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Autore: sourwolf    28/10/2012    3 recensioni
“Sai quelle voci secondo cui io sarei Peter Pan?”, sussurrò, e sentì chiaramente lo sbuffo affermativo dell'altro che ridacchiava, facendogli incurvare un angolo delle labbra.
Larry Stylinson. Lettore avvisato, mezzo gayzzato.
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Commenti: yay, salvia (e rosmarino). Qui bullshit, anche detta kuu o nebu *ammicc*
È la prima Larry che pubblico, nonostante non sia la prima che scrivo - l'mmedesimarsi nei personaggi e via dicendo -, e sono un tantino nervosa *sorride titubante. Per saltare i mie sproloqui a pie' pari, prego passare ai tre asterischi.
È una Larry in cui è caduto un po' di zucchero - un bel po' di zuccherro, argh -, e il rating è Arancio non come un mandarino ma più come una sfumatura leggera della buccia di pesca. Dunque, l'ho inserito giusto per un paio di francesismi sparsi qua e là e un'intenzione di fare qualcosa, che poi, voglio dire, secondo me ormai tra i boyfriends i mezzi termini e le varie beghe caste non esistono più neanche per sbaglio. Immagino Harry come una persona cristallina, persino troppo sincera, anche con se stesso, anche nei suoi pensieri. Me lo immagino schietto ma innocente, come se l'innocenza fosse una patina leggera sempre presente su di lui, e- be', si è capito che ne sono perdutamente innamorata.
Quindi niente scene di sesso violento, anche se conto di riuscirci in tempo utile *ridacchia.
Per eventuali lamentele, rivolgersi alla cassa, grazie. *scompare*
MI rimetto al giudizio della corte, Vostro Onore.
Disclaimers: i personaggi non mi appartengono. Direi che si appartengono a vicenda, ecco, ma- sì, okay.

#word counter: 1,305


***


Harry non sapeva se fosse accaduto per semplice noia o per qualche arcano spostamento nell'ordine dell'universo, un qualche terremoto, una deflagrazione nucleare, qualsiasi cosa, ma era capitato: dopo aver fatto un pompino in un cubicolo nel bagno di XFactor ad un ragazzo, si era trovato catapultato con suddetto ragazzo in un mondo fatto di case discografiche, fan urlanti, autografi, testate scandalistiche con il suo nome impresso ovunque, photoshoots, concerti e, soprattutto, segreti.
Era difficile digerire tutto ciò in così poco tempo – o almeno, a lui poco sembrava –, e Hazza non era sicuro di esserci riuscito alla perfezione, ma ci provava.

Ci stava provando fino a dieci secondi prima, sdraiato a pancia in giù sul divano mentre giocherellava distratto con una lattina di coca cola, pensando intensamente a quanto gli sarebbe piaciuto avere un po' più di tempo libero per stazionare così, in tutta pace, sul divano del suo appartamento, senza preoccuparsi di tizi che ti si siedono sulla schiena e cose del genere.

...Tizi che ti si siedono sulla schiena, appunto.
Harry sbuffò con il naso, non tanto forte ma abbastanza da farsi sentire, avvertendo un caldo peso che gli schiacciava la cassa toracica, senza alcun riguardo ma dolcemente. “Cosa c'è, Lou?”, borbottò roco, senza smettere di rigirarsi la lattina fra le mani ma con il principio di un sorriso ad arricciargli vagamente le labbra.

Louis Tomlinson si piegò fino a raggiungere le sue orecchie con le labbra, stendendosi con nonchalance invidiabile sopra di lui, e trillò un “ciao Hazza” che gli tolse almeno dieci anni di vita, il che era tutto un dire. Harry sobbalzò vistosamente, la lattina gli cadde di mano, rotolando con un tonfo sul tappeto peloso, e Louis scoppiò a ridere. “Sapevo che sarebbe successo” asserì allegro lui, ancora miracolosamente seduto sulla sua schiena.

Harry storse la bocca. “Ah sì?”, ridacchiò, e con un colpo di reni si girò a pancia in su, rischiando di far sfracellare l'amico sopra il tavolino di vetro lì vicino. “Dicevi?” soggiunse poi, con la faccia deformata da un ghigno divertito.

“Brutto-” cominciò l'altro, ma venne preso per il colletto della maglia impoponibile che indossava e le sue proteste furono soffocate da un rapido bacio. Hazza si staccò, con un sorriso tutto fossette, e rise, con quella sua voce terribilmente profonda, guardandolo con gli occhi che brillavano divertiti e tirandoselo di nuovo addosso per poi sistemarsi nuovamente come prima.

Louis fece un grande sospiro, come se davvero l'aver quasi rischiato di rompersi il collo lo avesse abbattuto anche minimamente, e si abbandonò sulla schiena di Harry, seduto poco sopra il suo osso sacro, con una risatina chioccia. “A cosa stavi pensando, curly?”, fece, cominciando a giocherellare con uno dei suoi riccioli e avvolgendoselo sull'indice. “Sembravi tutto intento a compiangerti, con lo sguardo perso nel vuoto, il labbro tremolante, gli occhi lucid-” un pugno poco convinto – a favore anche la posizione scomoda da cui Hazza doveva combattere – gli sbattè sulla spalla, seguito da un rantolo.

“Stavo solo pensando che vorrei andarmene da qualche parte”, mormorò infine Harry, in un punto imprecisato del divano, con la voce ancor più bassa del normale, poiché ora soffocata dal cuscino in cui aveva affondato la faccia.

Louis aggrottò la fronte, meditò un attimo e poi stese le labbra sottili in un sorriso furbo. Prese una manciata di riccioli tra le dita e li strattonò forte; Harry emise un gridolino e per svincolarsi gli afferrò la mano. “Ahia, stronzo!” stridette, e si tirò su, agitando la testa e scalciando via l'amico fino a farlo ritrovare seduto a terra. Lou rise e liberò i riccioli, senza però lasciargli la mano. Intrecciò le dita alle sue, si fece avanti verso la sua testa e sussurrò serio: “Dove la porto, signorina?”.

Harry lo guardò, sbattendo le ciglia stolidamente per qualche istante, pensando che stesse scherzando. Con gli occhi allargati come piattini da tè, una pennellata di rosso gli colorò le guance mentre borbottava un poco convinto “su una stella” e aggiungeva un serissimo “idiota”.

Louis sorrise saputo e gli pizzicò una guancia con la mano libera. “Mi hai fatto male al sedere, cuppycake”, si lamentò, sistemandosi meglio sul tappeto. Si accorse di quello che aveva appena detto ma fece appositamente finta di niente. Hazza arricciò il naso, fintamente altezzoso, e disse “come se fosse la prima volta” con una risata profonda che gli scuoteva il petto.

“Boo, portami su una stella”, ripeté poi lentamente, abbandonando la testa sul cuscino. “Mi sono rotto il cazzo di stare qui”. E lui ridacchiò forte, perché avrebbe voluto dirgli che no, il suo cazzo gli serviva ancora, e invece disse “sì” e gli strinse le dita.

Si appoggiò con la schiena al divano e posò la testa sulla spalla di Harry, socchiudendo gli occhi. “Sai quelle voci secondo cui io sarei Peter Pan?”, sussurrò, e sentì chiaramente lo sbuffo affermativo dell'altro che ridacchiava, facendogli incurvare un angolo delle labbra. “Ti va di essere la mia Wendy?”

Harry sollevò la testa, per essere sicuro di aver sentito bene. Lo costrinse a girarsi ed a guardarlo negli occhi, e solo allora soffiò “volentieri”, insieme ad un bacio dolce, troppo dolce, molto più del solito. Essere sull'isola che non c'è o nel loro appartamento per loro non faceva differenza, del resto.
Hazza sembrò meditare per un attimo, poi mostrò i piccoli denti bianchi ridendo. “Potrei farmici un tatuaggio”, esclamò, ricevendo in risposta una smorfia quasi disgustata. “Macchiare quella deliziosa pelle che ti ritrovi non mi costringerà a lasciarla in pace, se è questo che vuoi”, sbottò infatti Louis, modendogli giocosamente il polso “Ci hai già provato abbondantemente e non ha funzionato” soggiunse poi, non contento.

“Ahu”, si lamentò il più piccolo, per finta, e Lou gli lappò la parte lesa per farlo stare zitto. Ma neanche il romanticismo, diciamocelo, faceva proprio per loro: Hazza piegò la testa e soffiò malizioso “Chissà cosa facevano Wendy e Peter nella loro casetta nell'albero” e Louis alzò le sopracciglia con un sorrisetto, ribattendo un “Non saprei” denso di sottintesi, che si perse tra le loro lingue intrecciate.

Hazza lo tirò su, sopra di sé, afferrandolo per la maglietta a righe – un pugno in un occhio all'umanità – senza smettere di baciarlo, con le labbra e con il cuore, ché ormai il suo cuore, svolazzandogli nello sterno, aveva dato forfait completa, seguendo l'ammutinamento dello stomaco; e le sue labbra un po' screpolate cercavano quelle di Louis, strofinandosi su quelle sottilissime, quasi inesistenti dell'altro, mentre le lingue cozzavano e si premevano l'una contro l'altra senza fretta – non c'era fretta, non ancora.

Lou si infilò tra le sue gambe, premendosi sul suo sterno, e gli attorcigliò una mano tra i capelli, con l'altra tirandoselo contro per far aderire meglio i loro corpi. “Haz”, sussurrò, con quella voce sottile sottile, dolcissima, ad un soffio dalla sua bocca rossa come il fuoco, “Non cresceremo mai, insieme”. E Harry mostrò di nuovo i piccoli denti bianchi, che fecero capolino d'improvviso, strappandogli prepotentemente il respiro, un filo di perle bianche dietro una cortina color ciliegia, arricciata in un sorriso troppo dolce per le parole che ne sarebbero fuoriuscite. Harry si strofinò contro di lui, passandogli tutte le lunghe dita sulla schiena, sollevandogli la maglietta con decisione, e fece cozzare il proprio accenno di erezione con il suo in un colpo di bacino.

Lo guardò, molto seriamente, con quelle ciglia troppo dannatamente lunghe per appartenere ad un ragazzo, e le sue labbra si piegarono ampiamente, soffiando uno scherzoso “fammi vedere le stelle, Peter” prima di premerglisi nuovamente contro ed inglobare, insieme con la sua lingua, uno sbuffo divertito ed un vago “certamente”.

Nessuno avrebbe mai osato dirgli che, perdio, Wendy avrà all'incirca undici anni, nella casetta nell'albero ci sono otto ragazzini innocenti e Peter Pan è un cartone animato della Disney. Non che a loro sarebbe interessato, comunque.
   
 
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