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Autore: leyda    13/11/2012    6 recensioni
...Finalmente la scalata terminò in una radura pianeggiante. In effetti, considerò osservandola dopo tanto tempo, chiamarla radura, ora gli sembrava un po’ eccessivo. Dopotutto era solo un piccolo spiazzo senza alberi, comunque ricoperto di foglie, ma circondato da alti castagni. Quando era bambino, ogni volta che vi si recava, gli sembrava uno spazio enorme, ora invece, ne percepiva le reali dimensioni, ma la sensazione di magico che quel punto del bosco gli trasmetteva era sempre uguale...
...In silenzio, si incamminarono verso la Jeep, e prima di lasciare la radura, Stiles si voltò indietro osservando la corteccia rovinata e coperta di muschio, e non poté fare a meno di pensare che aveva sempre avuto ragione riguardo a quel posto: una cosa così irreale sarebbe potuta accadere solo lì, in quella parte di bosco apparentemente...
[Sterek]
Racconta quello che è successo prima di Scotty doesn't know, ovvero come Stiles e Derek sono finiti insieme.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Scotty doesn't know...'
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Salve a tutti!!

Uhm... non so esattamente come spiegarlo, ma... dedico questa storia a Derek perché anche lui si merita qualcosa per il suo compleanno, che secondo wikipedia in inglese, sarebbe il 7 novembre. Lo so che è un po’ in ritardo, ma così festeggiamo assieme sourwolf!^^ Oggi è il mio, di compleanno, quindi, anche se può sembrare egocentrico al massimo (una cosa molto alla Jackson in effetti) dedico questa fic a me e a Derek!

Auguri in ritardo, sourwolf!^__^

 

Ps. Questa è un’altra shot della serie “Scotty doesn’t know…” ed è ambientata prima…

 

 

 

 

Scotty doesn’t know…

That it’s all thanks to the chestnut

 

 

 

 

 

Stamattina  non passo a prenderti.

Ci vediamo domani.      

S.

 

Quando Scott lesse il  messaggio inviatogli da Stiles, la prima cosa che fece fu maledirlo in tutti i modi che gli venivano in mente. Mentre pedalava al massimo delle sue capacità mannare verso la scuola, per non arrivare troppo in ritardo, gli balenò in mente che forse l’amico stava male.

Appena ebbe recuperato i libri necessari e fu in grado di sgattaiolare al suo posto, senza miracolosamente farsi beccare dalla professoressa, tirò fuori il cellulare dalla tasca e mandò un messaggio a Stiles. La risposta gli arrivò pochi secondi dopo, preceduta dalla vibrazione dell’apparecchio sul banco. Velocemente, e nascondendosi dietro al quaderno, la lesse.

 

Sto bene. Oggi ho da fare.

Saluta Isaac, mantieni il controllo e non dare di matto.

Spengo il cellulare, a domani.

S.

 

Appena ebbe un momento libero, Scott provò a chiamare l’amico, ma proprio come gli aveva scritto, il cellulare era irrintracciabile. Rassegnato, passò il resto delle lezioni a chiedersi cosa aveva Stiles di così importante da fare, e perché non gli aveva detto nulla. Sperò che non fosse nulla di pericoloso, considerata la capacità di Stiles, ma anche sua, di attirare i guai come il miele, le api.

Quando si sedette a mensa, la sua aria cupa era facilmente osservabile anche ad occhio nudo. E fu in queste condizioni che lo trovò Isaac.

«Tutto ok? Hai una faccia… sembra che ti è morto il gatto.» domandò, iniziando a mangiare il suo pranzo.

«Si. No. Credo di si.» rispose preoccupato.

L’amico scrollò le spalle, prima di notare l’assenza di Stiles. Lo cercò con lo sguardo per la mensa, ma sembrava proprio scomparso. «Dov’è Stiles? Sta male?» s’informò, incuriosito.

Scott sospirò sconsolato, guardando la porta, come aspettandosi che l’amico la varcasse trafelato, in preda alla foga da ricerca su qualcosa di pericoloso. Ma ciò non avvenne, ed anzi, l’unica ad attraversare l’ingresso della mensa fu Allison, e  Scott distolse lo sguardo velocemente. Dopo la rottura –che stavolta sembrava definitiva, anche se poco tempo prima aveva fatto lo spavaldo proprio con Stiles, riguardo a una loro prossima e inevitabile riconciliazione– cercava di incrociarla il meno possibile, per questo aveva cominciato a vedere sempre più spesso Isaac, quando non era con Stiles.

All’inizio l’amico non ne era stato molto felice, anzi, non lo era stato proprio per niente perché: «Isaac?! Isaac Lahey?! Ma è il cagnolino di Derek!» aveva esclamato, guardandolo con tanto d’occhi. Ma dopo un po’ di tempo si era arreso all’evidenza, e ora era lui che si preoccupava quando l’altro licantropo non si univa a  loro.

La cacciatrice notò il gesto e andò a sedersi a un tavolo, consumando il pasto in solitudine, mentre Scott rispondeva alla curiosità del biondo, mostrandogli i messaggi di Stiles. Isaac li lesse, cercando di carpirne qualcosa, ma le frasi erano decisamente criptiche, e l’unica cosa che gli venne in mente fu che il ragazzo sembrava avere la precisa volontà di non farsi trovare. Come se avesse qualcosa da nascondere o forse, ma quello sembrava assurdo, considerato che passava tutto il tempo con loro, come se avesse un appuntamento.

Corrucciando la fronte, indeciso se esporre le sue idee al ragazzo seduto di fronte, ingoiò l’ultimo pezzo di carne poi, vedendo l’espressione preoccupata, decise di rassicurare l’altro lupo.

«Secondo me non è nulla di pericoloso, non dovresti preoccuparti così. Magari doveva vedere qualcuno e non vuole essere disturbato. Forse adesso è a scambiarsi effusioni con una ragazza mozzafiato, mentre io e te siamo qui a mandare giù la sbobba della scuola, preoccupandoci inutilmente per lui. Non ti ricordi se ti ha accennato a qualcosa del genere?»

«No… Ma secondo te è davvero possibile che stia amoreggiando? Quando avrebbe conosciuto qualcuna visto che è sempre con noi, a farci praticamente da baby sitter?» domandò curioso, il moro, inclinando la testa da un lato.

Isaac sbuffò esasperato e divertito, prima di rispondere. «Era per fare un esempio, Scott. Lo so anch’io che è sempre con noi. Ma non ti ha detto se oggi aveva da fare? Magari ti ha accennato qualcosa fra un delirio eterno e un altro.»

«No, non mi pare. E anche se l’avesse fatto, me lo sarei perso nel mare di parole. Però sono preoccupato lo stesso.»

«Hai provato a chiedere aiuto a Derek? Magari può provare a cercarlo… il problema è: quando lo troverà, perché lo troverà, l’ucciderà o no?» ponderò il biondo, carezzandosi il mento. Le sue parole bloccarono Scott, già intento a comporre un messaggio da inviare all’Alpha. Alzandosi sconsolato, si avviò a riporre il vassoio, prima avviarsi alle lezioni pomeridiane, mentre Isaac, battendogli una pacca d’incoraggiamento esclamava convinto «Vedrai che è tutto apposto. Dopotutto se è arrivato vivo fino ad ora, con tutto quello che avete passato, un motivo ci sarà. Stiles non è così scemo da andare a cercarsela quando non è necessario.»

 

****

 Quella mattina, la sveglia di Stiles aveva suonato in perfetto orario, come al solito. Svogliatamente e con un brivido, abbandonò il piacevole, ed estremamente invitante, calore delle coperte e si avviò in bagno, gettando uno sguardo assonnato al di fuori della finestra. Il cielo era terso e di un azzurro luminoso, e l’aria decisamente frizzante, come poté appurare dagli spifferi gelidi che raggiungevano la pelle scoperta delle braccia e delle gambe. Eppure non si ricordava di aver lasciato la finestra socchiusa, la sera precedente. Ma ormai lo faceva quasi inconsciamente, considerando la malsana abitudine di Derek di piombargli in camera nei momenti più assurdi per farsi fare delle ricerche.

Scrollando le spalle, si diresse in bagno per lavarsi i denti e, mentre si osservava allo specchio, un’idea cominciò a formarsi nella sua mente. Quando fu vestito di tutto punto, l’idea era ormai diventata un punto fisso, che decise di assecondare. Recuperando il cellulare dalla tasca dei jeans, mandò il messaggio a Scott in cui l’informava della sua decisione di non presentarsi alle lezioni.

Era certo che l’amico si sarebbe insospettito, ma non gli importava. Per una giornata soltanto voleva starsene lontano da trasformazioni indesiderate, innescate da mancanze di autocontrollo, e da professori di chimica che non aspettavano altro che una scusa per trattenerlo ben oltre il normale orario di lezione.

Guidando per le strade di Beacon Hills, diretto verso la riserva, il pensiero di Harris lo fece riflettere seriamente. Perché quel tipo sembrava avercela a morte con lui? Possibile che fosse per la storia dell’incendio della famiglia Hale in cui, in qualche modo contorto, era uno dei responsabili? Ma l’aveva scampata alla fine. Era riuscito a evitare sia la prigione che una morte lenta e dolorosa, o rapida ma comunque dolorosa, ad opera di Peter, lo psicopatico zio di Derek. Quindi per quale oscuro e recondito motivo, Harris aveva eletto Stiles come suo personale capro espiatorio?

La vibrazione, seguita dal trillo che annunciava l’arrivo di un messaggio, lo distrassero da queste sue riflessioni, che comunque non lo stavano portando ad ottenere nessuna risposta valida. Fermandosi al semaforo rosso, recuperò il cellulare e scrisse una rapida risposta, prima di spegnerlo e gettarlo sul sedile affianco.

Mezz’ora dopo era finalmente arrivato. Parcheggiò all’inizio della riserva, preferendo camminare un po’, immerso nei colori autunnali e godendosi la pace che permeava il bosco. Prima di dirigersi verso la sua meta finale, lasciò lo zaino con i libri nel bagagliaio della Jeep, recuperando un cesto di vimini, un po’ rovinato e un vecchio zaino

Buttandoselo in spalla, s’incamminò, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e l’odore del sottobosco, dolce e un po’ acre allo stesso tempo, delle foglie che formavano un tappeto rosso e giallo. Camminò per quasi un’ora, addentrandosi sempre di più, non diretto verso casa Hale, bensì dalla parte opposta.

Il terreno si elevò sempre più, ma rallentando solo leggermente il passo, Stiles continuò a inerpicarsi, senza preoccuparsi troppo della scomparsa del sentiero che aveva seguito fino ad allora. Sapeva esattamente dove andare e anche quanta strada gli rimaneva ancora da percorrere; dopotutto non era la prima volta che si recava in quel punto del bosco, anche se erano passati anni dall’ultima volta, lui aveva sempre avuto un’ottima memoria.

Finalmente la scalata terminò in una radura pianeggiante. In effetti, considerò osservandola dopo tanto tempo, chiamarla radura, ora gli sembrava un po’ eccessivo. Dopotutto era solo un piccolo spiazzo senza alberi, comunque ricoperto di foglie, ma circondato da alti castagni. Quando era bambino, ogni volta che vi si recava, gli sembrava uno spazio enorme, ora invece, ne percepiva le reali dimensioni, ma la sensazione di magico che quel punto del bosco gli trasmetteva era sempre uguale.

Spostò lo sguardo alla sua destra e non poté impedirsi di sorridere, con una punta di nostalgia. Tra tutti, spiccava un castagno, il cui tronco era, in parte, scortecciato e coperto di muschio: era per quello che aveva sempre pensato a quel posto, come a un luogo in cui fosse possibile far accadere eventi incredibili, che non avrebbe mai ritenuto possibili altrove. Quella ferita nel tronco, infatti, sembrava la porta d’accesso ad un altro mondo, ora, come quando era piccolo, e sua madre era lì con lui ad ascoltare le sue storie, arricchendole di particolari.

Con gli occhi un po’ più lucidi, dopotutto faceva ancora male, si avvicinò all’albero e, tirando fuori una piccola coperta, vi si stese sotto, riprendendo fiato e osservando il contrasto tra le foglie colorate, i rami scuri e carichi di ricci, e il cielo limpido. Decise di godersi il silenzio naturalmente rumoroso del bosco, almeno per un po’, prima di iniziare a fare quello che si era prefissato per quel giorno, e cioè una bella raccolta di castagne da mangiare il giorno dopo, in compagnia di Scott e Isaac. Era certo che se avesse esposto loro le sue intenzioni l’avrebbero accompagnato, ma lui non voleva questo: non era contrario a dividere i frutti del suo lavoro di raccolta, ma non voleva che anche gli altri venissero a conoscenza di quel posto.

Cullato dai suoi pensieri, stranamente lenti e placidi e non, come al solito, frenetici e a cascata, cadde in uno stato di dormiveglia, in cui gli parve che qualcuno l’osservasse da dietro gli alberi. Quando tornò in sé, pronto alla raccolta, si guardò un po’ intorno incuriosito, ma era decisamente solo, almeno all’apparenza. Con una scrollata di spalle raccolse il cesto e iniziò a muoversi, curvato su sé stesso per recuperare le castagne più facilmente.

Ogni tanto sentiva la schiena tirare e indolenzirsi, allora si stiracchiava, guardandosi intorno, sempre con la curiosa e persistente sensazione di essere osservato.

 

A qualche albero di distanza, Peter continuava a osservare Stiles muoversi, concentrato nella sua operazione. Solo quando si sollevava estendeva la sua attenzione al resto del mondo circostante, come se riemergesse da un luogo a metà tra il presente e il passato. In quel momento usciva fuori dal suo nascondiglio per osservarlo con attenzione, concentrandosi sulla sensazione agrodolce che gli arrivava. Era evidente che quel piccolo spiazzo aveva avuto, e aveva tutt’ora, una certa importanza nella vita del ragazzo, e la prova stava nel fatto che vi si fosse recato da solo, senza portarsi dietro Scott, l’inseparabile compagno di avventure.

Dopo quasi due ore passate a tenerlo d’occhio, si allontanò, tornando alla vecchia casa bruciata, comprendendo perfettamente il desiderio inconscio di restare da solo. All’inizio, in realtà, aveva avuto l’intenzione di palesare la sua presenza, ma qualcosa l’aveva trattenuto dal farlo. Avrebbe voluto parlare con Stiles, ma si era reso conto che quel giorno, la mente del loro gruppo non aveva intenzione di incontrare nessuno.

Mentre camminava tranquillamente, con le mani affondate nelle tasche del cappotto, tentava di capire i motivi che l’avevano spinto a mettere da parte le sue intenzioni, a favore di quelle di quel ragazzino. Era dalla prima volta che aveva incrociato la sua strada, quando era ancora impegnato nella sua vendetta, che l’incuriosiva. Non era solo la sua mente brillante, ma la sua capacità di restare sé stesso, pur dividendo la sua vita tra lupi mannari, situazioni pericolose e potenzialmente mortali, e normali problemi adolescenziali. Forse era per questo che, nonostante avesse rifiutato il morso da parte sua, non aveva più cercato di persuaderlo o di donarglielo con la forza, come aveva invece fatto con Scott.

E probabilmente era lo stesso motivo per il quale ora se ne stava tornando a casa con un nulla di fatto. Si stupiva di sé stesso, aveva anteposto le motivazioni inconsce di Stiles alle sue. Ghignando divertito si chiese se, quando era resuscitato grazie al sangue di Derek, quest’ultimo non gli avesse trasmesso anche la sua attenzione per il ragazzo. Era ormai arrivato al portico, dove Derek era seduto, con lo sguardo fisso davanti a sé, perso nei suoi pensieri. Con un cenno del capo, l’uomo l’oltrepassò ed entrò in casa. Avrebbe voluto chiedere a Stiles di passare del tempo con il nipote quel giorno, accennandogli che era il suo compleanno, ma forse non ce ne sarebbe stato bisogno.

Infatti, all’improvviso, un urlo lontano squarciò il silenzio, arrivando fino alle orecchie di entrambi. Quando Peter si affacciò alla porta, Derek era già scomparso tra gli alberi, correndo verso la fonte del grido. In pochi minuti di corsa forsennata, l’Alpha era arrivato in prossimità della radura; qui rallentò guardandosi intorno circospetto e fiutando l’aria circostante alla ricerca di un possibile pericolo. Non avvertendo nulla di letale, si fece avanti, fino ad arrivare di fronte a Stiles che ai piedi di un albero, seduto scompostamente per terra con un cesto affianco e la sua immancabile felpa rossa, si teneva un polso, strizzando gli occhi per il dolore.

Il lupo ci mise poco a ricostruire l’accaduto mentre l’altro, ancora non si era accorto della sua presenza.

«Sei un idiota.» esordì, con la voce seria, osservandolo sobbalzare spaventato.

«Che… che ci fai qui?» balbettò sorpreso, alzando lo sguardo sul licantropo in piedi di fronte a lui.

Prima di rispondere, Derek si abbassò e gli afferrò il braccio in modo brusco, portandolo verso di lui per esaminarlo. Nonostante le sue ferite si rimarginassero, e le sue ossa si risaldassero in breve tempo, aveva una certa, accurata, conoscenza delle fratture; soprattutto per esperienza personale, in quanto parecchie volte aveva dovuto rompersi nuovamente le ossa per risaldarle correttamente.

«Derek…» la voce incerta di Stiles lo costrinse ad alzare lo sguardo, portandolo a incrociare gli occhi ambrati dell’altro.

«Tieni questo in mano.» disse, porgendogli il cesto pieno, valutandolo sufficientemente pesante. Stiles fece come gli era stato detto, e nonostante una smorfia di dolore, non lo fece cadere. Soddisfatto Derek, lo fissò indurendo sguardo e voce prima di parlare. «Non è rotto.» l’avvisò, posando l’oggetto a terra. «Ora voglio sapere perché sei qui invece che essere a scuola.» ordinò.

Dal canto suo, Stiles era ancora stupito dal fatto che Derek fosse comparso all’improvviso, pochi minuti dopo che era caduto dall’albero, scaricando il peso sul polso, e che si stesse preoccupando di lui. Non aveva qualcosa di meglio da fare? Era lui che l’aveva osservato tutta la mattina, nascosto da qualche parte lì intorno? La domanda prese forma nella sua mente, e prima che riuscisse a frenarla, rotolò fuori dalle sue labbra.

«Eri tu che mi fissavi di nascosto?»

«Di che stai parlando? Sono corso qui quando ti ho sentito urlare.» rispose perplesso.

«Sei… corso qui? Perché?» la curiosità era palese nella voce di Stiles, anche se non si aspettava realmente una risposta, che infatti non arrivò.

«Cosa ci fai qui?» domandò invece Derek, glissando sulla questione. «Vestito come cappuccetto rosso, per di più…» continuò, registrando il cesto e l’abbigliamento del ragazzo, che sorrise divertito.

«Ovviamente andavo a trovare il grosso lupo cattivo. Ma dato che non potevo presentarmi a mani vuote, ho pensato che un po’ di castagne sarebbero andate bene. E invece è stato il lupo cattivo a trovare me.» raccontò, alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloni sporchi di terra e foglie. «Che ne dici di farmi compagnia e di aiutarmi, ora che sei qui?» aggiunse, tendendo la mano al lupo, ancora accovacciato.

Derek alternò lo sguardo dal viso sorridente di Stiles, in particolare i suoi occhi, più brillanti del solito, alla mano tesa verso di lui, prima di allungare la propria e stringerla, alzandosi a sua volta. La piega delle labbra del ragazzo si accentuò, scoprendo leggermente i denti.

«Ok, bene. Ehm… che ne dici di raccogliere le castagne che mi sono cadute, mentre io ne cerco altre qui intorno?» propose, strofinandosi le mani sporche di terra sui jeans, sporcandoli un po’. Derek annuì, fissandolo allontanarsi, e domandandosi cosa gli fosse preso per star assecondando Stiles, invece di costringerlo a tornarsene a casa o a scuola, o dove diavolo doveva essere, ma di sicuro non lì, con lui, improvvisamente così arrendevole.

Con uno sbuffo, lo richiamò indietro, accorgendosi del dolore al polso e anche, a giudicare dalla lieve zoppia, alla gamba destra. Il liceale si voltò incuriosito, stupendosi quando il lupo gli strinse la spalla in una presa abbastanza gentile, per uno come lui, e sentendo un po’ del sofferenza andarsene, assorbita dalla mano su di lui.

«Wow. Questa cosa fa molto “imposizione delle mani” e “taumaturgia reale”, sai? Hai presente il medioevo, quando si credeva che il re potesse guarire le persone dalla lebbra, imponendo le mani? Certo, io non ho la lebbra per fortuna, e tu non sei il re… anche se forse il titolo di Alpha… Però non è niente male. La possono fare tutti i lupi mannari, ogni volta che vogliono?» domandò.

Derek roteò gli occhi, chinandosi a raccogliere il cesto.

«Ehi, Der…»

«Se avessi saputo che con il dolore sarebbe stata sedata anche la tua parlantina, non te l’avrei alleviato.» sbottò, nonostante nella voce ci fosse una nota di divertimento quasi impercettibile.

«Lupo misantropo. Grazie, comunque.» borbottò allontanandosi, agitando le braccia al cielo, sicuramente, pensò il lupo, stava discutendo con sé stesso della sua scontrosità.

Passarono la successiva mezz’ora divisi, ognuno intento nei propri “compiti”. Era incredibile, pensarono quasi in contemporanea, che ogni volta che si trovavano assieme o si salvavano a vicenda, o si impelagavano in ricerche, di solito di ben altra natura. Ma anche questa lo era, ed era decisamente piacevole. Dopo un po’, Stiles tornò nella radura con un fazzoletto di stoffa pieno di lamponi.

«Guarda cos’ho trovato! Pensavo non fosse più periodo, ma dopotutto il clima è stato decisamente mite ultimamente, quindi è probabile che la stagione si sia allungata un po’.»

«Stiles, cos’hai trovato?» tagliò corto Derek, avvicinandosi al ragazzo, che si era andato a sedere sulla coperta, portando con sé la cesta piena di castagne.

«Guarda! Lamponi!» esclamò contento, sporgendo le mani verso di lui, gli occhi splendenti e un sorriso radioso. Gli si sedette vicino, rubandone uno, ricevendo un indignato «Ehi!» di ammonimento.

Non sapeva spiegarsi il perché, ma quel giorno si sentiva particolarmente bendisposto nei confronti di quel ragazzino iperattivo. Anche i suoi modi bruschi si erano addolciti un po’, notò con stupore, osservandolo di sottecchi. In quel momento Stiles gli sembrava un bambino, sporco di terra e con l’aria felice, mentre mangiava i suoi lamponi seduto sulla coperta in mezzo a un bosco.

Sogghignando per l’abbigliamento del ragazzo, gli tornò inevitabilmente in mente il paragone di prima con Cappuccetto rosso. In effetti, Stiles l’incarnava perfettamente, a volte, tranne per il fatto che era un ragazzo adolescente e non una bambina.

«Cos’hai da sorridere così?» domandò, voltando il capo verso di lui e portandosi un frutto alle labbra.

«Nulla.» rispose.

«Ehi, non sarò un licantropo, ma ci vedo ancora bene. Perché sorridevi?» chiese nuovamente, sporgendosi verso di lui.

«Niente di importante.» ribadì, afferrando l’ultimo lampone.

Stiles se ne accorse e, prima che riuscisse a mangiarlo, gli afferrò il polso portando le dita che stringevano il frutto alle sue labbra, consumandolo lui stesso, sotto lo sguardo improvvisamente acceso e famelico del lupo. Sorridendo soddisfatto per quella piccola vittoria, rimase con la bocca a pochi centimetri da quelle falangi, liberandogli però il polso. Quando fece per allontanarsi, la mano di Derek, ora libera, lo trattenne, fermandosi dietro la nuca. Stranito, il ragazzo incrociò lo sguardo grigio-verde dell’altro, con una muta domanda negli occhi, accompagnata da un inconscia richiesta.

Senza parlare, dopotutto non era lui quello chiacchierone dei due, Derek lo attirò lentamente verso di sé, permettendogli, se avesse voluto, di scostarsi. Invece, sorprendendo entrambi, Stiles si aggrappò ai lembi dell’immancabile giacca di pelle, sostenendosi, e avventandosi sulla bocca del lupo, baciandolo con foga.

All’inizio fu un bacio caotico, dettato più dal momento di necessità, ma lentamente si trasformò in un gioco di labbra e denti, finché non furono costretti a separarsi, dalla esigenza di incamerare nuova aria nei polmoni. Respirando pesantemente, si fissarono negli occhi, Stiles ancora ancorato alla giacca nera e Derek ancora con la mano dietro la sua nuca, mentre l’altra era corsa sul fianco del ragazzo senza che nessuno dei due se ne accorgesse. Sembravano entrambi indecisi su quale fosse la cosa migliore da fare: se continuare oppure alzarsi e andarsene. Inconsciamente fu Stiles a decidere, umettandosi le labbra, e riaccendendo la fame di Derek, che l’attirò a sé in un altro bacio, chiedendo, o meglio, pretendendo accesso alla sua bocca, che si schiuse, lasciandosi esplorare dalla sua lingua ed esplorando a sua volta.

Lentamente, senza abbandonare quel contatto –la bocca di Stiles sapeva di lamponi ed era così piacevole duellare con la sua lingua–, Derek lo condusse a stendersi sulla coperta, sovrastandolo in parte con il suo corpo. Si separarono nuovamente quando il bisogno d’aria si fece impellente, ma invece di allontanarsi, il lupo scese con le labbra sul collo, seguendo la linea della mascella e depositando baci umidi e piccole lappate. Quando risalì, si avvicinò all’orecchio, mordendone il lobo, e soffiandovi dentro, sentendo il corpo sotto di lui tendersi in risposta, prima di ritornare su quelle labbra rosse, che l’accolsero nuovamente con una partecipazione, se possibile, ancora maggiore di prima. La mano di Stiles si era spostata dalla giacca alla nuca di Derek, nel tentativo di spingerlo ancor più verso di sé, giocando al contempo, con quei soffici fili scuri che erano i suoi capelli.

Era decisamente piacevole, per una volta, essere pressati in quel modo indiscutibilmente non doloroso, da Derek, invece di essere vittima dei soliti violenti impatti con qualsiasi superficie gli capitasse a tiro. Si sentiva la testa sempre più leggera, e il fiato sempre più corto, mentre le mani del lupo si facevano strada sopra i suoi vestiti, creando sentieri nuovi.

Non sapeva dire se era per l’ora, ormai prossima al mezzodì o l’effetto di quelle carezze, ma sentiva decisamente un caldo non comune per quel periodo dell’anno, tanto che dovette liberarsi della felpa, rimanendo in maniche corte. Sfilandosi la maglia, cercando di non interrompere il bacio, compì una torsione al polso, e il dolore tornò nuovamente, come una frustata, inerpicandosi su per il braccio, facendolo sibilare di disappunto.

«Il polso.» spiegò, il fiato corto per il bacio e in parte per la sofferenza, rispondendo alla muta domanda del lupo.

Lentamente, il dolore si attenuò fino a scomparire, lasciandogli solo un formicolio fastidioso lungo l’arto. Derek gli afferrò delicatamente il braccio, scoprendo il polso gonfio e rosso.

«Sei proprio un idiota.» commentò sedendosi, imitato da Stiles.

«È solo una slogatura. Non morirò certo per questo.» commentò minimizzando, non volendo smettere di assaggiare quella bocca pericolosa, solo per una cosa futile come quella.

«Non hai una partita fra qualche giorno?»

«Non sai che io sono quello che sta in panchina? Ma dobbiamo proprio preoccuparci di questo? Non potremmo riprendere la discussione di prima?» tentò, con un sorriso speranzoso e imbarazzato al contempo. Derek sbuffò divertito, alzandosi in piedi, aspettando che il ragazzo lo imitasse. Stiles si limitò a fissarlo da sotto in su, con sguardo contrariato e un infantile broncio sulle labbra, rosse e gonfie, di baci e lamponi. Con i suoi soliti modi bruschi, il lupo lo afferrò per l’altro braccio, tirandolo in piedi, per poi spingerlo contro il tronco, fermandovelo contro con il proprio corpo.

«Ci sarà tempo per continuare il discorso. Ora devi farti visitare quello. Muoviti, ti accompagno.» soffiò, a pochi centimetri dalla sua faccia. Pochi secondi dopo, Stiles comprese, o almeno credeva di aver compreso, il significato nascosta tra le parole appena pronunciate, e, con un sorriso smagliante recuperò il cesto mentre Derek prendeva la coperta e l’infilava nello zaino alla meno peggio. In silenzio, si incamminarono verso la Jeep, e prima di lasciare la radura, Stiles si voltò indietro osservando la corteccia rovinata e coperta di muschio, e non poté fare a meno di pensare che aveva sempre avuto ragione riguardo a quel posto: una cosa così irreale sarebbe potuta accadere solo lì, in quella parte di bosco apparentemente ignota a tutto il mondo.

La voce dell’Alpha lo richiamò e lui si affrettò a raggiungerlo, iniziando con qualcuno dei suoi soliti discorsi a monologo, visto che raramente otteneva risposte che andassero al di là del semplice mugugno indistinto, interpretabile come un si o un no, oppure dell’immancabile «Sta zitto.»

Quando giunsero all’inizio della riserva, si presentò loro un problema, con il polso in quelle condizioni, era impensabile che riuscisse a guidare fino all’ospedale, o fino a casa. Il figlio dello sceriffo si voltò esitante verso il ragazzo al suo fianco: era vero che aveva detto che l’avrebbe accompagnato, ma come al solito, Derek aveva omesso una parte del discorso, ovvero quella inerente a: fino a dove l’avrebbe accompagnato? Alla Jeep? O a casa sua?

Spazientito, Derek gl’intimò di muoversi, ricevendo un’occhiata stranita. «Dammi le chiavi, che stai aspettando?»

«Oh! Oh, certo.» esclamò, frugandosi nelle tasche dei jeans, estraendone il mazzo quasi immediatamente. Senza aggiungere altro, il lupo lo prese e si accomodò al posto di guida, mentre il proprietario occupava il sedile del passeggero. Percorsero in silenzio solo un breve tratto di strada, prima che l’effetto dello stupore svanisse, lasciando spazio alla solita parlantina.

«Quindi… uhm… cosa intendevi dicendo che ci sarà tempo per continuare il discorso? Qualcosa del tipo concludiamo e poi nemici come prima, o qualcosa del tipo concludiamo e poi continuiamo?»

«Qualcosa del tipo, prima occupiamoci di te e poi si vedrà.» tagliò corto, senza informarlo che in realtà aveva già deciso, e la sua decisione era qualcosa di molto simile a: concludiamo e poi sei mio, e guai a chi oserà toccarti. Si rendeva conto da sé, che era un pensiero decisamente possessivo, e forse anche egoistico, ma ora che aveva iniziato, perché si, aveva solo iniziato a scoprire Stiles, non l’avrebbe concesso a nessun’altro o altra.

Il disappunto passò veloce sul volto del ragazzo. Non sapeva perché, ma avrebbe voluto avere una risposta. Perché nessuno prendeva mai seriamente in considerazione le domande di cui gli interessava sul serio avere un responso? Forse era il modo in cui le poneva? O forse era semplicemente lui a non essere preso sul serio? Avrebbe voluto chiederlo al lupo al suo fianco, ma prima ancora di farlo si rese conto che sarebbe stato inutile. Per questo motivo, prese a giocherellare con il cellulare, accendendolo nuovamente e vedendo la chiamata persa di Scott e lo sguardo gli cadde per caso sulla data.

Fingendo di guardare fuori dal finestrino, il paesaggio che scorreva veloce, buttò fuori un veloce: «Buon compleanno.»

Derek impiegò qualche secondo a trovare il modo di esprimere, non troppo duramente, quello che pensava.

«Come lo sai?» riuscì a sputare fuori alla fine.

«Uh? Beh… avevo fatto qualche ricerca su di te… sai all’’inizio di tutta questa storia di lupi mannari e… insomma quella è stata una delle prime cose che ho controllato, ecco.» spiegò, grattandosi la testa, per mascherare l’imbarazzo. Sperò di non aver fatto qualcosa di stupido. Il lupo non sembrava molto contento di quello che aveva fatto.

« …grazie.» rispose poco dopo, tenendo lo sguardo fisso sulla strada, per non incrociare quello sorpreso del ragazzo, voltatosi repentinamente verso di lui. Intuendo quanto gli fosse costato quella parola, scrollò le spalle e riprese a osservare la strada, mentre uno strano calore si diffondeva dal centro del suo stomaco, in tutto il suo corpo.

Derek parcheggiò nel vialetto davanti la casa dello sceriffo e aspettò che il ragazzo scendesse per andare ad aprire.

«Wow. Come mai entri dalla porta?» ironizzò, pulendosi le scarpe sullo zerbino, tenendo la porta aperta all’altro, che l’attraversò scuotendo la testa contrariato, seguendolo poi su per le scale, fino nella sua camera.

«Uhm… vado a prendere del ghiaccio.» disse, scomparendo nuovamente al piano di sotto, lasciando il lupo nella sua stanza. Tornò su poco dopo, con del ghiaccio, delle bende elastiche per farsi una fasciatura, e una pomata per le contusioni. Si rese conto subito che gli sarebbe stato difficoltoso compiere l’operazione da solo. Oltretutto si sentiva quasi sotto esame: lo sguardo fermo di Derek non lo abbandonava per un solo secondo.

«Dammi qua.» lo fermò poco dopo, intuendo che se l’avesse lasciato fare da sé, avrebbe sprecato praticamente tutta la benda. Stupito da quell’insolita dimostrazione di gentilezza, Stiles gli passò il rotolo, osservando il suo polso venire fasciato con velocità e sicurezza dal lupo. Non credeva possibile che quelle mani, spesso e volentieri letali, fossero capaci di compiere quell’operazione senza procurargli sofferenza.

«Beh, ora ci siamo occupati di me. Quindi direi che potremmo discutere di quello che è successo prima…» iniziò, non sapendo bene come esprimersi senza risultare come una ragazzina imbranata alla sua prima cotta. Non che si sentisse molto diverso, in realtà. Insomma, fino a non molto tempo prima era nel bosco ad amoreggiare con Derek Hale, il licantropo, il sospettato di omicidi, rilasciato per insufficienza di prove, quello che lo sbatteva violentemente contro ogni superficie solida gli capitasse a portata di mano quando gli faceva saltare i nervi. Il che accadeva spesso, in effetti, ma non era di quello che stava parlando.

Il moro lo osservo discutere con sé stesso, seguendo il filo dei suoi discorsi dalle espressioni assurde che si faceva sfuggire senza neanche rendersene conto. Possibile che l’avesse sconvolto così tanto? pensò divertito, decidendo di mettere fine ai suoi voli pindarici, con un gesto di cui ormai sentiva avrebbe abusato. L’afferrò per la maglia, come faceva di solito, ma invece di schiantarlo da qualche parte, come lo sguardo spaventato sembrava aver pensato, l’avvicinò tanto da parlare direttamente sulle sue labbra, semiaperte dalla sorpresa.

«Stiles, ti ricordo che sono un lupo, alla fine di tutto.» esclamò sibillino, aspettando che arrivasse da sé alla conclusione.

«Lo so perfettamente. Sai tutti quei mutamenti ogni tanto mi avevano fatto sorgere il dubbio…» ribatté sarcastico.

«Non intendevo quello, idiota. Son un lupo, e sono un Alpha, quindi…» l’imbeccò, stringendo la presa, per fargli capire di non scherzare, ma di pensare seriamente.

Prima di provare a rispondere, Stiles si passò la lingua sulle labbra «…quindi …solitamente hai un pessimo carattere, oltreché una sola compagna di vita…» azzardò in fretta, sentendo il ringhio riverberare su per la cassa toracica del moro.

«Esattamente.» confermò, avvicinandosi per baciarlo, ma la mano del ragazzo si posò sul suo petto, fermandolo.

«Ok, allora… come mai stai cercando di approfittarti di me.» ghignò, prima di tornare serio «Se Kate Argent è morta? Non dovresti fare tipo… non so, tipo voto di castità? O qualcosa di simile?» domandò realmente curioso di scoprire come funzionava la cosa.

Derek sospirò, cercando di spiegare in modo chiaro, e il più rapido possibile, quello che voleva sapere, confidando nella capacità di capire ed elaborare velocemente le informazioni, di Stiles.

«Prima di tutto, quando stavo con quella… non ero un Alpha, ma un Beta, quindi non c’era nessun “obbligo di castità indotta”.» spiegò utilizzando delle virgolette immaginarie, che fecero ridacchiare il ragazzo «Mentre da quando sono diventato Alpha, non so se tu ci abbia fatto caso, ma non ho avuto molto tempo per una qualsiasi relazione sentimentale o puramente fisica.» concluse.

«Oh… quindi, immagino che tu abbia un sacco di energia da sfogare…» sogghignò, muovendo la mano che era rimasta ferma sul petto, in esplorazione, giungendo al di sotto della maglia, a contatto con la pelle. Alla fine, anche se in maniera molto generale e per vie traverse, come facevano di solito, si erano detti esattamente le stesse cose.

«Immagini bene.» ringhiò, annullando finalmente la distanza che li separava.

Si baciarono, come se fossero stati ancora incerti su quello che stava succedendo, ma dopo un po’, Stiles mandò la sua titubanza alle ortiche, lasciando che i suoi ormoni adolescenziali prendessero il comando e fece vagare le mani sulla pelle tesa di Derek mentre il lupo faceva altrettanto. Sentiva come una scia incandescente dove la dita l’avevano toccato, e si chiese se anche per il moro era la stessa cosa. Distanziandosi un po’ per osservarlo, giudicò che probabilmente, si, era la stessa cosa, e sorridendo furbo, lo baciò sulla linea del mento, con la barba ispida che gli pizzicava la pelle. Scese più giù fino al mento, suggendo la pelle, tentando di lasciare un segno che già sapeva non sarebbe durato, ma prendendosi la soddisfazione di sentire un deciso suono di apprezzamento da parte del licantropo. Le mani di entrambi continuavano, intanto la propria esplorazione e, proprio quando Stiles stava per attraversare la linea dei pantaloni scuri di Derek, i cellulari di entrambi presero a suonare.

«Chi diavolo è che rompe? Oh, possono essere solo Scott e Isaac.» borbottò contrariato, rispondendo alla chiamata del migliore amico. Non sapeva bene perché, ma non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, e il suo istinto glielo stava gridando a gran voce.

Nel frattempo anche Derek aveva risposto ad Isaac che gli chiedeva di cercare Stiles e, in caso l’avesse trovato, di non ucciderlo, né malmenarlo troppo. Con un ghigno il capobranco gli rispose di non preoccuparsi.

Appena chiusero la comunicazione, pronti a riprendere da dov’erano stati interrotti, sentirono la porta di casa aprirsi e lo sceriffo salutare a gran voce il figlio. Trattenendo un insulto, Stiles rispose, osservando, con una smorfia di frustrazione il lupo, aprire la finestra e sgattaiolare fuori.

 

****

La mattina dopo, Stiles aspettò Scott e Isaac con un sacchetto pieno di caldarroste per ciascuno, e uno, ben al sicuro nello zaino, da portare a Derek nel pomeriggio.

Da lontano vide Scott svoltare l’angolo e parcheggiare nel posteggio per le bici, la propria, proprio affianco alla porche di Jackson, che era già arrivato.

«Si può sapere dov’eri finito ieri? Isaac ha chiesto a Derek di cercarti, ma sembra che non ti abbia trovato da nessuna parte. Ehi, cos’hai fatto al polso?» domandò, afferrandogli il braccio.

«Sono andato a raccogliere castagne. Ecco tieni.» esclamò porgendogli la busta. «Per quanto riguarda il polso… è tutto merito delle castagne.» spiegò, con un sorriso ambiguo.

«Forse vuoi dire che è tutta “colpa” delle castagne.» tentò Scott.

«No, no. È tutto “merito” delle castagne, fidati. E non ti dirò nient’altro.» aggiunse, puntandogli il dito contro.

«Ok. Ma perché non mi hai chiamato? Sarei venuto volentieri con te.»

«Uhm, principalmente perché è un posto segreto tra me e mia madre. E seconda cosa, tu hai parecchie materie da recuperare, io no.» concluse, incrociando le braccia con aria soddisfatta, entrando nell’edificio.

Per ora, si disse, era meglio non rendere noto a Scott tutto quello che era successo il giorno prima, per svariati motivi: il principale riguardava sicuramente la permanenza della sua testa sulle sue spalle. E oltre a ciò, decisamente l’amico non era pronto a sapere di quel lato della sua personalità, visto che non l’aveva mai preso sul serio. Inoltre stava ancora cercando di capirci qualcosa lui stesso, aggiungere alla sua confusione quella di Scott non era decisamente una scelta saggia.

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Salve a tutti!^^

Dunque, che posso dire…

Questo è quello che è successo prima. Prima di “Scotty doesn’t know”. Si, insomma, come Stiles e Derek sono finiti in quell’assurda situazione.

Spero che vi sia piaciuta!^^ Avevo deciso già da prima di scrivere l’altra, che sarebbe iniziato tutto con delle castagne, ma non mi era ancora ben chiaro il “come?! Come possono delle castagne far finire insieme ‘sti due?!”. Beh… ecco come! E non so se avete notato, ma già qui Scott inizia a manifestare il suo perfettamente pessimo tempismo!^^ Coadiuvato da Isaac in questo caso….

Ok, detto ciò, mi farebbe piacere sapere che ne pensate…

E perdonate il mio egocentrismo nell’autodedicarmi la storia, ma dato che non sono riuscita a farmene scrivere una su questi due da chi volevo io, ho dovuto provvedere da me.

In ogni caso…

Ringrazio tutti quelli che hanno lasciato un commento all’altra mia shot, decisamente più tragica di questa, e a chi l’ha solo letta. E ringrazio in anticipo chi leggerà, commenterà e chi prefe-segue-ricorderà questa.

A presto^___^

 

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