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Autore: Gan_HOPE326    02/06/2007    4 recensioni
Un vecchio cammina per le strade del paese.
E' solenne, malinconico, solitario.
E veste solo di viola.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto l’ho scritto nell’ambito di un laboratorio di scrittura creativa a cui ho partecipato di recente, a Messina, e che si è ora concluso

Questo racconto l’ho scritto nell’ambito di un laboratorio di scrittura creativa a cui ho partecipato di recente, a Messina, e che si è ora concluso. Se foste interessati, l’indirizzo del blog dell’iniziativa è http://officine.splinder.com/. Il compito era quello di osservare la gente intorno a noi, scegliere qualcuno che ci colpisse e scrivere “la sua storia”, così come ce la immaginavamo. La persona di cui parlo nel racconto, quindi, esiste davvero, almeno nell’aspetto; il resto è tutto farina del mio sacco. A voi, aspetto i vostri commenti!

 

Guardatelo.

Prima ancora di lui, vedete il suo vestito. Vi scoppia negli occhi, quello strano, vistoso completo viola intenso. Giacca, pantaloni, persino un cappello a tesa larga, come quello dei gangsters degli anni ’30. Tutto viola.

Guardatelo meglio.

E’ vecchio, molto. Ottant’anni, forse più. Dalle rughe del volto emerge il becco rostrato di un’aquila. Una barba leggermente selvatica che cresce sul mento; sulle tempie giusto qualche linea di neve. Non potete dire se abbia altri capelli, perché sopra c’è quel suo largo e onnipresente cappello. Viola.

Osservatelo con discrezione, mentre cammina.

Cammina? Meglio, incede, avanza con il passo fermo e deciso di un sovrano che ispeziona il suo esercito schierato per la battaglia. Giunto all’età in cui i più chinano la testa, schiacciati dalla vita, lui tiene ancora e sempre lo sguardo alto, in avanti. Tanta dignità è sospetta, in un vecchio come tanti di un paese come tanti. E poi, quel vestito così anomalo. Un uomo così deve avere una storia strana e affascinante. Oppure è pazzo. O entrambe le cose.

Passeggia ogni giorno per le vie – si ferma qua e là, compra qualcosa. Ovunque vada, si porta addosso quella dignità, quel viola, e l’impercettibile sentore che ci sia in lui qualcosa di funereo. Pare circondato da un’ombra di lutto. E’ per questo, o forse perché il colore del suo vestito ricorda i paramenti che il prete indossa prima di Pasqua, che lo chiamano Quaresima.

Ogni giorno il vecchio Quaresima passeggia; e ogni giorno va al cimitero, non a visitare una tomba, ma solo a sedersi, su una panchina, da solo, per un’ora o poco più. Un’ora, tutti i giorni.

Forse è pazzo, o forse ha una storia. Ma, qualunque essa sia, quella storia non l’ha mai raccontata a nessuno.

 

Però io la conosco.

 

Sono passati più di sessant’anni, ormai, da allora.

C’era un campo fiorito, sulla collina. Violette, tante, tantissime, che coprivano tutta una piccola conca tra due rialzi del terreno. Si stava bene, lì dentro; c’era ombra, fresco, e una piacevole sensazione di sicurezza. Ti dava il senso di essere in un posto piccolo e nascosto agli occhi di tutti; protetto come un bambino ancora nell’utero. Il ragazzo stava sdraiato lì, in mezzo a tutto quel viola, assieme al suo migliore amico. Non avevano ancora sedici anni.

-         Hai sentito della guerra? – chiese il ragazzo.

-         Cosa?

-         Sono arrivati gli americani. Stanno cacciando i tedeschi.

-         Ah.

Scese di nuovo il silenzio. Uno di quegli assordanti silenzi mediterranei, pieni di cicale e grilli e dei loro versi.

-         Domani papà mi porta dal sarto per farmi fare un vestito. – disse il ragazzo. Era molto eccitato per questo motivo, e sperava di coinvolgere anche l’amico. – Ha detto che ormai sono grande. Che sono un uomo, e devo levarmi i calzoni corti. La mamma ha detto che ha risparmiato soldi fin da quando ero piccolo per questa occasione, così mi faranno fare il primo vestito da grande.

L’amico non rispose. Era svogliato e disattento. Guardava in alto, il cielo; poi le viole; poi di nuovo il cielo.

Era da quella mattina che si sentiva così. Strano, preoccupato.

-         Se morissi – disse poi all’improvviso – se morissi, vorrei una tomba come questa.

-         Come questa? – chiese il ragazzo senza capire.

-         Questo campo. Le violette. Non mi piace la pietra, i fiori sono molto più belli.

Il ragazzo lo guardò e lo vide serio. Pensava stesse scherzando. Era corrucciato, invece. Che strani discorsi, pensò.

-         Piantala! – gli disse. – Non parliamo di queste cose.

-         E’ molto meglio di una lapide, no? – insisté quello.

-         Piantala, ho detto. – il ragazzo si sentiva molto a disagio, aveva fretta di chiudere quella discussione. – Non mi piace parlare di queste cose. Non sono cose di cui si deve parlare.

-         Perché? – fece l’amico. Ora sorrideva e lo canzonava. – Hai paura? Ti fanno paura? Se adesso ne parliamo, dopo uno di noi morirà davvero?

-         Non si deve parlare di queste cose. – ribatté il ragazzo, testardo.

Tacquero per un po’, e il ragazzo si mise a guardare le nuvole.

Lontano, su uno dei rialzi che affiancavano la piccola valle, ci fu un rumore, una specie di schiocco. Un ramo spezzato, pensò il ragazzo. Ma poteva anche essere uno sparo. C’era sempre qualche tedesco sbandato che ronzava da quelle parti. Gente stupida e spaventata, che sparava prima di pensare.

Poteva essere uno sparo.

Probabilmente era solo un ramo spezzato.

-         Secondo te era uno sparo? – chiese all’amico.

Lui non rispose. Il ragazzo sentì un leggero tepore alla guancia destra, un liquido che scorreva.

Si voltò, e vide la testa dell’amico insanguinata. Gli occhi erano fissi. La bocca aperta a metà. Intorno, le violette oscillavano pigramente, spinte a momenti dalla brezza.

Saltò in piedi, corse via più veloce che poteva, corse da togliersi il fiato, lasciandosi dietro l’amico, una chiazza rossa in mezzo a tutto quell’immenso e travolgente viola.

 

Quella notte ci fu battaglia, sulle colline. I tedeschi si erano riorganizzati un po’ e avevano radunato qualche decina di uomini. Tesero un agguato agli americani. Ci furono tanti spari, qualche esplosione, parecchi morti, e alla fine scoppiò anche un incendio. La mattina dopo era tutto finito. Il ragazzo, all’alba, condusse un gruppo di uomini del paese sulle colline, dove il giorno prima era morto il suo amico; ma quando arrivarono, non trovarono più nulla.

Il campo di violette era bruciato nell’incendio e ancora fumava. Del corpo del suo amico rimaneva poco, e il ragazzo venne riportato subito a casa, perché non assistesse a quella misera sepoltura.

 

Con tutto quello che era successo, dal sarto il ragazzo ci venne portato solo qualche giorno dopo. E nonostante le molte proteste del padre e lo stupore dell’artigiano si impuntò, pretese e alla fine ottenne che il suo abito fosse tutto viola. Quando quell’abito si logorò e venne gettato via, anni dopo, se ne fece rifare un altro dello stesso colore. E così, dentro quell’abito, sempre diverso e sempre lo stesso, il ragazzo diventò uomo, diventò vecchio, diventò Quaresima.

 

Finito il suo piccolo rito quotidiano, il vecchio Quaresima si alza ed esce dal cimitero.

Non ricordo più il suo vero nome.

Non ricordo più nemmeno il mio, ormai.

Sono passati tanti anni…

Si dice spesso che nessuno muore veramente finché c’è qualcuno che ne porta dentro di sé il ricordo. Quaresima questa massima l’ha presa alla lettera. Coprendosi per una vita intera del colore di quel campo fiorito bruciato tanto tempo fa ha fatto di stesso la tomba, altrimenti perduta, del suo amico – la mia tomba. Gliene sono grato, davvero. In qualche modo mi ha tenuto ancora qui, presente in questo mondo. Mi ha fatto esistere ancora per un po’.

Ma la memoria non dura per sempre. Questa storia la conosciamo solo io e lui, e lui la sta dimenticando. Ogni giorno la ricorda un po’ diversa. Qualche volta lo assale il dubbio che forse non sia mai successo, che quei ricordi siano solo un’ombra creata dalla sua mente, brutti scherzi giocati dall’arteriosclerosi, sintomi di una strana e triste follia. Ogni giorno Quaresima mi dimentica un po’ di più, e io esisto un po’ di meno. Non glie ne voglio, per carità; ha fatto davvero tanto, davvero troppo, per me. Un giorno si alzerà dalla panchina, si incamminerà e non tornerà più. Quel giorno io sparirò. Quella poca e rarefatta coscienza che mi rimane si dissolverà, tremolando un po’ come aria calda in una giornata di sole, e l’ultima cosa che vedrò sarà il vecchio Quaresima: la sua camminata impettita, il suo profilo fiero, il suo impossibile vestito viola.

  
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