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Autore: Mikal    11/05/2007    1 recensioni
“…Jenny ha 16 anni e gli occhi blu con i suoi capelli come il grano va a piedi nudi verso una citta' cercando il viso di un ragazzo che non sogna piu'..." Chi la conosce? E' una canzone di Laura Pausini... una canzone dolce e vagamente triste, seppure parli di speranza. Ascoltandola, ho riflettuto.. ed è nato questo. E' rimasto chiuso in lavorazione per anni, finchè non ha cominciato a premere per uscire, non più embrione di una idea, ma personaggi con vita propria. Andiamo a curiosare dentro una vita che apparentemente non ha più futuro... al di là della tristezza, al di là delgi addii, al di là del dolore.... c'è sempre un angelo che veglia su di noi!
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jenny

Jenny

 

 

 

 


“…Jenny ha 16 anni e gli occhi blu
con i suoi capelli come il grano va
a piedi nudi verso una citta'
cercando il viso di un ragazzo che non sogna piu'

stringe in mano la fotografia
ma dove puo' trovarlo Jenny non lo sa
spinta da una cosmica energia
vede un corpo soffocato da quest'arida realta'

riconosce che e' lui
perche' non ride mai…”

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO PRIMO – Un incontro voluto dal destino

 

Era una fresca giornata primaverile, di quelle che ti fanno credere alla veridicità della frase che recita “Non può piovere per sempre”

Anche per quell’anno, l’inverno sembrava aver salutato la terra, con il suo carico di nevicate e venti gelidi, lasciando il posto alla brezza gentile e ai raggi di un sole che scaldava, oltre che illuminare.

In uno dei quartieri più popolati della città, e più degradati, la gente quel giorno si divideva essenzialmente in due categorie: coloro che sfrecciavano per le strade, camminando in fretta, o viaggiando sulle automobili di classe economica, in gran parte sgangherate, e quelli che ciondolavano da una parte all’altra delle strade in disordine, dai marciapiedi crepati  e dall’asfalto rovinato. Vivaci scritte sui muri inneggiavano alla lotta, alla violenza, alla legge del più forte.

Dal locale all’angolo, punto di ritrovo di buona parte della zona, risuonavano le note della radio, e un tiepido brusio dagli avventori che avevano scelto uno dei tavolini all’aperto.

Tutti, indistintamente, si voltarono a guardare la ragazza mentre passava.

Sottile come un giunco, e all’apparenza altrettanto flessibile, la giovane donna era uno di quelle che attirano l’attenzione e calamitano gli sguardi. Primo tra tutti, perché il suo abbigliamento strideva  clamorosamente con l’ambiente circostante, e probabilmente, sarebbe sembrata strana in qualsiasi ambiente, tranne forse in un convento, o in manicomio. Indossava una lunga veste candida, molto più adatta ad una torrida estate che alle temperature del periodo. Una specie di tunica smaniata, stretta sotto il seno e poi lasciata morbida lungo le snelle gambe da gazzella, a svolazzare leggera come uno di quei tessuti che si vedono solo nelle sfilate di moda, o che indossano le ballerine. Ed era a piedi nudi, incurante dell’asfalto, della possibilità di tagliarsi, o scottarsi con i mozziconi di sigarette, lì dove neppure nei giorni più caldi dell’anno si osava avventurarsi senza la protezione delle calzature.

Oltre all’abbigliamento, possedeva una lunghissima criniera di sottili capelli d’oro, mossi in un modo che neppure un parrucchiere delle star avrebbe saputo imitare. Sembravano preda di una  brezza gentile, e si incurvavano leggermente, soprattutto verso l’estremità, in morbide onde e lievi riccioli gentili.

Quello che però raccoglieva più attenzioni, ad un secondo sguardo, era il volto. Bianco, pallido ma non malaticcio, appariva luminoso e privo di difetti, con una pelle tesa su un’ossatura delicata e modellata come da un amorevole scultore.

Una fronte spaziosa, un nasino diritto e leggermente sollevato all’insù;  sopracciglia arcuate e delicate che facevano da contorno perfetto a due occhi dotati di lunghe ciglia e delle iridi di un colore identico al cielo primaverile di quel giorno. Occhi limpidi, sinceri, innocenti. E per finire, una bocca più adatta ai baci che al silenzio in cui lei si manteneva, dalle labbra morbide e rosate, piene. Labbra che si incurvavano all’insù in un eterno sorriso. Anche ora che, con ogni evidenza, stava cercando qualcuno, la giovane sorrideva appena, con un’aria serena da far invidia, lì dove la serenità non esisteva.

Stringeva qualcosa tra le dita sottili, un foglio, forse, e di tanto in tanto gli gettava un’occhiata, per poi scrutare  la strada davanti a sé, ogni anfratto, ogni angolo.

Allora le esili sopracciglia bionde si incurvavano appena verso il basso, in una intensa concentrazione, e la bocca si schiudeva un poco, perplessa.

Era un quartiere difficile, quello in cui la singolare ragazza era entrata, e la prima cosa che i suoi abitanti imparavano, era quella che a farsi i fatti propri si campa più a lungo e con meno dolori. Eppure, al suo passaggio, nessuno era riuscito a distogliere gli occhi da lei. Lo fecero ora, abbassando appena gli occhi, trovando improvvisamente molto interessante l’asfalto rovinato, o una delle innumerevoli scritte sul muro. Oppure ancora, quella cabina telefonica così assurdamente rovinata.

La giovane neppure se ne accorse, il viso voltato verso il marciapiede, a scrutare nelle facce dei disperati seduto là, cercando chissà cosa.

Ed erano davvero molti, i poveracci seduti sul marciapiede quella mattina. Il cuore di lei si strinse, provocandole un sordo dolore quasi fisico, nell’osservare tanta sofferenza.

Provò l’impulso di fermarsi, prima davanti all’uomo con la logora giacchetta e il cappellaccio di lana calato fino agli occhi, poi davanti alla donna dai capelli grigi e la bottiglia come unica compagna, ed anche vicino all’uomo dai capelli scuri aggrovigliati e il cane che uggiolò al suo passaggio. Si fermò solo il tempo di una carezza a quel pelo appiccicoso, e per un sorriso.

Occhi di ragazza incontrarono quelli di cane, in un muto scambio che l’animale sembrò comprendere. L’uomo al suo fianco mosse appena lo sguardo, valutandola come inutile. Non vedeva borsette, con lei, quindi niente soldi. Riportò subito lo sguardo davanti a sé, fisso al nulla.

La ragazza si alzò e continuò per la sua strada. Diede ancora un’occhiata al foglio che teneva nella mano destra, e sospirò appena svoltando in un vicolo buio.

Mosse appena un paio di passi all’interno, e subito udì un tonfo vagamente metallico, e un miagolio stridulo precedette un suono di movimento. Gatti randagi. Lei sorrise appena, poi tornò a concentrarsi. Socchiuse gli occhi, cercando di scrutare tra le ombre. Ancora un passo, poi un altro, dei piedi nudi che non facevano rumore. Solo allora le parve di riuscire a distinguere qualcosa. C’erano delle figure accovacciate, lì, tra… cos’erano? Scatole di cartone e fogli di giornale. Ecco cos’era quel rumore di carta appena sfogliata che le aveva riempito le orecchie solo qualche istante prima. Fogli che venivano spostati come una coperta di seta. Palpebre che si sollevavano rivelando iridi prive di vera luce, disperate, abbruttite. Volti sudici di esseri umani dimenticati.

La giovane rivolse loro un timido sorriso, appena accennato, e annuì piano. Come mossi da volontà altrui, i tre uomini si spostarono appena. Dietro di loro, appoggiato a casse di rifiuti, avvolto in un cartone, c’era un altro di quei disperati, gli occhi chiusi e un respiro flebile come un soffio di brezza  in un mare in bonaccia.

Il piede nudo della ragazza urtò una bottiglia di vetro, vuota, che cadde a terra e roteò un poco, prima di fermarsi contro un cartone, rimbalzando appena e terminando la sua breve corsa. Eppure quel rumore bastò per destare l’uomo.

Le palpebre si sollevarono, pesanti come piombo per il sonno dell’abbrutimento. Occhi color dell’ambra si fissarono nel cielo di quelli di lei, poi si spostarono, ignorandola. Ella si accovacciò accanto a lui, allungò una mano verso il suo viso.

Il foglio, improvvisamente non più importante, venne dimenticato. Sembrò quasi sparire, assorbito dal terreno. Una sporcizia in più nel mare dei rifiuti metropolitani.

Il contatto delle dita di lei con la pelle del giovane fu straordinario. Una scossa elettrica, un terremoto che avvertirono solo loro due. E nel contempo, una pace incredibile. Il giovane voltò appena il capo, gli occhi ambrati ora fissi in quei cieli di eterna primavera. Uno sguardo intenso come la nebbia nei suoi momenti peggiori.

Fu lui il primo a distaccarsene. Avrebbe scrollato anche le spalle, ma non ne aveva la forza. Né la voglia.

“Andiamo” disse lei. Possedeva una voce in perfetta armonia con il suo aspetto: pacata, dolce, limpida. Musicale.

Lui non si mosse.

“Andiamo” ripetè.  Gli prese una mano, si passò il braccio sudicio sulle spalle, tirò verso l’alto.

Ancora, nessuna reazione.  La giovane lasciò perdere, rilasciando il braccio di lui, e si voltò a guardare i compagni del  ragazzo, forse cercando aiuto, ma loro erano di nuovo sprofondati nell’apatia.

Un esile sospiro, e un lieve velo appena accennato calò sulle iridi celesti, poi si sollevò. Di nuovo, gli prese il volto con le mani, entrambe, stavolta. Dita fresche sfiorarono la pelle resa ruvida dall’incuria, uno sguardo dolce si mise in contatto con gli occhi stanchi e rassegnati di lui.

“Andiamo a casa”

Questa volta il giovane sollevò un poco il viso, incontrando di nuovo le pupille di lei, e annuì impercettibilmente. Si sollevò a fatica, aiutato da quella sconosciuta, sostenuto da quel corpo che pareva più fragile di una foglia in autunno, mentre ora somigliava all’acciaio, teso nello sforzo di sostenerlo.

Aveva le gambe rattrappite, il giovane, dalla lunga immobilità, e la testa ovattata da tutto ciò che aveva  arbitrariamente utilizzato per imbottirsi di rassegnazione. Era sporco da far paura, ma con tutto il suo candore, ella non sembrò accorgersene. Né le pareva importante l’eventualità di sporcarsi quell’abito bianco come la neve. Sorrise, invece, aiutandolo a camminare. I suoi piedi nudi proseguivano senza esitazione sull’asfalto. Lui teneva il capo basso, e potè osservarli, mentre faticava per posare un arto davanti all’altro per muoversi.

Ancora non sapeva perché aveva accettato quello stravagante aiuto, però lo aveva fatto. Si era mosso, ed era quanto di meglio avesse fatto in …quanto tempo? Quanti giorni? Non lo sapeva più. Aveva perso il conto, ormai.

Perso ogni speranza.

 

 

Ci volle un po’ per raggiungere la casa. Un quartiere malfamato, e una porta sgangherata non troppo distante da altre porte ugualmente rovinate. Pressoché inutili, dato che ognuno entrava e veniva, sia che fossero proprietari di appartamenti, sia ruvidi e solitari intrusi. Nessuno si curava di chiudere le serrature, perchè comunque non c’era nulla da rubare. 

Il giovane aveva una casa in affitto, lì, anche se non pagava il proprietario da almeno un paio di mesi. Prima o poi , lo sapeva, l’avrebbero sfrattato definitivamente. Poco male, in ogni caso passava già più tempo in strada che non nella sua stupida stanza. Non gli importava, davvero.

L’idea di avere un tetto sopra la testa era sopravvalutata,  a parer suo.

Eppure la ragazza continuava a sostenerlo, invitandolo a fare un passo dopo l’altro. Non aveva detto una parola, in quel tragitto, e lui neppure, ma in qualche modo lei lo aveva condotto esattamente sulla porta che conduceva al suo appartamento. Poteva essere una maniaca, una pazza?  Lui non le aveva certo detto dove abitava, eppure quella strana tizia in bianco l’aveva condotto proprio lì, come se lo sapesse da sempre, come se sei conoscessero. Ancora una volta, scrollò le spalle e distolse gli occhi.

Non gli importava. Non gli importava più di nulla.

La stanza in affitto era poco più di un monolocale. Una ruvida stanzetta larga quanto uno sputo, una nicchia oltre una porta che qualcuno aveva battezzato pomposamente ‘camera da letto’ e  un piccolissimo bagno nel quale appena entrato dovevi spalmarti sul muro per poter chiudere la porta e utilizzare o il sanitario o il lavandino. Chiunque l’avesse progettato e costruito se n’era bellamente fregato del fatto che prima o poi qualcuno avrebbe dovuto usarlo.

L’intero appartamento era più piccolo di una stupida rimessa di una qualsiasi casa mediocre di un quartiere popolare normale, ma lui era solo. E , come doveva aver pensato almeno dieci volte in quella sola ora, non gli importava.  Non la puliva da un secolo, e in ogni modo sarebbe stato inutile: colonie intere di insetti avevano eletto il luogo a loro abitazione delle vacanze e si erano affrettati ad arredarla a modo loro. Anche se avesse pulito, sarebbero tornati. E poi, troppa fatica. Per chi?

 Si appoggiò alla parete, attendendo la reazione di lei, ora che era libera dal peso di doverlo portare fino a lì. La vide mentre richiudeva la porta coscienziosamente, spingendo un poco perché aderisse contro lo stipite, e voltarsi ad osservare tutto, con quegli occhi così maledettamente seri  e sereni.

Non commentò, mentre lui si sarebbe aspettato per lo meno una smorfia di disgusto. Non disse nulla neppure quando uno scarafaggio grande come un criceto sfrecciò sul pavimento alla ricerca di un buco. Lui non dovette cercare molto, mentre la giovane avanzò incurante di tutto.

“Vieni a letto.”  Disse solo.

Lui sogghignò con aria irriverente. “E’ questo che vuoi? “ le chiese. “Per questo sei venuta a cercarmi? Vuoi scopare?” 

La giovane gli sorrise, un sorriso appena accennato, uno stirarsi di labbra che però in qualche modo lo ferì. “Hai bisogno di dormire in un letto. E di lavarti”

“Oh. Li vuoi puliti, eh? Hai paura di beccarti qualche rogna? Tranquilla, piccola non ho la sifilide. E neppure l’aids. Non uso siringhe, io!” ribattè, per il puro scopo di impressionarla.

Cosa che non gli riuscì.  Lei entrò direttamente nel bagno, scoprendo che non disponeva neppure di una vasca. Solo una doccia mal riuscita. Scrollò le esili spalle, decidendo che prima poteva occuparsi del letto. Quindi si recò nella  camera.

Lui sogghignò ancora, per lo spettacolo che ella vi avrebbe trovato. Da quanto non rifaceva il letto, cambiando le lenzuola? Per lo meno un mese intero. E la stanza era ingombra di bottiglie, carte, piatti di plastica, preservativi usati. La signorina candore e purezza si sarebbe di certo scandalizzata.

Nulla. Neppure un battito di ciglio. Quando entrò, roso dalla curiosità, ella stava ritta in piedi, aspettandolo. Scosse la testa, il giovane, e si avvicinò, stendendosi sul letto come lei gli aveva chiesto, e come aveva appena la forza di fare. Fu la giovane ad accucciarsi nuovamente lì accanto, e prese a sfilargli le scarpe e i calzini.

“Ehi, bella, hai fretta? Lo vuoi subito?”

Per tutta risposta, ella gli rimboccò le coperte e uscì dalla camera.

Stralunato, lui si lasciò andare al sonno che lo aveva colto all’improvviso.

 

 

 

 

 

 



  
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