L’uke
perfetto
SEI
… minuti e
sarà
tutto finito.
Era notte.
Dalla finestra
semichiusa
entravano i bagliori dei lampioni di Yaoi City, ma la tenda scura di
seta
fungeva da ulteriore ostacolo alla luce. Un unico raggio giungeva,
vergine, ad
illuminare un braccio nudo cosparso di capelli biondi.
La luce lo faceva
apparire
più bianco di quanto già non fosse. Come una dea
lunare, come un abitante della
notte, Shaka osservava quei pochi riflessi, catturato dal loro fascino
spettrale e quasi irreale. Né il trovarsi così
vicino ad Aiolia, né sapere che,
per restare incolumi, bisognava lasciare la città, potevano
placare la sua
insonnia, e consegnarlo tra le braccia di Morfeo.
Alzò di
poco il capo dal
cuscino. Fu sufficiente per scorgere il profilo di Aiolia, nel buio, e
contemplarlo
qualche secondo, sospeso tra i pensieri pesanti. Sì, era
vero, avrebbe potuto
lasciare la città anche subito, svegliando Aiolia e fuggendo
con la complicità
della Luna. Ma che senso avrebbe avuto abbandonare Camus in quelle
condizioni?
E Aiolos certamente li avrebbe cercati.
Passò
l’indice sulle labbra
di Aiolia. Com’erano calde, vive. E come s’erano
dovute sentite miserabili,
ogni volta che avevano lasciato uscire una parola sbagliata, una frase
di
troppo, un’offesa umiliante. Forse, doveva ancora arrivare il
momento peggiore
per loro. Se davvero il sindaco avesse nascosto un segreto terribile,
come
avrebbe reagito Aiolia?
Shaka chiuse
bruscamente il
pugno, allontanandolo dal viso dell’altro. Non poteva certo
permettere che il
rapporto tra i due fratelli s’incrinasse così, per
colpa di…
Di Saga?
Poteva davvero essere
tutta
colpa sua? E perché, poi? C’era da tener conto che
lo stesso Kanon, fratello di
Saga, era cambiato da un giorno all’altro…
Cercando di mantenere
il
silenzio, si issò e appoggiò i piedi sul
pavimento, osservando la tenda
muoversi al vento notturno. In fondo aveva poco da perdere…
no, non doveva
mentire a se stesso. L’uomo che dormiva alle sue spalle non
era “poco”.
Si alzò,
ma non volle
guardarlo. Si infilò, invece, un paio di jeans velocemente e
una maglietta,
facendo ben attenzione a non svegliare il compagno. Così
com’era entrato in
casa di Aiolos una sera passata, sarebbe riuscito a farlo anche quella
notte,
anche a condizione di uscirne totalmente cambiato.
Scese silenziosamente
per
le scale, raggiungendo la porta di casa in pochi attimi. Diede
un’occhiata a
Milo che dormiva sul proprio divano: per evitare scene simili a quella
delle
cesoie era fondamentale che si mantenesse – almeno per il
momento – lontano dal
suo fidanzato.
Osservò
anche le case intorno,
una volta fuori: la casa di Mu aveva le luci totalmente spente, quella
di Camus
invece aveva una stanza illuminata debolmente, forse da una piccola
lampada.
Quanto avrebbe voluto che Camus leggesse un libro serenamente,
com’era solito
fare!
Si immise nel
vialetto.
“Buonasera,
Aiolos. Sei un
assassino?”
Beh, no, certamente
questa
non filava. Mentre avanzava nel buio verso casa del sindaco, Shaka
rifletteva
su qualche frase adatta al contesto… anche se era sicuro che
sarebbe entrato in
quella casa di nascosto. Di nuovo.
“Buonasera,
Saga. Lei è un
assassino?”
Oh, questa filava un
po’
meglio.
“Deve
semplicemente sapere
che questa città è lo sfacelo della
civiltà umana. Vi catalogate come se amaste
i pregiudizi e le persone – leggasi: Kanon e Camus
– impazziscono.”
Notevole.
Notevole, il fatto
che Yaoi
City di notte avesse un cielo limpido e terso. Quante costellazioni,
lassù. E
chissà se Shaka era nato sotto una stella nefasta, o
semplicemente inadatta agli
uomini, con una componente divina troppo pronunciata.
Non mancava molto per
arrivare a casa di Aiolos. Tagliando per i cortili, come la notte della
folle
corsa, aveva risparmiato molto tempo. Si trovava adesso, se la memoria
non lo
ingannava, nel retro della villa antistante quella del
“cognato”.
Oltrepassò
il vialetto del
garage e si accostò alle mura della casa, mentre scrutava
all’interno di questa
tramite una finestra. C’era una lampada accesa in quello che
sembrava un
salottino, ma forse era solo una dimenticanza dei padroni di casa.
All’interno
non c’era nessuno.
Shaka si decise,
quindi, a
proseguire silenziosamente la sua strada. Non appena voltò
l’angolo, ecco
infatti apparire la casa di Aiolos, e il sostegno d’edera su
cui s’era
arrampicato. Dolci ricordi!
C’era solo
da attraversare
la strada… e sarebbe arrivato a 452 N
Kurumada Road.
Ebbe all’improvviso
l’istinto di
correre, ma non appena tentò lo slancio, si sentì
strattonato all’indietro e
finì, incredulo, contro al muro.
Era la fine?
Oh no, Shaka non si sarebbe fatto
prendere così alla sprovvista. Allungò subito il
braccio in avanti, con
violenza, per attaccare, ma subito una voce atterrita lo fece ricredere.
«No!» cadenza
nota. «Sta’ fermo!»
Shaka non ebbe dubbi. Era
l’uomo col
cerottino sul naso.
«Sono Shura
Xavier.» fece quello,
abbassandogli il braccio. «Questa è casa
mia.»
Con una smorfia infastidita, Shaka
si
liberò della presa e gettò un’occhiata
tagliente all’altro. Quell’incontro non
ci voleva proprio.
«Non
m’interessa casa tua.» tagliò
corto Shaka. «Sparisci.»
«Hanno preso Camus mentre
parlava con
me.» mormorò Shura, indicando con un cenno del
capo la casa del sindaco. «Se
sei diretto lì, cambia idea il prima possibile e lascia
questa città.»
«Cosa sai di
Camus?»
«Va’ via da
qui!»
Stringendo i denti, Shaka
afferrò per
il colletto Shura e non impiegò molto per ribaltare i ruoli,
spingendolo al
muro con evidente insofferenza.
«Non
m’interessa se parli o meno.
Stanotte sarò io a fare chiarezza su questa incresciosa
situazione.» sibilò
Shaka, determinato come non mai. «Non sono come
voi.»
«Non è
questione di…»
Ma Shaka già era
scattato verso la
strada, là dove la luce dei lampioni lo illuminava senza
offrirgli alcuna
protezione. Si girò solo un istante per controllare Shura:
lo vide là dove lo
aveva lasciato, quasi totalmente immerso nell’ombra; non
sembrava volesse
seguirlo, e l’unico pensiero che fece impensierire Shaka fu
la possibilità che
chiamasse Aiolia.
Tsk, lo facesse pure: Aiolia
sarebbe
arrivato a verità svelata.
Corse velocemente
sino all’ingresso della
villa del sindaco. Si ritrovò davanti alla porta,
c’erano pochi passi a
separarlo da… una verità, forse? Da una scoperta
sconvolgente? Quanti passi
ancora doveva percorrere Shaka per ritornare a vivere una vita
tranquilla?
Sobbalzò,
quando la porta si schiuse da
sé. Evidentemente qualcuno lo aspettava… tsk. Si
fece sfuggire un ghigno
beffardo, quindi spinse la porta in avanti ed entrò senza
esitazioni.
Un fortissimo raggio
di luce lo costrinse
a socchiudere gli occhi, stupito. Non ebbe neanche il tempo di entrare
del
tutto, che una voce lo accolse ostentando falso disinteresse.
«Shaka, sei
qui?» la sorgente della luce
oscillò qualche attimo. «Ti dispiacerebbe chiudere
la porta?»
Stringendo i denti,
Shaka portò la mano
agli occhi ed entrò, richiudendo con violenza la porta
dietro di sé. Aveva
riconosciuto il premuroso ospite… non c’era voce
più subdola e misteriosa di
quella di Saga Valiant.
«Togli
quella luce.» sibilò Shaka,
cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. «Devo
parlare con te e
Aiolos.»
«Aiolos
dorme.» rispose con nonchalance
Saga. «Ma… prima di parlare, non vorresti dare
un’occhiata a questo filmato con
me?»
Shaka fece qualche
passo in avanti,
spostandosi dal raggio di luce. Mentre i suoi occhi si abituavano al
cambio di
luminosità, iniziò ad accorgersi di cosa stesse
facendo Saga. Distinse una
poltroncina, il proprietario sedutovi; scorse anche un proiettore
appoggiato su
un tavolino di mogano, quindi, voltandosi, comprese che la luce che lo
abbagliava non era altro che un video.
«Ho pensato
che fosse più scenografico…
accoglierti così, intendo. Si vedrà un
po’ male, ma le tende sono scure, perciò
goditi la visione.»
…
a Yaoi City, la città dei
seme e degli uke.
Shaka
sgranò gli occhi. Colorate e
luminose foto della città scorrevano in quel video, come
attimi rubati di quei
profondi segreti.
Dove
nulla è lasciato al
caso… dove tutti sono qualcuno.
La voce di Saga
accompagnava persino quel
video. Tutto era stato preparato così nei dettagli che a
Shaka non sembrava
vero.
Qui
gli uke vengono aiutati
tramite dispositivi elettronici a migliorare se stessi. Potete
controllare nel
nostro catalogo le tipologie offerte: non ve ne pentirete! Ma cosa
intendiamo per
uke? Questo è il termine che diamo all’individuo
passivo di una coppia. Si
distingue per essere solitamente più basso del compagno,
più effeminato e
delicato, timido o sensibile sul piano caratteriale. Ovviamente, come
abbiamo
già accennato, vi sono varie tipologie e questi elementi
possono differire
notevolmente…
Cosa…?
Noi
ci limiteremo a
soddisfare i vostri desideri! Volete un uke ribelle? Un uke stuprabile?
Ditecelo, e noi vi accontenteremo! Impianteremo un microchip nel
cervello del
vostro uke che verrà collegato a dei polsini, serviranno per
controllare le
funzioni vitali. Tuttavia, verrete lasciati per qualche minuto soli con
il
vostro partner in anestesia totale: sarete voi a decidere quando
attivare il
microchip, senza alcun condizionamento esterno.
Shaka per poco non
scoppiò a ridere.
Bene, ora si spiegava
tutto.
Possiamo
operare anche in
casi disperati… è nostro obiettivo anche
perfezionare la creazione di androidi
intelligenti. Abbiamo salvato diversi ragazzi paralizzati da incidenti
tramite
inserimento di componenti totalmente meccaniche.
L’immagine
che questa volta apparve nel
video mostrava Aphrodite, quello che si era definito “uke
lascivo”. Era su un
letto d’ospedale, totalmente ingessato,
sì… paralizzato. E le foto che
seguirono lo ritrassero con vari tutori prima, interi esoscheletri
dopo, e
infine…
«Un
endoscheletro artificiale…» mormorò
Shaka, osservando l’ultima foto. Non aveva mai visto un
intervento chirurgico
così invasivo.
«Non sono
un criminale.» si giustificò
Saga. «Ho salvato questo ragazzo, no?»
No?
No.
Qualunque
problema voi
abbiate, noi lo risolveremo. Yaoi City offre anche un appoggio sincero
ai seme,
ossia i compagni degli uke. Tramite riunioni periodiche essi verranno
seguiti e
indottrinati verso la cultura yaoi in modo tale da comportarsi al
meglio col
proprio partner.
Shaka alzò
le spalle.
«Sembra
quasi più facile di quanto
immaginassi.» mormorò, scuotendo la testa. Non
sapeva nemmeno cosa dire… «Beh,
cosa vuoi fare adesso, Saga?»
Shaka non aveva
paura. Si volse nuovamente
verso il segretario del sindaco, che aveva poggiato il mento su una
mano e lo
fissava con i suoi occhi indagatori. I suoi pensieri apparivano
indecifrabili,
le sue reali intenzioni avevano ancora una strana patina che nascondeva
qualcosa.
E mentre il video
continuava a ciarlare,
elencando e spiegando ogni tipologia di uke, il campanello
risuonò più volte
nell’atrio, e una voce serena esclamò:
«Arrivo.»
«Aiolos!»
si volse Shaka, all’improvviso.
Per un attimo quasi sperò di incastrare Saga nel suo stesso
gioco, ma si bloccò
al vedere Aiolos sorridere e dirigersi verso la porta, come se nulla
fosse
successo.
Bastò che
gli occhi di quello
incontrassero quelli di Shaka per qualche secondo per mostrare la
complicità
tra il sindaco e Saga.
«Credo di
sapere chi suoni a casa mia nel
cuore della notte.» sorrise Aiolos, una bontà
agghiacciante nel viso, mentre
schiudeva la porta. «Oh: mio fratello.»
Shaka
sussultò. Sì, era proprio Aiolia:
era proprio Aiolia, quello che si catapultava all’interno
della casa mentre il
video lo abbagliava, mentre Aiolos chiudeva la porta a chiave, mentre
Saga si
alzava e incrociava le braccia, maliardo e insensibile.
«Scegli,
Aiolia.»
La voce di Aiolos era
rigidissima, la più
rigida che Shaka avesse mai sentito.
E lo scrittore si
bloccò a metà strada tra
Aiolos e Shaka.
«Me o
lui.»
Questo era davvero
buffo… certo che Shaka
quasi non ci credeva. Come non credé più a nulla,
quando Aiolia lo guardò con
le lacrime agli occhi e Saga scoppiò a ridere, mormorando:
«Sei minuti e sarà
tutto finito. Vedrai.»
Poteva sentire
l’aroma del tè salire sino
alle narici e disperdersi nell’aria, come il profumo
spruzzato da un mercante
in un bazar orientale. Poteva ascoltare il rumore delle dita che
ticchettavano
sulla tastiera, regolari come il cammino di una lancetta di un antico
orologio
a pendolo. Poteva vedere il Sole brillare più che mai fuori
dalla finestra,
oltre l’amaca, in una giornata che prometteva le migliori
cose possibili ed
immaginabili.
«Sto
uscendo per recarmi in banca.» lo
raggiunse dall’altra stanza una voce pacata, senza
disturbarlo. «Sarò di
ritorno tra un’ora. Controlla la bacheca, ci sono dei
messaggi per te.»
Come se volesse
stuzzicarlo, Lord
Rhadamanthys replicò: «Niente amaca,
oggi?»
«For
God’s sake, thou shall
not joke
anymore.»
fu
la risposta compunta. «I’m
flabbergasted!»
Poi la porta sbatté,
sorda.
E il critico si ritrovò
con entrambe le mani a
mezz’aria, lontane dalla tastiera del computer, ricordando
vecchi rimproveri di
nonni e lontani parenti attempati. Lì in Inghilterra
avrebbero conferito a
Kanon un riconoscimento per il suo forbito linguaggio, senza dubbio.
Osservò con un certo
timore il compagno allontanarsi
per il vialetto di casa, aggirando con accortezza l’amaca.
Vestiva ancora una
volta giacca e cravatta, e i capelli erano freschi di shampoo. Davvero
elegante, forse troppo elegante
anche
per Lord Rhadamanthys.
Tornò a fissare lo
schermo del computer.
…
un linguaggio armonioso e ricco di
grazia facilita la lettura di un testo così…
Un linguaggio
armonioso e ricco di grazia.
Grazia.
Ma perché
diamine Kanon poteva essere solo
estremamente rozzo o estremamente elegante?!
Afferrò la
tazza di tè accanto al computer
e ne bevette velocemente un sorso, con occhi sgranati e fissi davanti a
sé.
No, no,
c’era qualcosa che non andava.
Perché non
riusciva più ad accettare…
Liszt
iniziò a suonare con mani delicati
la terza parte del suo Sogno d’Amore. O quale leggiadria
nell’aria, o quale
morbida tenerezza al posto dell’irruenza delle Valchirie come
campanello…!
Rhadamanthys scosse
la testa. Era così
sovrappensiero da non essersi accorto di aver passato un’ora
tra le nuvole?
Kanon era già di ritorno…
Si alzò
con mestizia, quindi gettò
un’occhiata fuori dalla finestra. Non vedeva chi vi fosse
davanti la porta, e a
dir la verità non aveva neanche visto quando questo qualcuno
si fosse
avvicinato. Ma dando per scontato che fosse Kanon, forse tornato per
aver
dimenticato qualcosa (sempre se fosse stato possibile, conoscendo la
sua nuova
indole), raggiunse lentamente l’ingresso e tirò la
porta con rassegnazione.
Poi, si
ritrovò davvero in un
bazar orientale e fu cosparso di profumi inebrianti,
mentre guardava un orologio impazzito ticchettare troppo velocemente
sotto il
Sole cocente di un estate cipriota. Che fosse… un segno del
destino?
Sgranò gli
occhi, rinvigorito.
Perché mai
di fronte a lui non c’era Kanon
Valiant, ma…
Un plico di fogli
volteggiò nell’aria
mentre la mano di Rhadamanthys veniva agguantata come acqua nel deserto.
«Che
emozione… piacere di conoscerla!» sorrise
raggiante il misterioso arrivato, stringendo con vigore la mano del
Lord. «Ho fatto
l’autostop per raggiungere questa città. Non
volevo arrivare in ritardo il
primo giorno di lavoro!»
Rhadamanthys non
fiatò, flabbergasted. Ricambiò
la stretta di mano spinto dalla
forza dell’abitudine e squadrò l’altro
dalla testa ai piedi, sempre in
silenzio. Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta
smanicata,
scucita sulla spalla sinistra, mentre al collo aveva un foulard rosso.
Ai piedi
portava degli stivaletti di moda negli anni 80 – questo non
importa, pensò il
Lord – ma nel complesso l’abbigliamento non
appariva trascurato come quello del
“vecchio” Kanon.
Tuttavia, tra una
massa di capelli castani
spuntava sospetta una ciocca rosa. Perfetto… un nostalgico
punk.
«Kanon ti
ha chiamato per pulire casa?» fu
tutto ciò che Rhadamanthys seppe dire.
L’arrivato
rimase immobile, quasi offeso
nel suo entusiasmo. Ma due occhi dorati pieni d’ammirazione
continuarono a
fissare quelli di Rhadamanthys.
«Ehm,
no.» rispose, spaesato. «Mi chiamo
Valentine Chocolate, del Chicago Tribune. Avevo fatto richiesta per il
ruolo di
segretario nel suo ufficio… ieri sono stato
assunto.»
Segretario, ufficio,
assunzione.
Evidentemente Kanon
aveva risposto a
qualche chiamata per lui e…
«Scusami un
attimo.» mugugnò, torvo, il
Lord, quindi si volse e raggiunse un tavolino poco distante, sopra al
quale era
appesa una bacheca. Non poteva essere vero… non doveva esserlo…
Appuntamento
in banca,
lunedì 10.30.
Appuntamento
dal dentista,
mercoledì ore 15.30.
Assunto
segretario, hanno
chiamato dallo studio per confermare.
«Hai detto
di chiamarti Valentine?» fu
tutto ciò che Rhadamanthys riuscì a dire, le mani
poggiate sul tavolino, lo
sgomento più profondo mai provato chiarissimo
dall’espressione del viso.
Kanon…
organizzava gli impegni della
settimana. Su una bacheca.
«Sì,
signor de Wyvern.» rispose l’altro,
affacciandosi alla porta di casa, mentre raccoglieva i fogli che aveva
gettato
a terra per l’euforia. «Qualcosa la
preoccupa?»
«Vedi,
Valentine, la situazione è molto grave
e non so neanche io come tutto ciò sia potuto succedere.
Normalmente so con
certezza cosa producono le mie scelte, ma questa volta pare che abbia
giocato
un po’ troppo col Fato.»
«Prego?»
ripeté Valentine, sempre più
sbigottito.
«Cosa?»
«Ha giocato
col Fato?»
La goccia che fece
traboccare il vaso.
«Valentine,
ti conosco da qualche secondo
ma ho bisogno che tu vada a casa di Shura Xavier.» il Lord
scarabocchiò
l’indirizzo su un pezzo di carta, quindi lo
consegnò tra le mani del novello
segretario. «Di’ che ti ho mandato io,
capirà. Io devo cercare un’altra
persona.»
«Certamente!»
sorrise subito Valentine,
osservando il critico indossare una giacca. «Posso lasciare
qui la mia valigia?
Non ho ancora trovato un albergo in cui soggiornare.»
Lord Rhadamanthys
riacquisì, tutt’un
tratto, la sua naturale espressione. Strinse le labbra,
corrucciò il
monociglio, gli occhi divennero due minacciose fessure. Doveva
riprendersi il
suo ego… a tutti i costi!
«Valentine!»
«Sì
signore!» scattò il segretario, ritto
sulla porta come un fedele luogotenente.
«Abbiamo
alcune stanze libere, puoi stare
qui quanto vuoi.» acconsentì Rhadamanthys, poi
squadrò ancora Valentine. Era
troppo… “particolare” per non dare
nell’occhio, perlomeno secondo lui, e questo
a Yaoi City non andava bene. «Metti questo.»
Gli passò
una giacca dall’appendiabiti,
quindi aggiunse: «Se qualcuno ti chiede se tu sia uke,
rispondi così: “No, sono
seme. Faresti meglio a non voltarti se sono nei paraggi.” E
fa’ una risatina
diabolica.»
I capelli biondi
profumavano di cioccolato.
I boccoli color albicocca che scendevano sulle spalle erano le estreme
appendici di un’alta coda di cavallo, attraversata da un filo
di perle bianche.
Quel colore così lindo ben si abbinava ai denti
dell’attraente possessore, il
cui viso, aperto in un sorriso, pareva davvero appartenere a
un’entità
sovrannaturale.
Una mano si
sollevò sino a uno scaffale.
Le unghie, lunghe e tinte di rosa confetto, indugiarono su una
confezione di
detersivo, che alla fine fu riposta in un carrello con la massima
grazia.
La musica delicata
del supermercato
aiutava quella scelta. Non metteva né fretta, né
agitazione.
«Shaka, mi
sono rotto.» si spazientì tuttavia
un ragazzo dai capelli rossi al suo fianco, sbuffando.
«Voglio tornare a casa.»
Il biondo socchiuse
gli occhi, un leggero
sorriso sulle labbra. «Camus, sei sempre così
impaziente. Abbiamo quasi finito:
cerca di comportarti in maniera educata.»
Diede
un’altra spinta al carrello,
riprendendo la marcia lungo la corsia. A tutti coloro che incrociava
Shaka rivolgeva
un raggiante sorriso, a volte un cenno di saluto con la mano sinistra.
Era
ormai abituato a tutti quegli occhi ammirati rivolti solo e unicamente
a lui.
«Ah,
smettila di montarti!» vociò Camus,
mostrando i denti a un ragazzo poco distante. «Sei veramente
stomachevole.
Prima o poi mi scoperò Aiolia, stanne certo.»
Shaka lo
ignorò. Mancava poco alla cassa,
quindi prese qualche sacchetto di plastica e iniziò a
riporre tutta la spesa
sul rullo nero. Ah, che beatitudine. Tutto era così semplice
e tranquillo. Il
Nirvana probabilmente doveva essere qualcosa del genere.
Camus si
appoggiò alla cassa, gettando
un’occhiata torva al cassiere, poi tornò a fissare
l’indiano con stizza. «Hai
capito quello che ho detto? A volte penso che gli uke perfetti siano
semplicemente
scemi.»
«Basta aver
fiducia nel proprio compagno.»
replicò allora Shaka. Continuò a sorridere senza
mai lasciare gli occhi del
cassiere, il quale sembrava ipnotizzato. «Non credo che
Aiolia cederebbe a te.
E soprattutto non credo che tu possa tradire in tale modo la fiducia di
Milo.»
«Ah!
Milo!» Camus ridacchiò e si portò
oltre la cassa, scuotendo la testa. «Quell’ameba
che dorme da voi perché ha
paura di me. Beh, se non si decide a porre fine a questa dannata
astinenza,
dovrò assolutamente trovare un altro.»
Shaka
iniziò a posare gli oggetti
acquistati nei sacchetti. Fece un sorriso più raggiante al
commesso, poi
azzardò un occhiolino e abbassò volutamente gli
occhi. Seppe di averlo in
pugno.
«Ehi.»
sussurrò quello, arrossendo. «Vuoi
qualche buono pasto?»
«Sarebbe
meraviglioso.» bisbigliò Shaka,
portando una mano al petto.
Subito gli vennero
offerti diversi coupon
e qualche blocchetto di buoni. Ah, questo era davvero incredibile.
Avrebbe
mangiato gratis per… per un
mese. Non
pensava che fosse così facile prendersi gioco degli uomini.
«Allora…
a presto.» ammiccò ancora, allontanandosi
con la spesa.
«Ciao.»
replicò il commesso, sorridendo.
Ma tutta quella
scena, rifletté Shaka, non
doveva esser sfuggita agli occhi di Camus, che ovviamente riprese a
parlare non
appena lasciato il supermercato.
«Questa
sarebbe la fiducia!» scoppiò a
ridere, appoggiandosi a un palo della luce. «Fammi il
piacere, Shaka. Devo solo
scegliere tra Aiolia e Shura, penso che sia il caso di dare un
avvertimento a
quel fallito di Milo.»
Shaka questa volta si
arricciò in una
smorfia. «Beh, per prima cosa potresti darti una regolata.
Sembri tu il
fallito.»
Camus subito
sgranò gli occhi.
«Camus.»
riprese Shaka, spostandosi una
ciocca della frangetta rosa. «Quasi mi dispiaceva dirtelo, ma
sai com’è. Pensi
che a casa nostra Milo dorma soltanto?»
Le guance di Camus
divennero paonazze, ma
Shaka continuò l’affondo. «Devo dire che
non è rimasto insensibile al mio
fascino, anzi.»
La menzogna
– non poteva essere altro –
ebbe l’effetto sperato sul rosso. Ah, che soddisfazione
vederlo così geloso e
infuriato! Le guance continuavano ad arrossarsi come se animate da vita
propria. Shaka seppe con certezza di avere una lingua perfida, quando
Camus si
staccò dal lampione e con sguardo truce avanzò
verso di lui.
«Sei una
maledetta puttana!» gridò, prima
di aggredirlo.
Shaka
bloccò subito i polsi dell’altro,
cercando di offrire resistenza a quel gatto imbizzarrito. Le buste
della spesa
scivolarono a terra, un piede arretrò di qualche centimetro
– in fondo Camus
pesava qualche chilo più di lui, e la forza fisica ne
risentiva abbastanza.
I passanti cercarono
subito di separare i
due, ma Camus sembrava veramente inferocito e oppose una strenua
resistenza ai
pacieri. «Cagne! Puttane!»
Shaka, al contrario,
trovò subito un caldo
rifugio nelle braccia di qualche seme di passaggio, ostentando paura.
Sì, di
essere stato aggredito da quel selvaggio, di non poter fare nulla per
replicare! Le risate che dovette ricacciare in gola gli avevano fatto
venire
gli occhi lucidi, interpretati dai presenti come segno di un prossimo
pianto.
Eppure non solo Shaka
non pianse, ma
continuò a passare da seme a seme facendo incollerire sempre
più Camus, quello
ridotto davvero in lacrime.
«Non
toccare Milo, hai capito?!» gridò,
liberandosi dalla presa. «Non toccarlo mai
più!»
Shaka stava per
balzargli di nuovo
addosso, ma desistette quando vide che Camus era stato preso per le
spalle da
una ben nota conoscenza. Beh, ne sarebbe stato anche felice.
«Cosa
diamine sta succedendo qui?!» urlò
il nuovo arrivato, un cerottino sul naso a piegarsi ogni volta che
apriva di
più la bocca. «Shaka, Camus, mi meraviglio di
voi!»
Shaka alzò
le spalle, sistemandosi i
boccoli. «Shura, qual buon vento…»
«Shura!»
vociò subito Camus, gettandogli
le braccia al collo. L’indiano trattenne una smorfia di
disapprovazione,
incentivata dalle successive parole del rosso: «Non puoi
immaginare come mi
tratti quell’uke perfetto. È la rovina di tutte le
coppie di Yaoi City!
Guardalo!»
Shaka strinse i denti
in un sorriso forzato.
Gettò quindi un’occhiata attorno a sé:
se tanti seme si premuravano di dargli
sostegno e aiuto, altrettanti uke lo osservavano da lontano biechi,
indispettiti, forse ingelositi e qualcuno addirittura in lacrime.
Ancora una volta, ne
fu soddisfatto e non
lasciò l’abbraccio del seme di turno.
Shura lo
guardò, prima di stringere imbarazzato
e sorpreso Camus.
Già,
Xavier, guardami bene. Pareva gridare col
pensiero Shaka. Guarda bene questi polsini,
guarda bene i
miei occhi azzurri. Non lasciarti ingannare dalle perle o dalle unghie,
guardami.
«Shaka, ho
appena saputo dal segretario di
Lord de Wyvern che il momento è giunto.»
sibilò con serietà Shura. «Per
ulteriori conferme, attendiamo questa sera.»
Shaka
lasciò che un angolo delle labbra si
curvasse verso l’alto. Era fatta.
«Che
cosa?!» urlò ancora Camus,
aggrappandosi alla giacca di Shura. «Ah, è
così? Vuole portarsi a letto pure
Lord de Wyvern? Complimenti!»
L’indiano
alzò le spalle, quasi con un
cenno di ovvietà.
«Complimenti,
puttana!» rincarò la dose
Camus, prima che Shura lo stringesse in un altro abbraccio e lo
portasse via da
quel capannello di gente.
Questo
è il penultimo capitolo! Il prossimo sarà
più lungo e conterrà
anche l’epilogo.
Mi scuso
per il ritardo, ovviamente, e anche per lo stile
“variegato” di
questo capitolo… l’ho scritto in 3 periodi
diversi… intervallati da mesi,
credo. Dio, non avevo proprio idea di cosa fosse il pov asd
Beh, a
presto!