Schiusi al tenue biancheggiar,
i miei occhi, per primi, dal notturno sopor si destano.
Non ancora avvezza al nuovo dì
celere è l'ora che scorre
ed il chiassoso passo,
al cospetto dei mistici cancelli,
ove espiar la colpa dell'insipienza, cessa.
Le bianche mura, assopite,
ancor non odono
dei miei solitari passi l'eco.
E oltre l'intricato dedalo degli ampi anditi,
nel vacuo loco dell'erudizione
giungo.
Breve è il mio attendere,
al mio scanno assisa
che l'orda della gioventude
il fuggevole senso di solitudine
annulla.
Dietro gli occhi,
attimi di ingannevole stasi
e di cangevole umore ardono:
eventi umani di età remota,
nel libro della memoria,
i discenti segnano:
infiniti vernacoli nell'aere aleggiano,
pù che uniti,
disgiunti dall'idioma del Tamigi;
intente a noverare
le laboriose api
le pallide lamine incidono.
Nel tedioso dì,
l'agognato ristoro
a rinvigorir la gioventude giunge.
Infine, vincolati a collocar
flora e fauna,
da ultimo il sole
brucia il mattino
e il silenzio
torna.
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