RATING:
Verde.
GENERE: Commedia, Romantico.
PAIRING: 2Min, JongKey.
AVVERTIMENTI:
AU,
Slash.
DISCLAIMER:
Nessuno
degli SHINee mi
appartiene (anche se vorrei adottarli in massa, ma vabbè);
fyccina scritta
assolutamente non a scopo di lucro.
Non
guadagno nulla dalla mia attività di fangirlamento
compulsivo.
NOTE: L’ispirazione mi ha
colta lunedì mattina in
autobus, mentre mi avviavo a lezione. Credo sia la OS più
lunga che abbia mai
scritto in (quasi) due anni di attività da autrice qui su
EFP.
Buona lettura (si spera)!
C’era
una volta, in un Paese lontanto lontano dove
il sole sorge prima che nel resto del mondo, un Re. Anzi due. I loro
nomi erano
Kim Jonghyun e Kim Kibum; erano sposati da molti anni e avevano un
figlio,
Taemin, che un giorno avrebbe ereditato il trono.
Taemin era
più bello e aggraziato di qualsiasi
fanciulla del regno ed aveva un cuore gentile. Sin da bambino era stato
educato
dai migliori precettori e, in quanto Delfino, gli era stato insegnato
ad andare
a cavallo e a battersi in duello, a conversare amabilmente e a danzare.
I suoi padri lo amavano teneramente, di quell’amore
incondizionato che ogni
genitore dovrebbe nutrire per il proprio figlio. Il giovane principe,
data l’indole
pacifica e generosa, era molto benvoluto dal popolo e dal personale di
palazzo.
Vi erano, insomma, tutte le premesse affinché divenisse un
sovrano giusto e
clemente, il cui nome sarebbe stato tramandato nei secoli a venire.
C’era
però un problema. Nonostante avesse ormai
compiuto diciotto primavere, raggiungendo così
l’età propizia al matrimonio,
Taemin non desiderava minimamente sposarsi. Jonghyun e Kibum avevano
organizzato fastosi balli di corte cui avevano partecipato principi e
principesse provenienti dalle terre più remote ed esotiche,
ma tutti i loro
sforzi non avevano dato frutti: il cuore bambino di loro figlio, per
quanto
traboccante di buoni sentimenti, non era pronto ad amare senza riserve
qualcun
altro, uomo o donna che fosse.
Taemin
trascorreva la maggior parte del suo tempo
libero in compagnia del Gran Ciambellano, nonché suo fido
confidente, Lee
Jinki. I due erano cresciuti insieme, condividendo giochi e lezioni.
Jinki era
l’ultimo figlio di una facoltosa famiglia intima dei reali e
all’età di nove
anni, dovendo scegliere tra l’intraprendere la vita
ecclesiastica e servire
l’erede al trono, aveva preferito giurare fedeltà
al bimbetto di quattro anni
più giovane di lui che lo scrutava con occhi incantevoli ma
penetranti.
“I
miei genitori sono in pensiero per me.
Vorrebbero che trovassi un compagno con cui vivere per sempre felice e
contento,
ma io non ne sento il bisogno. Sto bene da solo, sono troppo giovane
per
innamorarmi” ragionava il principe.
“Dici
così perché non hai conosciuto il vero amore.
Quando incontrerai la persona che, tra tutte, ti farà
battere forte il cuore e
tremare le vene dei polsi, non vorrai trascorrere più un
solo giorno senza di
lei” obiettava l’altro.
“Le
tue parole suonano intriganti e al tempo stesso
terribili alle mie orecchie, Jinki; tuttavia temo di non essere portato
per
amare con il trasporto che tu così abilmente descrivi. Forse
il mio cuore non è
sufficientemente forte”.
“Non
abbatterti, amico mio. Sei solo inesperto, se
mi perdoni l’ardire. Hai tutta la vita davanti, non devi
avere fretta”.
Accadde che, un
pomeriggio mite e soleggiato,
Taemin si recasse nei pressi di uno stagno nei giardini del palazzo
seguito da
un gruppetto di giovani nobili. Portava con sé una palla
d’oro zecchino,
mirabilmente intarsiata, regalatagli dai genitori per il suo ultimo
compleanno.
La compagnia giocò lietamente per un po’, fino a
quando un lancio maldestro del
principe fece sparire la palla nelle acque melmose dello stagno. Le
dame
diedero in esclamazioni di disappunto, e lo stesso Taemin
fissò sconsolato il
punto in cui il suo balocco era sprofondato.
“Altezza”,
si offrì uno degli uomini, “permettetemi
di recuperare la palla”.
“Apprezzo
la vostra premura, visconte, ma non
voglio che qualcun altro paghi per i miei errori. Me ne
occuperò io
personalmente”. Così detto si affacciò
sulla sponda dello stagno, pronto a
calare una mano in acqua.
Tuttavia non ce
ne fu bisogno, poiché si verificò
un fatto assai singolare. Un ranocchio, saltato sulla foglia di una
ninfea,
rivolse la parola al giovane. “Principe, fermati: la manica
della tua bella
veste si inzacchererà irrimediabilmente, sarebbe un
peccato” lo avvisò con voce
umana.
Taemin rimase
congelato sul posto, i suoi compagni
si scambiarono sguardi sgomenti. Che razza di stregoneria era mai
quella? E se
si fosse trattato di una trappola per attentare alla vita
dell’erede al trono? Il
giovane, comunque, parve riprendersi in fretta dalla sorpresa.
“La
sorte dei miei abiti non mi sta a cuore quanto
quella della mia palla, gentile ranocchio” rispose con calma
all’animale.
“Ti
riferisci forse a quella sfera dorata che è
caduta qui dentro poc’anzi, spaventando i pesci?”
“Esatto.
Mi dispiace di aver disturbato te ed i
tuoi amici, non era affatto mia intenzione. La palla mi è
scivolata di mano” si
scusò.
“E
adesso vorresti riaverla indietro, non è
così?”
“Ci
tengo molto”.
“Posso
chiederti perché?”
“E’
un regalo dei miei genitori”.
“E con
ciò?” incalzò il ranocchio, curioso.
“Sono
le uniche persone che io ami davvero. Quella
palla mi ricorda tutti i bei momenti passati insieme,
l’affetto che loro mi
portano”.
“Capisco,
giovane principe, e voglio aiutarti. Ho
un’idea”.
“Ti
ascolto”.
“Io
posso restituirti la palla. In cambio però
dovrai portarmi con te a palazzo, presentarmi ai tuoi genitori e
spiegare loro
il motivo della mia presenza”.
“Mi
sembra una richiesta alquanto bizzarra, ma
accettabile”.
A Taemin,
diversamente dalla maggior parte della
gente, non facevano ribrezzo gli anfibi. Il ranocchio, poi, di un verde
acceso
e con occhi enormi dall’aria intelligente, gli ispirava
simpatia.
“Affare
fatto, allora! Attendi qualche istante,
sarò di ritorno in un baleno” promise questi con
una certa baldanza e si tuffò.
Trascorsa una
manciata di secondi, riemerse
stringendo tra le zampe il prezioso carico e con un saltello
atterrò a riva,
sull’erba.
“Ecco
a te, giovane principe. Ho mantenuto la mia
parte dell’accordo: adesso è il tuo
turno”.
Il colloquio con
i sovrani fu vagamente surreale.
“Ti
siamo infinitamente grati, cortese ranocchio”
si chinò a parlargli Jonghyun. “Potremo mai
sdebitarci?”
L’animale,
che stava nel palmo della mano di
Taemin, parve riflettere sulla proposta.
“Un
modo ci sarebbe, Sire” disse.
“Chiedi
e ti sarà dato” lo esortò
l’altro Re,
Kibum.
“Dovete
sapere, Altezze Reali, che io non nacqui
con l’aspetto con cui mi vedete voi ora. Venni allevato come
un principe
affinché succedessi a mio padre alla guida del regno dopo la
sua morte. Quand’ero
ragazzo una bellissima e potente strega si innamorò di me,
ma io non potei
ricambiarla poiché il mio cuore era arido, gelido come
ghiaccio: non sapevo
cosa volesse dire amare”.
Taemin ebbe un
sussulto nell’udire quelle parole.
“La
strega si vendicò maledicendomi”
proseguì il
racconto. “Mi tramutò in un ranocchio, sgradevole
a vedersi, perché così non
potessi più ispirare amore o desiderio in alcun essere
umano. Aggiunse che solo
un bacio datomi dall’unica persona in grado di vedere al di
là delle mie
fattezze respingenti e di apprezzarmi per quel che sono avrebbe potuto
spezzare
l’incantesimo”.
“Che
storia triste” mormorò Kibum con simpatia.
“Un
momento! Se quanto affermi è vero, perché non
ci riveli il tuo nome?” intervenne Jonghyun.
“Potremmo mandare un messaggero nel
regno da cui provieni, rendere la tua famiglia edotta della tua
condizione”.
“Purtroppo
la maledizione mi impedisce di fornire
alcuna informazione riguardo alla mia vera identità,
Altezza”.
“Come
possiamo aiutarti, allora?”
“Vostro
figlio è stato il primo, dopo anni, a non
prendermi a sassate o a fuggire disgustato dalla mia vista, anzi; mi si
è
rivolto con garbo, si è fidato di un ranocchio parlante e ha
mantenuto la
promessa di portarmi via dallo stagno. Io… ho motivo di
credere che sia lui, il
mio salvatore. Il solo che possa restituirmi la mia forma
umana”.
“Cosa?”
sbottò Taemin. “Che scherzo di cattivo
gusto è mai questo?”
L’animaletto
si fece piccolo piccolo nella mano del
giovane, impaurito da quel violento scatto d’ira.
“Figliolo,
di grazia, modera i termini e ricomponiti”
lo redarguì Jonghyun. “Il tuo amico non ha esitato
ad aiutarti nel momento del
bisogno, non sta bene che ti rivolga a lui con siffatta
scortesia”.
“Credevo
di aver già ricambiato il favore”
sibilò.
“Se avessi saputo quali conseguenze avrebbe comportato la mia
onestà non avrei
mai dato retta ad un anfibio”
sottolineò con disprezzo.
“Taemin,
smettila. Non ti abbiamo insegnato a
comportarti in modo tanto indegno” aggiunse Kibum.
“Ti ordino di far dormire il
nostro ospite su un cuscino acanto al tuo letto e di nutrirlo
personalmente”.
“Padre,
non puoi essere serio!”
“Obbediscimi”.
Discorso chiuso.
Il figlio capì che la resa era
l’opzione più consigliabile.
“E
sia” chinò il capo in segno di rispetto.
Quando giunse
l’ora di prepararsi per la notte,
però, fu molto duro con il povero ranocchio.
“Mi
hai ingannato, creatura infida. Non illuderti:
non ti perdonerò così facilmente” e si
stese sul materasso, dandogli la
schiena.
“Mi
dispiace, principe. Ti prego di credermi”.
Non ottenne
risposta.
Nei giorni
seguenti Taemin si ostinò a non
rivolgere la parola all’intruso e incaricò il
fedele Jinki di nutrirlo al posto
suo.
“Non
giudicarlo male” il Gran Ciambellano prese le
difese dell’amico, porgendo all’animale una larva
di zanzara essiccata. “Dagli
il tempo di ritornare in sé. In realtà ha un
cuore d’oro, sai”.
“Non
ne dubito. Il solo fatto che abbia accettato
di insudiciarsi la mano toccando un essere immondo come me la dice lunga sulla sua
magnanimità” replicò tristemente
lui.
“Suvvia,
non esagerare! Non sei affatto immondo”.
“Tu
dici? E’ così che mi hanno chiamato i teppistelli
che cercavano di catturarmi e le persone a cui ho chiesto aiuto
inutilmente;
non l’avrebbero fatto se non fosse stato vero”.
“Ti
sbagli, invece. Sei stato vittima
dell’ignoranza e della crudeltà altrui, questa
è la verità. Nessuno qui a corte
prova ribrezzo per te. Sei un ranocchio, non un mostro spaventoso. Sii
meno
severo con te stesso”.
“Perché
dovrei? Ho tradito la fiducia di Sua
Altezza, pur non intenzionalmente. Avrei dovuto raccontargli della
maledizione
appena recuperata la palla, ma temevo che non mi avrebbe creduto o
peggio, che
mi avrebbe lasciato al mio destino…”
“Vedrai
che si ravvedrà. Non è di indole rancorosa
e tu hai sbagliato in buona fede. Andrà tutto bene, me lo
sento” lo incoraggiò
Jinki.
Ogni notte, al
momento di coricarsi, il ranocchio
ripeteva la stessa frase al giovane, che gli dava ostentatamente la
schiena.
“Mi
dispiace, principe. Ti prego di credermi”.
Non aggiungeva
altro.
Trascorse che
furono due settimane, Taemin si vide
costretto ad ammettere che si stava comportando in modo a dir poco
puerile. Continuare
ad ignorare l’ospite non avrebbe portato a nulla. I suoi
genitori erano stati
molto chiari al riguardo: finché il ranocchio non si fosse
liberato della
maledizione avrebbe alloggiato nei suoi appartamenti.
Sicché, visto che a
quanto pareva avrebbe dovuto passare ancora parecchio tempo insieme,
tanto
valeva provare a conoscerlo meglio. Decise quindi di dispensare Jinki
dal
compito di dar da mangiare al ranocchio.
“Principe,
cosa-” lo accolse quegli, gli occhi già
grandi sgranati per la sorpresa.
“D’ora
in poi sarò io a provvedere ai tuoi pasti.
Sempre che a te non dia fastidio”.
“Oh-
no, no. Null’affatto. Credevo che non mi
avreste più parlato, ecco tutto”.
“Da
quando mi dai del voi?” si accigliò il ragazzo.
“Siete
un principe, avrei dovuto farlo sin
dall’inizio”.
“Anche
tu sei un principe, se non ricordo male”
tagliò corto. “E poi per quel che ne so potresti
addirittura essere più grande
di me”.
“Non
posso darvi ragione né torto, Altezza: ho da
tempo dimenticato la mia età”.
“Comunque
sia, nel dubbio ti ordino di darmi del tu
e di lasciar perdere i titoli onorifici. Chiamami Taemin,
semplicemente”.
“Come
Sua Altezza- come desideri”.
Una volta
stabilita la tregua, i due scoprirono di
andare sorprendentemente d’accordo. Discutevano delle loro
letture preferite,
delle ingiustizie che più li facevano indignare, di tecniche
di combattimento e
di cavalli; ridevano per gli stessi scherzi, si emozionavano di fronte
alle
stesse meraviglie della natura. Taemin portava con sé il
ranocchio ovunque, invitandolo
addirittura a saltellare sul desco reale. Nessuno, a palazzo,
l’aveva mai visto
così raggiante e di buonumore. Jinki approvava
silenziosamente, i sovrani dal
canto loro si scambiavano sguardi d’intesa e speranzosi.
“Secondo
me è quello giusto”.
“Auguriamoci
che anche nostro figlio lo capisca”.
“Ti
intendi di poesia?” domandò un giorno Taemin.
“Abbastanza”
annuì interessato il ranocchio. “Da umano
mi dilettavo a declamare davanti alla corte poemetti di mia
invenzione”.
“Non
l’avrei mai detto” si stupì
l’altro. “Ne
ricordi qualcuno?”
“Solo
frammenti scommessi” si schermì.
“Però…”
“Però?”
“Potrei
recitare alcuni versi che ho composto di
recente, se ti fa piacere”.
“Oh
sì, ti prego” batté le mani entusiasta.
“Sono
proprio curioso”.
Il ranocchio si
schiarì la voce, lievemente a
disagio.
“Ricamerò
violette sul tuo cuore bambino
che non sa
dare un nome all’amore
e
lillà,
bagliori dorati,
segreti
dispersi nel vento.
Traccerò
le
tue labbra
nel miele
ibleo,
affinché
le
tue parole siano
golose e
speziate.
Invocherò
la
luna
perché
ti
vesta d’argento;
amante
gelida e ritrosa,
bacerà
l’ombra di pizzo delle tue ciglia
sulle guance
in vece
mia”.
Taemin
arrossì.
“E’…”
“Non
sono
all’altezza dei miei antichi scritti. In questi anni la mia
vena poetica si è
molto arrugginita, ahimè” bofonchiò
l’animale.
“A me
piacciono. Davvero”.
Entrambi
distolsero lo sguardo, imbarazzati senza saperne il motivo.
“Non
mi sono
ancora scusato per come ti trattai mesi fa”.
“Né
io l’ho
mai preteso. Eri sconvolto, ti sentivi in trappola; non ti
biasimo”.
“Dovresti,
invece.
Sono stato così meschino e crudele. Non lo
meritavi”.
“Mettiamoci
una pietra sopra, vuoi?”
“No.
Non ci
riesco. Prima voglio sapere se ci sono speranze che tu un giorno possa
perdonarmi”.
“Principe,
preferirei buttarmi quell’infelice periodo alle spalle.
Fingiamo che non sia
mai successo. Per favore”.
“Non
capisco” confessò Taemin nel bel mezzo di una
partita a scacchi.
“Cosa
non
capisci, esattamente?”
Il giovane
principe gli riferì l’ultima, tesa conversazione
avuta con il ranocchio.
“Un’improvvisa
mestizia mi ha assalito –ancora adesso mi viene un groppo in
gola a ripensarci.
Sono triste, ma non ne comprendo il motivo”.
Il Gran
Ciambellano rifletté sulle sue parole.
“C’è
dell’altro, non è forse
così?” domandò cautamente, a bassa voce.
“In
effetti
sì” si imbarazzò l’altro.
“Alcuni giorni fa, su mia insistenza, ha declamato una
poesia che ho motivo di credere abbia dedicato a me”.
“Molto
cortese da parte sua”.
Le pedine
vennero abbandonate sulla scacchiera, la partita ormai dimenticata.
“Non
lo so”
sbottò Taemin. “Non so più che pensare.
E’ un ranocchio, ma indubbiamente
conversa e ragiona come un principe. Quando lo vedo dormire tutto solo
sul suo
cuscino mi si stringe il cuore. Per anni ha vissuto in quello stagno in
compagnia di pesci muti ed indifferenti, subendo angherie da parte
degli esseri
umani. Vorrei liberarlo dal maleficio e restituirgli la
libertà, ma al tempo
stesso ho paura che una volta riacquisite le sue sembianze originarie
se ne
vada via e non metta mai più piede nel regno. Che mi
dimentichi”.
Jinki gli
prese la mani tra le sue, invitandolo a continuare con un sorriso dolce.
“Spesso
mi
ritrovo a chiedermi quale possa essere il suo vero aspetto, sai. Me lo
figuro
alto, bruno, elegante senza sforzo: un corpo che rispecchi a pieno la
bellezza
del suo animo. Al solo pensiero mi sudano i palmi delle mani, lo
stomaco mi si
riempie di farfalle; arrossisco e mi vergogno del mio fantasticare, ma
non
riesco ad impedirmi di fantasticare” si interruppe, rosso in
volto.
“E
cosa mi
dici del tuo cuore?”
“Oh,
sapessi. Quando batte preme contro lo sterno, quasi volesse uscire
fuori dal
petto. Lo sento pesante, gonfio, come se non riuscisse a contenere
ciò che
provo”.
“Gli
dei
siano lodati!” esclamò Jinki, abbracciandolo.
“Li ho pregati perché questo
giorno arrivasse e finalmente mi hanno dato ascolto. Sei innamorato,
Taemin,
non ho dubbi”.
“Già”
rise
amaramente il ragazzo, le spalle basse e contratte. “Sono
innamorato e preferirei
di gran lunga non esserlo”.
“Perché?”
“Odio
sentirmi
così vulnerabile. E se avessi travisato tutto, se lui non
ricambiasse? Se non
mi avesse mai realmente perdonato per il modo spregevole in cui
l’ho trattato
in principio?”
“Amico
mio,
l’unico consiglio che mi sento di darti è di
fidarti del tuo istinto. Azzarda,
rischia, dona tutto te stesso. L’amore è un salto
nel vuoto; potresti atterrare
su un prato fiorito o sulla melma di un acquitrino, ferirti, spezzarti
il
cuore. Non so cosa troverai ad attenderti alla fine del baratro, ma ne
sarà
comunque valsa la pena. Devi vivere, Taemin, non avere nulla da
rimpiangere. E’
meglio un cuore gonfio di uno raggrinzito... Coraggio, corri dal tuo
principe”.
“Ti ho
trovato, finalmente” sospirò Taemin senza fiato e
si sedette sull’erba umida di
fronte allo stagno.
“Mi
cercavi?” il ranocchio gli saltellò accanto.
“Sembri affaticato”.
“Lo
sono! Ti
ho cercato per tutto il palazzo, credevo ti stessi sgranchendo le
zampe. Non
sai che spavento mi sono preso quando mi è stato riferito
che nessuno ti aveva
visto in giro” lo rimproverò.
“Chiedo
scusa, contavo di fare ritorno al castello in tempo. Ti credevo
impegnato in
una partita con Jinki”.
“E’
terminata prima del previsto”.
“Lo
vedo. Ma
dimmi, per quale motivo mi cercavi?”
“Perché
sei
tornato qui? Pensavo odiassi lo stagno” cambiò
argomento il giovane.
“Sarò
sempre
legato a questo posto. E’ stata la mia casa per molto tempo,
nel bene e nel
male” lo assecondò l’altro.
“Casa?
Una
prigione, semmai” si incupì.
“Perché
mi
cercavi?” chiese una seconda volta, girandosi a guardarlo.
Senza
lasciargli alcuna possibilità di replica il principe lo
raccolse in una mano,
sollevandola all’altezza degli occhi.
“Taemin,
cosa-?”
“E’
arrivato
il momento di spezzare l’incantesimo, ranocchio” e
lo baciò.
Ci fu
un’esplosione di scintille multicolori, sibilanti come fuochi
d’artificio;
dell’animale nessuna traccia. Al suo posto si
materializzò la figura slanciata
ed atletica di un uomo -alto e bruno, realizzò emozionato
Taemin- dagli occhi
grandi e colmi di stupore. Il giovane era riccamente abbigliato:
casacca
ricamata con fili d’oro e argentati, braghe di velluto,
stivali in morbido
cuoio. Tutto in lui -i capelli lunghi fin quasi alle spalle, il
portamento
fiero, le spalle larghe- era indice di nobiltà e sangue blu.
Il sorriso dipinto
in volto, però, era quello incredulo di un bambino.
“Tu”,
mormorò con voce spezzata, “ci sei riuscito. Mi
hai liberato”.
“Ai
ringraziamenti ci dedicheremo in seguito” si
schermì l’altro, avvicinatoglisi
di un passo. “Dimmi con quale nome debbo chiamarti,
piuttosto. ‘Ranocchio’ non
mi sembra granché adatto”.
“Choi
Minho,
per servirti” si inchinò regalmente.
“Quel Choi Minho?” si
sbalordì Taemin.
“Conosco di fama i tuoi genitori, sono i sovrani del regno
confinante con il
nostro. Ti davano per morto! Ero ancora un ragazzino imberbe quando
venne
annunciata la tua scomparsa, circa cinque anni fa se non vado errato.
Avevi due
anni più di me, quindi adesso dovresti averne compiuti
venti. Il mio sesto
senso non si sbagliava: sei davvero più vecchio”
ridacchiò.
“Taemin”.
“I
miei
padri non crederanno ai loro occhi, vedendoti. Sei talmente bello e
affascinante! Capisco perché quella strega abbia perso la
testa per te”
sussurrò poi, intristitosi improvvisamente.
“Taemin,
io-”
“Avviseremo
al più presto i tuoi genitori, dopo tanto soffrire meritano
di riabbracciare il
loro figlio perduto” proseguì. “Vedrai
quante principesse faranno a gara per
ottenere la tua mano-”
Fu il suo
turno di venire interrotto. Minho aveva colmato la distanza che li
separava e
lo stava fissando con occhi ardenti, due dita premute sulla sua bocca
per
metterlo a tacere.
“Taemin,
per
favore: sta’ zitto e baciami”.
La
notizia raggiunse
anche le zone più
remote del Paese lontanto lontano, riempiendo di letizia i cuori dei
sudditi e
dei sovrani di ogni regno. Maggiore entusiasmo suscitò
l’annuncio delle nozze
tra i principi Taemin e Minho e l’unificazione dei rispettivi
reami che ne
derivò. Menestrelli e poeti declamarono la struggente -e
quanto mai singolare-
storia d’amore dei due giovani, finché la vicenda
del Principe Ranocchio
divenne leggenda.
E vissero per
sempre felici e
contenti.
Questa
è la
fiaba originale dei fratelli Grimm (http://www.letturegiovani.it/Grimm/Il_principe_ranocchio.htm),
che ho liberamente interpretato.
Molto liberamente. Spero di non avervi eccessivamente traumatizzati!
Come al
solito vi lascio il link della mia pagina
Facebook per
seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Alla prossima!