La
storia partecipa al Il
giro dell'oca
Casella
29
(Tema:
danza)
In
punta di piedi
La
danza è una carriera misteriosa,
che
rappresenta un mondo imprevedibile ed imprendibile.
Le
qualità necessarie sono tante.
Non
basta soltanto il talento,
è
necessario affiancare alla grande vocazione, la tenacia,
la
determinazione, la disciplina, la costanza.
[Carla
Fracci]
Mia
madre ha sempre voluto che io diventassi una grande ballerina, una
ballerina classica.
Da
quando ho mosso i primi passi – avrò avuto
sì e no due anni –
ha sognato per me un futuro da étoile.
Mi
ha comprato il primo tutù poco tempo dopo, era Natale.
A
4 anni mi ha iscritta al primo corso di danza.
Da
allora non ha smesso un minuto di spingermi in questa direzione.
La
sua idea per il mio futuro è lavorare per qualche compagnia
importante, possibilmente come prima ballerina. Non si è mai
parlato
di un'alternativa. Non è mai esistita un'alternativa.
Non
ricordo nemmeno mi abbia mai chiesto cosa volessi io.
In
questi anni – ne ho compiuti 16 da poco – mai una
volta che mi
abbia detto: “Rachele, sei felice?” o che almeno si
sia fatta
sfiorare dal dubbio.
Tutte
le bambine vogliono fare la ballerina.
È
un assioma universale, un dato di fatto, così come
è universalmente
accettato e quindi vero che tutti i maschietti, almeno in tenera
età,
vogliono fare i calciatori.
Io
lavoro da sempre per questo obiettivo, ci sono vicina, vicinissima,
cosa chiedere di più?! Ovvio che sono felice e soddisfatta.
Giusto.
Giusto?
Per
niente.
Per
anni non ho avuto tempo di pensare a cosa mi sarebbe piaciuto fare
della mia vita. La giornata era scandita dalle lezioni di danza e
dalla scuola, dalla scuola e dalle lezioni – un ritmo troppo
frenetico perché una bambina potesse pensare di
interromperlo.
Sono
cresciuta dentro le sale-prova, portata a credere che non ci fosse
altro, fuori.
A
11 anni mia madre mi ha iscritta a un istituto speciale dove danza e
istruzione procedono di pari passo, dove la vocazione artistica
–
così la chiama lei – non viene mai sacrificata ai
compiti.
Ho
continuato a svilupparmi e crescere in un ambiente che non mi dava
altre possibilità che essere ciò che altri
avevano deciso io sarei
diventata.
Sarai
una grande ballerina, sarai una grande ballerina. Il solito
ritornello, da sempre.
Il
destino mi ha dato anche il fisico adatto per questo mondo. Sono
sottile come un giunco, proporzionata, ma non troppo alta. Perfetta.
Per fortuna.
Ma
dubito che, anche se così non fosse stato, lei
si
sarebbe arresa. Mi controlla da sempre. Cosa mangio, quanto, come.
Non
ho mai potuto fare di testa mia - uscire per un gelato come le
bambine normali, abbuffarmi di schifezze nella sala di un cinema,
cose del genere. Mai.
Ma
anche questo rientrava nella normalità, perché
non conoscevo altro.
Poi
sono cresciuta. Non tanto fisicamente, quanto mentalmente. A 15 anni
inizi a farti delle domande, a cercare delle risposte.
Mi
guardavo intorno, nella sala-prove dove altre 10 ragazze come me
sudavano sangue per raggiungere un obiettivo, e mi chiedevo: è
davvero questo che vuoi?
Me
lo chiedevo sempre più spesso.
Finché
un giorno, saranno sì e no sei settimane, ho capito che no,
non è
questo quello che voglio.
Cosa
mi piacerebbe fare da grande, allora?
Il
buffo è che non ho risposte a questa domanda. Non lo so. Non
ho mai
potuto pensarci con mente serena; peggio, non conosco altre opzioni.
Ma
ciò che so con certezza è che voglio una vita
diversa, una vita
normale.
Voglio
andare in una scuola pubblica, tanto per cominciare. Avere per
compagni persone con sogni diversi dal balletto e da una carriera che
a trent'anni è già finita.
Poi
voglio farmi un hamburger – ecco, questo lo voglio tanto.
E
magari provare un altro sport, trovarmi un hobby.
Voglio
del tempo per me.
Voglio
leggere i libri che non ho potuto leggere in questi anni, perdermi
per la città senza il timore di arrivare in ritardo da
qualche
parte.
Voglio
una vita dove Rachele – ovvero io – sia il centro
di tutto.
* * *
Tra
il dire e il fare c'è sempre di mezzo il mare.
Quando
si parla di mia madre e dei suoi sogni di grandezza, il mare
è più
simile a un oceano sconfinato che a una striscia sottile di acqua
salata.
Ho
preso coscienza dei miei desideri, dei miei sogni. L'ho fatto da un
po'. Ma non sono ancora riuscita a dirlo a lei.
Non
è semplice, anche se so che è necessario,
distruggere le
aspettative della persona che ti è stata più
vicina al mondo.
Conosco
poco mio padre – lui e mia madre si sono separati che ero
molto
piccola – e passo ancora meno tempo con lui –
l'avrò visto tre
volte nell'ultimo decennio.
Sono
cresciuta sola insieme a lei,
è lei –
da sempre – il mio punto di riferimento.
Da
piccola la vedevo come l'eroina dei film: infallibile e bellissima.
Impeccabile nei suoi completi scuri, con la pettinatura ordinata, il
trucco perfetto. La mamma che tutti avrebbero voluto avere, quella
che tutti mi invidiavano.
Crescendo
questa immagine ha subito delle lievi modifiche – quando
penso a
mia madre, oggi, me la figuro più come l'arpia della
mitologia greca
o un carceriere particolarmente severo che come una bella statuina da
esibire o uno scudo sempre pronto in mia difesa.
Ma
in ogni caso le voglio bene. E darle un dolore mi fa male.
Ma
devo.
Perché
la danza, il balletto classico, sono il suo sogno, non il mio.
È il
futuro che lei ha scelto per me, senza interpellarmi. Ma è
arrivato
il momento di far sentire la mia voce.
* * *
L'audizione
è per oggi.
Ci
preparano per questo giorno da anni.
Oggi
il teatro della Scala di Milano selezionerà 3 ballerine e 3
ballerini che entreranno nella loro prestigiosissima scuola.
È il
top, in Italia, insieme al teatro dell'Opera di Roma. Le
étoile
delle compagnie più famose escono tutte da posti come questo.
È
il momento della verità, il momento tanto atteso.
Il
momento tanto atteso da mia madre.
Per
una serie fortunata di circostanze, lei non potrà
accompagnarmi al
teatro. Ha un incontro di lavoro a cui non può mancare
– e deve
essere davvero così, se in nessuna maniera è
riuscita a farlo
spostare o a farsi sostituire.
“Non
ti dispiace andare da sola, vero tesoro?” mi chiede per la
decima
volta, mentre preparo il borsone con le mie cose, prima di uscire.
Scuoto
la testa.
Vorrei
dire molte cose, vorrei ballare forse, ma mi limito a questo gesto
conciso, silenzioso. Mi limito, per paura di tradirmi.
“Andrà
tutto bene,” continua il monologo, più per
tranquillizzare sé
stessa che me. “Sono anni che ti prepari per questo. Sarai la
migliore.”
Annuisco
di nuovo.
Quando
sono sulla porta e sto per uscire, lei mi ferma:
“Rachele?”
“Sì,
mamma?” non so bene perché, ma il suo tono di voce
per un attimo
mi fa sperare...
“Rendimi
fiera.”
Sorrido.
Non penso che un occhio esterno saprebbe cogliere tutte le sfumature
del mio viso. La piega che ha preso la mia bocca sa di delusione
–
l'ennesima -, sa di sconforto.
Certo!
Rendimi fiera. Cos'altro mi aspettavo che dicesse?
Anche
in un momento come questo, quando sto per esibirmi di fronte ai
coreografi di uno dei più importanti teatri italiani, non
è mai di
me che si parla. Si parla di lei,
sempre.
Sembra
che tutto ciò che faccio riguardi lei e non me.
* * *
“52?”
la signora arcigna con lo chignon esce in corridoio per l'ennesima
volta. Stavolta chiama me.
“Leni?”
mi domanda, per routine, quando mi alzo e mi preparo a seguirla
dentro il teatro.
“Sì,”
rispondo semplicemente. Di nuovo, penso di non essere in grado di
dire altro.
Lei
appunta qualcosa sui suoi fogli e mi fa strada.
“Puoi
prepararti qui,” mi dice quando ci troviamo dietro le quinte
del
palcoscenico. “Quando chiamano il tuo nome, entri da quella
parte,”
con un cenno secco e meccanico indica. Poi mi lascia sola.
Cerco
di calmare il mio cuore che batte all'impazzata. Anche se sono
convinta della mia scelta, anche se VOGLIO farlo... ora che il
momento arrivato ho paura.
Questo
mondo è tutto quello che conosco. Non ho mai avuto tempo e
modo di
pensare ad altro, fin da quando ero bambina. E ora che sto per
entrare dalla porta principale...
“52,
Rachele Leni,” la voce maschile di uno dei coreografi mi
strappano
alle mie riflessioni.
Non
c'è più tempo per provare timore o rimorso. Ci
siamo.
Entro
sul palco a passo lento.
Body
attillato nero, calzamaglia rosa chiaro, gonnellino sempre rosa. La
tenuta impeccabile della danzatrice classica per le selezioni.
Ai
piedi, Convers rosse.
Anche
se non posso vederli bene in faccia a causa delle luci puntate nella
mia direzione, percepisco lo stupore della giuria. Mi sale un sorriso
alle labbra, immaginando quei manici di scopa, un po' imbalsamati e
facili alla critica, leggermente scossi dal mio ingresso.
Se
volevo fare un'entrata scenica ci sono certamente riuscita.
“Signorina?”
la voce che poco fa mi ha chiamata mi interroga.
Prendo
di nuovo fiato e attacco con il mio discorso.
“Vi
ringrazio per la possibilità che mi state dando. Fare parte
della
vostra compagnia è il sogno di tanti ragazzi e ragazze.
Purtroppo
non è mai stato il mio. Me ne sono resa conto da poco tempo,
ma fare
l'audizione, a questo punto, non avrebbe per me alcun senso.”
L'ho
detto. Ce l'ho fatta.
Sento
il suono leggero di fogli di carta che girano, di penne che grattano
sulla superficie bianca.
“Vuole
un momento per calmarsi?” la voce cerca di riportarmi alla
ragione.
“No,
grazie, sto benissimo così.”
Sorrido.
Finalmente mi sento bene, come se mi fossi tolta un peso dalle
spalle.
“Grazie
della vostra attenzione. Buona giornata.” E dopo aver fatto
un
perfetto inchino da ballerina classica, esco danzando, ma sulle mie
scarpe da ginnastica.
Ritrovo
il mio borsone dove l'ho lasciato pochi minuti fa. Prendo le mie cose
e mi avvio verso l'uscita.
Nessuno
mi ferma. A nessuno importa, se vado o resto. Questo mondo è
competitivo all'estremo, questo mondo è duro. Se una ragazza
non ha
la passione giusta, le motivazioni giuste, se non vuole questa
professione più di qualsiasi altra cosa al mondo... allora
è bene
che se ne vada subito.
* * *
Sono
quasi le quattro del pomeriggio, quando apro la porta di casa.
Per
strada mi sono fermata a mangiare.
Per
la prima volta da non so quanto tempo – per la prima volta in
assoluto, molto probabilmente! - mi sono concessa un hamburger con
patatine al fast-food. Non immaginavo che un semplice panino potesse
essere così buono.
Lei
è lì.
Legge
una rivista sul divano per mascherare il nervosismo, ma lo vedo
subito che è tutto tranne che tranquilla. Le gambe perfette
chiuse
nelle calze di seta ballano il tango.
Quando
sente i miei passi nell'ingresso balza in piedi.
“Come
è andata, tesoro?” Nei suoi occhi leggo
apprensione, e speranza.
Leggo il desiderio di una vita che potrebbe trasformarsi in
realtà.
Ma
è il suo sogno, non il mio.
Parlare
mi costa un'enorme fatica. Dovevo saperlo che questa sarebbe stata la
parte più difficile. Non dire a dei perfetti sconosciuti
“arrivederci e grazie” e uscire senza aver fatto
nessuna
audizione, ma distruggere le aspettative di mia madre.
"Rachele?”
mi incalza lei.
Ok,
non si può rimandare. Mi faccio forza e butto fuori la dura
verità:
“Non l'ho fatto.”
Lei
resta impietrita. Per un attimo, poi si riscuote.
“Cosa?”
Spera
di non aver capito, che le sue orecchie l'abbiano tradita.
Ma
io vado avanti, implacabile: “Hai capito. Non ho fatto
l'audizione.”
È
spiazzata, confusa.
“Che
è successo? Non avevano registrato il tuo nome? Eppure ho
chiamato
ieri per avere la conferma ed era tutto apposto...”
“No,
mamma, niente di tutto questo. Sono io che non ho voluto.”
Queste
sei parole gelano ogni sua risposta sul nascere.
Con
la mano si liscia una piega inesistente sulla gonna.
Poi
mi guarda negli occhi.
E
inaspettatamente penso che, per la prima volta, lei non stia vedendo
i suoi sogni riflessi in un'altra persona ma proprio me. Rachele, sua
figlia. Un essere a parte.
* * * * * *
NdA
Non conosco molto bene il mondo della danza classica. Le due scuole di teatro che ho citato esistono, ma non so bene come si svolgano le rispettive audizioni - non era importante che scendessi nei dettagli.
L'insistenza sul pronome lei, riferito alla madre di Rachele, penso che si spieghi da sè.
La storia partecipa anche a “1 prompt – 1 storia”, immagine 1.