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Autore: Jade Lee    17/10/2012    1 recensioni
6 Agosto 1942, Ghetto di Varsavia. E' tra i vicoli del quartiere ebraico che i membri della resistenza si muovono nell'ombra per tentare di sopravvivere alla morsa sempre più stretta dei nazisti. E' nelle strade fatiscenti che Axel corre, nel disperato tentativo di salvare qualche frammento della sua vecchia vita, della sua famiglia. E, magari, anche della sua anima.
"Non può pensare ai loro occhi smarriti, che cercano in lui una speranza che non può dar loro: non ne ha neppure per sé stesso!"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
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_Siamo Soli_



Premessa dell'Autrice: Le parti evidenziate in viola sono quelle che mi hanno ispirato questo racconto, sviluppatosi a sua volta da una mia vecchia role. In esse sono contenute le sole persone REALI della storia, mentre tutti gli altri nascono dalla mia mente. Axel, in particolare, è un personaggio che muovo in un gioco di ruolo, dunque totalmente originale e personale su cui detengo ogni tipo di diritto possibile e immaginabile. Ciò detto, smetto di tediarvi e vi lascio alla lettura ;) .



-- I nazisti chiedevano continuamente forza lavoro e Czerniakow, capo del Consiglio ebraico, di fronte alle retate effettuate ogni giorno nel Ghetto dalle SS pensò ingenuamente che se avesse garantito loro un numero di lavoratori specializzati sufficienti avrebbe potuto salvare la vita degli abitanti prigionieri del quartiere murato, chiuso come se fosse in quarantena. Czerniakow  ragionava come un uomo normale, pieno di buon senso,pregno di speranza e illuso che per i nazisti fossero le questioni economiche ad avere un’importanza vitale. Ma la logica razziale nazionalsocialista era totalmente estranea a considerazioni finanziarie.

Mentre giorno dopo giorno Czerniakow cercava di essere sempre più "utile", i nazisti preparavano la sua morte e quella di tutti gli abitanti del ghetto. Il 22 luglio 1942 gli venne comunicato che dall'indomani e per ogni giorno avrebbe dovuto fornire 6.000 persone da deportare verso Est. Czerniakow ,che aveva più volte ricevuto garanzie che non vi sarebbe stata alcuna deportazione, vide ogni sua certezza crollare. Il 23 luglio seduto alla sua scrivania scrisse l'ultima pagina del suo diario: 
"Sono le tre del pomeriggio. In questo momento sono pronti a partire in 4.000. Alle 16 secondo gli ordini dovranno essere 6.000. Le SS vogliono che uccida i bambini con le mie mani. Non c'è altra via d'uscita: devo morire".
Czerniakow chiuse il diario e si suicidò ingerendo il contenuto di una fiala di cianuro. --

 
6 Agosto 1942, Ghetto di Varsavia.

Axel Rohlfs, accompagnato da un paio di uomini della ZOB, cammina spedito per raggiungere il suo migliore amico Frank Bauer, appostato lungo via Smocza. L’urgenza con cui è stato convocato non promette nulla di buono, ma ultimamente - considerando ogni comunicato ricevuto negli ultimi giorni - nessuna notizia ha mai promesso qualcosa di buono. Si sente ormai piuttosto incline alla rassegnazione, ma non può abbandonarsi alle sue braccia invitanti: sarebbe la fine.

Ed eccolo finalmente Frank, un omaccione dallo sguardo truce con un fucile piuttosto malconcio in spalla; può ritenersi fortunato, dato che le armi in possesso delle resistenza sono davvero poche. Frank ha capelli ricci, bruni e perennemente in guerra contro l’ordine, occhi scuri e brillanti, barba incolta e abbigliamento trasandato. Non si perde in convenevoli, la situazione non lo permette.

- Czerniakow è morto. Siamo soli. - 

Già, le notizie arrivano tardi alle orecchie dei ribelli. Il silenzio cala tra i quattro, l’incredulità la fa da padrona.
Ecco, ora sì che una scintilla di sconforto brilla negli occhi cerulei di Axel.

La morsa nazista si stringe e il Ghetto sta per essere messo a ferro e fuoco. Con loro lì, a marcire come topi. A nessuno dei presenti viene in mente di chiedere COME il Capo del Consiglio ebraico abbia lasciato questo mondo. La morte è talmente radicata e comune che pare una domanda superflua. In fondo che importa?
Ormai è un aiuto in meno.

I soldati delle SS sono ovunque, rastrellano persone dalla prima mattina, crudeli e indifferenti alla sofferenza. Loro invece si muovono nell’ombra, un colpo di fucile e via, nei vicoli più bui e tortuosi. Sono pochi con la forza e il coraggio sufficienti per opporsi.
Quanti uomini ha ucciso fin’ora Axel? Se non ricorda male, tre. Il peggio è che la sua mente ha cancellato i loro volti con una rapidità inquietante.

Ma non c’è tempo! Bisogna già dividersi e riprendere la fuga, correre nel buio e salvare più persone possibile! Proteggere gli amici, i famigliari! Ed è in direzione della sua casa, se così si può chiamare uno stabile di sei piani a dir poco cadente, che ora si sta dirigendo.
Deve fare attenzione, il suo viso è conosciuto così come la sua adesione alle forze di resistenza. Non ci sarebbe pietà nei suoi confronti, una volta preso.
Solo la fucilazione.

Si nasconde dunque nell’ombra di un vicolo stringendo la sua arma convulsamente mentre una piccola truppa chiacchiera poco più avanti e si dilegua rumorosamente verso la piazza centrale. Corre, quasi disperato, non può permettere che i suoi genitori vengano portati via. Non se lo perdonerebbe mai.
Ma dal buio di una stradina perpendicolare alla sua un’ombra lo afferra saldamente, tirandoselo nel buio.

Gli si spezza il respiro alla vista dell’uniforme e  dello scintillio dei gradi militari.

L’inquietante aquila germanica lo scruta minacciosa, come gli occhi di ghiaccio così simili ai suoi che sfavillano sul volto dai lineamenti spigolosi di chi l’ha bloccato. Il colonnello Von Helsenton.
Un sospiro di sollievo sarebbe sconveniente ed è prontamente trattenuto da Axel: quell’uomo infatti, pur rivestendo un ruolo importante tra le truppe naziste, è un segreto sostenitore della resistenza ebraica. Un traditore del suo credo dal forte accento berlinese.

- Chissà perché non mi sorprende il ritrovarti ancora vivo, Rohlfs. Sei davvero poco incline alla morte. -

No, nessuna risposta da Axel, su cui stanno piovendo milioni di pensieri rabbiosi. Hanno dei tratti somatici così simili, entrambi biondi, entrambi con le iridi di un’invidiabile tonalità slavata, entrambi armati e nel pieno delle loro forze.

Ma perché lui deve fuggire nell’ombra mentre l’altro vaga tronfio alla luce del sole?

Reprime l’impulso di sputargli in un occhio e prenderlo a pugni solo perché sa che il soldato è lì per cedergli informazioni. Infatti si appresta a continuare il monologo:
- In diecimila verranno portati via oggi. Tua madre è nascosta in uno dei vostri bunker e tuo padre è stato catturato alle 11.45. A lui comunque ho pensato io, fornendogli una giustifica come famigliare di un lavoratore attivo. Inoltre i vostri magazzini sono stati dati alle fiamme nel primo pomeriggio, assieme a chi li gestiva. Credo che il vostro movimento abbia perso qualche altro membro. -

Uno, cento, mille pugnali di ghiaccio perforano il corpo di Axel: ogni parola trasuda morte, sconfitta, indicibile dolore. I magazzini, che lui stesso si impegna a rifornire mensilmente con merce di contrabbando, sono andati perduti con i volti, i pensieri e i sorrisi di chi si impegnava a mantenerli funzionanti per la gente.

Ma almeno, per stavolta, la sua famiglia è viva.
Un pensiero egoistico, assurdo ma estremamente naturale e, perché no, rassicurante in mezzo a tutte quelle vite scomparse.
Annuisce, secco, una luce di gratitudine negli occhi rivolta a chi ha protetto suo padre.

Poi parte di nuovo, direzione via Mila, col colonnello Von Helsenton alle spalle che si accinge a rindossare la sua maschera di crudeltà. Ed ecco lo sbocco nella piazza centrale, dove la gente sta raccolta in attesa di venir condotta al proprio destino.

Abbandona il fucile e si infila in mezzo a loro senza esitazione, facendosi spazio e venendo spesso riconosciuto dai disperati che popolano quel luogo di raccolta. Non può pensare ai loro occhi smarriti, che cercano in lui una speranza che non può dar loro: non ne ha neppure per sé stesso! Si blocca all’improvviso quando, a metà della piazza, la visuale si libera improvvisamente dalle persone. Che diavolo...?

Allineati per quattro con alla testa la bandiera con la Stella di David, quasi duecento bambini dell'orfanotrofio si stanno avviando con gli adulti verso la stazione, per essere caricati sui treni. Ognuno stringe tra le dita minuscole un giocattolo ed una bottiglietta d'acqua. Axel individua subito, a pochi passi da lui, il direttore dell'orfanotrofio Janusz Korczak. 

 
-- Famoso pedagogo e scrittore di bellissime favole per bambini note in tutta Europa, Janusz Korczak non abbandonò i suoi orfani. Marciò con loro sino a Treblinka e con loro entrò nelle camere a gas. --
 
Axel lo afferra per la manica della giacca verde militare, voltandolo nella sua direzione come prima ha fatto il colonnello con lui in quel vicolo buio.
Janusz si scioglie in un sorriso stanco quando lo riconosce.
Non ha bisogno di parole, Axel. I suoi occhi sanno esprimere benissimo ciò che prova, le domande che lo opprimono.
E Janusz è troppo perspicace, troppo empatico per non cogliere ciò che vuole sapere.
- Sto andando a morire. Non posso abbandonare i miei bambini. -

La mano abbandona la presa sul braccio cadendo mollemente. Una sola consapevolezza: ha perso un altro amico.

Ma lo sguardo sicuro e fiero di Janusz, accompagnato da un intransigente cenno del capo, lo incitano a proseguire.
A tentare di salvare almeno una persona, contro le migliaia che ha perso.
 
Axel abbandona la piazza senza guardare più nessuno.

Tra poco più di un mese, anche lui sarà caricato su un treno e accolto dalle fredde braccia di Treblinka.
 
   
 
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