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Autore: mercutia    15/10/2012    0 recensioni
Nulla nella mia vita era più lo stesso. Per quante esperienze l'avessero attraversata e sconvolta, nulla era più lo stesso da quando vivevo nel palazzo che Mélisande aveva preso a Città di Elua per quella che era la sua nuova famiglia: un trio la cui formazione aveva sollevato parecchi mormorii, un'unione anomala e stravagante persino per la gente di Terre d'Ange. E non tanto, o non solo, perchè questa famiglia era formata da due donne e un bambino, ma perchè eravamo io, Phèdre nó Delaunay de Montrève, la più famosa cortigiana del regno, Mélisande Shahrizai, la famigerata traditrice della corona, e suo figlio, Imriel no Montrève de La Coursel, frutto di uno dei piani diabolici di sua madre. Mélisande era per tutti una pericolosa e spietata traditrice e nessuno avrebbe mai smesso di vederla a quel modo. Nemmeno io. Io che meglio di chiunque altro la conoscevo. Io che meglio di chiunque altro avevo pagato sulla mia pelle e sulla mia coscienza il dolore dei suoi giochi crudeli. E io che, nonostante tutto, l'amavo con ogni fibra del mio essere, come nessun altro avrebbe mai potuto.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti
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Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.


Maison Shahrizai - Episodio 3

Volontà

Poi venne il momento dei chiarimenti. Era inevitabile che Imriel prima o poi mi avrebbe voluto parlare. C'era sempre stato un rapporto molto aperto e sincero tra noi, forse anche troppo vista la giovane età in cui avevo dovuto iniziare a fargli capire certe cose. Ma sono quella che sono e certi discorsi non è possibile edulcorarli girandoci attorno. Aveva capito cos'ero prima di conoscermi davvero, mi aveva odiata per il mio lato più oscuro e poi in seguito aveva cercato di cancellarlo dalla visione che aveva di me, perchè certamente strideva, e di molto, con quella sorta di figura materna che ero diventata per lui. Ma, ripeto, sono quella che sono, per quanto lo maledicessi io stessa, per quanto mi ci opponessi e per quanto anche lui sicuramente avesse tentato di non vedere, ma da quando sua madre era tornata da noi era impossibile non fare i conti con la mia natura. Ogni giorno.
Fu così che Imriel mi chiamò in disparte, sotto il colonnato della veranda che si affacciava sui giardini dietro la nostra residenza. Mi aveva chiesto di sedermi sulla panca di pietra accanto a lui, ma poi si era alzato, subito prima di affrontare l'argomento serio per cui ci trovavamo lì.
«Perchè sei così con lei?» mi chiese all'improvviso dandomi le spalle.
Era ovvio chi fosse la persona a cui faceva riferimento, anche se non era di lei che avevamo parlato fino a poco prima.
«Ti ho spiegato cosa sono fin dal primo momento, non ti ho mai nascosto nulla di me, per quanto potesse essere imbarazzante parlarne ad un bambino. Perchè mi fai questa domanda ora?»
Imri si girò.
«Perchè con lei sei diversa»
«E' una questione difficile da spiegare, è qualcosa di molto profondo il nostro legame.»
«La ami?»
Era stato più semplice parlargli di quello che avevo fatto con il mahrkagir, che non del mio rapporto con sua madre. Era tutto più difficile quando di mezzo c'era lei.
«Bè, si. Si.»
«Più di Joscelin?»
Serrai la mascella e inspirai per qualche istante. La ferita era ancora aperta e lui lo sapeva, ma evidentemente ne soffriva molto anche lui se aveva tirato fuori la questione a viso così aperto.
«E' diverso»
«Questo mi pare evidente»
«Cosa ti disturba?»
Imriel arrossì. Ne compresi subito il motivo: la domanda era stata posta male da un certo punto di vista. Non doveva essere semplice affrontare l'adolescenza con due madri come me e Mélisande. Di cose che lo disturbavano ce n'erano fin troppe, era chiaro.
«Non fraintendermi» mi corressi subito «Immagino che non sia facile adattarsi alla situazione e so anche che soffri ancora per aver perso Joscelin. E' così anche per me, per entrambe le cose. Ma sai perchè siamo qui e vedi che la cosa funziona»
L'amnistia di Mélisande era solo una facciata. La verità era che, come già avevamo potuto constatare anni prima, le mura del tempio di Asherat non erano affatto un limite per quella donna. Esilio e prigionia erano solo una condizione fisica, poco più di una seccatura per una che, come lei, era in grado di manovrare i destini delle nazioni a suo piacimento. Anche il giuramento fatto a me si era rivelato solo un paletto aggiuntivo, una difficoltà che invece di fermare il suo gusto per i giochi di potere, l'aveva stuzzicata a trovare strade alternative per raggiungere i suoi scopi pur tenendo fede alla parola data. Aveva deviato i suoi obiettivi, la sua volontà aveva valicato muri e confini e Terre d'Ange era tornata in breve tempo a temere Mélisande Shahrizai.
L'idea di Ysandre era sembrata un'assurdità ai più e un pericoloso azzardo per chi aveva conosciuto e compreso meglio ciò che legava quella diavolessa, com'era stata definita, a me e a Imriel. Ysandre la riteneva l'unica soluzione possibile che non fosse darle la morte. Io avevo accettato titubante, incapace di lasciarla alla pena capitale, sobbarcandomi così il peso di una responsabilità enorme, perchè non credevo che io e Imri saremmo stati davvero per Mélisande un deterrente sufficiente a frenare la sua smania di potere. Ma io e lei ci completavamo a vicenda, Elua e i suoi Compagni ci avevano forgiate in modo così perfettamente complementare e quello che ci spingeva l'una all'altra, prescelta ed erede di sangue divino, era qualcosa a cui la volontà umana non poteva fare resistenza, nemmeno quella di Mèlisande. Come Ysandre avesse potuto comprenderlo tanto a fondo non lo sapevo, ma c'era riuscita e ci aveva scommesso sopra più di quanto io stessa avrei osato fare. Per l'ennesima volta il suo giudizio era stato corretto. Scoprire che quell'inusuale forma detentiva, di cui Imriel era ulteriore sigillo di garanzia, pareva funzionare al meglio, aveva dato credito alla già nota arguzia della regina e aveva finito per lasciare a bocca aperta tutti gli scettici. Quanto a me, evitavo di pensarci, ma intimamente crogiolavo sotto la muta eco di quell'ennesima gustosa vittoria su Mélisande. E non solo ad essere onesta: l'amavo, dopo tutto, e quella situazione appagava anche me, nonostante i pesanti sacrifici.
«Preferiresti che non amassi tua madre, dopo le scelte che ho dovuto fare?»
«E' solo che non vorrei vederti così. Con Joscelin non era così. Mai»
«Te l'ho detto, Imri. E' diverso. Siediti per favore»
Cocciuto come solo un de La Coursel sapeva essere, fece un passo indietro, appoggiandosi ad una colonna davanti a me.
«Non sopporto vederti così»
«Non è una cosa che faccio per scelta, Imri. So che ti ricordi bene com'ero a Darsanga e sai che non fingevo. Non completamente almeno. Mi hai odiata per quello, l'hai dimenticato?»
«Ti odiavo perchè pensavo fossi solo quello. Che fossi come il mahrkagir»
«Non sono solo quello, ma lo sono in gran parte. Mi sembrava di avertelo fatto capire bene, di averti avvertito quando tu mi hai chiesto di poter stare con me.»
Mi si sedette accanto finalmente e io gli presi una mano, stringendola tra le mie.
«Va bene così, Imriel e verrà il momento in cui capirai, fin troppo. Ad ogni modo non devi preoccuparti per me. Una volta Hychinte usò il dromonde per Mélisande, le disse una piccola frase, poche parole a cui lei non ha mai dato il giusto peso. Non sempre chi accondiscende è debole. Non fare lo stesso errore di tua madre: non credermi debole solo perchè assecondo la sua volontà. Lei ha perso ogni sfida contro di me per avermi creduta tale»
«Proprio perchè so che non sei così, non sopporto il fatto che tu le ceda ad ogni suo capriccio, senza cercare di farti valere nemmeno per un istante»
Avesse saputo. Se fossi stata capace di fargli capire con quanta tenacia mi imponevo di resisterle, glielo avrei spiegato. Ma non c'erano parole sufficienti a farglielo capire, ciò che univa me a sua madre era troppo grande, troppo potente per poter essere descritto. Dovevo tuttavia dargli delle risposte. Dovevo rassicurarlo.
«Tu non vedi tutto quello che c'è tra noi. Bè, vedi molto in realtà, più di quanto un ragazzo della tua età dovrebbe e me ne dispiace. Ma non è come sembra. Credimi» gli dissi accarezzandogli una guancia «Se davvero fossi così debole nei suoi confronti, come credi, ne starei male. Ti sembro forse infelice?»
«No, questo no»
«So come farmi valere con lei, come imporre la mia volontà, non preoccuparti. Sono perfettamente in grado di resisterle quando voglio, più di quanto tu o lei possiate immaginare.»
Imriel annuì e mi sorrise riempiendomi e sollevandomi il cuore come solo lui sapeva fare. Probabilmente fu quella la ragione per cui non mi accorsi dei passi che si erano intanto avvicinati a noi.
«Phèdre» suonò armoniosa la voce di Mélisande.
Distolsi lo sguardo da Imri per alzarlo verso di lei. Allungai la mano per metterla sopra quella che lei mi tendeva per aiutarmi a mettermi in piedi. Mi trovai davanti a lei senza nemmeno aver ben compreso come ci fossi arrivata. La crudele bellezza del suo viso riempiva i miei occhi, l'intensità del suo profumo alterava i miei sensi, la mano ancora stretta nella sua bruciava.
«Cosa per i Sette Inferni stavi vaneggiando?» mi chiese.
Dovetti attendere di abituarmi alla sua presenza per ritrovare la lucidità, impantanata nel terreno torbido dei miei desideri.
«Non stavo vaneggiando, Mélisande» replicai dopo un tempo forse troppo lungo per poter essere considerato normale.
«Oh Phèdre, chi vorresti prendere in giro?»
Mi girai a guardare Imri, cercando in lui la forza che sentivo venir meno.
«Sii sincera con te stessa» disse prendendomi il volto per costringermi a guardarla di nuovo «Cos'è che saresti in grado di fare tu?»
Il suo volto era tornato ad assere il mio mondo. Così bello, così suadente. Ah, Elua! Davvero, chi volevo prendere in giro?
Mi si avvicinò tanto da farmi sentire il calore del suo corpo, poi si allontanò, togliendo le mani a coppa dal mio viso. Così rapida che vacillai per quell'assenza improvvisa. Sentii le gambe leggere, pronte a farmi inginocchiare davanti a lei, a farmi miseramente capitolare contraddicendo quanto avevo effettivamente vaneggiato solo un attimo prima.
«Vieni qui» sussurrò.
Accolse il mio slancio afferrandomi la testa per baciarmi. Io non la strinsi, mi aggrappai letteralmente a lei ricambiando il bacio.
Mi lasciò poi molto lentamente, godendo fino all'ultimo delle mie labbra e io, piano, tornai in me. Mi girai a guardare la panchina e la trovai vuota, a sottolineare la mia sconfitta e la mia vergogna.
«Era proprio necessario umiliarmi così davanti a lui?» dissi senza voltarmi verso di lei.
«Sei una pessima bugiarda, Phèdre, mi sembra di avertelo già detto una volta. Gli stavi mentendo con tale spudorata incapacità, che sono dovuta intervenire»
«Vi odio»
Mi costrinse di nuovo a girarmi verso di lei, prendendomi il viso tra le mani.
«Ti piacerebbe» disse subito prima di tornare a baciarmi.



Questa storia fa parte di un insieme di racconti brevi dai toni semiseri liberamente tratti dalla saga di Kushiel ed ispirati da un pensiero di Phèdre sul finale di "La maschera e le tenebre", ovvero quando arriva a definire Imriel figlio suo e di Mélisande. La geniale assurdità di quel dettaglio ha scatenato in me folli fantasie sul quadretto familiare ed è nato il primo episodio quasi per scherzo.
Tecniche di scrittura, personaggi e anche modi di dire sono volutamente tratti nel modo più verosimile possibile all'opera di J.Carey, ma lo scenario è del tutto inventato e parodiato.
Il tono semiserio del racconto non vuole assolutamente deridere quest'opera che amo follemente... anche per la sottile ironia che maliziosamente spesso suggerisce.

   
 
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