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Autore: Chara    25/10/2012    5 recensioni
«Il pubblico di St. Louis non aveva accettato la nostra interruzione, la gente stava distruggendo l’edificio facendo cose che neanche noi credevamo possibili. Era davvero avvilente, e imparammo a non scherzare con la folla fino a quel punto. Axl, perlomeno, avrebbe dovuto esserne più cosciente. Mai portare il pubblico a un tale livello di tensione nervosa.
[…]
Ci fermammo a Chicago per un po’ a smaltire i fatti di St. Louis. Fu un disastro per la gente e per la città e, come conseguenza, i Guns N’ Roses furono banditi per sempre dai palchi di St. Louis.»

(dall'autobiografia di Slash)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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III

 

 

 

«Joey – disse Slash con voce stupita, vedendola lì in piedi fuori dalla porta della sua stanza – Pensavo fossi andata a casa.»

«Sì, beh – la giovane prese a gesticolare, cercando di spiegarsi senza balbettare. Era incredibile il modo in cui l’ansia le attanagliava le viscere, fino a poco prima era tranquillissima e invece in quel momento si sentiva più scema che mai – Stavo aspettando il taxi con Izzy e Duff e poi hai scagliato quella bottiglia e…»

«Entra» la interruppe con un sospiro, sorridendole a mezza bocca. Era come se non aspettasse altro che quella frase, come se quel gesto fosse stato una malcelata richiesta di aiuto… o forse una richiesta non celata e basta.

Joey sospirò a sua volta per calmarsi, facendo poi come le aveva detto.

La stanza era piccola e molto in disordine, ma probabilmente quello era un fattore tipico del genere maschile. Altro che sesso forte, erano dei bambini quando si trattava di mettere le cose a posto. E in tutti i sensi, altrimenti i grandi Guns N’ Roses non sarebbero stati in quelle pietose condizioni. Però, a discolpa di Slash, in quell’occasione doveva anche aver messo a soqquadro tutto nel tentativo di calmare la furia cieca che lo invadeva da quando era successo quel fatto nell’arena.

«Ho passato l’esame?» le domandò divertito, vedendo il suo sguardo vagare per tutti gli angoli della camera, fotografando e giudicando tutto nei minimi particolari.

«No! – sbottò sovrappensiero, salvo poi portare una mano sulla bocca. Sentì le guance andare a fuoco per la mancanza di rispetto nei suoi confronti, e lo guardò con gli occhi sbarrati dallo sconvolgimento e dalla vergogna – Oddio scusami, ti prego! È che vivo in casa con mio padre e i miei due fratelli, e loro sono davvero disordinati. E ho il vizio di osservare tutto perché poi mi perdo nei mille modi in cui potrei riordinare e…»

«Joey, stai calma» Slash le arrivò di fronte, posandole le mani sulle spalle proprio come aveva fatto lei poco tempo prima, e le si mozzò il respiro in gola.

Che diavolo le prendeva?

Forse lo sapeva, ma non le stava bene. Si era precipitata come un treno alla sua porta perché lui era là che lanciava bottiglie contro la ringhiera del balcone, e anche perché Duff e Izzy le avevano lanciato una sequela di occhiatine maliziose. E lei aveva finito per crederci. Si aspettava qualcosa da un uomo che si sarebbe sposato nell’arco di pochi mesi. Il massimo della vita per una ventiduenne, vero?

Doveva smetterla di credere di poter lenire la sua rabbia solo perché… perché?

«Ti aspetti anche tu un crollo nervoso da parte mia?» sbuffò infine, cercando di chiudere fuori tutti quei pensieri sconnessi e terribilmente compromettenti che le stavano affollando la mente. Sposato, lui si sarebbe presto sposato. Sarebbe servito ripeterselo come un fottuto mantra? No.

«Ce l’ho avuto io, che ormai a queste cose sono abituato – si giustificò Slash, indicando con un cenno del capo il balcone su cui facevano ancora bella mostra i pezzi di vetro della bottiglia infranta – Perché non dovresti averlo tu?»

«Ti risponderò con le stesse parole con cui ho risposto a Izzy e Duff» gli disse e si schiarì la voce, portando le mani sui suoi polsi per allontanarsi dalla sua presa ferrea. Non aveva previsto, però, che le sue dita non rispondessero al cervello, perché si ritrovò, senza sapere come, con i palmi a contatto con quelli del suo chitarrista preferito. Dio, quelle mani.

«Sentiamo.»

«Forse il fatto di aver passato del tempo con voi mi farà ritardare lo shock di questo casino, forse fino a quando non mi troverò davanti mio fratello in manette non capirò fino a che punto è arrivata la rabbia della gente e… – si interruppe, deglutendo rumorosamente. Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sentì il cuore perdere un battito. Cosa cazzo stava per dirgli? E perché non riusciva a fermarsi? – …e forse le tue mani mi stanno facendo dimenticare il motivo per cui sono finita qui.»

«Joey, io… – Slash sospirò, posando la fronte contro la sua – Vado a farmi una doccia.»

La giovane inarcò un sopracciglio, sorridendo a metà. Quella non era decisamente la risposta che si aspettava, o forse se l’aspettava anche troppo. Cosa pretendeva? Magari che lui le dicesse che sì, anche lei gli stava facendo dimenticare tutto quel casino e che avrebbe voluto fare l’amore con lei? Neanche una bella scopata com’era nel suo stile, no. Proprio fare l’amore.

Era una fottuta ragazzina, ecco cos’era. Si era sempre considerata matura per la sua età, dopotutto era dovuta crescere da sola senza una madre e con il solo aiuto di una squadra di fratelli che proprio non le avevano insegnato nulla di femminile. Eppure in quel momento come non mai capiva che, da qualche parte, era ancora una bambina. Una bambina che voleva essere donna per quell’uomo che non avrebbe mai pensato di riuscire a vedere così da vicino e che ora si stava elegantemente trincerando dietro la porta del suo bagno perché lei aveva osato troppo e per giunta senza alcun diritto.

«Non andartene, ok?» le disse Slash, stupendola di nuovo. Aveva sciolto le dita dalla presa delle sue e le aveva avvolto le mani a coppa intorno al viso. Le sue labbra erano così vicine che, se si fosse sporta un po’, le avrebbe raggiunte senza nessun problema. Era quello che avrebbe voluto.

E invece si limitò ad annuire piano, come se avesse avuto paura che, con un movimento un po’ troppo brusco, lui potesse cambiare idea. Ma non disse più nulla, le indicò il letto su cui sedersi nell’attesa e si diresse con calma verso il bagno.

Effettivamente, forse una doccia gli avrebbe fatto bene ai nervi e anche all’anima. E poi indossava ancora i pantaloncini che aveva addosso anche durante il concerto. Una vampata di calore percorse il collo di Joey fino a esplodere senza pietà sulle sue guance all’idea che sotto non portasse la biancheria intima. Non ne aveva mai fatto mistero, e un sacco di gente si scandalizzava per quello. Ma, dopotutto, ognuno aveva le sue abitudini e tra le rockstar era pressoché di ordinaria amministrazione. Se la stoffa dei jeans non dava fastidio a loro, perché avrebbe dovuto indisporre la mente dei bigotti che li giudicavano così male?

Quando Slash tornò, venti minuti e tanti ovattati pugni al muro più tardi, la trovò distesa sul suo letto a pancia in giù che sfogliava distrattamente un numero di Rolling Stone che nemmeno sapeva di avere. La osservò per un attimo, approfittando del fatto che lei non lo stesse guardando. Era davvero bella e semplice, molto diversa dalla bellezza ricercata e artificiosa di Renee, che pure gli era sempre piaciuta. Lei sembrava non curarsi del suo aspetto, anzi. I suoi capelli erano lunghissimi e pieni di onde ed erano dello stesso color nocciola dei suoi occhi, in quel momento nascosti da un bosco di ciglia appena velate di mascara. Lui guardava le tette nelle donne, ma quella ragazza aveva fatto la differenza un’altra volta. Si sentiva irresistibilmente attratto dalle scaglie verdi nei suoi occhi castani. E avrebbe dato un pugno a tutti i deficienti che dicevano che gli occhi scuri erano anonimi e troppo comuni.

Merda.

Ora, però, non stava più osservando il suo viso. No, le stava guardando il culo perché era un porco immane e lei ci stava così bene sul suo letto, la curva che dalla schiena portava ai glutei era così rotondeggiante che avrebbe solamente voluto percorrerla con le labbra e stringerla tra le mani. Dio.

Si schiaffò una mano sul viso, producendo uno schiocco secco che attirò l’attenzione di Joey.

«Da quanto sei lì?» gli chiese incerta, gli occhi che vagavano ovunque per la stanza nel vano tentativo di non guardare il suo petto pieno di goccioline.

Si trovavano nella stessa situazione senza nemmeno saperlo, cercando di chiudere fuori un’attrazione che li stava sopraffacendo. Che cazzo c’era in quella stanza al posto dell’aria, così in grado di far mancare il respiro?

«Da adesso» mentì in risposta, avvicinandosi fino a sedersi al suo fianco. Forse avrebbe dovuto vestirsi, forse arrivare là con un asciugamano drappeggiato sui fianchi non era stata un’uscita felice, soprattutto perché vederla con le guance imporporate e il fiato corto lo accendeva come una miccia.

Allungò una mano fino a sfiorarle il collo, le provocò una scarica di brividi e se ne accorse. Sarebbe stato impossibile non farlo. Ma forse lei non aveva tentato di nasconderla, no, lei si limitava a fissarlo con le labbra dischiuse, ad osservare la sua espressione concentrata mentre seguiva con i polpastrelli dei segni che sicuramente sarebbero parsi di dubbio gusto sulla sua pelle ambrata.

«Axl ti ha lasciato i segni» disse piano, alzando lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi grandi e spalancati, come se così facendo potesse guardare più cose contemporaneamente... o forse solo lui, ma più a fondo. Era davvero troppo bella e lo era senza saperlo. Forse proprio quello era il motivo per cui lo era ancora di più.

Joey non rispose, si limitò ad emettere un sospiro tremulo, e subito dopo il suo petto si alzò di nuovo. La stoffa del top che indossava si tese sul suo seno, catturando l’attenzione di Slash. Non si era nemmeno accorto della scritta che campeggiava sul cotone bianco: Wanna be your Paradise City.

Forse fu quella la goccia che fece traboccare il vaso, eppure sentì ogni difesa lacerarsi, il controllo del suo corpo venire meno senza pietà.

«Sono un coglione» fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di lanciarsi sulle sue labbra morbide che lo chiamavano dal primo momento in cui i suoi occhi l’avevano focalizzata. Realizzò in quel momento che avrebbe voluto intrappolarla contro quella porta da cui era sbucata all’improvviso all’arena di St. Louis, trafelata e sconvolta, e farla sua anche lì.

Forse avrebbe dovuto trattenersi, fermarsi, magari lei era più sconvolta di quanto desse a vedere e lui avrebbe dovuto comportarsi in un modo un po’ più responsabile, magari anche tentare di essere più fedele a Renee e fingere almeno di ricordare che si sarebbe sposato a breve. Ma non ci riuscì, evidentemente, perché in un momento si ritrovò steso sopra di lei, sul letto. Le sue mani non smettevano un attimo di immergersi nei suoi capelli e di carezzargli febbrilmente la schiena e realizzò che no, non ne aveva per la testa di essere sconvolta.

Il suo sospiro eccitato fu come musica per le sue orecchie e si sentì preso da una frenesia incontrollabile. Le morse il labbro inferiore ma si pietrificò, sentendola gemere di dolore.

Si era completamente dimenticato della sua ferita. La guardò, per controllare il danno che aveva combinato, e la vide sfiorarsi la bocca con le dita. Ritrasse la mano e i polpastrelli erano bagnati di sangue, ma tutto quello che riuscì a fare fu alzare lo sguardo e sorridergli colpevole, come se fosse dipeso da lei.

Slash scosse il capo, chiudendo le labbra attorno al suo dito. Fece guizzare la lingua sulla sua pelle fino a sentire il sapore metallico del sangue, e fece lo stesso con il suo labbro inferiore. Lo succhiò piano, stando attento a non farle più male di quanto le avesse fatto fino a quel momento.

Joey lo guardava perplessa, ma non parlò nemmeno quella volta. Continuò a tenere la bocca socchiusa, quasi invitandolo a continuare, a non azzardarsi a smettere. E se poi lo guardava con quegli occhi…

«Fermami se ti faccio male» sospirò tremante, baciandola di nuovo.

Si era arreso, ecco. Lo aveva detto. Però si era dimenticato di informare quella ragazzina che non era possibile fermarlo, quando era così preso. E, come se non bastasse, ne era passato di tempo dall’ultima volta in cui qualcuna lo aveva preso così tanto.

Ad ogni modo, sembrava proprio che Joey non ne volesse sapere di starsene ferma. Non le importava di provare dolore, visto che continuava a provocarlo senza nemmeno rendersene conto. Continuava ad alzare il bacino allo stesso ritmo delle loro lingue che si intrecciavano, e quando le sue anche entravano in contatto con i fianchi di Slash, solamente coperti da un asciugamano, era come ricevere una scarica elettrica. Si sentiva come se la bestia che era in lui si stesse risvegliando sempre di più, e temeva che presto non ci sarebbe stato più modo per tornare indietro. L’aveva già pensato svariate volte, eppure in quel momento stava davvero raschiando il fondo del barile.

«Ti voglio» rantolò infine, il fiato corto per tutti quei baci profondi e prolungati.

Joey ammiccò, inarcando un angolo della bocca. Sembrava quasi che lo guardasse con aria di compatimento, come se le avesse detto un’ovvietà. Beh, probabilmente lo aveva fatto, visto che la sua erezione premeva contro il suo interno coscia da un bel pezzo.

«Allora prendimi.»

Non avrebbe dovuto dirlo, no. Non credeva che fosse possibile, ma sentì la ragionevolezza abbandonarlo del tutto, nonostante fosse convinto di averla già persa tempo prima. Una piccola parte di lui, che presto venne oscurata dal desiderio, realizzò che non sarebbe stato per niente carino con la piccola Joey. Ma, dopotutto, l’aveva voluto lei.

   
 
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