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Autore: Solitaire    06/04/2007    5 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Exuviae

 

I

 

 

Sora lo ha chiamato al mattino presto, dicendogli di correre da lui. La voce monotona e priva di inflessione e talmente poco da Sora da spaventare Riku.

La porta d’ingresso della casa dell’amico è aperta. Come in tutte le case dell’isola, se non del pianeta. Tutte, tranne in quella di Riku. Lui non ci riesce proprio.

Vero che in questa particolare casa vivono due portatori di keyblade. Più che dei padroni, ci si dovrebbe preoccupare della salute di chiunque cerchi di introdursi senza invito.

Anche l’interno buio non è sorprendente. Su quell’isola tropicale, in piena estate, la luce è talmente intensa da fare male. Ma se il resto dell’abitazione è solo scura, la camera da letto è talmente buia che persino lui, la cui visione notturna può fare invidia a un felino, non è in grado di vedere altro che sagome indistinte. Sora e Kairi devono avere sigillato la stanza contro ogni possibile fonte di luce. Dovrebbe attingere a quell’altro modo di vedere. Quello che non dipende dagli occhi corporei.

Suo malgrado, Riku si ritrova a sospirare di sollievo. C’è una parte di lui - No. Una parte dentro di lui - che anela sempre all’oscurità, persino a un’oscurità inerte e puramente fisica come quella.

La temperatura è piacevolmente fresca, quasi fredda a paragone del caldo torrido esterno, e si sente il lieve ronzio del climatizzatore.

C’è odore di sesso, pungente e pesante.

La cosa dentro di lui comincia a cantare lietamente, beandosi del buio che permea l’ambiente, e inizia a risvegliare i sensi necessari a navigare nelle tenebre, assopiti dalla luce.

Un altro odore. Uno sottilmente, fastidiosamente familiare. Uno di cui non vuole scoprire l’origine.

I profili e le forme cominciano a definirsi.

Stizzosamente, Riku spalanca tende e imposte e lascia riversare la luce del sole nella stanza. La cosa dentro di lui ruggisce furibonda e si ritira ringhiando e brontolando e borbottando.

Riku la ricaccia nel profondo della sua psiche.

 

Fottiti, Xehanort. E sta’ zitto.

 

E’ stato un po’ insano da parte sua avere dato un nome all’Oscurità che controlla - che vuole controllarmi - dopo che Xehanort, lo Xehanort individuo, è svanito. Ma se le dà un nome, se continua a credere che, in qualche modo, un frammento del mostro è sopravvissuto, può quasi convincersi che quello che prova, quello che gli fa bramare certe cose, quel secondo modo di pensare e agire che talvolta salta fuori, parallelo al suo normale modo di pensare e agire, non è un aspetto della sua personalità che viene nascosta e frustrata giorno dopo giorno, non è lui, ma il risultato di una volontà estranea. Poi trova ironico pensare al travolgente, astuto e sarcastico demone come a qualcosa di talmente debole da essere dominato e ridotto al silenzio con tanta facilità.

La luce lo acceca molto più di quanto non ha fatto il buio. Riku deve aspettare diversi minuti prima che la vista gli si accomodi e riesca a distinguere qualcosa.

La scena che si presenta ai suoi occhi, i suoi occhi umani, i soli con cui vuole vedere, è scioccante.

Kairi è immobile nel letto, sdraiata su un fianco, un braccio sotto il cuscino e l’altro piegato davanti a lei.

Morta.

La pelle è grigiastra e le labbra secche, ma nessuna espressione di sofferenza o paura o sorpresa.

E’ solo morta.

Sora è seduto su quello stesso letto, al lato opposto del cadavere della moglie. Testa bassa, gomiti appoggiati alle ginocchia, volto fra le mani.

Che strano effetto è quello della luce sui suoi capelli. Anni di sole e salsedine hanno dilavato lo scialbo castano del giovane in biondo, ma Riku non si è mai reso conto che è un colore così acceso, così puro. Così metallico.

Gli si inginocchia di fronte, gli prende le mani e gliele scosta dal volto. Vuole guardarlo bene, in faccia, negli occhi.

 

“Cosa è successo?” chiede.

 

Kairi è morta, idiota. Ecco cosa è successo. Mortamortamortamortamortamortamort…

 

Ha una gran voglia di urlare, ma qualcuno deve pur mantenere la calma.

 

Guarda che qui sono tutti calmissimi. I viventi, perlomeno.

 

Sora non piange. Non ha neppure una vera espressione.

 

“Non lo so. Mi sono svegliato e lei no.”

 

No. Tutti sotto shock, non calmi. E’ diverso.

 

Riku sospira e inizia a compilare un elenco mentale di quello che deve fare.

Chiamare la polizia, chiamare i medici, chiamare i genitori di Kairi, quelli di Sora…

Sono davvero tante, le cose da fare.

 

 

* * * * * * *

 

 

Il ragazzo è assiderato e fradicio per il viaggio fatto attraverso le strade delle ombre, prive di calore, poi nel mondo nero, battuto dalla pioggia. E’ immobile sul letto dove è stato deposto, nudo sotto la coperta in cui qualcuno si è preso il disturbo di avvolgerlo.

Dodici figure scure lo circondano come una spettrale veglia funebre. Uguali in quei paludamenti neri e lunghi che nascondono tutto. Ma abbassano i cappucci e, sotto quegli abiti lugubri e identici, ci sono volti e occhi e capelli che sono le tavolozze cromatiche di una mezza dozzina di mondi diversi.

 

 

un bambino?!

 

muto?

afasico?

sordo?

cieco?

demente?

 

inutile!

 

 

Sono cauti nell’avvicinarlo.

Non sanno quali siano i suoi poteri e hanno avuto esperienze sufficientemente dolorose e sconvolgenti da avere imparato la prudenza.

Il comportamento dei nuovi arrivati è del tutto imprevedibile. Possono essere lucidi e razionali, oppure rivoltarsi come tigri furibonde, masse di zanne, artigli sguainati e muscoli guizzanti, o cercare di scappare, o giacere paralizzati mentre l’organismo cerca di assestarsi alla nuova condizione, o raggomitolarsi in un angolo a tremare e urlare, o, peggio di tutto, provocare perturbazioni caotiche negli elementi che dominano.

E’ difficile pensare a qualcosa di peggio di quello che è riuscito a fare un terrorizzato e inconsapevole manipolatore del tempo, ma un evento è impossibile fino a quando non capita. Anche se nessuno prima d’ora è mai stato così completamente passivo, al punto di non essersi mosso né avere avuta la minima reazione da quando è stato trovato, nessuno sa come sia e di cosa sia capace un nuovo nobody fino a quando non lo mostra con le sue azioni. L’esteriore fragilità fisica non è un argomento sufficiente a ritenerlo innocuo.

Un uomo con occhi verde giada è il primo a tentare la fortuna. Soffia impercettibilmente sul volto del dormiente e sulla pelle si forma la brina. Il ragazzo rabbrividisce e starnutisce debolmente.

 

“Perlomeno, possiede un certo grado di sensibilità tattile.”

 

Un altro uomo, il volto sfregiato e privo di un occhio, tocca con un dito il viso del ragazzino.

 

“E’ molto giovane. Non abbiamo mai trovato nessuno così giovane. Forse la causa del suo stato è proprio questo.”

“Fino a quando non completiamo l'analisi dello spostamento dello spettro energetico e gli esami genetici e psichici, non possiamo dire a quale mondo e specie appartenga, quindi qualsiasi illazione in merito alla sua età non ha senso. Per quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere adulto o appartenere a una specie neotenica.”

“Ma la maggior parte delle razze umanoidi cresce allo stesso ritmo e presenta le stesse caratteristiche infantili. Se davvero è un bambino, che razza di bambino è così forte da sopravvivere alla perdita del Cuore senza degenerare?”

“Ha mantenuto forma umana, però non è detto che sia riuscito a mantenere integro anche il complesso mentale.”

 

Prima che l’altro uomo possa replicare, il ragazzino balza in piedi. Intorno alle sue mani, spire e volute di luce liquida si condensano e in un attimo lui stringe due complesse e bizzarre armi. Sembrano ibridi fra spade, asce e chiavi, con una lama principale filigranata e scolpita ed estroflessioni laterali puntute e multiple. Nera l’una, bianca l’altra, ma comprendono anche i colori delle aurore boreali.

Sono ipnotiche per i presenti.

Emettono un canto pieno di malignità, una vibrazione che entra in risonanza con la loro frequenza vitale, che cerca di spezzarli come il suono può spezzare il cristallo.

Minacciano, rendono consapevoli della loro esistenza. Avvertono che sono lì per loro, fatte per quelli come loro, fatte per disfare il groviglio di volontà indomabile che li tiene in vita. Che sono più forti di loro.

I dodici esseri sono inorriditi.

Quelle cose possono squarciare le loro carni come le carni di qualsiasi creatura materiale e sono mortali per loro come per qualsiasi essere completo. Forse anche di più.

 

Il ragazzo falcia un doppio colpo verso quelli che gli stanno più vicini e nessuno di loro è sufficientemente lontano o veloce per salvarsi.

Una scarica elettrica lo colpisce prima che possa completare l’arco dei fendenti.

La donna si è mossa nell’attimo stesso in cui si è mosso l’attaccante, ma i suoi riflessi sono più rapidi e la sua accelerazione superiore e ha terminato l’azione prima di lui, tirandosi indietro e scagliandogli addosso il fulmine.

Il ragazzino barcolla e viene investito dal fronte d’onda del potere rilasciato dal solo altro abbastanza veloce da reagire al suo assalto, a una frazione di secondo dietro la donna.

Il mondo del ragazzo si disfa.

Onde di sinestesi vanno a cortocircuitare i suoi sensi. Le percezioni si rimescolano l’una con l’altra. Odori e suoni prendono il posto delle figure e figure dipingono i rumori.

La realtà si liquefa, cerca di ritrovare una forma coerente, fallisce e ricomincia a cercare, assumendo forme nuove e distorte, diverse da quelle a cui è destinata. Alcune immagini si moltiplicano, altre si contraggono e spariscono. Tutto quello che deve essere si scompone e ricompone, alterato di ogni caratteristica propria.

Lascia cadere le armi e si copre occhi e orecchie, nel tentativo di ripararsi dalle onde frangenti di quella realtà fluida. Ma quel potere colpisce direttamente i centri cerebrali di elaborazione sensoriale senza passare attraverso le terminazioni nervose e non c’è modo di isolarsi. Si raggomitola a terra e si stringe in sé stesso, mentre la sua ombra gli si arrampica addosso e cerca di divorarlo. 

La sua mente cede e lui resta immobile e in silenzio, così come è stato in silenzio fin dall’inizio.

 

Il responsabile di tutto non ha battuto ciglio durante il suo attacco. Se ne è rimasto in disparte, un po’ lontano dagli altri, circondato da ombre che nessun corpo solido proietta, con i capelli grigioazzurri che gli pendono sul volto e quasi lo nascondono.

Adesso si dirige verso il caduto, gli si inginocchia accanto e si toglie i guanti, scoprendo mani bianche come porcellana. Senza gentilezza né particolare rudezza, prende il ragazzo fra le braccia. Gli passa una mano sulla pelle, fra i capelli, lo tocca, lo fiuta, lo lecca.

Non esita neanche un istante prima di fare lo stesso con le due strane spade.

Vuole raccogliere il maggior numero di dati e vuole farlo il più rapidamente possibile, perché quelle cose possono svanire in ogni istante, come fanno sempre le loro armi, e già cominciano a brillare e diventare inconsistenti.

Rilevato dei suoi sensi acutissimi, un flusso di informazioni gli si riversa nella mente, viene processato, elaborato e archiviato in attesa di un uso futuro.

Forma, dimensioni, massa, odore, temperatura, sapore…

Ogni dato serve. Ogni dato è importante quanto gli altri.

Il suo potere gli permette di tessere illusioni che agiscono su ogni senso. Illusioni di quello che riesce a immaginare e di quello che conosce. Una volta o l’altra, potrebbe dover replicare il ragazzo o le sue armi e più informazioni è in grado di raccogliere, più l’illusione sarà realistica.

Potenzialmente, se conoscesse tutti i dati di quello che simula, l’illusione sarebbe realtà. Purtroppo, finora l’indeterminazione è stata un ostacolo insormontabile, ma questo non gli impedisce di tentare di raggiungere quel risultato.

Le armi svaniscono, ma lui continua la sua opera sul ragazzino e, intanto, mentre questo è incosciente e le sue difese abbassate, ne invade la mente inerme e la esplora.

Alla fine, l’uomo dai capelli grigioazzurri è soddisfatto. Abbandona a terra il ragazzo e si rialza.

 

“Non ha premeditato l’attacco.” dice, mentre si reinfila i guanti.

“Niente?” chiede l’uomo con gli occhi verdi, lo stesso che per primo ha toccato il ragazzino.

“No. Non fino al momento in cui ha attaccato. Non ho potuto prevedere la sua reazione perché non c’è stata anticipazione, neppure un’anticipazione inconscia. Apparentemente, sembra addirittura che non ci sia stata elaborazione encefalica. E’ stato molto più simile a un arco riflesso che a un comportamento complesso. Comunque, non è cieco, né sordo, né catatonico. E’ amnesiaco.”

 

 

  
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