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Autore: Mattie Leland    19/11/2012    0 recensioni
Alzò le manine e le osservò controluce.
I raggi del sole sferzarono le nuvole e si intrufolarono fra le sue dita, arrivando agli occhi viola.
< Russia > lo disse con un altro suono; suonò come Russìya e decise che andava bene così < è questo il mio nome. E la mia casa. >
Sorrise, primi di iniziare a sentire il gelo sulla pelle.
Si chiese se ci fosse qualcuno lì, a condividere quell’enorme casa con lui. Qualcuno che calpestasse con lui quel terreno ghiacciato, che gli tenesse la mano e lo esplorasse al suo fianco.
Non video nessuno, solo un cielo infinito.

[FF seconda classificata al Hetalia: Axis Powers' Contest - About History indetto da Rota]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cina/Yao Wang, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Slavsia rus

*Autore: Mattie Leland

*Personaggi: Ivan Braginski (Russia), Yao Wang (Cina). Piccolo cameo di Lituania.

*Pair : RuChina

*Numero capitoli: 1 + Epilogo

*Generi: Storico, introspettivo, sentimentale

*Avvertimenti : Shonen Ai

*Rating : Giallo

*Numero parole : 5.043 per il primo capitolo 699 l’epilogo.

*Note dell'autore: Ho deciso di narrare un po’ la storia di Russia attraverso dei flash back, in modo da non rendere la FF troppo pesante.

Il simbolo * separa i flash back dal tempo presente.

*Note storiche: A piè di pagina.

 

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Slav’sia Rus’

Славься Русь


Nacque spuntando dalla terra gelida, dopo che qualcuno ebbe deciso di dargli un nome.
Le manine bianche tastarono il terriccio umido e scuro, e subito dopo lo artigliarono; le dita sprofondarono un poco.
Si issò, emergendo come una sirena dal mare

Cos’è una sirena? Cos’è il mare?

e ispirò profondamente. L’aria fredda gli penetrò i polmoni, bruciante, e il bimbo quasi si pentì di aver respirato.
I capelli grigi e fini erano sporchi di terra e foglie, il viso arrossato ed anch’esso sporco. Non si poteva certo pretendere la perfezione da un bambino appena nato.
Si mise in piedi, dando le spalle al suolo che lo aveva generato.
Ci mise un po’ a mettere tutto a fuoco, ad abituarsi alla luce bianca di quel posto.
E poi la vide.
Una distesa di infinite pianure gelate ma tuttavia imponenti, una cintura di montagne enormi, spolverate di bianco, che sembravano essere state dipinte sul cielo. Tutto qui, tutto taceva. Quella era casa sua.
Alzò le manine e le osservò controluce.
I raggi del sole sferzarono le nuvole e si intrufolarono fra le sue dita, arrivando agli occhi viola.

< Russia > lo disse con un altro suono; suonò come Russìya e decise che andava bene così < è questo il mio nome. E la mia casa. >

Sorrise, primi di iniziare a sentire il gelo sulla pelle.
Si chiese se ci fosse qualcuno lì, a condividere quell’enorme casa con lui. Qualcuno che calpestasse con lui quel terreno ghiacciato, che gli tenesse la mano e lo esplorasse al suo fianco.
Non video nessuno, solo un cielo infinito.

 

*

 
Lo scoppiettio del fuoco risuonò nell’enorme salotto. Era rilassante e piacevole, un suon caldo come la sua fonte, che donava ad Ivan pace e serenità.
Quest’ultimo era proprio di fianco al caminetto; il suo viso pallido e ovale era illuminato per metà, come se indossasse una maschera da teatro fatta di luce.
Anche il suo sorriso sembrava quello di una maschera. Immobile, definito, imperscrutabile.

< A-ah… >

< Shhhh. >

Quel suono fastidioso smise, bastò stringere un poco più forte.
Si guardò attorno, beandosi della pace che regnava in quella stanza, che quel giorno non era fredda e spaventosa come al solito. I muri non parevano mostri enormi che gli si stringevano addosso per divorarlo, le finestre non erano delle gelide bocche dentate, e la luce del fuoco non si perdeva in un’oscurità soffocante.
No;  le pareti erano semplici pareti, le finestre non avevano denti, ma solo qualche stalattite di ghiaccio attaccata, ed il fuoco era caldo e vivo, non una fiammella insignificante che veniva soppressa dal buio.

< L-lascia… mi, perf... >

Il suo sguardo tornò sul ragazzo sotto di lui. Il suo viso era rosso, gli occhi lucidi e socchiusi e teneva entrambe le mani avvinghiate al polso di Ivan, nel tentativo di allontanare la sua mano guantata dalla gola.
Russia lo guardò per qualche secondo, per poi sorridergli dolcemente.
Gli posò un dito sulle labbra, facendo apparire quel momento brutale come qualcosa di tenero.

< Shhh. >

Lo zittì come si fa con un bambino piccolo o con un amante durante un momento intimo.
Cina smise di muoversi e di cercare di parlare; i suoi occhi si fecero più grandi, le pupille si allargarono, come se volessero cercare di inghiottire l’immagine di Ivan. Stava cercando di parlargli attraverso gli occhi.

< Starai buono, da? >

Macchie colorate iniziarono a danzargli davanti alle iridi marroni, sentiva la gola e la testa pulsargli… fu per evitare di smettere del tutto di respirare che annuì leggermente.
La presa di Russia si allentò leggermente, permettendo all’ossigeno e al sangue di ricominciare a viaggiare per il corpo di Yao.
Il cinese si rilassò quasi involontariamente sul pavimento, facendo profondi respiri e portandosi una mano sul petto, come se volesse accertarsi del proprio cuore che batteva.
Ivan osservava il tutto senza cancellare dal proprio viso quel sorriso dolce e bambinesco, e per un attimo parve tirarsi all’indietro, come per allontanarsi da Cina, ma tutto ciò che fece fu mettersi comodamente a cavalcioni su di lui, schiacciandogli lo stomaco all’improvviso.

< Buah! >

Alle orecchie di Russia quel verso suonò buffo, e fu quasi tentato di alzarsi e atterrare di nuovo sulla pancia di Yao, ma la cosa gli passò di mente quando vide la mano si quest’ultimo allungarsi velocemente e afferrargli la sciarpa.
Cina ansimava (forse per il dolore o perché non respirava bene) e gli occhi gli lacrimavano; probabilmente stava cercando di issarsi o di far togliere Ivan da sopra di lui, ma al russo non interessava.
Il suo sguardo si assottigliò e a Yao sembrò di essere ferito da una lama gelida; Ivan gli schiaffeggiò violentemente la mano, dopo di che si esibì in un materno segno di negazione con l’indice.

< Ah, ah, ah, nie trogaj mienya. >

Yao strinse i denti, facendosi quasi male, e ringhiò contro Ivan come una cane maltrattato.
Per tutta risposta, Russia si chinò su di lui e gli prese il viso tra le mani per poi farlo voltare violentemente verso il camino. Nelle iridi marrone scuro di Cina si specchiarono le fiamme calde e danzanti: Ivan guardava nella sua stessa direzione, con aria sognante e… sì, quasi adorante.

< Non è bellissimo? >

In quel momento Yao non seppe dire se Russia stesse parlando a lui o al fuoco.

 

*

Gli piaceva correre, gli scaldava il corpo.
Casa sua era spaziosa, immensa, poteva fare tutto quello che voleva lì. A volte si metteva a correre e perdeva la cognizione del tempo; le manine e i piedi gli si gelavano, perché l’aria invernale li investiva, ma lui poco se ne curava.
Era in uno di quei suoi momenti di gioco che aveva incontrato Lituania.
Era la prima volta che vedeva qualcun altro come lui, e non gli aveva più tolto gli occhi di dosso. Vedendolo addentrarsi in casa sua, l’aveva spiato, scrutato, come se stesse osservando un animale raro.
Lituania era diverso da lui. I capelli erano castani, gli occhi verdi, il viso più piccolo così come la statura.
Ad un certo punto era spuntato fuori dal suo nascondiglio e gli aveva dato un leggero spintone, facendo urlare il povero Lituania per lo spavento. Ma Russia non si era curato dell’urlo, affatto.

< Priviet! Kak vass savùt? >

< Eh? L-laba diena. >

< Uh? Shto? >

L’altro sembrò in difficoltà; tremava, ed il sole pallido nel cielo non riusciva ad arrivare al suo viso per via del corpo di Russia che gli stava di fronte.
Iniziò a farfugliare parole che Russia non riusciva a capire, e quando vide che quel bimbo così alto si stava irritando, provò a parlargli in quella che tra le varie terre di quel mondo veniva riconosciuta come lingua universale.

< I-io non parlo la tua lingua. Mi chiamo Lituania. >

Il volto di Russia si distese in un sorriso che in un primo momenti Lituania trovò addirittura rassicurante.

< Oh, capisco. Non ho mai sentito parlare di te. Io sono il signor Russia. >

< S-signor Russia? >

< Da. Qualcosa non va? >

Ovviamente no. Lituania scosse subito la testa, accettando così tacitamente di chiamarlo Signor Russia, nonostante quel bambino così alto non potesse essere, in termini d’età, molto più grande di lui.
D’improvviso il bimbo dai capelli bianchi lo prese per mano ed iniziò a trascinarlo con sé come un sacchetto.

< Andiamo a giocare ora. >

Lituania non osò replicare. C’era qualcosa di strano in Russia, qualcosa che non andava. Era come se non si rendesse conto di avere davanti agli occhi un altro essere vivente… come se fosse rimasto solo troppo a lungo per poterne riconoscere uno.

 

*

 
Gli occhi stavano iniziando a lacrimargli. Il calore del fuoco sembrava crescere man mano che Cina lo fissava; cercò di muovere la testa, di spostarsi, ma le grandi mani di Ivan lo tenevano bloccato.
Chiuse gli occhi stanchi, due lacrime sgorgarono involontariamente.

< Lasciami andare. >

Fece sì che suonasse come un ordine. Si sentiva accaldato in viso, e probabilmente aveva anche la fronte e le guance rosse.

< Niet, niet  > si accasciò su di lui, mozzandogli per un attimo il respiro; i suoi capelli chiari gli sfioravano il collo, la sua testa era poggiata sul petto di Cina che faticava ad alzarsi e abbassarsi normalmente < resta qui ancora un po’. >

Le sue mani si spostarono dal viso del cinese verso il suo collo e le dita ne sfiorarono i lati, come per far intendere a Yao che se non avesse acconsentito, avrebbe avuto nuovamente molte difficoltà a respirare.
Non era una cosa che Russia fece di proposito o con criterio in realtà. Gli venne naturale, forse perché sapeva fin dal profondo che chiedere semplicemente di restare non avrebbe avuto alcun effetto su Yao. Oltretutto, Cina aveva le mani libere; non tenerlo “sotto controllo” sarebbe stato sciocco.

< Che cosa vuoi? >

Ivan fu sicuro che quelle parole furono pronunciate solo per irritarlo, ma non se ne curò più di tanto. Forse Yao stava cercando di fargli perdere la calma, di farlo andare via, ma lui non si sentiva in collera. Le sensazioni che provava erano un po’ strane, confuse, e non era sicuro al cento per cento di ciò che sentiva e pensava… neanche di quello che voleva.
Fissò il fuoco; le sue dita toccarono in maniera un po’ meno leggera la gola di Cina quasi senza che Russia se ne accorgesse. Davvero, non lo fece apposta, ma le mani di Yao scattarono in maniera automatica verso  Ivan, nel tentativo disperato di liberarsi.
Quest’ultimo non gli diede nemmeno la possibilità di sfiorarlo. Le sue dita si strinsero attorno alla sua gola in modo talmente violento che Russia si spinse anche in avanti, scivolando sul corpo di Cina e spingendo la sua testa all’indietro. Sembrava in procinto di staccargliela, mentre Yao aveva fermato le mani a mezz’aria per poi portarle su quelle di Russia per cercare di toglierselo di dosso.

< Niet! Avevi detto che saresti stato buono! >

Yao stava iniziando a diventare rosso in viso.

< T-tu ha… > faticava a respirare, figurarsi a parlare < …hai provato a s-strozzarmi di nu… >

< Ma io non l’ho fatto apposta! >

Non era un buona giustificazione, e a sentirlo sembrava assurdo, ma Russia era sincero. Il suo gesto non era stato qualcosa di voluto, ma era stato come se le fiamme del camino gli avessero… parlato.
Lì, in mezzo al fuoco, aveva visto Yao… ma non quello sdraiato sotto di lui, ma uno lontano, circondato dal suo popolo che pareva sul piede di guerra; le fiamme erano il suo corpo, lo facevano vibrare, come se stesse per saltargli addosso.
Ivan si era spaventato.
Quella parte di Yao, così distante da lui, non gli piaceva per niente.
Trasmetteva odio da tutti i pori, ma soprattutto trasmetteva forza.
Non amava essere vicino a qualcuno più forte di lui, che non gli dava retta, che si imponeva sulla sua volontà. Il Cina che stava sotto di lui in quel momento era davvero meglio di quello in mezzo al fuoco.
Sembrava che stesse per piangere.

 

*

 
Alcuni dei suoi vicini si era fatti sentire. Non direttamente (e Russia l’aveva trovato un po’ maleducato) ma attraverso quelli che erano stati nominati come “vichinghi”.
Erano omoni alti, che incutevano un certo timore. I loro capelli erano biondi o rossi, e le loro vesti erano strane, parevano quasi pericolose.
Tuttavia, Russia non ne era spaventato.
Erano feroci, sì, ma in quell’epoca tutti lo erano, e per lui non faceva differenza se si trattava di scandinavi o altro. Anche se doveva ammettere che i vichinghi si facevano riconoscere; sembravano divertirsi, questo era ciò che li rendeva famosi.
Trucidavano le popolazioni che prendevano d’assalto anche se erano totalmente indifese, saccheggiavano luoghi che erano poveri e aridi, e non disdegnavano la schiavizzazione. Non erano pochi i bambini e le donne che Russia aveva visto trascinarsi in catene, ed anche se era cresciuto un po’ a volte aveva il sospetto che quegli enormi nordici volessero incatenare anche lui.
Certo, si sarebbe dovuto versare parecchio sangue se ci avessero provato.
Il loro arrivo gli impediva di giocare con Lituania come facevano prima, e questo lo disturbava parecchio, però era anche incuriosito da loro e non aveva voglia di cacciarli via.
Gli avevano anche portato un sacco di vasche in cui fare il bagno ogni sabato (erano stati molto chiari), anche se aveva sentito che ad un tizio di nome Inghilterra, quella cosa non piaceva per niente.
Un’altra cosa che spingeva Russia a far restare i vichinghi a casa sua, era il fatto che finalmente non si sentiva più tanto solo. Non giocavano con lui, ma almeno erano lì, almeno cercavano di insegnarli cose nuove e gli stavano accanto con interesse.
Un giorno, mentre era lì che osservava le loro imprese, truculente o meno che fossero, gli venne da pensare che anche se si proponevano a tutti come “vichinghi”, ora quelle persone vivevano in casa sua.
Sapeva che ce n’erano molti altri in giro, ma lui voleva che quelli che conosceva lui fossero… suoi. Dovevano distinguersi dagli altri, avere un posto speciale all’interno del mondo, la gente doveva pensare a lui ogni volta che avrebbero rimembrato le gesta di quegli uomini violenti.
Non aveva pensato che forse, in questo modo, avrebbero ricordato anche lui come un violento.
Si avvicinò ad uno degli uomini, la cui statura lo sovrastava di molto (cosa a cui non era abituato) e gli tirò un lembo della veste fatta di pelliccia.
L’uomo barbuto si girò verso di lui e lo osservò con curiosità.

< Hej… >

< Sdravstvuitie. >

Non era tanto sconsiderato da usare dei modi informali con un bestione del genere. Un giorno se lo sarebbe potuto permettere, ma non adesso.

< Vorrei darvi un nome. >

<  Abbiamo già un nome.>

< Niet, niet. Voglio che voi che vivete qua da me abbiate un nome particolare. Non siete come gli altri, dovete distinguervi. >

L’omone non pareva infastidito. Sembrava, anzi, curioso. Forse si sentiva lusingato da tanta attenzione, o gli piaceva l’idea che lui e i suoi compagni avessero qualcosa che li distinguesse dagli altri vichinghi.

< Tu sei Russia, vero? >

Ivan annuì. Dopo di lui lo fece anche l’uomo biondo.

< Rus’ andrà bene. >

Gli occhi viola del bambino si dilatarono, e all’improvviso si sentì lusingato… felice.
L’uomo si allontanò, mentre Russia rimase al suo posto, ad osservare ciò che gli accadeva di fronte.
C’erano ancora bambini e donne schiavizzati, sangue che macchiava la neve come una sorta di malattia, e gente che veniva trucidata… ma ora non gli importava più nulla di questo.
Osservava il tutto con un sorriso e la mani congiunte dietro la schiena, pensando che quello che stava osservando era un popolo che portava parte del suo nome.
In molti lo videro fare questo, in molti lo videro imbrattarsi di sangue con il sorriso e senza fare nulla.
Qualcuno iniziò a parlare e a farsi un’idea su Russia; un’idea negativa, e forse non così lontana dalla realtà.

 

Kiev non era esattamente all’interno della sua casa.
Da lì non riusciva a vedere la cintura di monti che aveva scorto da appena nato, ma i Rus’ avevano decretato quel territorio come il migliore per fondare quello che volevano definire come uno stato a parte.
L’uomo alla quale aveva suggerito il nome “ Rus’ ” si chiamava Rjurik, aveva scoperto, e si era proposto di guidare la stirpe vichinga verso quella terra che ora portava il loro nome.
Fu in quell’occasione che conobbe le sue sorelle.
Ucraina era la prima persona più alta di lui che incontrava, escludendo i vichinghi.
Il fatto che fosse un femmina lo infastidiva un po’, perché non credeva che le femmine potessero essere più alte dei maschi. Ma Ucraina era gentile con lui, e questo compensava la sua statura.

< Sei contento di essere il mio fratellino? >

Gli aveva chiesto una volta, mentre gli pettinava i capelli.

< Non lo so. Non pensavo di poter essere il fratello di qualcuno. >

< E come mai? >

Lui si era voltato verso di lei, guardandola con un misto di curiosità e irritazione.

< Perché non c’eri quando sono nato? >

Lei non aveva risposto, ma si era messa a piangere e aveva iniziato a scusarsi nella sua lingua. E lì Ivan aveva capito che benché fosse la sua sorella maggiore, quella ragazzina non era forte come sembrava, anzi era piuttosto sensibile e piagnucolona.
Questo permise a Russia di prendere le redini del comando quasi fin da subito.
Da fuori sembrava che Ucraina si prendesse cura di Ivan, che gli stesse dietro e si occupasse delle sue esigenze; la verità era che lei era semplicemente molto gentile col proprio fratellino, ma era lui a gestire tutto, a provvedere ai bisogni di Ucraina e a farla sorridere.
Era anche in grado di farla piangere, però.
Non era difficile, bastava mostrarsi scontento ai suoi occhi, o fare un po’ i capricci. Ivan non sapeva bene perché di tanto in tanto la facesse piangere di proposito; forse perché voleva mostrarsi forte anche se era il fratello minore, forse per punirla, visto che non era stata presente alla sua nascita… o forse solo per affermarsi.
Aveva sempre trovato il modo di farlo fino a quel momento. Aveva lasciato Finlandia in balia degli slavi, aveva tenuto Lituania attaccato a sé fino quasi a fargli male, e ora faceva stare al suo posto la sorellona Ucraina.
Le voleva bene (almeno un po’) ma voleva che diventasse come Lituania: sottomessa a lui e sempre disponibile a stargli vicino.
Con Bielorussia, invece, si comportava in modo diverso.
Lei era la più piccola di loro; molto carina, bassa e con lo sguardo sempre fisso sul viso di Russia. Lo seguiva come un pulcino segue la propria mamma, senza che Ivan le chiedesse nulla, senza che fosse costretto a trascinarsela dietro.
Questo sarebbe andato bene… se non fosse stato per il fatto che Bielorussia non si comportava come voleva lui. Voleva stargli sempre attaccata, ma doveva decidere tutto lei. Che gioco fare, dove andare, quali persone frequentare. E quest’ultimo punto era la cosa peggiore di tutte.
Bielorussia non voleva che lui giocasse con nessun’altro, e se lo scopriva a parlare con altri bambini li attaccava, facendoli scappare via.
Anche se quella terra denominata Rus’ di Kiev era composta da tante nazioni con la quale Russia avrebbe voluto fare amicizia, per un po’ sempre come se esistessero solo lui e le sue due sorelle.
Per la prima volta in vita sua era circondato dalla propria famiglia, e la compagnia lo rendeva felice in un certo qual modo. Era meglio essere trascinato in un angolo buio, fatto di pianti e di affetto violento, piuttosto che rimanere da soli.

 

*

 
In modo inconscio, probabilmente Russia aveva appreso da sua sorella minore il modo peggiore per dimostrare il proprio affetto, o anche solo un minimo interesse emotivo.
Temeva che tutti gli scivolassero via dalle dita come fumo sottile; per lui, le persone avevano bisogno di essere trattenute, non importava con quali mezzi.
Perché non appena intravista una via di sbocco, lo avrebbero lasciato solo.
Lui, ancora oggi, non riusciva ad allontanarsi del tutto da Bielorussia, semplicemente perché lei non glielo lasciava fare; otteneva quello che voleva, era felice… e anche Russia voleva esserlo.

< Mi sei mancato.>

Lo disse sorridendo, come se fosse un piccolo bambino che parlava al padre appena tornato a casa.

< Bel modo di dimostrarlo. >

Ivan, a quelle parole, cercò di stringere di nuovo le mani attorno alla gola di Yao, ma quest’ultimo riuscì finalmente a bloccarlo afferrandogli i polsi. Non riuscì però ad allontanarlo abbastanza da sé, e Ivan abbandonò tutto il proprio peso sul corpo di Cina, come se si trovasse su un letto.
Quella situazione era ridicola e anche inquietante, agli occhi di Cina.
Ivan aveva cercato di strozzarlo più volte, e lui non aveva cercato di liberarsi poiché le sue mani erano sempre state strette attorno al suo collo, e Yao aveva temuto che al minimo tentativo di difesa Russia sarebbe stato in grado di spezzargli il collo.
Solo ora realizzò che non ne aveva mai avuto l’intenzione.

< Non dire così! Io ci provo davvero, sai?! >

Non tentò di liberare i polsi dalla presa del cinese, ma abbassò il viso, appoggiandosi al suo petto.

< Ma che fai…? >

< Io ci provo… >

Cina sbarrò gli occhi; avvertì una sensazione calda sul petto, e quando vide la testa di Russia muoversi a piccoli scatti capì che si era messo a piangere.

< … ci provo, ma tu non vuoi mai stare con me… e allora io devo fare così. >

Strinse tra le mani i lembi della veste rossa di Yao ed iniziò a singhiozzare rumorosamente. Perché Cina ancora non capiva? Lo aveva fatto portare lì, lo aveva accolto in casa propria, invitato a cena e invece Yao si era arrabbiato, aveva detto che voleva andarsene… e lui era stato costretto a bloccarlo.
Non avrebbe voluto, ma aveva dovuto farlo, altrimenti… altrimenti sarebbe rimasto di nuovo solo. Forse a Cina non era piaciuto essere stato portato lì da alcuni cosacchi (Russia non lì utilizzava più ufficialmente, ma solo per faccende private) ma Ivan non aveva visto altro modo per averlo vicino.
Sapeva che sarebbe stato rifiutato se lo avesse semplicemente invitato, e che sarebbe stato cacciato via se si fosse recato a casa di Cina di persona; ma lui lo voleva vicino, e così si era arrangiato.

< T-tu sei pazzo, io… >

Russia lo strinse. Era un abbraccio, a dire il vero, ma dal momento che era sdraiato non riuscì a farlo sembrare tale; parve solo intenzionato a stringere Cina più possibile, fosse anche a fargli male.

< Mi piace stare con te, mi piace poterti parlare, anche di cose brutte! >

Non sapeva se Cina lo comprendesse o meno, ma lui non era in grado di esprimere ciò che sentiva in una maniera migliore. Non perché fosse sciocco, ma perché era… semplice. Si era sempre ritenuto una persona semplice, ma stranamente la gente non riusciva a comprenderlo, lo fraintendeva sempre.
Avvertì il lieve alzarsi e ad abbassarsi del piccolo petto di Yao e per un attimo pensò che gli sarebbe piaciuto addormentarsi lì, con lui, al caldo.

 

*

Corse quasi a perdifiato, con la neve che gli arrivava alla caviglie e gliele congelava. Aveva seminato Bielorussia, che si era ingelosita dopo che Ucraina aveva donato al fratellino una sciarpa. Aveva minacciato di strapparla, ma quello era in assoluto il primo regalo che Ivan riceveva da qualcuno, e non voleva assolutamente che fosse distrutto.
Si nascose in mezzo a dei cespugli secchi, sedendosi sul freddo ghiaccio e aspettando di non udire più il suono dei passi della sorella minore.
Attese, affondando il viso nella sciarpa. Non aveva mai avuto qualcosa di così caldo e morbido con cui vestirsi, e si sentì come cullato.
Senza accorgersene, si assopì, rimembrando le sensazioni del giorno in cui era nato.

 

Qualcosa di duro e freddo lo colpì in faccia.
Sbarrò gli occhi sorpreso e cadde nella neve, sentendo il sapore di sangue in bocca. Lo sputò sul suolo bianco, e lo fissò tremante.
Era la prima volta in vita sua che vedeva il proprio sangue.
La testa gli faceva male per il colpo ricevuto, il viso gli pulsava, si sentiva confuso e delle strane macchioline colorate iniziarono a danzargli davanti agli occhi.
Tremava in modo incontrollabile; provò ad alzarsi in piedi, ma senza successo.

< “Alzati!” >

Una voce roca gli urlò qualcosa che Russia non capì. Fu colpito ancora, questa volta allo stomaco. Gli mancò il respiro, dalla bocca uscì altro sangue.

< Sh-shto? >

Guardò in alto, spaventato e confuso. La guancia gli pulsava e non riusciva ad aprire bene un occhio, riuscì a vedere solo una sagoma alta e scura in controluce, con i raggi del sole che la circondavano.

< “Alzati!” >

La stessa parola di prima, e Ivan, ancora una volta, non la comprese. Ricevette un altro colpo, e tutto fu buio.

 

Non era come quando aveva visto l’operato dei vichinghi.
Non poteva sentirsi distaccato, non badare al sangue sulla neve, perché ora non si trattava più solo del sangue di semplici contadini… c’era anche il suo sulla neve, ora.
Questa era la prova che quello che stava subendo non era un danno minimo, un qualcosa che stavano attraversando bene o male anche altri stati; ciò che stava passando era grave, molto.
Aveva visto gente ridotta in schiavitù, frustrata, e spesso uccisa, ma tutto ciò gli era sembrato estraneo dal momento che lui, il centro, il cuore della sua terra, era stato lasciato in pace.
Urtò qualcosa col piede; abbassò lo sguardo con riluttanza e appena i suoi occhi scorsero una folta chioma nera, rialzò la testa, cercando di fingere di non aver visto nulla.
Di fronte a lui stavano due uomini che sebbene non fossero più grossi dei vichinghi, sembravano alti come alberi ed altrettanto imponenti.
Uno di loro in particolare emanava una strana forza. Era il capo dei mongoli.
Non era più massiccio degli altri, ma era evidente che li controllava; incuteva timore, una sua espressione accigliata bastava a scuotere gli animi di coloro che gli stavano attorno… ma erano le sue mani che attiravano costantemente l’attenzione di Ivan.
Non aveva mai visto una persona con le mani così lorde di sangue e che nonostante ciò riusciva a mantenere un’espressione tranquilla, quasi benevola ed affidabile.
Non era passato molto dall’arrivo di quel tale con la sua orda di uomini, ma avevano già messo in ginocchio Rjazan’, e non ci sarebbe voluto molto prima che decidessero di distruggere quello che era il nodo che univa lui e le sue sorelle: Kiev.

< Ehi, tu! >

Avevano capito che parlandogli nella loro strana lingua non avrebbero concluso nulla, per tanto si erano decisi ad utilizzare la lingua universale.
Ivan vide il capo dei mongoli avvicinarsi a lui con passo fermo, tenendo le mani congiunte.

< Che c’è? >

Gli afferrò un braccio e parve esaminarlo. Russia non si divincolò solo per paura di essere malmenato, ma era molto infastidito da quel contatto.

< Sembri forte. >

Disse l’uomo. Genghis Kahn era il suo nome, aveva una lunga barba fine e scura e dei baffi sottili. A dispetto del suo aspetto pacato, quasi rassicurante, quello era un uomo deciso ed autoritario e Ivan aveva avuto modo di constatarlo.

< Sono alto, non so se sono forte. Io non combatto. >

Russia non sapeva cosa dire, e decise di esternare semplicemente i propri pensieri, anche i più sciocchi.

< Non voglio farti combattere > gli prese la mano e gli fece girare il palmo verso l’alto < sei un bambino, ma hai le mani grandi. Ho un compito per te. >

 

Riscuotere.
Vagava di casa in casa, riscuotendo i tributi che i mongoli esigevano. Oramai era quello, Russia. Un sottomesso che si occupava dei soldi, suoi e non, e che non aspettava altro se non un passo falso da parte di Kahn. Aveva preso Kiev, Ivan non aveva più visto le sue due sorelle, che probabilmente non erano in una situazione migliore della sua.
I mongoli avevano tanti possedimenti, ma li tenevano tutti accuratamente separati. Russia non aveva ancora incontrato nessuno, solo paesani che gli consegnavano sacchi pieni di denaro. Vagava nei villaggi coperti di neve, trascinandosi dietro ciò che aveva riscosso durante la giornata, con addosso quasi le medesime sensazioni dei suoi primi periodi di vita; eccetto per il fatto che, quando era appena nato si sentiva sì solo, ma non si sentiva pressato o sfruttato. Ora sì, e avvertiva anche una tremenda stanchezza farsi largo nelle sue ossa gelate, una stanchezza sia mentale che fisica che gli faceva passare la voglia di andare avanti.
A che serviva?
Non poteva più vedere le sue sorelle o Lituania, non poteva più vagare liberamente per la propria terra, e giorno dopo giorno il lago di sangue in cui nuotava pareva farsi sempre più profondo.
Perché continuare, a questo punto?

< Ni hao. >

Una voce piccola, calda e sconosciuta ruppe il silenzio freddo di quel villaggio.
Ivan si voltò, e vide in mezzo alla neve un bambino molto basso rispetto a lui. Portava i lunghi capelli castani raccolti in un codino poggiato sulla sua spalla; le sue vesti erano stravaganti, di un brillante rosso fuoco, decorate con strani disegni. Le maniche gli coprivano totalmente le mani, e le sue scarpe sembravano quasi fasciargli i piccoli piedi. Sarebbe anche potuto sembrare una bambina, ad un primo sguardo, anche per gli occhi scuri e affusolati, abbastanza somiglianti a quelli dei mongoli.

< Priviet…  > lo disse piano, come se non si fosse ancora reso conto di avere qualcuno davanti. I sacchi di denaro iniziarono a pesargli sulla schiena; Ivan barcollò e cadde in ginocchio, le sue mani affondarono nella neve. Il bambino dagli occhi a mandorla mosse qualche passo verso di lui con le mani in avanti e l’aria preoccupata.

< Ni shen ti hao ma? >

Russia cercò di rialzarsi senza molto successo.

< Io non parlo la tua lingua. Non capisco quello che dici. >

Lo disse con un brutto tono di voce, come se fosse arrabbiato. Non avrebbe voluto, ma gli facevano male le gambe e le braccia, e parlare quasi lo infastidiva.

< Fa niente, ti aiuto. >

Ivan sentì qualcosa che cercava di tirarlo su, alzando lo sguardo vide che il bambino gli aveva circondato le spalle e ora cercava di issarlo senza tuttavia riuscirci. Era troppo piccolo se confrontato con la mole di Russia.
Tuttavia anche solo il fatto che ci provasse, fece sentire Ivan un poco meglio. Mise una mano sulla spalla del bambino e riuscì ad issarsi, ma l’altro non lo mollò nemmeno quando fu in piedi.

< Tutto bene? >

Ivan si tolse i sacchi dalla schiena. Fu un sollievo indescrivibile, e ci mancò poco che il suo corpo non si accasciasse per terra per via della sensazione di leggerezza. Guardò il piccolo viso ovale del bambino con gli occhi a mandorla. La sua pelle era di un colorito diverso rispetto al suo, gli ricordava il sole… gli piacque.

< Chi sei tu? >

L’altro sorrise.

< Io sono Cina. >

 

Continua…

 

Note linguistiche e storiche:

 
Il titolo: Salv’sia Rus’ è il titolo di una canzone del gruppo russo Arkona. Vuol dire “Gloria alla Russia”.

Da: (Да) “Sì” in russo.

Nie trogaj mienya: (Не трогай меня) “Non mi toccare” in russo.

Priviet: (Привет) E’ un saluto russo informale per quando si arriva.

Kak vass savùt?: (Как вас завут?) Letteralmente è “ Come voi vi chiamate?” perché in Russia si da sempre del voi, ma lo si può tradurre benissimo con “Come ti chiami?”.

Laba diena: Corrispondente lituano di “Buon giorno”

Shto?:( Што?) vuol dire “Cosa?” in russo.

Signor Russia: Ho pensato che Russia potesse iniziare da subito a farsi chiamare così da Lituania, più che altro perché, come ho detto, in Russia si da del VOI, è maleducato fare diversamente.

Lituania: Lituania è il primo ad incontrare Russia perché in questo paese si stabilirono inizialmente popolazione finniche e lituane.

ad un tizio di nome Inghilterra, quella cosa non piaceva per niente: Gli inglesi definivano i vichinghi e gli scandinavi in generale come “un popolo eccessivamente pulito”, poiché era tradizione vichinga farsi un bagno a settimana (ogni sabato). Sì, lo so che è disgustoso pensare una cosa del genere XD ma considerate che si sta parlando della fine del VII secolo.

Hej: “Ciao” in svedese

Sdravstvuitie: (Здравствуйте) “Salve” in russo.

Rjurik: (Рюрик) fu il capo variago che conquistò il controllo di Velikij Novgorod intorno al 862. Molti studiosi suppongono che l'iniziativa di migrare nel Rus' di Kiev sia stata direttamente di Rjurik.

Rus’:  (Русь) è un termine introdotto durante l'Alto Medioevo per indicare le popolazioni dell'Europa orientale che vivevano nelle regioni che attualmente fanno parte di Ucraina e Russia. ( Wikipedia )

Rus’ di Kiev: (Киевская Русь) Fu uno stato medievale monarchico sorto verso la fine del IX secolo in parte del territorio della odierna Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia e Estonia orientali, considerata il più antico stato organizzato slavo-orientale, del quale Kiev fu a lungo la capitale. (cit. Wikipedia)

Le frasi presenti in mezzo ai simboli <” in una parte dei flash back sono pronunciate nella lingua mongola.

Dal momento che non conosco nemmeno una parola di questa lingua ma volevo che ci fossero comunque dei discorsi in mongolo, ho adottato questo espediente.

Genghis Kahn: è stato un condottiero e sovrano mongolo.

Dopo aver unificato le tribù mongole, fondando l'Impero Mongolo, le condusse alla conquista della maggior parte dell'Asia Centrale, della Cina, della Russia, della Persia, del Medio Oriente e di parte dell'Europa orientale, dando vita, anche se per breve tempo, al più vasto impero terrestre della storia umana. Fu sepolto in un luogo tuttora ignoto della nativa Mongolia. (cit. Wikipedia)

Ni hao: (你好) vuol dire “ciao” in cinese.

Ni shen ti hao ma: (你身体好吗 ? ) vuol dire “stai bene?” in cinese. Letteralmente si può tradurre con “Il tuo fisico sta bene?”.

  
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