Dedicata a chi
come me
in questo
periodo si sente invisibile.
Dedicata alla
mia mamma
con cui
litigo ogni giorno.
Dedicata a Molly
per il
suo 19° compleanno.
In my daughter's eyes I am a hero
I am strong and
wise and I know no fear
But the truth is
plain to see
She was sent to
rescue me
I see who I wanna be
In my daughter's
eyes
Alexis sta togliendo le ultime cose da
dentro degli scatoloni anonimi.
La guardo appoggiato allo stipite della
porta, sono stranamente silenzioso, mi accorgo solo ora di cosa sto perdendo,
mia figlia se ne sta andando e io gli ultimi quattro anni li ho passati fuori
casa invece di stare con lei.
È bella, sta diventando una donna contro
il mio consenso, li vedo i ragazzi e gli uomini voltarsi quando camminiamo
insieme per strada, lei forse non se ne accorge ma io sì e ci sto male, anche
se non dovrei. È la mia bambina.
I lavoretti fatti per la festa del papà
sono appoggiati in ordine cronologico in una mensola dello studio, è troppo
tempo che non porgo abbastanza attenzione a quei piccoli oggetti fatti con le
sue piccole manine con tanta devozione. Ora che ci penso sul fondo dell’armadio
dovrebbe esserci quella maglietta che mi ha fatto in prima elementare con la
scritta “My Dad is an hero”, devo vedere
se riesco ancora ad entrarci, sono passati quindici anni.
«Come hai potuto vedere ci sono tutti i
più moderni sistemi di comunicazione», dice voltandosi tenendo stretti al petto
tre libri. «E poi tornerò a casa ogni volta che mi sarà possibile, tranquillo».
Io sorrido annuendo, rimango fisso a guardarla mentre svuota l’ultimo
scatolone.
È entusiasta di questa nuova avventura
che le ha riservato la vita, si vede nel suo sorriso, nei suoi modi di
comportarsi, sono felice che per una volta sia lei la bambina ed io l’adulto.
La devo salutare e non ci riesco, vorrei
portarla di nuovo a casa con me ma non me lo permetterebbe.
«Hai tutto?». Annuisce. «I numeri di
Esposito e Ryan li hai messi come chiamata rapida?». Annuisce. «Bene, per
qualunque cosa chiamali, anche se so che non lo farai. Il mio ultimo romanzo te
l’ho messo io nella borsa, non lo consegnerò a Gina fino al tuo consenso. Che
cos’altro manca? Ah sì niente ragazzi in stanza, chiaro?». Annuisce sorridendo.
«Beh neanche fuori, niente ragazzi in generale, niente alcol, niente droghe e...
ma cosa sto dicendo, tu sei la ragazza più responsabile del pianeta, non hai
bisogno di queste raccomandazioni».
«Ti voglio bene papà». Si avvicina e mi
abbraccia, io sorrido.
«Anch’io Alexis, e grazie di essere
stata così gentile nel dirmi “ora puoi andartene”». Ride, rido anch’io. «Ci
sentiamo piccola».
Si siede sul letto, mentre io chiudo la
porta alle mie spalle, sospiro appoggiandomi al muro, guardo la porta della
stanza prima di allontanarmi, Kate mi sta aspettando in macchina con la radio
accesa.
«Grazie di essere venuta», dico aprendo
la portiera dalla parte del passeggero. «Mi sto sentendo morire».
«Sarei venuta lo stesso, anche se non me
lo avessi chiesto, ti conosco». Appoggia la mano destra sulla mia gamba.
«Questo è un piccolo lutto per te». Annuisco mentre mette in moto e il college
e Alexis si allontanano dietro di noi.
Kate si ferma sotto il mio palazzo, mi
guarda con compassione, cerca di prevedere la mia prossima mossa, cosa
abbastanza impossibile da realizzare, perché neanche io so cosa farò una volta
rientrato nel mio loft.
«Vengo su?», chiede io la guardo e
annuisco, non mi va di stare solo questa prima notte senza Alexis. Ho già
passato notti senza di lei, ma sapevo che sarebbe sempre tornata ora, ho paura
di non vederla più.
Kate rimane in silenzio, forse sa che i
miei pensieri sono già abbastanza rumorosi, tiene la mia mano sinistra stretta
tra le sue lungo il corridoio che porta al mio appartamento.
È lei ad aprire la porta, mentre io
sospiro per l’ennesima volta, entro in quella casa vuota, mi madre è chissà
dove con chissà quale uomo, ho smesso di farmi domande sulle sue relazioni anni
fa, non ricomincerò proprio oggi, e Alexis non c’è.
«Avresti dovuto vederla appena nata: era
come una piccola zucca rugosa con i capelli arancioni, la sua schiena stava nel
palmo della mia mano e i suoi occhi azzurri sembravano voler uscire da quella
piccola testolina, ma per me era la cosa più bella dell’universo, tutte le cose
che ritenevo importanti o stupende, davanti a lei persero qualsiasi
significato. Esisteva solo lei per me». Kate sorride mentre ci sediamo sul
divano. «Si dice che la prima cosa che fa una madre quando ha in braccio il suo
bambino è annusarlo, anche gli animali lo fanno, pensavo che fosse una
stupidaggine, invece fu la prima cosa che feci. Sentii il suo profumo, lo
memorizzai nell’arco di pochi istanti e ora lo riconoscerei tra mille». Prendo le
mani di Kate tra le mie e le ammiro, mentre lei appoggia la testa sulla mia
spalla. «Le sue manine riuscivano appena ad avvolgere il mio pollice, ricordo
che lo stringeva forte mentre le davo il biberon e si addormentava, poi io le
baciavo dolcemente la fronte dopo averla messa nella culla. A dir il vero il
bacio della buonanotte ho continuato a darglielo fino a ieri sera. A volte fingeva
di dormire e aspettava in silenzio che io andassi da lei, non ho mai saltato
una notte, non importa a che ora tornassi a casa, lei era sempre il mio ultimo
pensiero prima di andare a dormire». Guardo Kate, sta sorridendo mentre
accarezza senza accorgersene il mio braccio.
«Vai avanti, mi piace sentirti parlare
di Alexis. Per un momento sembra che tu sia l’adulto e lei la bambina». Rido alla
sua esclamazione, intreccio le mie dita con le sue.
«A tre anni Meredith ha insistito che
andasse all’asilo, io ero contrario, potevo stare io a casa con lei, ma quello
che diceva Meredith era legge e io non la contraddicevo per amore di Alexis. Pensavo
che in questo modo avrei garantito a lei qualcosa di più simile possibile ad
una famiglia. Così ogni mattina la accompagnavo all’asilo, lei era entusiasta
di imparare, di giocare con altri bambini, mentre io restavo a guardarla fino a
quando le maestre mi cacciavano. Alla festa del papà portò a casa un disegno
che raffigurava noi due o almeno è quello che mi spiegò lei, perché sul foglio
bianco c’erano degli scarabocchi di diverso colore. Dovevi vedere quanto era
fiera di quel disegno, e quanto fossi io fiero di lei».
«Alexis non avrebbe potuto desiderare un
padre migliore». Sorrido, mi chino su di lei e la bacio dolcemente sulle labbra.
«Le hai dato tutto ciò di cui aveva bisogno, hai messo sempre lei al primo
piano e anche ora che ha quasi vent’anni non riesci ad accettare che è
diventata una donna».
«Come posso accettarlo? Lei è la mia
bambina. Lei sarà sembra la mia bambina che corre verso di me con le ginocchia
sbucciate e, gli occhi pieni di lacrime, o che torna a casa con la sua prima A.
Non importa se è al college o se ha un ragazzo, per me lei sarà sempre la mia
piccola». Kate sospira, la sento sul mio petto, mi chino per guardarla, una
lacrima scivola sul suo volto. «Cosa c’è?». Scuote la testa. «Kate», la incito.
«A volte mi chiedo cosa pensi mio padre
di me, se è fiero di quello che faccio o se mi reputa una fallita. Lui non era
e ancora ora non è come te, il nostro rapporto si è sempre basato sul silenzio
o frasi banali, mai oltre lo stretto indispensabile, non siamo mai stati come te
e Alexis». Le accarezzo la guancia arrossata. «Forse non sarei nemmeno in grado
di aprirmi in quel modo a lui, però a volte mi manca, sai?». La stringo forte a
me, quando allento la presa, lei mi stringe più forte. Ha bisogno di me. La sollevo,
e la faccio sedere sulle mie gambe, le cingo la vita, mi tiene stretto a sé, ha
bisogno di quel contatto. Il suo respiro è lento vicino al mio orecchio.
«Promettimi che i nostri figli un giorno non avranno questi dubbi, promettimi
che saranno fieri di noi».
«Te lo prometto» Sorrido all’idea di
vedere urlare per casa delle piccole Kate mentre Alexis si arrabbia perché non
riesce a studiare. «Nei loro occhi ci vedranno come degli eroi forti, saggi,
che non conoscono la paura, senza capire che saranno loro a essere dei piccoli
eroi stati mandati per salvarci».
«Ne sei sicuro?». Annuisco. «Non ci
odieranno?».
«Certo che ci odieranno, e più di una
volta, ma mai veramente, solo per orgoglio. Poi passerà». Le accarezzo i
capelli. «Ci manderanno al diavolo. Ci diranno che siamo i genitori peggiori
del mondo e poi... poi torneranno da noi e ci abbracceranno, ci diranno che ci
vogliono bene e tutto ciò che è stato prima, sarà dimenticato, perché il fatto
che loro sono di nuovo lì con noi sarà l’unica cosa che conta».
«Rick, sono incinta». Sorrido e
annuisco. «Lo sapevi?». Annuisco di nuovo. «Ma come?».
«La temeraria Kate Beckett non ha
problemi ad affrontare a mani nude tre uomini armati, ma ha paura di cosa
penseranno dei bambini? E poi ieri ti ho visto buttare via i caffè che ti ho
portato». Ride. Dio quanto amo il suo sorriso. «E non vedo l’ora di avere una
mini te correre per casa».
«O mini te. In ogni caso sarà un mini
Castle e questo mi spaventa», dice ridendo con il viso appoggiato al mio petto.
«Ma sarà stupendo con te al mio fianco».
Kate sta togliendo le ultime cose da
dentro degli scatoloni anonimi.
La guardo appoggiato allo stipite della
porta, sono stranamente silenzioso, mi accorgo solo ora di cosa sta succedendo,
mia figlia è nella culla e Kate è diventata mamma, pur continuando a tenere la
sua pistola.
Nikki è bella. Kate è bella. Mi sento quasi
a disagio ad entrare nella stanza con loro due, ma non posso stare loro
lontano, il mio cuore ne soffrirebbe.
Alexis sta mantenendo la sua promessa di
tornare a casa ogni volta che le è possibile, adora la sua sorellina.
Finalmente siamo una famiglia.
Mi chino su Nikki, le sistemo il suo
coniglietto di peluche regalatogli da Esposito e Ryan, e lei ride senza denti.
Però è negli occhi di mia figlia che vedo
il riflesso di chi sono e di chi sarò, in quegli occhi verdi come quelli di
Kate vedo il mio futuro con lei. Con Nikki.
Rebecca Is Here:
Mi dovete spiegare perché tutti odiano
Alexis.
Sia Twitter o Tumblr, sia Facebook o EFP
nessuno sopporta il personaggio di Alexis, quando io lo adoro. Forse perché io
avendo diciotto anni mi ritrovo molto nei suoi modi d’essere, credo.
Il cellulare segna le 2.47 AM. Sono seduta
alla scrivania con solo una candela profumata alla cannella accesa, mentre
dalle cuffie esce “This is War” dei Thirty Second to Mars.
La scelta di riprendere la struttura dell’inizio
come finale è dovuta al fatto che a ogni addio
secondo me corrisponde un nuovo ciao.
Grazie di aver letto questa oneshot
spero che vi sia piaciuta.
Baci Becky