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Autore: The Black Dahlia    19/11/2012    3 recensioni
Dal prologo "Gods Of Thunder"
Mi ero trasferito in quel tecnologico grattacielo nel centro di Los Angeles solo da qualche mese, e facevo fatica ad abituarmi alla mia nuova vita da scapolo: mi mancava la mia casa in periferia, il mio giardino, mi mancava sentire mia figlia correre felice per la sala sporca di macchie di colore fin sopra i capelli. Il mio matrimonio era finito, ma non me ne rammaricavo troppo. Le storie d'amore sono imprevedibili, alcune sono destinate a durare per sempre e altre a finire, e la mia era finita per mille motivi. Era solo per sfuggire alla solitudine dentro la quale finivo inevitabilmente per rifugiarmi quando avevo qualche problema che avevo scelto un appartamento al trentesimo piano di quel condominio di ultima generazione: gli appartamenti erano super lusso e i proprietari erano persone che cercavano calma e discrezione quanto me, quindi nessuno sembrava dare troppo peso al fatto che una celebrità del mio calibro vi si fosse trasferita. Le porte dell'ascensore mi si aprirono davanti e vi entrai premendo prontamente il numero trenta sul pannello di comando, ma non si chiusero.
“Aspetta! Aspetta! Aspetta!” - sentii alla mie spalle.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A TheGhostOfYou.
Perchè bastano due sue parole per farmi tornare la voglia di scrivere.


- Six Months Off For Bad Behaviour -

Prologo – God of Thunder

“God of Thunder and Rock n Roll
The Spell You're Under
Will Slowly Rob You of Your Virgin Soul”
Kiss – God Of Thunder


Ho sempre odiato la pioggia e ho sempre odiato i fulmini. Avevo come l'impressione di avere una lunghissima antenna di metallo sopra la testa e ad ogni temporale i tuoni e i lampi avevano il potere di farmi raggelare il sangue nelle vene. Si, non avevo mai rilevato a nessuno questo mio timore, ma come avrei potuto senza sentirmi ridere dietro?
Affrettai il passo ma non troppo, cercando di evitare le pozzanghere che si erano formate a causa di quel temporale violento, troppo strano anche per l'inverno californiano. Raggiunsi l'androne del palazzo nel quale mi ero trasferito da pochi mesi e vi entrai, lasciando dietro di me una scia d'acqua considerevole. Ero bagnato come un pulcino fin dentro le mutande, e il portiere mi scoccò un'occhiata sconsolata al pensiero di dover asciugare quel disastro. Lo salutai distrattamente e mi diressi verso l'ascensore. Mi ero trasferito in quel tecnologico grattacielo nel centro di Los Angeles solo da qualche mese, e facevo fatica ad abituarmi alla mia nuova vita da scapolo: mi mancava la mia casa in periferia, il mio giardino, mi mancava sentire mia figlia correre felice per la sala sporca di macchie di colore fin sopra i capelli. Il mio matrimonio era finito, ma non me ne rammaricavo troppo. Le storie d'amore sono imprevedibili, alcune sono destinate a durare per sempre e altre a finire, e la mia era finita per mille motivi. Era solo per sfuggire alla solitudine dentro la quale finivo inevitabilmente per rifugiarmi quando avevo qualche problema che avevo scelto un appartamento al trentesimo piano di quel condominio di ultima generazione: gli appartamenti erano super lusso e i proprietari erano persone che cercavano calma e discrezione quanto me, quindi nessuno sembrava dare troppo peso al fatto che una celebrità del mio calibro vi si fosse trasferita. Le porte dell'ascensore mi si aprirono davanti  e vi entrai premendo prontamente il numero trenta sul pannello di comando, ma non si chiusero.
- “Aspetta! Aspetta! Aspetta!” - sentii alla mie spalle. Le porte si riaprirono e una ragazza altrettanto fradicia si tuffò all'interno con una tale irruenza che fui costretto a schiacciarmi contro le pareti metalliche.
- “A che piano vai?” - chiesi cercando di essere cortese.
- “Al trentesimo!” -. Era affannata.
“Bene, anche io!” - le risposi cercando di sorriderle  alla buffa coincidenza, ma lei non mi degnò di una risposta, e così decisi di ignorarla.
 O almeno ci provai. Non appena l'ascensore iniziò la sua lunga salita la pesante cartella in pelle marrone che la ragazza portava sotto braccio cadde rovesciando tutto il suo contenuto sul pavimento.
- “Accidenti ma perchè capitano sempre tutte a me?” - la sentii imprecare a bassa voce.
Mi chinai offrendole il mio aiuto e in quell'istante una forte scossa colpì l'ascensore, facendo risuonare al suo interno un rombo inquietante. Le luci si spensero e avvertii la totale immobilità del montacarichi. Un guasto, forse causato dal maltempo. Nuovamente il sangue mi si gelò delle vene al pensiero di ciò stava accadendo: oltre alla fobia per i fulmini l'idea di rimanere bloccato all'interno di uno spazio ridotto, al buio, e chissà per quanto tempo era un'altra cosa che aveva il potere di spaventarmi a morte.
- “Cosa è stato?” -  chiese la ragazza senza riuscire a trattenere l'angoscia dalla sua voce.
- “Sembrerebbe un guasto!” - mi limitai a constatare.
- “Si, c'ero arrivata! Ma cosa è successo? Non vedo niente!!!” - ribattè scontrosa: percepivo il rumore della sua mano tastare il pavimento.  
- “Come posso saperlo? Sono chiuso qui dentro esattamente come te!” - L'ansia si stava impadronendo di me.
- “Non trattarmi male!” - piagnucolò appena - “Io soffro di crisi d'ansia e se mi tratti male sto ancora peggio!” -
- “Ma se hai iniziato tu!” -
- “Si ma io non l'ho fatto di...” -
In quel momento l'interfono dell'ascensore squillò e una voce metallica, apparentemente appartenente ad una donna, risuonò all'interno di quella buia trappola di metallo nella quale mi trovavo.
- “Buonasera, qui è la ditta di assistenza. Il portiere del palazzo ha segnalato il guasto dell'ascensore con due persone all'interno. Potete confermare?” -
- “Si! Siamo in due e l'ascensore è fermo e siamo completamente al buio. Non so neanche a quale piano ci troviamo!” - risposi rivolgendo la testa verso il punto dal quale mi sembrava arrivasse quella voce sconosciuta.
- “Mantenete la calma. Manderemo una squadra al più presto. Purtroppo la zona di Los Angeles in cui vi trovate è vittima di un black out piuttosto esteso a causa della tempesta e dei fulmini che stanno cadendo sui palazzi più alti. Ma siete al sicuro, i dispositivi di sicurezza sono funzionanti e non dovete temere nulla. C'è qualcosa che posso fare per voi?” -
- “Quanto saremo costretti ad aspettare?” - urlò la ragazza al mio fianco. Stava cedendo al panico e sentivo il suo respiro diventare sempre più accelerato.
- “Signorina la prego si calmi” - gracchiò la voce all'interfono - “Non posso dirle quanto tempo ci vorrà ma se sta male posso sollecitare la squadra ad operare nel più breve tempo possibile” -
La ragazza non disse nulla e congedai l'assistenza dell'ascendore.
- “Stai bene?” - chiesi allungando una mano al buio.
- “Come posso stare bene? Il mio lavoro è sparso sul pavimento e se si rovina sono fregata. Non vedo nulla, ho paura del buio, ho paura degli spazi chiusi, degli spazi piccoli e degli sconosciuti e sono chiusa al buio, in uno spazio chiuso e minuscolo in compagnia di uno sconosciuto! Come pensi che stia?” -
Mi venne da sorridere: se mi fossi trovato in quella situazione da solo di sicuro avrei reagito come lei, ma in quelle circostanze era diverso. Potevo occuparmi di qualcuno che stava peggio di me, il che mi impediva di pensare alle mie paure.
- “Posso porre rimedio solo ad una delle tue paure al momento. Io mi chiamo Gerard” -
- “Coraline, piacere” -
- “Bene, Coraline, adesso non siamo più estranei” -
- “Bastasse solo il nome per dire di conoscere una persona...” - mormorò.
A quanto pare Coraline aveva più fobie di me, ed era anche più pessimista. Difficile trovare qualcuno più pessimista di me, ma a quanto pare l'avevo appena trovato. La sua risposta mi spiazzò e non trovai nient'altro da dire per cercare di calmarla. Rimasi in silenzio per qualche secondo, ma fu lei a rompere il silenzio per prima.
- “Sei il nuovo inquilino del trentesimo piano?” -
- “Si, mi sono trasferito qui da poco” -
- “Siamo dirimpettai. Ti piace il palazzo?” -
- “E' tranquillo, discreto e al centro di Los Angeles. Per il momento mi piace” -
- “Se mio padre avesse comprato un appartamento ai piani bassi non avrei mai preso l'ascensore. Lo sai che l'attico all'ultimo piano  non ha una porta d'ingresso? Vi si accede digitando un codice sulla tastiera numerica e le porte dell'ascensore si aprono direttamente dentro casa” - Avevo come l'impressione che stesse parlando per cercare di tenere sotto controllo il nervosismo, ma nonostante il suo tentativo potevo comunque percepire l'ansia nelle sue parole. Decisi però di stare al gioco.
- “No, non lo sapevo. Non credo mi piacerebbe. E se succedesse qualcosa come uscirei di casa?” - domandai.
- “Esatto. E' quello che ho detto a mio padre quando mi ha comprato questa casa. Voleva prendere l'attico ma io mi sono opposta. Il trentesimo piano è stato un compromesso. Mia sorella non ha gradito e non mi ha parlato per un mese” -
- “Vivi qui con tua sorella quindi?” -
- “Purtroppo si. Tu invece?” -
- “Io sono solo. Sono qui da poche settimane” -
- “Non mi ero neanche accorta che vivesse qualcuno nell'appartamento davanti al mio” - disse più a se stessa che a me.
- “Se ti può consolare neanche io. Pensavo fossi l'unico a vivere al trentesimo” -
Coraline non mi rispose, forse aveva esaurito gli argomenti di discussione. Sentii un rumore e intuii che si era lasciata scivolare sul pavimento dell'ascensore. Nel silenzio si potevano udire gli strani cigolii dell'elevatore e, in lontananza, l'infuriare della tempesta sopra i cieli di Los Angeles. Mi chiesi quanto tempo sarei dovuto rimanere chiuso nell'ascensore in attesa dei soccorsi o che la corrente elettrica venisse riallacciata.
- “Secondo te quanto tempo ci vorrà?” - le chiesi.
- “Non lo so, dipende da quanto è esteso il black out e dalla priorità che hanno dato al nostro incidente” -. Improvvisamente la sua risposta mi sembrò incredibilmente lucida, al contrario di tutto ciò che aveva detto fino a quel momento, e per questo le domandai se si sentisse bene.
- “Sto contando fino a mille cercando di ricordarmi come funziona un ascensore per non cedere al panico. Anche se potrei scoppiare a piangere da un momento all'altro” -
- “Sai più o meno lo so come funziona un ascensore, anche se non nei dettagli...” - dissi. Non era una cima in tecnologia, ma il suo funzionamento era abbastanza elementare e avrei potuto cavarmela alla grande.
- “Oh, è una sciocchezza: dipende tutto dalla cabina di controllo. Quando schiacci il pulsante il quadro elettrico e il motore collegato a delle funi trasmettono il movimento alla cabina: il motore aziona una puleggia che avvolge il cavo facendo salire e scendere l'ascensore mentre un contrappeso va ad equilibrare il peso della cabina agevolando la corsa. Più o meno...” -
Rimasi senza parole e se ci fosse stata luce Coraline avrebbe potuto vedere l'espressione di sorpresa che mi spuntò il volto. Io non avrei di certo saputo spiegare bene quanto lei il funzionamento dell'ascensore.
- “Io non avrei saputo spiegarmi così bene” - ammisi.
- “Mio padre è ingegnere aerospaziale e sperava che seguissi le sue orme, da bambina invece che regalarmi bambole e cose del genere mi regalava modellini in scala di aerei, razzi, macchine, ascensori e altre cose, perfettamente funzionanti. Di conseguenza ho una certa esperienza in questo campo” -
Ero senza parole. Quale padre avrebbe regalato a sua figlia cose simili? Poi pensai a Bandit e alle mille chitarre di tutte le misure che le avevo regalato fin dalla sua nascita e capii di non essere così diverso dal padre di Coraline.
- “E hai seguito le sue orme? Ti occupi di ingegneria aerospaziale?” -
- “No, studio fisica sperimentale all'Università di Los Angeles e quei fogli che sono sparsi per terra sono i risultati dell'esperimento che ho condotto negli ultimi mesi. E' la mia tesi di laurea e devo consegnarla entro domani mattina” -
Fisica sperimentale?
- “Ma scusa, quanti anni hai?” - le chiesi?
- “Ventisei” -
- “Beh, complimenti. Solo le parole “fisica sperimentale” mi fanno pensare a qualcosa di estremamente complicato” -
La sentii ridacchiare. - “In parte. Tu invece di cosa ti occupi?” -
Fino a quel momento non avevo compreso una cosa importante: Coraline non aveva la benché minima idea di chi fossi, e alla luce dello strano corso di studi che frequentava non me ne stupii. Non so per quale motivo non le dissi la verità, ma ancora oggi penso che fosse per la paura di perdere il primo contatto umano disinteressato e non inflazionato dalla mia popolarità che avevo dopo molti anni.
- “Oh, niente di che. Io disegno fumetti per una casa editrice di fumetti indipendente” -
“Deve essere un lavoro ben retribuito se puoi permetterti un appartamento qui, in questo palazzo” -
Rimasi spiazzato dalla sua affermazione e onde evitare di tradirmi mi limitai a rispondere vagamente: - “Si, abbastanza!” -.
Qualche secondo dopo la luce tornò. Strabuzzai gli occhi per qualche istante per abituarmi alle forti luci al neon e sentii Coraline tirare un profondo sospiro di sollievo. Abbassai lo sguardo e per la prima volta la vidi: quando entrò nell'ascensore, appena venti minuti prima, non mi soffermai sul suo aspetto e quello che ebbi modo di vedere chissà per quale motivo non mi stupì. Era una ragazza comune, con lunghi capelli a metà tra il biondo e il castano, e naso alla francese sopra il quale facevano bella mostra di sé un paio di grandi occhiali da vista con montatura nera e quadrata. In poche parole, non era la classica ragazza che quando incontri ti faceva girare la testa. Tutt'altro: passava totalmente inosservata.
Mentre Coraline cercava ancora di mettere in ordine i fogli sparsi sul pavimento dell'ascensore si voltò a guardarmi e mi tese la mano, come si fa in genere per presentarsi. Le tesi la mia e le sorrisi.
- “Coraline” - mi disse sorridendo.
- “Gerard” - le dissi.
- “Adesso sei meno sconosciuto” - sentenziò tranquilla. Non so se la sua improvvisa quiete fosse dovuta al ritorno della luce, ma mi piacque pensare che fosse un po' anche merito mio.
Non feci in tempo ad aggiungere nient'altro che di nuovo nell'ascensore irruppe la voce metallica dell'assistenza.
- “Abbiamo ripristinato la luce, tra poco l'ascensore dovrebbe essere in grado di riprendere la risalita. Siete fermi al piano venticinque” -
- “Grazie, ma non appena si apriranno le porte credo che continuerò la mia risalita a piedi” - commentò acidamente Coraline verso l'altoparlante.
- “Non è colpa loro” - le dissi a voce bassa.
- “Lo so, ma voglio uscire da questa scatola maledetta nel più breve tempo possibile. Sono bagnata fradicia, ho delle pozzanghere dentro le scarpe e inizio ad avere i brividi di freddo” -
Gia'. Anche io ero zuppo di pioggia e me ne ricordai in quell'istante; inoltre l'idea di fare i rimanenti cinque piani a piedi non mi pesava affatto. Volevo anche io fuggire dall'ascensore. Rimanemmo in attesa qualche altro minuto, che Coraline impiegò nel cercare di rimettere insieme tutti i fogli che le erano caduti dalla valigetta in pelle, ma più andava avanti e più sembrava farsi prendere dallo sconforto. Infatti alcune parti dei fogli riportavano le orme delle nostre scarpe ed erano praticamente illeggibili.
- “Non riuscirò mai a stampare nuovamente tutto quanto entro domattina!” - disse sconsolata mentre le porte dell'ascensore cominciarono ad aprirsi lentamente. - “Blocca le porte!” - aggiunse con apprensione.
Mi affrettai a premere il pulsante apposito e a posizionarmi sulle fotocellule delle porte: ormai per quel giorno la mia fiducia nella tecnologia si era esaurita definitivamente. Io e Coraline iniziammo a salire le scale fino al trentesimo piano in silenzio, ascoltando lo strano rumore delle nostre scarpe bagnate sul pavimento in pietra.
- “Non vedo l'ora di mettermi qualcosa di asciutto addosso” - sospirai.
- “E di bere qualcosa di caldo” - aggiunse lei.
- “E di sedermi sul divano” -
- “E di dormire per otto ore di fila” -
Cercai le chiavi del mio appartamento nella tasca del giubbotto in pelle che indossavo e quando arrivammo sul nostro pianerottolo pensai a qualcosa da dirle per salutarla.
- “Beh... allora, buonanotte!” -  le dissi pensando immediatamente di essere uno stupido per non aver trovato nulla di più intelligente per congedarmi.
- “Buonanotte anche a te!” - mi rispose.
Accennai un sorriso impacciato e senza aggiungere altro mi diressi verso la mia porta. Perchè avevo l'impressione di essere un perfetto idiota?
- “Gerard...” - sentii dire alle mie spalle.
- “Si?” -
Quando mi voltai Coraline era sulla soglia del suo appartamento e mi guardava con una strana espressione sul volto.
- “Volevo dirti grazie. Se non ci fossi stato tu nell'ascensore con me avrei di certo dato in escandescenza e quelli dell'assistenza avrebbero dovuto chiamare il 911 e i vigili del fuoco per tirarmi fuori” -
Mi venne da sorridere: il pensiero di esserle stato d'aiuto mi fece incredibilmente piacere.
- “Figurati. Non mi devi ringraziare. Se non fosse stato per questo piccolo incidente avrei continuato a credere di essere l'unico inquilino del trentesimo piano per chissà quanto tempo. E' stato un piacere conoscerti Coraline” -
- “Piacere mio Gerard. Buonanotte” -
E con un lieve click sentii la sua porta chiudersi davanti ai miei occhi.
Entrai a casa, e nonostante mi sentissi esausto per gli avvenimenti dell'ultima ora, stavo sorridendo.
Perchè sorridi Gerard?”, mi chiesi mentre mi dirigevo in cucina per prepararmi una tazza di caffè.


***

Non ci credo neanche io ma eccomi qua, con una nuova storia nel fandom dei My Chemical Romance. Le mie idee sono ancora un po' confuse ma pensare di aver iniziato questa nuova avventura mi rende felice.
Le mie parole a questo punto sono superflue, spero solo che questo prologo vi sia piaciuto e che leggiate questa mia storia con lo stesso entusiasmo con il quale io la scrivo.
Come sempre, vi ricordo la mia pagina Facebook, che potete raggiungere cliccando semplicemente --> QUI <--
Un abbraccio, Dahlia


   
 
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