deve restare nascosta da chi le dà la caccia.
Ripudiata dalla sua famiglia, l'unico suo amico è Ian, un giovane maggiordomo da sempre innamorato di lei che la aiuterà in una difficile scelta.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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‘Devi tagliarti i capelli. Domani a quest’ora dobbiamo andarcene ’ le disse. Io assistevo muto alla scena, se solo avessi parlato sarei stato licenziato probabilmente. Era un’orribile giornata, dovevamo trasferirci in un’altra città e sotto false identità, finché la caccia non fosse finita. Tutti sapevano che quelle come loro avevano lunghi capelli corvini, ricci o mossi. I capelli della padrona rilucevano di uno splendente biondo chiaro, acconciati in uno chignon. Odiava sua figlia e i suoi capelli, traccia infallibile della sua natura. Ormai ci avevano scoperti e il padrone aveva in fretta e furia convocato un mezzo per potercene andare e al più presto superare il confine dello stato, a nord, dove la caccia non veniva praticata. ‘Ne abbiamo già parlato, mamma. No ‘. Rispose la sedicenne, la colpevole, come la chiamavano. ‘È l’unica cosa che vi chiedo, tingeteli, stirateli, ma non i capelli corti!’ supplicò. Infondo, quando era nata, l’avevano tirata per i dieci centimetri di capelli che aveva già a quei tempi; li tagliava una volta ogni cinque anni, di venti centimetri, poi le ricrescevano di un metro. Adesso, che portava i suoi due metri e ottanta di ricci sciolti sul pavimento lucido, la madre glieli additava come fossero sporchi, sbagliati. Mentre lei piangeva, la madre la guardava altezzosa. Stanca di quella scena, si rivolse a me, ordinandomi ‘Non mi importa come, hai un giorno per trasformarla in... in... una di noi ‘. Sapeva che era l’unica cosa possibile. Io e lei eravamo legati indissolubilmente, non l’avrei mai lasciata sola, lei si fidava ciecamente di me e nessuno sospettava che ci fosse qualcosa di più fra noi. Non solo ci amavamo, ma eravamo nati legati, come fossimo gemelli, anche se io provenivo da un’altra famiglia, ero solo il suo maggiordomo personale. La madre se ne andò e io la feci accomodare sul letto, porgendole un fazzolettino ricamato. ‘Calmati, troveremo una soluzione. Se li tagli ora poi devi rifarlo fra nove anni. Potranno tornarti come sono adesso!’ ‘No, Ian, no. Non posso neanche prendere in considerazione un’idea così scialba, così campata in aria come questa. Scappare lasciando indietro i miei ricci sarebbe come vivere a metà!’ ‘Mi dispiace così tanto, ma non c’è nulla che possa salvare la situazione... Non voglio perderti. Fra cinque, brevissimi anni erediterai tutta la ricchezza dei tuoi genitori, e allora potrò mettermi l’animo in pace, vederti vivere felice... Fino a quel momento, ho l’ordine di tenerti in vita. Non importa come, non importa perché, ma devo. È la regola’ ‘Voi... Tu, sei davvero strano. Ma, vedi, non posso.’ ‘Non si tratta di un taglio così orribile. Sono abbastanza bravo, sai. E poi, mica devi farti un caschetto! Basta in vita, si tratta solo di un paio di metri... Li riavrai presto ‘ ‘Io... non posso, Ian. È più forte di me. Non riesco nemmeno a pronunciare un’affermazione.’ ‘Lasciami provare. Solo una ciocca, un riccio, se non ti piace... beh, vedremo’ ‘Una... solo una. Va bene’ Sorrisi appena, soddisfatto del mio potere ammaliatore. Le accarezzai la testa e sfoderai le forbici. Lei tremò visibilmente, ma restò in silenzio. Le presi un ricciolo sopra l’orecchio sinistro e lo portai davanti a lei. Calcolai circa un metro e lo tagliai, senza chiederle il permesso, che mi avrebbe negato. Adesso sfiorava appena i suoi piedi, la sua altezza era di ben centoottantadue centimetri, adesso i capelli non la superavano più. ‘Che te ne pare?’ ‘Strano. Non so esprimermi... Continua, sono curiosa’ Mi sorrise, e io abbassai gli occhi sulla ciocca, riprendendola fra le dita e facendola aderire al suo corpo esile. Tagliai il riccio all’altezza della vita, buttando via un altro metro di capelli circa. Poi lo afferrai con due dita e lo stesi, poi, tenendolo alto davanti a me, ne tagliai un altro pezzo, così che lisciato fosse all’altezza della vita, mentre arricciato poco dopo il suo gomito. Mi guardò cambiando espressione, prima inorridita, poi triste, impassibile e sorridente. Si guardò la ciocca, poi guardò me e ancora la ciocca. Cosa le passava per la testa? Non potevo certo immaginare che le sarebbe piaciuto... Ma, invece, era proprio così. ‘Passami le forbici’ Mi disse ed io, da bravo maggiordomo, obbedii. Cominciò a tagliare alla vita i suoi bei capelli, presa dall’adrenalina, senza pensare. Le venivano male, asimmetrici, ma non le importava. Fece alla svelta tutta la chioma, lasciando solo due ciocche, alla base del collo, lì dove non arrivava. Si alzò per guardarsi e, di colpo, cadde. Non era abituata a camminare velocemente, o stare in piedi senza un contrappeso. Si rialzò e rise, per molto tempo, libera. Si guardò soddisfatta e , ancora presa dall’adrenalina, mi chiese di sistemarle il suo burrascoso lavoro. La feci sedere e cominciai a pareggiarli, tagliando e tagliando, finché non furono tutti perfetti escluse le due ciocche, che mi aveva chiesto di evitare. Mi ringraziò, poi mi chiese di fare una cosa che mai e poi mai avrebbe avuto il coraggio di fare, ma io sì. Disse semplicemente ‘Invisibili’ ed io capii. Era il nostro gioco, quando eravamo bambini, per esprimere concetti che non sapevamo pronunciare. Le alzai il resto dei capelli raccogliendoli in una bella coda, poi con le forbici in mano mi avvicinai al suo collo. Un raggio di sole illuminò la lama e sentì il freddo metallo solleticarle la nuca. Le appoggiai dietro la ciocca e la tagliai, alla base, lasciando meno di mezzo millimetro attaccato al resto dei capelli. ‘Ancora’ mi disse, e appoggiai l’altra ciocca fra le due lame delle forbici, che poi avvicinai e, ricongiungendosi, separarono la ciocca dalla nuca. Era buffo l’effetto che faceva, come un vuoto in mezzo al mare, come un albero sradicato in mezzo a una foresta. Risaltava moltissimo, e se ne accorse, così mi chiese di continuare per il resto della parte finale della testa, lasciandole un paio di centimetri vicini al collo senza capelli. Ce l’avevamo fatta. Mi abbracciò e si mise a piangere, felice, triste, disperata... tutto insieme. Felice di poter stare con me, di poter vivere, triste di aver perso degli amici, che sarebbero tornati e disperata per aver perso cose ben più importanti, che non aveva mai voluto ma le sarebbero mancati. Per nove anni. I suoi poteri da strega.
  
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