«Il
fatto che mio padre sia il Presidente degli Stati Uniti d'America non
mi può impedire di vivere una vita come
tutti i miei
coetanei, okay? - urlai – Non voglio rimanere segregata qui
come
una carcerata, ho bisogno di uscire e..»
«Basta così, Georgie»
sibilò mamma, puntandomi addosso i suoi occhi blu scuro.
«Sei
la Principessa d'America, non sei come i tuoi coetanei,
perché non
riesci a capirlo? - gridò papà, battendo il pugno
sulla scrivania
in legno che scricchiolò leggermente – Sei
diversa, hai un futuro
certamente migliore del loro.. sei fortunata, Georgina»
«Sai che
odio essere chiamata così - urlai di rimando – Il
punto è che non
voglio esserlo, non voglio»
«Georgina Marie Parker, devo
lavorare – fece con tono fermo, tornando a sedere sulla
poltroncina
dietro la scrivania – Uscite e lasciatemi lavorare, per
favore»
Mamma guardò me e poi papà, poi
abbassò lo sguardo e
con un cenno del capo si allontanò sgattaiolando fuori dallo
studio;
la seguii.
«Georgie»
Mi girai piano, incrociando speranzosa
lo sguardo col suo.
«Quando esci chiudi la porta»
«Va' al
diavolo» borbottai, correndo via. Avevo bisogno di chiamare i
miei
amici.
«M-a-g-l-i-o-n-e,
dieci punti più altri venti per il bonus delle otto lettere
per un
totale di trenta punti – abbozzai un sorriso, posizionando in
verticale le pedine sul tabellone di carta – Allora, vi
arrendete?»
I due ragazzi sbuffarono in coro, lanciandosi
un'occhiata fugace. «Mai» ridacchiò
Susan, spostando con un colpo
secco la chioma giallo-ocra su una sola spalla.
Luke rigirò le
sue lettere tra le mani, guardandole affranto.
«Passo»
borbottò.
«Non si può, Lu –
sospirò Susan, gonfiandosi le
guance – Ci rinuncio» tirò le pedine sul
tavolo, si mise in piedi
e si diresse verso la cucina.
«Prendimi una Coca - la richiamai,
piegando il tabellone dello Scarabeo e infilandolo pigramente nella
libreria tra un volume e l'altro – E una fetta di pizza, nel
microonde»
«Sissignora – scherzò – Tu che
vuoi, Lu?»
«Birra
- rispose lui, chinandosi per allacciarsi le scarpe, il modello nuovo
delle Nike costatogli metà del suo già misero
stipendio lavorativo
– E biscotti»
«Sapete, ieri – si interruppe un attimo lei,
per poi posare due lattine di birra e una di Coca sul tavolino alla
nostra destra – Ho letto una cosa su Internet, su quei siti
strani
di chiromanti e gente del genere. Bè, c'era scritto un modo
per
scambiarsi di corpo con qualcun'altro. Non è
fantastico?»
«Sei
ubriaca ancor prima di bere, Susan – dissi, aggrottando le
sopracciglia – Questa era bella però,
complimenti»
Sospirò,
alzando gli occhi al cielo. «Proviamoci, che ti costa?
Esprimeremo
il desiderio esattamente nello stesso istante, così ci
scambieremo
noi due di corpo. Non sarebbe figo? Insomma, tu non vuoi più
essere
la Principessina d'America, o sbaglio?»
Mi irriggidii; questo era
vero, ma era logicamente impossibile scambiarsi di corpo, o la
scienza ne sarebbe stata già a conoscenza da un bel pezzo.
«Andiamo,
Susan..»
«Non dobbiamo comprare nulla, dobbiamo soltanto
accendere una candelina e soffiarci sopra contemporaneamente pensando
al nostro desiderio. Se non funzionerà pazienza, ma
quantomeno ci
abbiamo provato e possiamo confermare che sono solo balle.
Allora?»
La fissai, mordendomi ripetutamente il labbro
inferiore. «Lo faccio solo per farti contenta»
sospirai,
sgattaiolando in cucina e frugando tra i cassetti. Trovai la candela
mozzata del mio sedicesimo compleanno, feci scattare l'accendino e
una piccola fiamma guizzò sulla cera. Mi avvicinai a Susan
– che
mi fissava eccitata – avvicinandole la
candela.
«Tre..»
«Due..»
«..uno»
Chiusi gli occhi,
mi concentrai: non voglio più essere Georgina
Marie Parker, non
voglio più essere la Principessina d'America..
Aprii
gli occhi; Susan mi si presentò di fronte, una smorfia di
disgusto
stampata sulle labbra.
«Susan, hai espresso il desiderio? -
sibilai, fissandomi attorno - Susan? Susan, tu hai.. tu hai
starnutito?»
Passò una mano sulla fronte imperlata di sudore.
«Georgie, mi dispiace, non sono riuscita a trattenermi..
però ho
pensato al desiderio, credo..»
Peccato che, nello stesso istante
– e nanosecondo – un ragazzo dall'altra parte del
mondo, un
inglese in particolare, una superstar, stesse esprimendo il mio
stesso desiderio.
Sentii una fitta allo stomaco; socchiusi gli
occhi e una folata di vento mi schiaffò a terra. E quando
riaprii
gli occhi, mi si presentò davanti un volto maschile molto
familiare,
incorniciato da una massa informe di ricci castani, che mi fissava di
sbieco con sguardo incerto.
«Lou? - disse, alitandomi sul viso –
Che cavolo ti è successo?»
«Chi è quest.. - mi bloccai
all'istante; quella non era la mia voce, quella era una voce
più calda e melodiosa. E poi capii – Oddio, non
è possibile»
Mi
alzai di scatto, tirando uno spintone al
ragazzo che
precipitò
rovinosamente sul letto. Uno specchio, avevo bisogno di uno specchio;
frugai tra i primi cassetti che mi capitarono a tiro, pur non sapendo
bene cosa stessi facendo. Ne trovai uno dalla cornice dorata, lo
alzai con mano tremante fino a raggiungere il mio – solo
apparentemente – viso. Spalancai gli occhi.
«Non è possibile –
balbettai, lanciando lo specchietto sul pavimento – Sono
Louis,
Louis Tomlinson dei One Direction»
-
Hi, we're One Direction! (?)
Non chiedetemi perché abbia pubblicato questo capitolo nonostante abbia ancora una ff in corso e da aggiornare; avevo questa idea da tanto e non ho saputo resistere LOL
Sarò breve: fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va e avete tempo! (?)
E grazie per essere arrivati qui. ♥