Era una gelida sera d’ inverno. Il vento soffiava
attraverso i più piccoli spiragli della camera di Pan.
La pioggia sbatacchiava sulla sua finestra
accogliendo i raggi tenui e tremuli provenienti dai lampioni lì vicino creando
strane, lugubri e indistinte ombre scure sul vetro bagnato.
Per un attimo, soltanto un attimo, Pan avrebbe
giurato di aver visto il luccichio del corpo di fumo di un fantasma. Gli alberi
si muovevano scossi dal vento impetuoso, sagome fredde e crudeli si stagliavano aguzze oltre il vetro della
finestra.
Pan stava tremando… non sapeva il perché di quella
sua improvvisa reazione…era lei, quella che perseguitava le matricole più
fifone del suo liceo ricordando a tutti che i fantasmi non esistono.
Lei, la regina dell’ horror, colei che durante un
temporale spaventoso, in una notte di luna piena, era capace di rimanere
sveglia per una notte intera nella stanza più spettrale di una casa
abbandonata, leggendo un romanzo di Stephen King dopo essersi guardata il più pauroso dei film
dell’ orrore uscito in circolazione sul mercato cinematografico. Ora però,
tutto era diverso.
Ora che non c’ era più lui a proteggerla. Già…dove
sei finito? Ogni notte quella domanda la
perseguitava sempre più, non lasciandole un attimo di pace…Dove sei Trunks? Pan
era stanchissima, non dormiva più da un mese e mezzo, ormai, da quando…da
quando…da quando lui l’ aveva lasciata per sempre. Nonostante tutto, però, non
riusciva ad ammetterlo nemmeno a sé stessa. In qualche modo non poteva, o
meglio, non voleva crederci. Era impossibile da accettare, incredibile solo a pensarci…era veramente una
cosa…fuori dal mondo.
Già,
proprio dove si trovava lui in quel preciso istante. Fuori dal mondo.
Quelle tre parole, benché brevi, erano le più
adatte a descrivere l’ atmosfera in quel momento. Pan voleva davvero essere
fuori dal mondo, lui era fuori dal mondo, in qualche modo, in quel breve e
intenso istante, tutto era fuori dal mondo.
Una lacrima iniziò a rigarle il viso, una piccola
goccia d’ acqua che conteneva tutto il suo dolore, il suo rimorso, l’ odio
verso sé stessa, verso la sua inutile vita, una vita che lei avrebbe voluto si
fosse spenta per sempre, al posto di un’ altra vita, una vita migliore, che per
colpa dell’ odio era stata silenziosamente portata via, proprio com’ era
venuta.
Pan era consapevole che lui non meritava di
morire. Non così. Non in quel modo. I pensieri le scorrevano fluidi nella
mente, mentre il temporale infuriava ancora, sfogandosi con gli alberi di pino e abete, unici spettatori
impassibili di quella anonima tempesta. Pan voltò la testa.
ul comodino risplendeva il suo mp3 color glicine.
Un’ altra lacrima le rigò il viso. Gliel’ aveva regalato lui il giorno del suo
quindicesimo compleanno. “Non ti scorderai tanto facilmente di me, Pan” le
aveva detto dolcemente. Poi l’ aveva abbracciata forte tenendola stretta a sé,
sussurrandole in un orecchio “Così non mi scappi più”. Giorni felici erano
passati da quella frase sussurrata tra le romantiche note di “Se provi a
volare”, la loro canzone.
Pan prese l’ mp3 e lo accese. Nelle sue orecchie
distratte risuonò la voce di Tiziano Ferro. Le piaceva “Non me lo so spiegare”.
Era malinconica ma dolce. “Un po’ mi manca l’ aria che tirava…” era strano come
tutto ciò rispecchiava il suo stato d’ animo in quel momento “…o semplicemente
la tua bianca schiena…” era proprio così, le mancava “…na na na na na na na
na…e quell’ orologio non girava, stava fermo sempre da mattina a sera…come me
lui ti fissava…” buffo, il suo orologio non girava, stranamente.
Era fermo, immobile, come il suo sguardo. Proprio
in quell’ istante Pan voltò la testa dall’ altra parte. Qualcosa, o qualcuno
aveva bussato alla sua finestra…
Allora, com’ è???
recensitemi per favore, così potete criticarmi o
darmi nuovi suggerimenti.
scrivete chi vorreste che entrasse dalla finestra…