In mille pezzi
«Fa freddo, vero?»
«Mi prendi in giro? Sei tutto nudo disteso per terra!»
Harry rimane a braccia e gambe spalancate e tenta di intravedere il soffitto attraverso
la nube spessa di fumo. Sta zitto, con la bocca che non sa se ridere o starsene
ferma, poi muove al rallentatore il braccio sinistro e si porta alle labbra la
sigaretta magica, quella che lo fa stare bene e male allo stesso tempo. Se la
passa dalla mano sinistra alla destra e la allunga a Louis, steso accanto a lui
nella stessa posizione, i capelli sudati e appiccicati sulla fronte, lo sguardo
perso in chissà quale dimensione.
«Guarda che anche tu sei nudo,» gli dice Harry quando quello riesce a sollevare
il braccio pesante e a prendere la sigaretta per poi avvicinarla alla bocca
secca e tirare con tutte le forze, quelle che gli rimangono. Con la mano libera
si tasta tutto il corpo a partire dalle clavicole per poi finire in mezzo alle
gambe, pur non avendo del tutto la sensazione del tocco.
«E perché? Stavamo per fare sesso?» chiede, e sta già ridacchiando quando Harry
fa un rumore col naso, segno della risata improvvisa.
«Mi sa che abbiamo già finito. Mi brucia il culo,» dice prendendo a ridere con
lo stesso monotono tono, finché la sua risata non diventa qualcosa di simile al
verso di un animale agonizzante. Pure Louis sta morendo dalle risate, e non sa
esattamente per quale motivo, ma continua a farlo quasi il rumore della propria
voce unita a quella di Harry possa sgomberare del tutto la sua mente dai
pensieri pesanti. Vuole sentirsi leggero, leggero come una piuma, volare,
vedere tutto dall’alto: stare in basso coi mortali fa davvero schifo.
«E’ finita,» dice Louis d’un tratto, il tono piagnucoloso dopo la risata.
«Che cosa?»
«La canna».
«Tieni allora,» e Harry fa fatica a mollargli in grembo una bottiglia di
Sambuca, che forse non è neanche Sambuca vera è propria. Quel che è certo è che
è quasi finita, e Louis disapprova con un mugugno quando si attacca alla
bottiglia e manda giù con una smorfia le ultime due dita di alcol.
«Questa roba è una merda,» si lamenta asciugandosi con il polso il rivolo
marroncino che gli scende giù per il mento.
«Tu sei una merda,» ribatte Harry
che, la schiena dolorante, il fondoschiena che brucia e la testa che sembra
galleggiare, si mette a sedere.
«Perché?» chiede Louis quasi automaticamente, e molla accanto a lui la
bottiglia vuota, che rotola svelta verso Harry. Quest’ultimo allunga la mano e
prende la bottiglia dal collo, poi,
«…Perché?» ripete,
la gola che raschia, il tono rabbioso, e nello stesso momento alza la bottiglia
quasi fosse un macigno e lascia che la gravità faccia il resto: l’oggetto si
spacca in mille pezzi con un rumore
assordante, e nella mano bianca e sudata di Harry resta il collo marroncino
pieno di spuntoni ancora bagnati di liquore. Louis sobbalza a quel rumore così
forte e così vicino al suo orecchio, e nessuno potrà più dirgli che non è vero
che il suono si propaga più velocemente attraverso i solidi. Le spaventose
vibrazioni, infatti, hanno raggiunto lui per primo, che se ne stava ancora con
l’orecchio a contatto col pavimento, e lo hanno fatto agitare, e al momento
sembra che abbia un attacco epilettico. Lo sembra davvero quando lancia uno
sguardo appannato ad Harry che brandisce la bottiglia rotta quasi fosse un’arma
in un combattimento medievale; si gira improvvisamente di lato e dà le spalle
al compagno, le mani intrecciate dietro il capo, le braccia che vanno a tappare
le orecchie, i gomiti che si sfiorano; e intanto le gambe si sono rannicchiate
con uno scatto, e tutto il suo corpo, privo di ogni velo, s’è messo a tremare
come una foglia. Lamenti simili al pianto di un cane abbandonano la sua gola, e
continua in questo modo finché non inizia a pregare Harry.
«Non litighiamo, ti prego! Basta, non voglio più litigare, per favore, basta!»
e i piedi gli si sovrappongono tremando convulsamente, almeno finché Harry non
abbandona il collo della bottiglia che aveva intenzione di utilizzare come arma
e lascia che rotoli lontano, contro gli altri cocci superstiti.
«L’ho buttata via, guarda, l’ho buttata via,» dice frettoloso, e gli si piega
addosso scrollandolo dalle spalle e sussurrandogli nell’orecchio. «E’ finita,
davvero, va tutto bene,» gli assicura, e intanto appoggia il mento sulla sua
spalla scivolosa, i ricci e gli occhi ancora immersi nel fumo e nell’oblìo, nella vertigine e nella nebbia. Louis fa un
singhiozzo quasi stesse ingoiando il pianto, e ancora non si rilassa dalla sua
posizione fetale.
«Non fare il mostro,» lo supplica a voce quasi inesistente.
«Sei tu che mi fai diventare un mostro,» ribatte Harry contro la sua spalla
tesa, le unghie che voglio conficcarglisi nella carne
per fargli provare tutto il dolore che sta sentendo lui.
«Io non ho fatto nulla!» urla adesso Louis a occhi serrati.
«Tu non mi ami!»
Louis porta le braccia lungo i fianchi, poi rotola sulla schiena, e anche lui
riesce a mettersi a sedere, con gli occhi che bruciano quando provano ad aprirsi,
e le dita che non riescono a chiudersi in un pugno.
«Io ti amo!» grida di risposta.
«Non me lo dimostri!»
Louis sembra aver perso la parola adesso, il pugno all’altezza del petto, Harry
nudo davanti a sé che respira velocemente quasi avesse fatto una lunga e
stancante corsa. Gli occhi di Harry sembrano chiudersi, alla stregua di chi non
si regge in piedi dal sonno, mentre quelli di Louis s’allargano, sembrano
davvero più grandi e lucidi.
«Non me lo dimostri. Non me lo dimostri mai,» dice ancora il più piccolo senza
guardare l’altro, e si porta su un occhio il palmo della mano, iniziando a
piangerci dentro. «Come faccio? Ad andare avanti senza di te?» chiede dopo aver
tirato più volte su col naso e aver bagnato di lacrime persino il dorso della mano.
«Io sono qui,» prova a dire Louis, voce fioca, vista fioca, movimenti
rallentati, cuore fermo.
«Sei qui ma non ci sei,» ribatte l’altro, quasi fosse la cosa più naturale e
allo stesso tempo sofferta del mondo. «Non
capisci,» sospira e quasi affoga nella sua stessa saliva. «Non ci sei. Dove
sei?»
«Sono qui,» mormora Louis allo stremo delle forze, le lacrime che spingono per
venire allo scoperto.
«Dove sei?»
«Sono qui!»
«Dove sei, maledizione!» E adesso è Louis che va addosso a Harry, che lo
scrolla dalle spalle quasi a farlo rinsavire, quando lui è messo anche peggio.
Gli infila una mano tra i capelli ricci e appiccicosi, lo guarda negli occhi
verdognoli gonfi di lacrime, poi lo spinge verso di sé dalla nuca. Lo tiene lì
fermo nell’incavo del suo collo sudato, mentre Harry gli si aggrappa con le
unghie alla schiena e gli affonda i denti nella pelle. «Ti rivoglio indietro.
Ti rivoglio, Lou,» mormora, soffocato dall’odore di
fumo, sesso, alcol e sudore. E sangue anche, perché mentre si muovevano per
raggiungersi hanno calpestato con le gambe e il fondoschiena e le mani i pezzi
di vetro sparsi per la stanza.
«Mi manchi,» dice Harry in un soffio quando Louis allontana leggermente il capo
per dargli un bacio dolciastro sulle labbra pallide. Il più grande non riesce a
rispondere: gli mancano le parole e gli manca la voce e gli manca la forza e
gli manca il respiro. Si sente a pezzi. In
mille pezzi.
«Ho sonno,» riesce a dire però, dopo aver aperto più volte la bocca per parlare
ma essersela trovata occupata dai baci scoordinati e confusi di Harry. Quest’ultimo
annuisce respirando forte dal naso, poi scosta qualche coccio dal pavimento e
pure quella bottiglia ancora mezza piena di Whisky che rischia di far cadere da
un momento all’altro. Poi si distendono entrambi sul pavimento, le braccia e le
gambe spalancate, lo sguardo che tenta di andare oltre la coltre di fumo che
copre il soffitto. Harry sente il fondoschiena bruciare a causa delle ferite
causate dal vetro rotto, ma ritiene che dopotutto il dolore sia sopportabile.
Si addormentano, dormono un po’, si risvegliano dopo un’ora.
«Fa freddo, vero?»
«Mi prendi in giro? Sei tutto nudo disteso per terra!»
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In questa shot ho voluto “illustrare” (termine sbagliatissimo, ma non ne trovo altri) la storia
altalenante di Harry e Louis. Come ridono, si arrabbiano, litigano, piangono,
si baciano, fanno pace, dimenticano, e poi ricominciano daccapo.
Ho cercato di farlo confusionario, spero di esserci riuscita almeno un po’ ^^’’
Grazie a chi legge, a chi si emoziona con me e a chi lascia una recensione. VI ABBRACCIO FORTISSIMO.
Mirokia