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Autore: nameless colour    15/10/2012    5 recensioni
La prima storia su EFP non si scorda mai, ❤.
Un Kurt ed un Blaine probabilmente un po' diversi da come li abbiamo conosciuti, ma pur sempre gli stessi di cui ci siamo innamorati.
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Dal testo:
[...]
Oltre le congetture, oltre l’imbarazzo, oltre le barriere. Si sarebbero spogliati e non solo nel senso letterale del termine. Fu un lento fare l’amore; dolcemente, con le mani intrecciate. I sospiri lenti dell’uno si incatenavano con i mugugni rumorosi dell’altro. Si presero il loro tempo, appartenendosi per un attimo che a loro sembrò infinito. Insieme raggiunsero l’ apice e restarono così, nudi, con i piedi troppo freddi per uscire dalle lenzuola, e un amore troppo grande per due giovani liceali.
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È una vita che ti aspetto.
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Wouldn't you think my collection's complete?
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Of benches and memories




Era una tiepida giornata novembrina quando loro si conobbero. La frizzante aria autunnale stuzzicava i pettirossi, i quali cinguettavano sui rami dei salici che costeggiavano la strada sulla quale Kurt era in viaggio. Per quanto spesso si ritrovasse ad imprecare mentalmente contro i  suoi amici del glee club, era innegabile quanto ci fosse legato; ed era bastato meno del previsto per convincerlo a recarsi alla Dalton in veste di spia ufficiale. La magnanimità doveva essere un gene che si tramandava di padre in figlio, pensò. Scese dall’auto ed accompagnò dolcemente la portiera, con le mani umide per il contatto con la brina mattutina.

L’ accademia era quanto di più maestoso Kurt avesse mai visto. Tappeti persiani si prostravano lungo le preziose maioliche dei pavimenti e passamani di legno accompagnavano le larghe scalinate che costeggiavano la scuola. Ed era proprio lungo quelle rampe che si videro. Fu proprio nell’esatto momento in cui lui si sfilò gli occhiali che successe. Entrambi si domandarono se fosse possibile che gli occhi dell’uno si incastonassero tanto perfettamente in quelli dell’altro.

“Il mio nome è Blaine.”

“Kurt.”

***

La neve fioccava a Dicembre, sulle cime dei tetti della Dalton. Si poggiava sui davanzali, lungo le panchine, sul prato; come un mantello che tiene tutto al sicuro per le fioriture di primavera. Rimandava la mente a ricordi lontani, ricordi felici; quando tutto era etereo e bastava un “Kurt, vieni, aiutami a leggere cosa c’è scritto!” a rendere migliori le giornate. A lui mancava suo nonno, gli mancava da morire. Dopo la perdita di sua madre, quando Burt trascorreva intere giornate in officina, era l’ unico che si prendesse cura di lui. L’ unico… che lo capisse. Aveva i suoi stessi occhi: quei dannati occhi nei quali si scatenavano tempeste stellari e più. Era per questo che sua madre decise di chiamarlo Kurt, per portare in suo figlio quello che avrebbe dovuto lasciare un giorno. Ed in ogni Kurt vi erano flashback di baci, carezze, sorrisi paterni e sguardi tristi.

“A cosa pensi?” lo interruppe una voce ovattata. “Sembri triste. Cosa c’è che non va?” Era Blaine. Era sempre Blaine.

Kurt avrebbe voluto dirgli che c’erano una marea di cose che no, proprio non andavano. Non aveva affetti, non aveva legami, non aveva nessuno. E come se non bastasse, si rifugiava in quel sentimento nato da poco ma pur sempre vero, pur sempre tangibile. Era una delle poche cose autentiche delle quali fosse certo. Si sentiva uno stupido.

“Niente, suppongo. La neve mi fa venire in mente tante di quelle cose che… semplicemente, non riesco a tenere per me. T-ti va di aiutarmi?”

Ecco, ci siamo.

E poi fu tutto un sospiro, tutto un assaporarsi con gli sguardi. Blaine riscaldava il cuore di Kurt. E Kurt faceva rinascere quello di Blaine.

‘Heart and soul, I fell in love with you
lost control, the way a fool would do
because you held me tight
and stole a kiss in the night.

E poi accadde. Quasi inconsapevolmente, le labbra del moro si poggiarono su quelle dell’ altro. Non fu violento, non fu precipitoso. In quel bacio vi erano galassie da scoprire, insieme.

Da quella sera, due cuori si sentivano un po’ meno soli.

***

Un urlo nel nulla, una lacrima nel vuoto. Fino a quel momento non sapeva cosa significasse la parola dolore. Il funerale di suo nonno è, probabilmente, una scena che gli resterà impressa a vita. Solo nero, pioggia e terra. Il sapore di ferro in bocca. Il cuore che implorava pietà. Poca gente era accorsa, i familiari più intimi erano seduti sulle anonime sedie di plastica bianca sistemate su quello che, oramai, niente aveva di prato. Sua madre era accanto a lui, il fazzoletto di stoffa – oramai zuppo di lacrime – che stringeva disperatamente tra le mani era probabilmente ciò che più si avvicinava al colorito della sua carnagione.

“Blaine Anderson era una delle persone migliori che questa Terra avesse mai conosciuto. Ci auguriamo che possa farci arrivare la sua voce anche da lassù.”

Le parole oramai spersonalizzate che si pronunciavano in quel momento avevano quasi un effetto assopente sul ragazzo, che mai come in quel momento era stato orgoglioso di portare il nome di suo nonno. Era stato un esempio non solo per lui, ma per tutti; l’ essere anticonformista quando nessuno lo era, il coraggio e la paura in uno sguardo senza nome, la forza di rialzarsi dopo batoste fin troppo familiari. Stava quasi chiudendo gli occhi quando scorse qualcosa: in lontananza, uno sconosciuto; doveva avere pressappoco l’ età di suo nonno. Non era un parente, ne tantomeno un amico.

Erano due occhi azzurri e nulla più.

***

“Gli usignoli non si prendono un week end dal 1926! State vaneggiando!”

Il caos che si scatenava quotidianamente nell’ aula magna faceva invidia ad un pollaio. Dopo ore ed ore di dibattito, si era giunti ad ottenere un sabato sera libero. E non c’era nessun altro con cui Kurt avrebbe voluto trascorrerlo.

“Blaine!”

Il moro si girò di scatto. Per poco non si schiantò alla parete per l’ impatto con quelle iridi cerulee.

“Ti andrebbe di passare da me? Abbiamo il duetto da preparare.”

Era un misto tra lo scioccato e lo scettico. Erano soliti passare le serate accoccolati sul divano di casa sua a guardare il Jersey Shore e a mangiare schifezze – lui mangiava schifezze, a dire il vero – e non aveva mai sentito il proprio ragazzo essere tanto… deciso? sfacciato? spinto?  Si ritrovò a balbettare un “S-sì, certo, hai ragione!” arrancato nel nulla. La diplomazia non era il suo forte, in certi casi.

La prima parte della serata trascorse tranquilla. Gli acuti migliori di Kurt e il calore della voce di Blaine avevano riempito l’aria rendendola più morbida e sciolta. Quando, ad un certo punto, ci fu uno sguardo, un’ intesa. Occhi che parlavano e… subito dopo, mani che si muovevano. Si spostarono al piano di sopra senza neanche accorgersene; le labbra vogliose di Kurt viaggiavano lungo il collo dell’altro. Non ci fu un centimetro di pelle che non venne baciato. Nel mentre le sue mani si dirigevano all’esplorazione di zone più calde: si sentì una cerniera venire giù, e fu in quel momento che capirono che quella sera sarebbero andati oltre. Oltre le congetture, oltre l’imbarazzo, oltre le barriere. Si sarebbero spogliati e non solo nel senso letterale del termine. Fu un lento fare l’amore; dolcemente, con le mani intrecciate. I sospiri lenti dell’uno si incatenavano con i mugugni rumorosi dell’altro. Si presero il loro tempo, appartenendosi per un attimo che a loro sembrò infinito. Insieme raggiunsero l’ apice e restarono così, nudi, con i piedi troppo freddi per uscire dalle lenzuola, e un amore troppo grande per due giovani liceali.

***

“Si può sapere dove diavolo sei finito?”

“Calmati! La metrò è in ritardo, cerca di essere paziente, si tratta di qualche minuto in più.”

“Meglio per te che si tratti solo di qualche minuto.”

Gli anni successivi alla Dalton erano stati duri. Blaine aveva proseguito nella carriera di cantautore e Kurt in quella della legge. Essere un giovane avvocato nella New York del caos e dello smog non era semplice. Avevano vissuto sotto tetti separati per i primi due anni. Chiamate e messaggi non potevano colmare il vuoto fisico, ma sopravvivevano. Non potevano viversi, non potevano respirarsi, non potevano aversi. Ed era più dura di ciò che entrambi avessero potuto pensare. Blaine faceva visita a Kurt quando poteva e lui correva dall’ altro appena si liberava da una causa.

Ora Kurt era lì, seduto su di una panchina al Central Park, che aspettava colui che era rimasto il solito svampito di un tempo. Non sapeva che Blaine stava tardando perché una scatoletta di Tiffany era ben riposta all’ interno della tasca dei suoi pantaloni.

Ed eccolo arrivare, di corsa e con i capelli scompigliati. Kurt si promise mentalmente di non dargli neanche il tempo di scusarsi. Non si vedevano da due settimane, come aveva potuto permettere a se stesso di tardare?

“Ti sembra il caso di presentarti con diciassette, e dico diciassette minuti di ritardo? Non ci vediamo da settimane e tu ti concedi il lus-”

Panico.

Blaine si era appena inginocchiato. Doveva legarsi una scarpa? Calarsi i pantaloni davanti a milioni di persone?

Uno scrigno azzurro uscì dalla tasca laterale dei jeans.

Non stava accadendo.

“Sono sei anni che ci conosciamo, sei lunghi anni. E la cosa divertente è che la mia vita sembri iniziare proprio da lì, in quel mattino in cui ti innamoravi della neve ed io mi innamoravo di te. Hai visto la mia forza, ma anche la mia debolezza; conosci i miei pregi, ma mi ami per i miei difetti. Sai che metto tre cucchiaini di zucchero nel caffelatte e che il bagno è impraticabile per due giorni ogni qualvolta faccio la doccia, eppure hai corso il rischio. Hai lasciato che ti guidassi a fidarti di me, ed io ti ho permesso di leggermi dentro.

Kurt Madison Albom, mi concederesti l’onore di diventare mio marito?”

La fascetta in oro bianco rifletteva la luce degli occhi di Kurt.

Un “Sì” volò tra le lacrime.

***

“Papà, corri! Guarda cosa c’è qui sotto, guarda sotto il letto!”

Gli incubi di Sarah erano terribili, accadeva raramente, ma riuscivano a spaventarla a morte. Ed ogni volta i suoi genitori dovevano correre da lei e portarla in braccio nel lettone, perché – diceva lei – era troppo piccola per camminare dopo uno spavento.

Averla non era stato semplice. C’erano pratiche infinite da mandare avanti e, oltre alla questione pratica, c’era tanta, tanta forza morale di cui doversi armare. A volte Kurt crollava e suo marito doveva stargli accanto e parlargli tutta la notte per tranquillizzarlo. Altre Blaine perdeva la pazienza e gli occhi gli si tingevano di borgogna per la rabbia.

La messa a letto era una delle cose migliori di tutta la giornata. Kurt le pettinava i capelli e Blaine, tenendole la mano, le leggeva una storia. E di tanto in tanto, intonava una ninnananna.

Wouldn't you think my collection’s complete?

***

A Kurt e Blaine non erano mai piaciuti I cimiteri. Nei vent’anni della loro relazione vi si erano recati sì e no un paio di volte. L’angoscia dell’aver perso le persone più importanti della loro vita ancora non li aveva abbandonati.

Appena arrivarono decisero di dividersi, entrambi lì per salutare i propri nonni.

Arrivati alle lapidi, uno si inginocchiò sul marmo candido e l’altro entrò nella cappella di granito nero.

Su di una era inciso “Kurt Hummel” e sull’altra “Blaine Anderson”

Gli epitaffi erano gli stessi. Recitavano:

È una vita che ti aspetto.”

Ai nipoti una lacrima rigò il viso. Era ora di andare.

Fine.




Note: ringrazio tutte le persone meravigliose che mi hanno sostenuta, prima e dopo la stesura. F l a n,  lunaBlu12, Chemical Lady e SeleneLightwood.

Spazio autrice: eccoci giunti alla fine. Premetto che questa è la prima “storia” che scrivo, siate clementi. Se avreste la pazienza di darmi il vostro parere a riguardo, ne sarei felicissima.

Come avrete capito, la storia non è dei nostri Kurt e Blaine, bensì dei nipoti. Blaine ha avuto un figlio, e Kurt una figlia, dai rispettivi compagni. Tra di loro non ha funzionato, ma le loro anime si sono trovate in un altro modo, mettiamola così. Non so da dove mi sia venuta questa idea, spero comunque che l’abbiate apprezzata.

Un bacione e grazie d’essere arrivati fin qui.

  
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