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Autore: Gem    22/10/2012    2 recensioni
Era un semplice insegnante di yoga, ma aveva lanciato un portapenne al capo e s'era giocato il posto di lavoro.
S'era fatto ingannare dalla promessa di un'aria più pulita e respirabile di quella di Chicago, ma a quanto pare...
[Ispirata al film "La donna perfetta". Dissacrante parodia nata come una semplice commedia ed evolutasi come una summa di tutte le mie esperienze nei fandom esteri di SS]
Genere: Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’uke perfetto

 

SEI

… minuti e sarà tutto finito.

 

Era notte.

Dalla finestra semichiusa entravano i bagliori dei lampioni di Yaoi City, ma la tenda scura di seta fungeva da ulteriore ostacolo alla luce. Un unico raggio giungeva, vergine, ad illuminare un braccio nudo cosparso di capelli biondi.

La luce lo faceva apparire più bianco di quanto già non fosse. Come una dea lunare, come un abitante della notte, Shaka osservava quei pochi riflessi, catturato dal loro fascino spettrale e quasi irreale. Né il trovarsi così vicino ad Aiolia, né sapere che, per restare incolumi, bisognava lasciare la città, potevano placare la sua insonnia, e consegnarlo tra le braccia di Morfeo.

Alzò di poco il capo dal cuscino. Fu sufficiente per scorgere il profilo di Aiolia, nel buio, e contemplarlo qualche secondo, sospeso tra i pensieri pesanti. Sì, era vero, avrebbe potuto lasciare la città anche subito, svegliando Aiolia e fuggendo con la complicità della Luna. Ma che senso avrebbe avuto abbandonare Camus in quelle condizioni? E Aiolos certamente li avrebbe cercati.

Passò l’indice sulle labbra di Aiolia. Com’erano calde, vive. E come s’erano dovute sentite miserabili, ogni volta che avevano lasciato uscire una parola sbagliata, una frase di troppo, un’offesa umiliante. Forse, doveva ancora arrivare il momento peggiore per loro. Se davvero il sindaco avesse nascosto un segreto terribile, come avrebbe reagito Aiolia?

Shaka chiuse bruscamente il pugno, allontanandolo dal viso dell’altro. Non poteva certo permettere che il rapporto tra i due fratelli s’incrinasse così, per colpa di…

Di Saga?

Poteva davvero essere tutta colpa sua? E perché, poi? C’era da tener conto che lo stesso Kanon, fratello di Saga, era cambiato da un giorno all’altro…

Cercando di mantenere il silenzio, si issò e appoggiò i piedi sul pavimento, osservando la tenda muoversi al vento notturno. In fondo aveva poco da perdere… no, non doveva mentire a se stesso. L’uomo che dormiva alle sue spalle non era “poco”.

Si alzò, ma non volle guardarlo. Si infilò, invece, un paio di jeans velocemente e una maglietta, facendo ben attenzione a non svegliare il compagno. Così com’era entrato in casa di Aiolos una sera passata, sarebbe riuscito a farlo anche quella notte, anche a condizione di uscirne totalmente cambiato.

Scese silenziosamente per le scale, raggiungendo la porta di casa in pochi attimi. Diede un’occhiata a Milo che dormiva sul proprio divano: per evitare scene simili a quella delle cesoie era fondamentale che si mantenesse – almeno per il momento – lontano dal suo fidanzato.

Osservò anche le case intorno, una volta fuori: la casa di Mu aveva le luci totalmente spente, quella di Camus invece aveva una stanza illuminata debolmente, forse da una piccola lampada. Quanto avrebbe voluto che Camus leggesse un libro serenamente, com’era solito fare!

Si immise nel vialetto.

“Buonasera, Aiolos. Sei un assassino?”

Beh, no, certamente questa non filava. Mentre avanzava nel buio verso casa del sindaco, Shaka rifletteva su qualche frase adatta al contesto… anche se era sicuro che sarebbe entrato in quella casa di nascosto. Di nuovo.

“Buonasera, Saga. Lei è un assassino?”

Oh, questa filava un po’ meglio.

“Deve semplicemente sapere che questa città è lo sfacelo della civiltà umana. Vi catalogate come se amaste i pregiudizi e le persone – leggasi: Kanon e Camus – impazziscono.”

Notevole.

Notevole, il fatto che Yaoi City di notte avesse un cielo limpido e terso. Quante costellazioni, lassù. E chissà se Shaka era nato sotto una stella nefasta, o semplicemente inadatta agli uomini, con una componente divina troppo pronunciata.

Non mancava molto per arrivare a casa di Aiolos. Tagliando per i cortili, come la notte della folle corsa, aveva risparmiato molto tempo. Si trovava adesso, se la memoria non lo ingannava, nel retro della villa antistante quella del “cognato”.

Oltrepassò il vialetto del garage e si accostò alle mura della casa, mentre scrutava all’interno di questa tramite una finestra. C’era una lampada accesa in quello che sembrava un salottino, ma forse era solo una dimenticanza dei padroni di casa. All’interno non c’era nessuno.

Shaka si decise, quindi, a proseguire silenziosamente la sua strada. Non appena voltò l’angolo, ecco infatti apparire la casa di Aiolos, e il sostegno d’edera su cui s’era arrampicato. Dolci ricordi!

C’era solo da attraversare la strada… e sarebbe arrivato a 452 N Kurumada Road.

Ebbe all’improvviso l’istinto di correre, ma non appena tentò lo slancio, si sentì strattonato all’indietro e finì, incredulo, contro al muro.

Era la fine?

Oh no, Shaka non si sarebbe fatto prendere così alla sprovvista. Allungò subito il braccio in avanti, con violenza, per attaccare, ma subito una voce atterrita lo fece ricredere.

«No!» cadenza nota. «Sta’ fermo!»

Shaka non ebbe dubbi. Era l’uomo col cerottino sul naso.

«Sono Shura Xavier.» fece quello, abbassandogli il braccio. «Questa è casa mia.»

Con una smorfia infastidita, Shaka si liberò della presa e gettò un’occhiata tagliente all’altro. Quell’incontro non ci voleva proprio.

«Non m’interessa casa tua.» tagliò corto Shaka. «Sparisci.»

«Hanno preso Camus mentre parlava con me.» mormorò Shura, indicando con un cenno del capo la casa del sindaco. «Se sei diretto lì, cambia idea il prima possibile e lascia questa città.»

«Cosa sai di Camus?»

«Va’ via da qui!»

Stringendo i denti, Shaka afferrò per il colletto Shura e non impiegò molto per ribaltare i ruoli, spingendolo al muro con evidente insofferenza.

«Non m’interessa se parli o meno. Stanotte sarò io a fare chiarezza su questa incresciosa situazione.» sibilò Shaka, determinato come non mai. «Non sono come voi.»

«Non è questione di…»

Ma Shaka già era scattato verso la strada, là dove la luce dei lampioni lo illuminava senza offrirgli alcuna protezione. Si girò solo un istante per controllare Shura: lo vide là dove lo aveva lasciato, quasi totalmente immerso nell’ombra; non sembrava volesse seguirlo, e l’unico pensiero che fece impensierire Shaka fu la possibilità che chiamasse Aiolia.

Tsk, lo facesse pure: Aiolia sarebbe arrivato a verità svelata.

Corse velocemente sino all’ingresso della villa del sindaco. Si ritrovò davanti alla porta, c’erano pochi passi a separarlo da… una verità, forse? Da una scoperta sconvolgente? Quanti passi ancora doveva percorrere Shaka per ritornare a vivere una vita tranquilla?

Sobbalzò, quando la porta si schiuse da sé. Evidentemente qualcuno lo aspettava… tsk. Si fece sfuggire un ghigno beffardo, quindi spinse la porta in avanti ed entrò senza esitazioni.

Un fortissimo raggio di luce lo costrinse a socchiudere gli occhi, stupito. Non ebbe neanche il tempo di entrare del tutto, che una voce lo accolse ostentando falso disinteresse.

«Shaka, sei qui?» la sorgente della luce oscillò qualche attimo. «Ti dispiacerebbe chiudere la porta?»

Stringendo i denti, Shaka portò la mano agli occhi ed entrò, richiudendo con violenza la porta dietro di sé. Aveva riconosciuto il premuroso ospite… non c’era voce più subdola e misteriosa di quella di Saga Valiant.

«Togli quella luce.» sibilò Shaka, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. «Devo parlare con te e Aiolos.»

«Aiolos dorme.» rispose con nonchalance Saga. «Ma… prima di parlare, non vorresti dare un’occhiata a questo filmato con me?»

Shaka fece qualche passo in avanti, spostandosi dal raggio di luce. Mentre i suoi occhi si abituavano al cambio di luminosità, iniziò ad accorgersi di cosa stesse facendo Saga. Distinse una poltroncina, il proprietario sedutovi; scorse anche un proiettore appoggiato su un tavolino di mogano, quindi, voltandosi, comprese che la luce che lo abbagliava non era altro che un video.

«Ho pensato che fosse più scenografico… accoglierti così, intendo. Si vedrà un po’ male, ma le tende sono scure, perciò goditi la visione.»

… a Yaoi City, la città dei seme e degli uke.

Shaka sgranò gli occhi. Colorate e luminose foto della città scorrevano in quel video, come attimi rubati di quei profondi segreti.

Dove nulla è lasciato al caso… dove tutti sono qualcuno.

La voce di Saga accompagnava persino quel video. Tutto era stato preparato così nei dettagli che a Shaka non sembrava vero.

Qui gli uke vengono aiutati tramite dispositivi elettronici a migliorare se stessi. Potete controllare nel nostro catalogo le tipologie offerte: non ve ne pentirete! Ma cosa intendiamo per uke? Questo è il termine che diamo all’individuo passivo di una coppia. Si distingue per essere solitamente più basso del compagno, più effeminato e delicato, timido o sensibile sul piano caratteriale. Ovviamente, come abbiamo già accennato, vi sono varie tipologie e questi elementi possono differire notevolmente…

Cosa…?

Noi ci limiteremo a soddisfare i vostri desideri! Volete un uke ribelle? Un uke stuprabile? Ditecelo, e noi vi accontenteremo! Impianteremo un microchip nel cervello del vostro uke che verrà collegato a dei polsini, serviranno per controllare le funzioni vitali. Tuttavia, verrete lasciati per qualche minuto soli con il vostro partner in anestesia totale: sarete voi a decidere quando attivare il microchip, senza alcun condizionamento esterno.

Shaka per poco non scoppiò a ridere.

Bene, ora si spiegava tutto.

Possiamo operare anche in casi disperati… è nostro obiettivo anche perfezionare la creazione di androidi intelligenti. Abbiamo salvato diversi ragazzi paralizzati da incidenti tramite inserimento di componenti totalmente meccaniche.

L’immagine che questa volta apparve nel video mostrava Aphrodite, quello che si era definito “uke lascivo”. Era su un letto d’ospedale, totalmente ingessato, sì… paralizzato. E le foto che seguirono lo ritrassero con vari tutori prima, interi esoscheletri dopo, e infine…

«Un endoscheletro artificiale…» mormorò Shaka, osservando l’ultima foto. Non aveva mai visto un intervento chirurgico così invasivo.

«Non sono un criminale.» si giustificò Saga. «Ho salvato questo ragazzo, no?»

No?

No.

Qualunque problema voi abbiate, noi lo risolveremo. Yaoi City offre anche un appoggio sincero ai seme, ossia i compagni degli uke. Tramite riunioni periodiche essi verranno seguiti e indottrinati verso la cultura yaoi in modo tale da comportarsi al meglio col proprio partner.

Shaka alzò le spalle.

«Sembra quasi più facile di quanto immaginassi.» mormorò, scuotendo la testa. Non sapeva nemmeno cosa dire… «Beh, cosa vuoi fare adesso, Saga?»

Shaka non aveva paura. Si volse nuovamente verso il segretario del sindaco, che aveva poggiato il mento su una mano e lo fissava con i suoi occhi indagatori. I suoi pensieri apparivano indecifrabili, le sue reali intenzioni avevano ancora una strana patina che nascondeva qualcosa.

E mentre il video continuava a ciarlare, elencando e spiegando ogni tipologia di uke, il campanello risuonò più volte nell’atrio, e una voce serena esclamò: «Arrivo.»

«Aiolos!» si volse Shaka, all’improvviso. Per un attimo quasi sperò di incastrare Saga nel suo stesso gioco, ma si bloccò al vedere Aiolos sorridere e dirigersi verso la porta, come se nulla fosse successo.

Bastò che gli occhi di quello incontrassero quelli di Shaka per qualche secondo per mostrare la complicità tra il sindaco e Saga.

«Credo di sapere chi suoni a casa mia nel cuore della notte.» sorrise Aiolos, una bontà agghiacciante nel viso, mentre schiudeva la porta. «Oh: mio fratello.»

Shaka sussultò. Sì, era proprio Aiolia: era proprio Aiolia, quello che si catapultava all’interno della casa mentre il video lo abbagliava, mentre Aiolos chiudeva la porta a chiave, mentre Saga si alzava e incrociava le braccia, maliardo e insensibile.

«Scegli, Aiolia.»

La voce di Aiolos era rigidissima, la più rigida che Shaka avesse mai sentito.

E lo scrittore si bloccò a metà strada tra Aiolos e Shaka.

«Me o lui.»

Questo era davvero buffo… certo che Shaka quasi non ci credeva. Come non credé più a nulla, quando Aiolia lo guardò con le lacrime agli occhi e Saga scoppiò a ridere, mormorando: «Sei minuti e sarà tutto finito. Vedrai.»

 

Poteva sentire l’aroma del tè salire sino alle narici e disperdersi nell’aria, come il profumo spruzzato da un mercante in un bazar orientale. Poteva ascoltare il rumore delle dita che ticchettavano sulla tastiera, regolari come il cammino di una lancetta di un antico orologio a pendolo. Poteva vedere il Sole brillare più che mai fuori dalla finestra, oltre l’amaca, in una giornata che prometteva le migliori cose possibili ed immaginabili.

«Sto uscendo per recarmi in banca.» lo raggiunse dall’altra stanza una voce pacata, senza disturbarlo. «Sarò di ritorno tra un’ora. Controlla la bacheca, ci sono dei messaggi per te.»

Come se volesse stuzzicarlo, Lord Rhadamanthys replicò: «Niente amaca, oggi?»

«For God’s sake, thou shall not joke anymore.» fu la risposta compunta. «I’m flabbergasted!»

Poi la porta sbatté, sorda.

E il critico si ritrovò con entrambe le mani a mezz’aria, lontane dalla tastiera del computer, ricordando vecchi rimproveri di nonni e lontani parenti attempati. Lì in Inghilterra avrebbero conferito a Kanon un riconoscimento per il suo forbito linguaggio, senza dubbio.

Osservò con un certo timore il compagno allontanarsi per il vialetto di casa, aggirando con accortezza l’amaca. Vestiva ancora una volta giacca e cravatta, e i capelli erano freschi di shampoo. Davvero elegante, forse troppo elegante anche per Lord Rhadamanthys.

Tornò a fissare lo schermo del computer.

… un linguaggio armonioso e ricco di grazia facilita la lettura di un testo così…

Un linguaggio armonioso e ricco di grazia.

Grazia.

Ma perché diamine Kanon poteva essere solo estremamente rozzo o estremamente elegante?!

Afferrò la tazza di tè accanto al computer e ne bevette velocemente un sorso, con occhi sgranati e fissi davanti a sé.

No, no, c’era qualcosa che non andava.

Perché non riusciva più ad accettare…

Liszt iniziò a suonare con mani delicati la terza parte del suo Sogno d’Amore. O quale leggiadria nell’aria, o quale morbida tenerezza al posto dell’irruenza delle Valchirie come campanello…!

Rhadamanthys scosse la testa. Era così sovrappensiero da non essersi accorto di aver passato un’ora tra le nuvole? Kanon era già di ritorno…

Si alzò con mestizia, quindi gettò un’occhiata fuori dalla finestra. Non vedeva chi vi fosse davanti la porta, e a dir la verità non aveva neanche visto quando questo qualcuno si fosse avvicinato. Ma dando per scontato che fosse Kanon, forse tornato per aver dimenticato qualcosa (sempre se fosse stato possibile, conoscendo la sua nuova indole), raggiunse lentamente l’ingresso e tirò la porta con rassegnazione.

Poi, si ritrovò davvero in un bazar orientale e fu cosparso di profumi inebrianti, mentre guardava un orologio impazzito ticchettare troppo velocemente sotto il Sole cocente di un estate cipriota. Che fosse… un segno del destino?

Sgranò gli occhi, rinvigorito.

Perché mai di fronte a lui non c’era Kanon Valiant, ma…

Un plico di fogli volteggiò nell’aria mentre la mano di Rhadamanthys veniva agguantata come acqua nel deserto.

«Che emozione… piacere di conoscerla!» sorrise raggiante il misterioso arrivato, stringendo con vigore la mano del Lord. «Ho fatto l’autostop per raggiungere questa città. Non volevo arrivare in ritardo il primo giorno di lavoro!»

Rhadamanthys non fiatò, flabbergasted. Ricambiò la stretta di mano spinto dalla forza dell’abitudine e squadrò l’altro dalla testa ai piedi, sempre in silenzio. Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta smanicata, scucita sulla spalla sinistra, mentre al collo aveva un foulard rosso. Ai piedi portava degli stivaletti di moda negli anni 80 – questo non importa, pensò il Lord – ma nel complesso l’abbigliamento non appariva trascurato come quello del “vecchio” Kanon.

Tuttavia, tra una massa di capelli castani spuntava sospetta una ciocca rosa. Perfetto… un nostalgico punk.

«Kanon ti ha chiamato per pulire casa?» fu tutto ciò che Rhadamanthys seppe dire.

L’arrivato rimase immobile, quasi offeso nel suo entusiasmo. Ma due occhi dorati pieni d’ammirazione continuarono a fissare quelli di Rhadamanthys.

«Ehm, no.» rispose, spaesato. «Mi chiamo Valentine Chocolate, del Chicago Tribune. Avevo fatto richiesta per il ruolo di segretario nel suo ufficio… ieri sono stato assunto.»

Segretario, ufficio, assunzione.

Evidentemente Kanon aveva risposto a qualche chiamata per lui e…

«Scusami un attimo.» mugugnò, torvo, il Lord, quindi si volse e raggiunse un tavolino poco distante, sopra al quale era appesa una bacheca. Non poteva essere vero… non doveva esserlo…

Appuntamento in banca, lunedì 10.30.

Appuntamento dal dentista, mercoledì ore 15.30.

Assunto segretario, hanno chiamato dallo studio per confermare.

«Hai detto di chiamarti Valentine?» fu tutto ciò che Rhadamanthys riuscì a dire, le mani poggiate sul tavolino, lo sgomento più profondo mai provato chiarissimo dall’espressione del viso.

Kanon… organizzava gli impegni della settimana. Su una bacheca.

«Sì, signor de Wyvern.» rispose l’altro, affacciandosi alla porta di casa, mentre raccoglieva i fogli che aveva gettato a terra per l’euforia. «Qualcosa la preoccupa?»

«Vedi, Valentine, la situazione è molto grave e non so neanche io come tutto ciò sia potuto succedere. Normalmente so con certezza cosa producono le mie scelte, ma questa volta pare che abbia giocato un po’ troppo col Fato.»

«Prego?» ripeté Valentine, sempre più sbigottito.

«Cosa?»

«Ha giocato col Fato?»

La goccia che fece traboccare il vaso.

«Valentine, ti conosco da qualche secondo ma ho bisogno che tu vada a casa di Shura Xavier.» il Lord scarabocchiò l’indirizzo su un pezzo di carta, quindi lo consegnò tra le mani del novello segretario. «Di’ che ti ho mandato io, capirà. Io devo cercare un’altra persona.»

«Certamente!» sorrise subito Valentine, osservando il critico indossare una giacca. «Posso lasciare qui la mia valigia? Non ho ancora trovato un albergo in cui soggiornare.»

Lord Rhadamanthys riacquisì, tutt’un tratto, la sua naturale espressione. Strinse le labbra, corrucciò il monociglio, gli occhi divennero due minacciose fessure. Doveva riprendersi il suo ego… a tutti i costi!

«Valentine!»

«Sì signore!» scattò il segretario, ritto sulla porta come un fedele luogotenente.

«Abbiamo alcune stanze libere, puoi stare qui quanto vuoi.» acconsentì Rhadamanthys, poi squadrò ancora Valentine. Era troppo… “particolare” per non dare nell’occhio, perlomeno secondo lui, e questo a Yaoi City non andava bene. «Metti questo.»

Gli passò una giacca dall’appendiabiti, quindi aggiunse: «Se qualcuno ti chiede se tu sia uke, rispondi così: “No, sono seme. Faresti meglio a non voltarti se sono nei paraggi.” E fa’ una risatina diabolica.»

 

I capelli biondi profumavano di cioccolato. I boccoli color albicocca che scendevano sulle spalle erano le estreme appendici di un’alta coda di cavallo, attraversata da un filo di perle bianche. Quel colore così lindo ben si abbinava ai denti dell’attraente possessore, il cui viso, aperto in un sorriso, pareva davvero appartenere a un’entità sovrannaturale.

Una mano si sollevò sino a uno scaffale. Le unghie, lunghe e tinte di rosa confetto, indugiarono su una confezione di detersivo, che alla fine fu riposta in un carrello con la massima grazia.

La musica delicata del supermercato aiutava quella scelta. Non metteva né fretta, né agitazione.

«Shaka, mi sono rotto.» si spazientì tuttavia un ragazzo dai capelli rossi al suo fianco, sbuffando. «Voglio tornare a casa.»

Il biondo socchiuse gli occhi, un leggero sorriso sulle labbra. «Camus, sei sempre così impaziente. Abbiamo quasi finito: cerca di comportarti in maniera educata.»

Diede un’altra spinta al carrello, riprendendo la marcia lungo la corsia. A tutti coloro che incrociava Shaka rivolgeva un raggiante sorriso, a volte un cenno di saluto con la mano sinistra. Era ormai abituato a tutti quegli occhi ammirati rivolti solo e unicamente a lui.

«Ah, smettila di montarti!» vociò Camus, mostrando i denti a un ragazzo poco distante. «Sei veramente stomachevole. Prima o poi mi scoperò Aiolia, stanne certo.»

Shaka lo ignorò. Mancava poco alla cassa, quindi prese qualche sacchetto di plastica e iniziò a riporre tutta la spesa sul rullo nero. Ah, che beatitudine. Tutto era così semplice e tranquillo. Il Nirvana probabilmente doveva essere qualcosa del genere.

Camus si appoggiò alla cassa, gettando un’occhiata torva al cassiere, poi tornò a fissare l’indiano con stizza. «Hai capito quello che ho detto? A volte penso che gli uke perfetti siano semplicemente scemi.»

«Basta aver fiducia nel proprio compagno.» replicò allora Shaka. Continuò a sorridere senza mai lasciare gli occhi del cassiere, il quale sembrava ipnotizzato. «Non credo che Aiolia cederebbe a te. E soprattutto non credo che tu possa tradire in tale modo la fiducia di Milo.»

«Ah! Milo!» Camus ridacchiò e si portò oltre la cassa, scuotendo la testa. «Quell’ameba che dorme da voi perché ha paura di me. Beh, se non si decide a porre fine a questa dannata astinenza, dovrò assolutamente trovare un altro.»

Shaka iniziò a posare gli oggetti acquistati nei sacchetti. Fece un sorriso più raggiante al commesso, poi azzardò un occhiolino e abbassò volutamente gli occhi. Seppe di averlo in pugno.

«Ehi.» sussurrò quello, arrossendo. «Vuoi qualche buono pasto?»

«Sarebbe meraviglioso.» bisbigliò Shaka, portando una mano al petto.

Subito gli vennero offerti diversi coupon e qualche blocchetto di buoni. Ah, questo era davvero incredibile. Avrebbe mangiato gratis per… per  un mese. Non pensava che fosse così facile prendersi gioco degli uomini.

«Allora… a presto.» ammiccò ancora, allontanandosi con la spesa.

«Ciao.» replicò il commesso, sorridendo.

Ma tutta quella scena, rifletté Shaka, non doveva esser sfuggita agli occhi di Camus, che ovviamente riprese a parlare non appena lasciato il supermercato.

«Questa sarebbe la fiducia!» scoppiò a ridere, appoggiandosi a un palo della luce. «Fammi il piacere, Shaka. Devo solo scegliere tra Aiolia e Shura, penso che sia il caso di dare un avvertimento a quel fallito di Milo.»

Shaka questa volta si arricciò in una smorfia. «Beh, per prima cosa potresti darti una regolata. Sembri tu il fallito.»

Camus subito sgranò gli occhi.

«Camus.» riprese Shaka, spostandosi una ciocca della frangetta rosa. «Quasi mi dispiaceva dirtelo, ma sai com’è. Pensi che a casa nostra Milo dorma soltanto?»

Le guance di Camus divennero paonazze, ma Shaka continuò l’affondo. «Devo dire che non è rimasto insensibile al mio fascino, anzi

La menzogna – non poteva essere altro – ebbe l’effetto sperato sul rosso. Ah, che soddisfazione vederlo così geloso e infuriato! Le guance continuavano ad arrossarsi come se animate da vita propria. Shaka seppe con certezza di avere una lingua perfida, quando Camus si staccò dal lampione e con sguardo truce avanzò verso di lui.

«Sei una maledetta puttana!» gridò, prima di aggredirlo.

Shaka bloccò subito i polsi dell’altro, cercando di offrire resistenza a quel gatto imbizzarrito. Le buste della spesa scivolarono a terra, un piede arretrò di qualche centimetro – in fondo Camus pesava qualche chilo più di lui, e la forza fisica ne risentiva abbastanza.

I passanti cercarono subito di separare i due, ma Camus sembrava veramente inferocito e oppose una strenua resistenza ai pacieri. «Cagne! Puttane!»

Shaka, al contrario, trovò subito un caldo rifugio nelle braccia di qualche seme di passaggio, ostentando paura. Sì, di essere stato aggredito da quel selvaggio, di non poter fare nulla per replicare! Le risate che dovette ricacciare in gola gli avevano fatto venire gli occhi lucidi, interpretati dai presenti come segno di un prossimo pianto.

Eppure non solo Shaka non pianse, ma continuò a passare da seme a seme facendo incollerire sempre più Camus, quello ridotto davvero in lacrime.

«Non toccare Milo, hai capito?!» gridò, liberandosi dalla presa. «Non toccarlo mai più!»

Shaka stava per balzargli di nuovo addosso, ma desistette quando vide che Camus era stato preso per le spalle da una ben nota conoscenza. Beh, ne sarebbe stato anche felice.

«Cosa diamine sta succedendo qui?!» urlò il nuovo arrivato, un cerottino sul naso a piegarsi ogni volta che apriva di più la bocca. «Shaka, Camus, mi meraviglio di voi!»

Shaka alzò le spalle, sistemandosi i boccoli. «Shura, qual buon vento…»

«Shura!» vociò subito Camus, gettandogli le braccia al collo. L’indiano trattenne una smorfia di disapprovazione, incentivata dalle successive parole del rosso: «Non puoi immaginare come mi tratti quell’uke perfetto. È la rovina di tutte le coppie di Yaoi City! Guardalo!»

Shaka strinse i denti in un sorriso forzato. Gettò quindi un’occhiata attorno a sé: se tanti seme si premuravano di dargli sostegno e aiuto, altrettanti uke lo osservavano da lontano biechi, indispettiti, forse ingelositi e qualcuno addirittura in lacrime.

Ancora una volta, ne fu soddisfatto e non lasciò l’abbraccio del seme di turno.

Shura lo guardò, prima di stringere imbarazzato e sorpreso Camus.

Già, Xavier, guardami bene. Pareva gridare col pensiero Shaka. Guarda bene questi polsini, guarda bene i miei occhi azzurri. Non lasciarti ingannare dalle perle o dalle unghie, guardami.

«Shaka, ho appena saputo dal segretario di Lord de Wyvern che il momento è giunto.» sibilò con serietà Shura. «Per ulteriori conferme, attendiamo questa sera.»

Shaka lasciò che un angolo delle labbra si curvasse verso l’alto. Era fatta.

«Che cosa?!» urlò ancora Camus, aggrappandosi alla giacca di Shura. «Ah, è così? Vuole portarsi a letto pure Lord de Wyvern? Complimenti!»

L’indiano alzò le spalle, quasi con un cenno di ovvietà.

«Complimenti, puttana!» rincarò la dose Camus, prima che Shura lo stringesse in un altro abbraccio e lo portasse via da quel capannello di gente.

 

 

Questo è il penultimo capitolo! Il prossimo sarà più lungo e conterrà anche l’epilogo.

Mi scuso per il ritardo, ovviamente, e anche per lo stile “variegato” di questo capitolo… l’ho scritto in 3 periodi diversi… intervallati da mesi, credo. Dio, non avevo proprio idea di cosa fosse il pov asd

Beh, a presto!

  
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