Fucking memories
Un
bambino correva a perdifiato, attraversando velocemente le strade della città.
La fredda pioggia cadeva
battente, insinuandosi tra i suoi occhi smeraldini e bagnando i morbidi capelli
rossi e le tenere labbra rosee, violate da grida, da imprecazioni e lacrime
salate.
Correva,
fregandosene di tutto ciò che c’era intorno a lui. Non vedeva i palazzi grigi,
le nere strade rovinate dal tempo e le solite puttane che aspettavano i loro
“clienti” sotto ad un ombrello scassato. Davanti ai suoi occhi comparvero
sprazzi di immagini confuse, il ricordo di qualche minuto prima: urla … disperazione
… sangue …
Incapace
di continuare la corsa, svoltò l’angolo ritrovandosi in un tetro e buio vicolo.
Si accasciò contro l’uscio di una porta mezza rotta, riparandosi così dalla
pioggia. Tremava dal freddo, il vecchio pigiama era fradicio e sporco. Di
sangue.
Gli
pizzicavano gli occhi, ma il vero dolore che provava era intorno ad essi: due
tagli a forma di mezzelune, da cui piccole gocce di sangue scivolavano via,
rigando le candide guance. I tagli bruciavano terribilmente e a stento si
tratteneva dal piangere. Si toccò le ferite e gli venne in mente il ricordo del
freddo metallo penetragli nella carne …
E
da lì, migliaia di immagini scoppiarono di fronte ai suoi occhi: sangue … la
lama, a qualche centimetro dai suoi occhi che sprofondava nella carne … le
risate isteriche del fidanzato di sua madre … le sue urla
di pietà …
Il
piccolo chiuse gli occhi << No! Basta, basta! >> il suo spiritò
urlo di dolore a quelle immagini, a quei ricordi e delle calde lacrime
scivolarono via dai suoi occhi smeraldini, mischiandosi con il sangue e
aumentando il dolore ai tagli.
BASTA!
Reno aprì gli occhi di soprassalto. Ansimava. Il suo
cuore martellava nel petto. Il suo corpo muscoloso era madido di sudore.
Si sedette sul proprio letto, respirando
profondamente e voltò il suo sguardo smeraldino verso la sveglia: le 3:23.
Sbuffando, si ributtò sul proprio cuscino. Ancora
quel fottutissimo sogno. O meglio, quel fottutissimo ricordo. Il ricordo del
suo passato, la rovina della sua infanzia. Si passò l’indice sulle sue
cicatrici, tastandone la pelle, che aveva riassunto negli anni la sua
morbidezza, ma il segno non se ne era andato.
Rimase nel buio della propria stanze per lunghi e
silenziosi minuti, ascoltando il rumore delle auto che di tanto in tanto
passavano sotto alla baracca in cui abitava. Per quella notte non si sarebbe
più addormentato, così si alzò, vestendosi con il completo dei Turks. Uscì
dalla vecchia topaia in cui abitava e salì in sella alla sua moto. Aveva
bisogno di un bel giro, ecco cosa ci voleva.
Partì sgasando, fregandosene di aver destato dal
sonno la gente del condominio e incominciò la sua corsa. La bella moto grigio
argentata saettava tra le nere strade asfaltate, e Reno si divertiva: gli
piaceva sentire il vento sferzarsi contro il suo volto, dando un lieve sollievo
alle sue cicatrici, scompigliargli i morbidi capelli rossi e riempire i suoi
polmoni di una dolce aria fresca.
Uscì dalle porte della città e prese una
scorciatoia, che lo portò ai pressi di un boschetto. Proseguì tra la terra
polverosa per circa una buona mezz’ora, finché non si ritrovò in cima ad una
rupe. Parcheggiò la moto e si sedette sull’orlo della rupe e rimase ad
osservare il cielo: nell’oscurità della notte, una scia argentata, simile ad un
polvere finissima, risplendeva, come se si volesse ribellare alle tenebre.
Reno rimase incantato da tale spettacolo, anche se
non era la prima volta che lo vedeva … lo aveva visto anche da piccolo,
esattamente la notte in cui la sua infanzia era stata distrutta. Reno chiuse
gli occhi, lasciandosi travolgere dai ricordi:
Il
piccolo Reno aveva otto anni e stava dormendo nel suo lettino. Lo condivideva
con la mamma, la sua adorata mamma. Era stretta a lei, mentre la dolce ninna
nanna lo cullava, portandolo nel mondo dei sogni. Come si stava bene accanto a
lei …
Ma
un colpo secco lo destò dai sogni e, allarmato, il piccolo aprì di scatto gli
occhi, la donna smise di cantare. << Donna, dove diavolo sei?! >>
una voce bassa e severa giungeva dal salotto, seguita da imprecazioni.
<<
Mamma … >> mormorò il piccolo Reno, stringendosi contro la donna. Una
mano gli accarezzò i morbidi capelli rossi << Sta tranquillo. >>
sussurrò la mamma. La donna si scostò delicatamente dal piccolo, avvicinandosi
alla porta che conduceva al salotto.
<<
No, mamma! >> il piccolo la strinse per una manica << Non andare
via! Lui è cattivo! >> la donna sorrise e gli posò un bacio delicato
sulla guancia << Non ti preoccupare … torno subito. >> e detto ciò
uscì dalla porta. Il piccolo Reno si strinse nelle coperte. Aveva paura di Lui,
il fidanzato della mamma. Era cattivo, sporco e … puzzava! Puzzava di un
qualcosa di strano … e il piccolo Reno non sapeva bene come indentificarlo …
era un odore pungente e inebriante. Un odore cattivo, perché al piccolo Reno
veniva il mal di testa ogni volta che se lo sentiva sotto al naso.
Il
fidanzato della mamma si arrabbiava facilmente ed era anche tanto antipatico! Aveva
addirittura dato uno schiaffo alla mamma! E lui aveva provato a difenderla,
perché gli voleva bene, tanto bene, ma si era beccato una gran spinta. Se la
mamma non lo avesse portato via, gli sarebbe capitato di peggio. Però il
fidanzato della mamma non voleva bene a lei. Il piccolo Reno se ne era accorto.
Non faceva altro che dire alla mamma cose cattive e non gli diceva mai “ti
voglio bene”.
Invece
il piccolo Reno lo diceva tante volte alla mamma, perché le voleva tanto tanto
bene.
<<
Sei solo una fottutissima puttana! >> un urlo rabbioso si levò dal
salotto e Reno sobbalzò. Respirò a fondo e dopo aver preso tutto il coraggio
possibile, si alzò in punta di piedi e socchiuse la porta, sbirciando con il
suo occhio smeraldino cosa stava succedendo.
E
Reno trattenne il fiato: la mamma era seduta a terra, piangeva, mormorava
parole così a bassa voce che il piccolo non riuscì a sentire e sopra di lei
torreggiava il suo fidanzato. Era arrabbiato, aveva in mano una bottiglia vuota
di vodka e urlava imprecazioni l’una dietro l’altra. Tirò un calcio allo
stomaco alla donna, che si accasciò a terra, piegata in due dal dolore. L’uomo
estrasse un coltello dalla tasca dei pantaloni e prese per i capelli la donna.
<<
Le tue scuse mi hanno rotto! >> urlò l’uomo e poggiò la lama del coltello
sulla gola della donna << È il momento di pagare i tuoi debiti! >>
detto ciò, la donna non ebbe tempo di ribattere che l’uomo le aveva premuto il
coltello contro e con un gesto deciso le recise la gola con un taglio netto. E
cadde a terra, mentre fiottoli di sangue scivolavano via dalla sua pelle
candida.
Reno
sgranò gli occhi, fissando il corpo della donna da quello spiraglio. La mamma …
l-la s-sua mamma … no … NO!
<<
M-mamma … >> mormorò. No. Non era possibile! La sua mamma non poteva
essere morta! Come avrebbe fatto lui, il piccolo Reno?! Era in preda ai
singhiozzi, lacrime calde gli rigarono le guance e si mise una mano tremante
davanti alla bocca, mordendosela nel tentativo di stare zitto e non piangere.
L’uomo
guardò per un istante il corpo privo d’anima della donna e senza tante
cerimonie ci sputò sopra. Poi il suo sguardo si spostò alla porta della camera
di Reno e il piccolo trattenne i singhiozzi. Intravide i suoi occhi, occhi da
cattivo, occhi da pazzo, come se fossero privi di anima ma colmi d’odio.
Reno
sgattaiolò via dalla porta e si ributtò nel suo letto, coprendosi al più presto
con le coperte. Sentì dei passi incerti avvicinarsi alla sua camera e la porta
si aprì di scatto, sbattendo contro il muro. Il piccolo rimase immobile,
trattenendo il fiato, lasciando solo che due lacrime solitarie si insinuassero
tra le sua ciglia. Poi gli vennero tolte vie le coperte e vide sopra di sé il
volto dell’uomo. Sorrideva, ma non era uno di quei sorrisi dolci come quelli
della mamma, era inquietante e Reno sentì un brivido corrergli lungo la
schiena.
<<
Ciao piccolo bastardo. >> disse l’uomo appoggiandosi il coltello sulla
spalla, come se fosse un normale bastone e buttando sul lettino la bottiglia
vuota di vodka. Reno non rispose, aveva paura troppo paura, tanto che il suo
cervello parve bloccarsi e il corpo non reagire più. L’uomo notò due lacrime ai
lati degli occhi del piccolo.
<<
Perché piangi? >> chiese, puntandogli contro il coltello.
<<
D-dov’è la mia mamma? >> chiese con un fil di voce il piccolo.
<<
Rispondi alla mia domanda. >> ordinò minaccioso l’uomo, ma Reno parve non
sentire le parole e chiese, questa volta più deciso << Dov’è la mia
mamma?! >>
L’uomo
si fece scuro in volto e lo prese per il colletto del pigiama << Va bene,
piccolo bastardo … dato che tu non mi vuoi rispondere, dobbiamo fare in modo di
cancellare queste lacrime, non credi? >> disse, avvicinando
pericolosamente la lama al volto di Reno. Il piccolo si paralizzò all’istante e
vide riflesso nella lama argentea il suo occhio smeraldino.
<<
No, ti prego … >> mormorò il piccolo, ma l’uomo non si fermò, anzi, posò
la punta del coltello sotto l’occhio del bambino.
<<
Tu e tua madre non sapete fare altro che chiedere “per favore” o “ti prego” …
beh, adesso basta! >> detto ciò sprofondò la punta della lama nella carne
di Reno, che urlò di dolore. La lama ghiacciata si muoveva nella carne,
formando due tagli profonde a forma si mezzelune. Più il coltello tagliava la
pelle candida di Reno più si sentiva che gli stessero portando via l’anima.
<<
Lasciami! >> urlò il piccolo, ma l’uomo spostò il coltello sotto l’altro
occhio e lasciò un altro taglio profondo, cancellando così anche l’altra
lacrima. Reno era sul punto di morire, morire di paura, di esasperazione, di
rabbia… ma lui non voleva! Non voleva fare la stessa fine della sua mamma…
…
mamma …
Quella
parola, risuonò dolce, come la ninna nanna che gli cantava ogni sera, delicata
e inoffensiva, come una piuma che si lascia cullare dal vento... colei che non
era più, che si era spenta, privata della vita, appassita come un fiore …
<<
… mamma … >> ripeté Reno, tra i singhiozzi. E non sentì più nulla. Il
dolore parve dissiparsi, scivolare via come le sue lacrime, la risata isterica
di quello stronzo non c’era più. C’era solo Reno. E quel silenzio, dentro di
lui, si svegliò una rabbia cieca, amara, dove non si ragionava più, ma
aumentava ogni istante di più, mescolandosi con il sangue e correndo nelle vene:
la vendetta.
Non
sapeva bene cos’era quella sensazione, ma se ne fregò e seguì la voglia di
zittire quell’uomo, ma mano che il dolore attorno agli occhi ritornava a farsi
sentire e la risata isterica divenne insopportabile.
Reno
strinse i denti e afferrò la bottiglia di vodka accanto a lui, mentre l’uomo
non fece affondare completamente la punta del coltello dentro la carne e Reno
scoppiò: con un urlo agghiacciante sollevò la bottiglia a mezz’aria e con tutta
la sua forza, la fracassò con il cranio del uomo, che stramazzò a terra. Reno
cadde contro il gelido pavimento. Quando si rialzò vide che l’uomo non si
muoveva più.
Reno
rimase immobile, e dentro di lui crebbe la paura. Lo stronzo era morto. Lui
l’aveva ucciso.
Terrorizzato
e tremantesi accasciò a terra e diede sfogo a tutto il suo dolore con un urlo
carico di tutte le sue emozioni: rabbia, tristezza, paura, disperazione!
In
preda al panico, non gli venne in mente niente se non una cosa sola: scappare.
Aprì la porta di casa e si tuffò sotto la pioggia in una fuga sfrenata.
Vagò
per la città sporco, bagnato fradicio, disperato, finché non trovò un boschetto
dove vi rimase per giorni e giorni. Arrivò ad una rupe e per poco non cadde giù
da essa. Esausto si stese sull’erba soffice e lasciò vagare lo sguardo
smeraldino tra le tenebre: una scia argentea risplendeva nella notte, simile a
polvere finissima. E il piccolo ne rimase talmente affascinato che parve dimenticarsi
di ciò che era accaduto quella notte, rimase ad osservare quella meraviglia
finché le sue palpebre non si erano fatte pesanti e Reno si lasci andare alle
braccia del sonno.
Reno aprì gli occhi. Sentì un incredibile senso di
tristezza impossessarsi di lui… quelle memorie lo avevano colpito, rivivere
tutto ciò era come ricevere una pugnalata in pieno petto. I suoi occhi
incominciarono a pizzicare e il ragazzo trattenne le lacrime. Scosse la testa
come per allontanare qualcosa, poi accese la moto e ripartì rombando nella
notte, lasciando che il fresco vento gli accarezzasse il volto, ritornando in
città.
Dopo quella notte, Reno aveva avuto il coraggio di
ritornare in città, dove crebbe tra i vicoli più bui, sopravvivendo lottando
contro ogni singolo criminale e guadagnandosi il rispetto di molti. Finché,
giovane e sedicenne, i Turks lo trovarono e riuscì a diventare uno di loro. Ma
il ricordo di quella notte era rimasto vivido negli anni e quelle mezzelune
intorno agli occhi ne erano la prova.
Per quanto odiasse quelle maledette memorie, ormai
quelle cicatrici erano diventati parte di lui, non avrebbe mai potuto
separarsene. Erano diventati il suo marchio di riconoscimento, lui non era
semplicemente ragazzo di strada: era un ragazzo che aveva avuto la forza di
continuare e di non fermarsi davanti a nessun pericolo, non si era mai messo a
rimuginare sul passato e aveva sempre guardato avanti.
Lui
era Reno.
E nessuno l’avrebbe mai fermato.
AlloVa,
buonsalve a tutti :3
Questa
è la prima volta che scrivo uno scritto su Final Fantasy VII, un gioco che
purtroppo non ho avuto la fortuna di giocare D: ma vabbè …
Questa
shot parla di Reno, un personaggio che sinceramente ammiro per il suo carattere
determinato, anche se un po’ strafottente e sfacciato e davvero affascinante
(cazz..piterina se è figo!) … insomma un cosiddetto tipo sculaccianguille
(WTF?! O_o) C:
Comunque
sia, questa shot la dedico a Reno_Dedè_Turks, la Cacciatrice di Stelle :’),
dove casualmente c’è il suo futuro
marit… ehm! Personaggio preferito! ^.^’
Grazie
di tutto amica mia! Ti voglio bene! ;)
Sarei
molto felice che lasciaste un commento, anche piiiiiccolo piccolo, giusto per
sapere se questa schifezza vi è piaciuta.
Sapete,
mi sono divertita a scrivere questa storiellina e se a voi fa piacere, potrei
scriverne altre sempre su Final Fantasy VII! Ok, adesso vado e mi raccomando,
evitate cavoli bolliti, non mangiate moccio e godetevi la vita!
Ciaoooooo!
The
light wolf