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Autore: data81    20/11/2012    1 recensioni
“No, guarirà in fretta…e non abbiamo fatto nulla che avesse conseguenze permanenti. Solo… è difficile avere accanto una persona che ti piace, sentire di essere ricambiata e non poterla neppure sfiorare…”
Su quell’ultima confessione, che alla giovane era praticamente sfuggita di bocca, calò un lungo silenzio interrotto solo da un discreto blues che usciva da un vecchio e malandato juke box poggiato in un angolo.
Rogue era certa che quelle sue ultime parole avessero confuso ancora di più il suo compagno di bevute, perciò il suo stupore fu davvero enorme quando - fissandosi le immense mani - questi affermò “Sì, non è facile resistere alla tentazione. Tutto quello che vuoi è sfiorarla… farle sentire che ci sei, ma…”
Dopo un "incidente" causato dai propri poteri, Rogue si ritrova a vagare per la malfamata periferia di New York, dove incontra un misterioso individuo che sembra comprendere molto bene il suo stato d'animo.
Quando però i suoi compagni la trovano a parlare con questo sconosciuto al bancone di un bar in uno dei quartieri più malfamati della città, la situazione si complica di parecchio!
Ambientato tra il primo ed il secondo film di X-Men
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Giorno per giorno
 
Camminava svelta nella notte newyorkese, lasciando che l’aria gelida di quel principio di inverno le soffiasse sul viso e ricacciasse indietro le lacrime che lei stessa non era in grado di trattenere.
Chiunque l’avesse osservata avrebbe visto in lei solo una ragazzina di neppure diciott’anni piuttosto carina, con una curiosa ciocca di capelli bianchi che si distinguevano dalla matassa castana e leggermente arricciata che aveva in testa.
Nulla che la Grande Mela non avesse già visto o conosciuto, insomma...
Eppure lei non era una ragazza qualunque e – chiunque la conoscesse davvero – ne era perfettamente consapevole.
Ad esempio lei poteva aggirarsi per le strade più malfamate della città senza rischiare di subire una aggressione o una violenza e questo, stranamente, era parte del suo problema.
Rogue – ormai il suo vero nome era sepolto nel suo passato e non desiderava sentirlo pronunciare da nessuno – avrebbe probabilmente pagato per poter essere una ragazza qualunque, ma non lo era. Era una mutante ed il suo potere era la più terribile delle maledizioni… una maledizione in grado di colpire tanto i nemici quanto, e forse di più, le persone che le stavano a cuore.
Esattamente come era successo meno di un’ora prima.
 
Era successo quello che più temeva.
Bobby, il ragazzo di cui si era invaghita sin dal primo incontro alla scuola per giovani mutanti del professor Xavier, aveva cercato di baciarla infischiandosene delle sue proteste e – come lei sapeva sarebbe successo – era solo riuscito a finire quasi ammazzato.
Il contatto tra le loro labbra, un bacio praticamente rubato durante una stupida partitella illegale di poker nella stanza d’albergo dove alloggiavano per la durata di quella gita scolastica al Museo di Storia Naturale, lo aveva in pochi attimi prosciugato di tutte le sue energie e lo avrebbe probabilmente ucciso se, con grande tempismo, non fosse intervenuto Peter a separarli.
Rogue aveva sentito di sfuggita la voce del colosso di origini russe affermare che era tutto a posto – che Bobby si stava già riprendendo dallo choc – ma non si era fermata per verificare se era vero. Si era fiondata in camera sua inseguita da Jubilee e, prima ancora che l’amica più giovane potesse tentare di fermarla, si era buttata addosso un impermeabile ed era corsa in strada.
Voleva stare sola e, per essere certa che né i suoi compagni né gli insegnanti che li accompagnavano la disturbassero, si era infilata nella metro senza una destinazione ben precisa.
Era rimasta a bordo per parecchie fermate, scendendo solo quando un gruppetto di ragazzi si era avvicinato tentando di attaccare bottone. Dopodiché aveva vagato per le strade buie della città, rimuginando su quanto la sua vita fosse triste e su quanto poco fosse cambiata rispetto a quando era scappata da casa.
Certo, ora aveva un posto dove stare e degli amici che non la giudicavano per il fatto di essere una mutante, ma il suo terribile potere la isolava comunque dagli altri, costringendola in un mondo nel quale le era precluso qualsiasi contatto umano diretto.
Presa da queste riflessioni si era a malapena accorta di essersi avventurata in una zona della città che non conosceva minimante.
Le case non erano esageratamente alte, ma il degrado urbano era evidente e Rogue non si stupì più di tanto quando vide una gang di ragazzetti intenti a fare qualcosa di poco chiaro attorno ad una macchina, nella zona d’ombra creata da un lampione rotto.
Razionalmente la ragazza sapeva che sarebbe stato meglio (sia per lei che per loro, in realtà) evitare guai con quei teppistelli, ma fu presa da un irrazionale ed istintivo desiderio di ribellione nei confronti della propria condizione e – prima di rendersi conto di stare facendo una cosa molto stupida – si era già diretta verso di loro a passo spedito.
 
“Hey bambolina.. che ci fai tutta sola da queste parti?” gridò uno dei ragazzi più esterni del gruppetto, più per attirare l’attenzione dei compagni sull’avvicinarsi di Rogue che per un reale interesse nei suoi confronti.
Subito gli altri membri della gang smisero di armeggiare attorno alla serratura della macchina che intendevano aprire e, con sguardi truci per essere stati interrotti, si voltarono verso di lei.
Rogue non rispose alla domanda, mentre la parte di lei che l’aveva spinta a quel confronto si batteva con quella razionale, che avrebbe preferito sparire in fretta per non farsi coinvolgere in una faccenda che di certo sarebbe finita male.
“Ti ha fatto una domanda, rispondi!” aggiunse un secondo ragazzo, uno con i capelli rasta ed un giubbotto di pelle pieno di borchie e catene che spuntavano da tutte le parti.
Anche gli altri cominciavano ad agitarsi ma, prima che la giovane mutante potesse rispondere o reagire alle provocazioni della gang, un’altra persona apparve alle sue spalle ordinando, con una voce che sembrava provenire dal fondo di una caverna “Smammate!”
Non appena lo videro, i ragazzi che prima si erano dimostrati così spavaldi sbiancarono in volto e - balbettando improbabili scuse tipo nonne da accudire o cani da portare a spasso - se la diedero a gambe sparendo oltre un angolo. Solamente uno di loro, un ragazzo di colore piuttosto magrolino con addosso un maglione verde oliva ben visibile sotto il giubbotto scuro osò riaffacciarsi da dietro l’angolo di un edificio e – sporgendosi con la sola testa – gridò “non finisce qui! La gang di Yancy Street non si fa mettere i piedi in testa da nessuno!”
Rogue lo osservò mentre scappava subito dopo aver lanciato questa altisonante sfida poi, appena un po’ incuriosita di sapere chi la avesse tolta dai guai questa volta, si voltò verso il suo salvatore.
L’uomo – non poteva che essere un uomo vista la stazza – era molto alto e massiccio ed era ricoperto dalla testa ai piedi da un lungo impermeabile marrone scuro, il cui bavero quasi arrivava a congiungersi con un cappello a tesa larga dello stesso colore, da cui spuntava solamente un grosso e puzzolente sigaro acceso.
“Questo non è un quartiere adatto alle ragazze sole…” borbottò la voce di prima, questa volta un po’ meno arrabbiata ma ancora decisamente cavernosa e burbera “a dire il vero, di notte questo quartiere non è adatto a nessuno!”
“Veramente temo di essermi persa…” si trovò a precisare la giovane mutante, senza sapere bene il perché si stesse giustificando con quell’enorme sconosciuto… forse voleva semplicemente dimostrarsi cordiale con qualcuno che l’aveva trattata con gentilezza “stavo pensando e non mi sono resa conto di dove stavo andando.”
Il gigante, il cui aspetto era ancora più inquietante visto che la combinazione di buio, sciarpa, cappello e bavero gli nascondevano completamente il viso in un’ombra impenetrabile, borbottò qualcosa che alla giovane parve vagamente simile ad un «eccone un’altra che cammina con la testa tra le nuvole…» poi, con voce più comprensibile affermò “Beh, allora è meglio se te ne vai da qualche altra parte a pensare.”
“Sì, grazie del consiglio…” rispose Rogue, un po’ indispettita dal tono dell’uomo ma, tutto sommato, lieta che non si fosse dimostrato un pericolo “credo proprio che farò così!”
E, dopo essersi lanciata un’occhiata attorno per ritrovare un minimo di orientamento, si incamminò spedita verso la direzione da cui era venuta.
Rimasto solo nel cono d’ombra del lampione rotto a sassate, il colosso non si mosse per qualche istante poi, cacciato un sospirone che avrebbe probabilmente ribaltato una mucca e scoperchiato il tetto di una casa, borbottò tra sé e sé in tono sarcastico “Bravo… sei davvero di una sensibilità disarmante. Zia Petunia sarebbe fiera di te!”
Dopodiché tirò fuori dalla tasca una mano guantata grande quanto la pala di un badile e, tolto di bocca il mozzicone di sigaro che stava fumando, lo lanciò per terra con stizza prima di mettersi in marcia, all’inseguimento delloscricciolodai capelli rossi che aveva lasciato andare nel cuore della notte.
 
Nel frattempo Rogue aveva attraversato di corsa l’intero isolato e, senza sapere bene dove andare ma certa di non avere la forza di tornare in albergo e guardare in faccia i suoi problemi, si era fiondata nel primo bar aperto che aveva trovato.
Si trattava di una bettola piuttosto squallida che, in quanto ad illuminazione, faceva tranquillamente concorrenza al lampione rotto sotto cui aveva lasciato il gigante che l’aveva salvata poco prima.
Per un attimo la ragazza sorrise facendo un rapido confronto mentale tra quel bar ed il locale in cui, quasi un anno prima, aveva incontrato per la prima volta Logan, il mutante meglio noto come Wolverine.
Con il viso appena rasserenato dal ricordo dell’amico – una delle poche persone che veramente la capisse, credeva Rogue – la ragazza si sedette su di uno sgabello ad uno degli ultimi posti del bancone del bar e cominciò a sgranocchiare delle noccioline da una ciotola.
 
Passarono quasi una decina di minuti prima che il barista, un anziano uomo di colore con una folta barba bianca, le si ponesse davanti e, dopo averla squadrata per bene, domandasse“Cosa le porto, signorina?”
“Una birra, grazie…” chiese la giovane mutante, sperando che nel contesto piuttosto degradato di quel quartiere non le facessero storie e le dessero quanto richiesto.
Speranza vana in quanto l’uomo, dopo averla squadrata di nuovo, le indicò un cartello di divieto di vendita di alcolici ai minori di 21 anni  appeso alla parte e aggiunse “Mi fa vedere un documento, per piacere?”
Rogue sbuffò e, non appenail campanello che annunciava l’arrivo di un nuovo avventore ebbe finito di suonare, gli lanciò un’occhiataccia e modificò la propria ordinazione “Una Coca…”
“Fa due dollari…” disse l’uomo, avvicinandosi al distributore delle bibite alla spina con un bicchiere pulito in mano.
“Mettici anche una caraffa di birra e tieni il resto come acconto per il secondo giro…” disse allora una voce cavernosa, mentre una massiccia mano guantata poggiava sul bancone un biglietto da venti con forza sufficiente a far tremare la ciotola delle noccioline e tutti i bicchieri presenti.
Un paio di avventori che guardavano la partita dall’altro lato del bancone si alzarono subito in piedi e si avviarono alla porta mentre il gigante, che neppure li aveva degnati di uno sguardo, scostò uno sgabello particolarmente massiccio e ci si sedette.
La struttura metallica, che al giudizio di Rogue sembrava in grado di reggere un elefante, stridette e gemette come un vitello portato al macello quando l’uomo ci si sedette. Quello fu l’unico suono udibile tra i due avventori fino a quando il barista non ebbe portato le consumazioni.
“Non serviva, ho dei soldi con me…” commentò la giovane mutante rompendo il silenzio e cercando di guardare in faccia il proprio improvvisato compagno di bevute senza farsi notare.
Non ebbe molto successo in quanto il gigante non si era tolto né il cappello né l’impermeabile, ma la voce che gli rispose fu comunque cortese quando disse “Non ne dubito, ma volevo scusarmi per come ti ho risposto prima…”
“Fa nulla… probabilmente avevi ragione, anche se sarei riuscita a cavarmela da sola.” rispose la rossa con voce mesta. Fintanto che era stata arrabbiata con il tizio per la sua scortesia aveva avuto una scusa per non pensare alla sua situazione ma, ora che il gigante l’aveva addirittura seguita per scusarsi, i sensi di colpa per quanto accaduto in albergo si erano rifatti vivi in fretta “Comunque grazie… a proposito, io sono Rogue!”
“Ben…” rispose semplicemente l’uomo, tracannando d’un fiato metà della birra che gli era stata portata direttamente dalla caraffa in cui il barista l’aveva messa, senza usare il boccale.
Osservando le enormi mani guantate che reggevano la caraffa, Rogue non poté trattenersi dal notare che erano dotate di sole quattro dita. Ciononostante, quando il suo interlocutore si accorse di essere osservato con troppa attenzione, la ragazza cercò di sviare la sua attenzione dicendo“Certo che sei proprio grosso, Ben…”
L’uomo non rispose ma, a giudicare dai gemiti generati dallo sgabello, doveva essersi accorto del tentativo di sviamento della giovane e - probabilmente - si doveva essere anche sentito a disagio a quella affermazione chela ragazza aveva sottaciuto.
“Sì, in effetti sono piuttosto grosso…” convenne lo sconosciuto, finendo la propria caraffa di birra e facendo cenno al barista di portargliene una seconda.
“E… sei di queste parti?” domandò Rogue, cercando di cambiare argomento e sperando che il suo interlocutore sorvolasse sulla sua evidente gaffe.
“Sono nato qui…” confermò lui, affermando una ciotola di patatine e versandosela praticamente tutta in bocca. Nel fare questo il cappello si mosse leggermente e alla giovane parve di vedere al di sotto una pelle strana, quasi tendente… all’arancione?
“Ma non ci vivo dai tempi del college…” continuò l’uomo, che non sembrava essersi accorto dello stupore della giovane mutante “adesso sto in centro, ma ogni tanto ci torno per ricordarmi da dove vengo e chi sono…”
“Io sono in gita scolastica…” si trovò a dire Rogue, lasciando che alcune ciocche di capelli le scendessero sul viso nascondendo le occhiate sempre più curiose che lanciava al gigante, nella speranza di riuscire ad intravedergli nuovamente il viso “abbiamo un albergo in centro…”
“E allora che ci facevi giù a Yancy Street?” chiese l’uomo, afferrando nel contempo la seconda caraffa di birra che gli era stata portata e portandosela alla bocca facendo attenzione a non scoprirsi.
Rogue si prese un momento prima di rispondere.
 
“E allora che ci facevi giù a Yancy Street?” le aveva chiesto lo sconosciuto – o meglio Ben, se davvero si chiamava così – e lei si ritrovò nel dubbio se rispondergli o no e, del caso, cosa dirgli.
Certo non poteva dirgli di essere una mutante in grado di assorbire col semplice contatto la forza vitale della gente e che, flirtando con un ragazzo del quale si era irresponsabilmente invaghita, lo aveva quasi ammazzato.
Quell’uomo però le ispirava una certa fiducia e – senza sapere perché – si ritrovò a paragonarlo a Logan. Certo, Wolverine era il suo mito, un vero eroe di quelli sagaci e sempre presenti quando serve, ma il gigante che trangugiava birra accanto a lei aveva una voce particolare che, nonostante fosse cavernosa ed inspiegabilmente profonda, aveva un che di rassicurante.
Decisa a non mentirgli (almeno non del tutto), si trovò a rispondere “E’ un po’ complicato… diciamo che ho fatto una leggerezza e, a causa di ciò, un ragazzo che mi piace si è fatto male.”
“E sei scappata?” domandò lui, mentre la voce assumeva un tono pensieroso e l’enorme mano afferrava distrattamente una ciotola di arachidi.
“Qualcosa del genere…” confermò lei poi, capendo che l’omone si aspettava una risposta più dettagliata, aggiunse “io gli avevo detto che era stupido e che non dovevamo farlo, ma lui era così certo che non sarebbe successo nulla ed io…beh, io desideravo disperatamente credergli.”
“E gli è successo qualcosa di grave? In senso permanente, intendo…” si informò il gigante, scoccandole per un secondo un’occhiata penetrante da sotto la tesa del cappello.
Di nuovo a Rogue parve di vedere una strana pelle squamosa far capolino tra gli abiti, ma questa volta non si concentrò troppo su quel dettaglio in quanto riuscì a cogliere per un istante un nuovo dettaglio del volto di quell’uomo: gli occhi.
Due stupefacenti occhi blu mare che la fissavano con quella che non sembrava commiserazione ma con… comprensione?
Dopodiché fece mente locale su quanto aveva appena detto e comprese che le sue parole avevano molte possibili interpretazioni e che alcune di esse sarebbero state piuttosto… inappropriate in quella conversazione tra due estranei.
Chiedendosi con un certo imbarazzo cosa il gigante potesse aver capito dalla sua spiegazione vaga, la giovane mutante si affrettò a precisare “No, guarirà in fretta…e non abbiamo fatto nulla che avesse conseguenze permanenti. Solo… è difficile avere accanto una persona che ti piace, sentire di essere ricambiata e non poterla neppure sfiorare…”
 
Su quell’ultima confessione, che alla giovane era praticamente sfuggita di bocca, calò un lungo silenzio interrotto solo da un discreto blues che usciva da un vecchio e malandato juke box poggiato in un angolo.
Rogue era certa che quelle sue ultime parole avessero confuso ancora di più il suo compagno di bevute, perciò il suo stupore fu davvero enorme quando-fissandosi le immense mani-questi affermò “Sì, non è facile resistere alla tentazione. Tutto quello che vuoi è sfiorarla… farle sentire che ci sei, ma…”
La mutante lo fissò sbalordita e, osservando i guanti che coprivano le mani dello sconosciuto, non poté evitare di osservare le proprie, anch’esse nascoste da un sottile strato di seta nera che non osava mai togliere in pubblico.
Il gigante parve non far caso alla reazione della ragazza e, afferrata nuovamente la caraffa di birra la finì in un lungo sorso, prima di togliere da una tasca dell’impermeabile un’altra banconota per pagare un terzo giro.
Dopodiché, mentre il barista intascava il denaro e si accingeva a spillare altra birra, l’uomo continuò il proprio discorso “Ma non puoi farlo. E se - per caso - lo fai, allora devi usare mille precauzioni. Stare sempre con i nervi tesi e attento, sperando che non accada nulla e che quella carezza che le fai sia abbastanza delicata da non farle male…”
Questo era troppo.
Come diavolo faceva quell’uomo a capire esattamente cosa si provasse a non poter toccare nessuno?
Come faceva a capire come stava lei?
Rogue lo fissò a lungo, valutando varie ipotesi: era forse un telepate, in grado di leggerle la mente? O magari era come lei… anche lui maledetto da una mutazione letale per il prossimo?
O, forse, era solo uno sfortunato newyorkese con qualche malattia trasmissibile che viveva emarginato per non contagiare altre persone.
La giovane mutante avrebbe voluto approfondire quel discorso e scoprire il perché delle parole dello sconosciuto, ma in quel momento la porta del locale si aprì di nuovo e nuove – e ben note - voci la strapparono dalle sue riflessioni.
 
“Eccoti, finalmente, ci hai fatto morire di paura!” esclamò Ororo Monroe, entrando come un razzo nel locale e rivolgendo uno sguardo di fuoco alla giovane fuggitiva.
“Ti rendi conto di dove ti sei nascosta?” aggiunse uno Scott Summers piuttosto infuriato,mentre con uno sguardo ben nascosto da un paio di spesse lenti scure dalla strana foggia sondava l’intero locale, soffermandosi soprattutto sull’enorme figura del compagno di bevute della ragazza.
Jean non c’era e Rogue immaginò che fosse rimasta in albergo a controllare gli altri studenti anche se, a quanto pareva, almeno Peter (che - tra tutti gli studenti – era il più grande) era riuscito ad imporsi e a seguire i due X-Men in quella ricerca certamente coordinata dai poteri telepatici del professor Xavier e dal computer Cerbero.
 “Non credi sia un po’ troppo buio per gli occhiali da sole?” commentò allora l’uomo accanto a lei, alzandosi in piedi con una studiata lentezza volta a mettere in evidenza la propria mole per poi mettendosi tra i due adulti e la ragazza, come a volerla proteggere.
Ma Ciclope dovette interpretare in maniera differente il tono dell’uomo poiché, preoccupato, lanciò un’occhiata alle due caraffe di birra vuote e a quella piena e domandò “Chi è quest’uomo? Ti ha costretta a seguiti?”
Rogue si trovò ad osservare le imponenti spalle del gigante fremere di sdegno e non fu certo uno spettacolo rassicurante visto che, osservandolo accanto aidue X-Men che non gli arrivavano neppure al mento, sembrava ancora più grande ed imponentedi quando lo aveva osservato per strada.
“Senti, quattr’occhi, vedi di farti un giro se non vuoi noie…” lo avvertì con voce dura Ben, facendo nel contempo scrocchiare le nocche della mano destra nella sinistra e generando un rumore sinistro, simile a quello di pietre che sbattono le une sulle altre.
Quella mossa ed il tono della voce, entrambi evidentemente aggressivi, non piacquero affatto a Ciclope che portò la mano agli strani occhiali che portava, pronto a liberare il proprio devastante potere al primo cenno di pericolo. Al contempo anche Peter, che fino a quel momento era rimasto in disparte, si avvicinò con i pugni serrati.
“Aspettate, non…” provò a dire la giovane dai capelli rossi, afferrando il braccio massiccio che il suo compagno di bevute aveva alzato per mettere meglio in evidenza l’enormità dei sui argomenti. Fu come cercare di spostare una statua o trattenere un camion a mani nude e Rogue si ritrovò praticamente sollevata da terra, appesa a qualcosa che pareva essere duro come il marmo.
E, appena un istante dopo, scoppiò il finimondo.
 
Percependo l’evidente minaccia proveniente dallo sconosciuto con l’impermeabile, la mano di Ciclope attivò rapidamente un comando nel visore che nascondeva gli occhi dell’uomo ed una potente scarica di energia cremisi eruppe dalla fessura che si allargava sulle lenti colpendo il bersaglio.
Quel colpo era stato calibrato per avere una potenza ed una intensità tali da stordire un umano molto grosso, ma lo sconosciuto lo incassò senza neppure barcollaree-anzi-rispose con manrovescio rapidissimo che centrò in pieno Scott mandandolo gambe all’aria.
Consapevole di non poter scatenare i propri poteri all’interno del locale, Tempesta si affrettò a raggiungere Rogue per metterla al sicuro mentre Peter, che era già pronto ad intervenire, cominciò a mutare.
La sua pellesi tramutò inuna lucente armatura di acciaio organico e, prima che lo stupefatto Ben potesse reagire, il suo pugno metallico lo raggiunse in piena faccia sbattendolo a terra ai piedi del bancone.
Il russo pensava con quel colpo di avere concluso lo scontro, perciò fu decisamente sorpreso quando vide il suo avversario afferrare con una mano lo sgabello su cui si era precedentemente seduto e rialzarsi in piedi.
Probabilmente sarebbe stato ancora più sorpreso se fosse stato in grado di vedere il volto ancora nascosto sotto il cappello di tessuto marrone, ma non ne ebbe il tempo in quanto l’altro gli fu immediatamente addosso e – con la forza di un locomotore – lo afferrò all’altezza della vita trascinandolo fuori dal locale.
Le ultime parole che Rogue udì prima che i due sparissero nel buio dell’esterno furono “Sparisci scricciolo, perché adesso… è tempo di distruzione!”
 
Rogue si rialzò dal pavimento e, un po’ scombussolata, si guardò intorno per capire cosa stesse succedendo.
Quando Ciclope aveva colpito il suo compagno di bevute, la ragazza era stata sbalzata indietro dal colpo e si era schiantata contro il bancone del bar prendendo una bella botta.
Con un dolore lancinante alla testa ed i polmoni che pareva le stessero per scoppiare, la giovane mutante avrebbe voluto gridare ai suoi compagni di fermarsi, che era tutto un errore… ma era tardi.
Lo straniero si era scrollato di dosso il colpo di Scott come se il mutante avesse usato una pistola ad acqua anziché il suo micidiale raggio otticoe, con un solo colpo neppure troppo preciso, aveva mandato al tappeto l’X-Men.
In quel preciso momento Peter si era trasformato in Colosso e, con un pugno che avrebbe probabilmente abbattuto un elefante, si era avventato sull’avversario scagliandolo a sua volta a terra.
Incredibilmente però il gigante si era rialzato un’altra volta come se non avesse subito danni e si era lanciato a sua volta alla carica con un grido di battaglia davvero terrorizzante, cinturando il mutante dalla pelle di metallo e trascinandolo fuori dal locale dove – a giudicare dal rumore che si sentiva – se le stavano dando di santa ragione.
Un po’ scossa la ragazza vide Tempesta avvicinarsi allo svenuto Scott mentre i pochi avventori che non se la erano data a gambe si dirigevano ad una finestra, evidentemente incuriositi dallo scontro che si stava tenendo all’aperto.
“Come sta?” domandò Rogue, chinandosi a sua volta accanto allo svenuto mutante e cogliendo lo sguardo preoccupato che Tempesta stava tenendo sullo scontro all’esterno.
“Lo ha solo sfiorato… dovrebbe riprendersi in fretta…” commentò la donna di colore, evidentemente divisa tra la necessità di soccorrere il compagno ferito ed il desiderio di andare ad aiutare Colosso nello scontro in corso “chi accidenti è quel tizio e come hai fatto a finirci insieme?”
“Si chiama Ben e stavamo solo chiacchierando. Non stava facendo nulla di male…” ci tenne a precisare Rogue, piuttosto indisposta da ciò che era successo “perché lo avete attaccato?”
“Forse è stato un malinteso…” convenne Ororo, non potendo negare che il secondo X-Men del gruppo non avesse tenuto un comportamento un po’ eccessivo “ma ora dobbiamo fermare questo scontroe temo che non sarà così facile…”
Dopodiché, appurato che Ciclope stava lentamente riprendendo i sensi, si lanciò verso la porta subito seguita dalla ragazza dai capelli rossi.
 
Quando le due mutanti giunsero all’esterno la scena che videro parve loro irreale: Colosso, che in quanto a forza era certamente il mutante più dotato che conoscessero, era schiacciato a terra dallo sconosciuto che – con una semplice mossa di judo, era riuscito ad immobilizzarlo bloccandogli il braccio destro dietro la schiena con una sola mano.
“Lascialo!” gridò Tempesta, mentre le sue pupille svanivano nel bianco dell’occhio, segno che stava evocando il proprio potere di controllo degli elementi.
“Tempesta, no!” provò a fermarla la mutante più giovane, ma era tardi.
Mentre le ultime sillabe si perdevano nell’aria, infatti, il cielo notturno fu ricoperto da dense nubi tempestose ed un fulmine scoccò apparentemente dal nulla, centrando in pieno il gigante che bloccava a terra il giovane mutante dalla pelle di metallo.
La scarica elettrica durò per parecchi secondi e, quando terminò, dello sconosciuto non c’era più traccia tranne un grosso buco fumante all’interno di un vecchio container di ferrotutto scolorito e arrugginito.
“Ororo, che hai fatto?” esclamò allarmata Rogue, mentre anche Tempesta si chiedeva se non avesse esagerato. L’unica volta che aveva scatenato altrettanta potenza su di un essere vivente era stato contro Sabretooth, ma questi era un mutante dotato di un fattore di guarigione incredibile, praticamente pari a quello di Wolverine.
“Tempesta, tutto a posto?” domandò allora Ciclope, comparendo dalla porta del bar ancora barcollante, seguito a debita distanza dal barista e dagli avventori.
Prima che qualcuno potesse rispondere, però, si sentì il rumore di metallo che veniva ritorto ed un massiccio pugno emerse dalle macerie del container, seguito da una figura.
Solo che non era una figura del tutto umana.
 
Quando aveva visto la mano stringersi sul metallo contorto e fumante del buco, Rogue era stata felice di sapere che il suo compagno di bevute non era morto, ma la sua felicità era stata come congelata quando lo aveva visto rialzarsi in piedi.
L’impermeabile ed il cappello che lo avevano fino a quel momento nascosto alla vista erano stati infatti parzialmente distrutti dal fulmine di Ororo e, al di sotto, era finalmente possibile vedere come fosse effettivamente fatto l’uomo con il quale si era ritrovata a confidarsi quella sera.
L’uomo – se di uomo si poteva ancora parlare – aveva una pelle rocciosa di colore arancione e sembrava più che altro una statua di pietra… un Golem come quello degli antichi racconti ebraici.
“Ma quello…” esclamò Colosso, che nel frattempo si era rialzato ed aveva riassunto il suo aspetto normale “è… la Cosa!”
“Già… la Cosa!” rispose il massiccio essere di pietra, facendo un passo avanti e mettendosi bene in mostra alla luce dei lampioni “Ed indovina un po’, bello… è ancora tempo di distruzione!”
“No!” gridò però Rogue, riprendendosi dallo stupore di aver appena conosciuto uno dei Fantastici 4, gli eroi che avevano – secondo quanto riportato dai telegiornali di mezzo mondo – contribuito a salvare il mondo da una incredibile minaccia extraterrestre che pareva si divertisse a scavare buchi nei pianeti altrui per poi divorarli.
La ragazza corse tra Peter e la Cosa, mettendosi in mezzo come l’essere di pietra aveva fatto poco prima per difenderla poi, guardandolo dritto negli occhi azzurri che durante la serata aveva solo intravisto, disse “Fermati, ti prego… c’è stato un malinteso. Loro sono miei amici…”
“Amici?” domandò stupito il colosso di pietra, passando lo sguardo dalla ragazzina dai capelli rossi al tizio con gli occhiali e al giovane russo, per poi fermarsi sulla donna dalla pelle d’ebano che li accompagnava.
“Sì…” confermò lei poi, indicandoli ad uno ad uno, aggiunse “lui è il mio compagno di scuola Peter, mentre loro sono miei insegnanti. Lui è Scott e lei Ororo.”
I due X–Man, che nel frattempo si erano avvicinati, fecero un cenno di saluto poi Tempesta disse “Mi dispiace per quello che è successo, ma eravamo preoccupati per Rogue. L’abbiamo cercata per mezza città non appena abbiamo saputo dell’incidente e, quando vi abbiamo visti insieme, abbiamo frainteso la situazione e agito affrettatamente…”
“Oh, beh… immagino che non sia successo nulla di che…” commentò dopo un momento di riflessione l’uomo di pietra, frugando nella tasca di quanto restava del suo impermeabile per recuperare il denaro che ancora c’era dentro. Poi, dopo essersi spazzato via un po’ di polvere dalla coriacea pelle rocciosa, si diresse verso il barista ancora circondato dal solito gruppo di avventori per pagare i danni causati al bar.
 
“Torna quando vuoi, Ben…” commentò l’anziano barista che – da quando il suo cliente si era trasformato nella Cosa – aveva già dovuto ristrutturare tre volte il locale ed era più che contento dei pochi danni riportati in quell’occasione.
Benjamin j. Grimm diede una leggera pacca sulle spalle all’uomo poi, voltandosi, si trovò davanti lo scricciolo dai capelli rossi che aveva causato tutto quel casino.
La ragazza aveva gli occhi bassi e sembrava consapevole di avere fatto uno sbaglio quindi Ben, che tutto si sentiva fuorché di farle una paternale, si limitò a commentare “E così quelli sarebbero dei professori, eh? Ai miei tempi non mi sarebbe dispiaciuto avere una prof come la tua…”
“E’… una scuola un po’ speciale…” ci tenne a precisare Rogue, mentre i due si allontanavano un po’ dalla porta del bar e dal gruppetto di X-Men che si era tenuto a debita distanza “per gente come me… come noi…”
“Per noi tipi tosti e senza paura, intendi?” chiese ghignando il colosso arancione, mentre dai resti dell’impermeabile tirava fuori un sigaro e-dopo esserselo ficcato in bocca-lo accendeva con un accendino d’acciaio che sembrava costruito su misura per le sue massicce dita rocciose.
“Qualcosa del genere…” convenne la giovane, grata per quell’epiteto che era – di certo – molto più simpatico di «mostri» o anche solo «mutanti».
“Dunque…” borbottò Ben dopo un paio di boccate. Era evidente che voleva dire qualcosa ma che – nel contempo – si chiedeva se fosse il caso di farlo. Alla fine dovette propendere per il sì, perché chiese “Allora parlavi sul serio quando dicevi dinon poter toccare nessuno…”
“Sul serio…” confermò mesta Rogue, che da quando aveva capito di stare parlando con la Cosa era riuscita a spiegarsi molto meglio le parole che aveva pronunciato quando erano soli al bancone del bar. In fondo, quando sei composto da cinque quintali di pietra vivente e sei abbastanza forte da lanciare un camion dall’altra parte della strada non deve essere facile avere contatti umani con la gente senza rischiare di ferirla!
“Già… è per questo che porti i guantie ti copri dalla testa ai piedi?” investigò lui, che aveva già da prima notato come l'abbigliamento della giovane - pur essendo abbastanza ricercato - non lasciava scoperto neppure un centimetro di pelle a parte quella del viso “Per evitare di toccare qualcuno accidentalmente?”
Lei fece cenno di sì, poi chiese “E tu?Lo fai per nasconderti?”
“Naah…” rispose però il gigante di pietra, afferrando il sigaro con una delle enormi manone e buttando fuori il fumo in una nuvoletta circolare “è che sono troppo bello e non vorrei far svenire le mie fan per la strada!”
Anche Rogue sorrise a quella battuta, poi chiese “Però ho letto che hai una ragazza, no?”
La Cosa rimase silenziosa per un attimo, poi il suo squadrato volto di pietra si distese in un sorriso al pensiero di Alicia Masters, l’unica donna per la quale il suo cuore battesse davvero “Diciamo di sì.”
“E… come fai?” chiese allora la giovane mutante arrossendo lievemente, in quanto si riferiva - ovviamente-alle difficoltà che i due dovevano necessariamente incontrare sul piano fisico.
“Non è facile…” rispose Ben dopo un lungo momento di riflessione “va affrontata giorno per giorno, consapevoli che ci sono limiti che non possono essere superati. Però io sono fortunato, perché ho trovato una donna in grado di andare oltre il mio aspetto mostruoso e vedere al di sotto di questo strato di pietra”
“Sei fortunato…” commentò lei, chiedendosi se al mondo esistesse qualcuno in grado di starle accanto nonostante il suo devastante potere.
La Cosa dovette capire lo stato d’animo con cui erano state dette quelle parole, perché le disse “Suvvia, scricciolo… sei ancora una bambina! Vedrai che quella persona c’è anche per te. Basta solo trovarla!”
Dopodiché, prima che la ragazza potesse evitarlo, poggiò la sua mano rocciosa sulla pelle delicata della guancia di lei.
Il potere mutante di Rogue si attivò immediatamente trasferendole la forza vitale del gigante di pietra ma Ben, stringendo i denti, resistette per il tempo necessario a trasformare quel contatto fugace in una carezza decente.
Dopodiché, sentendosi le gambe molli ma non volendo a nessun costo apparire indebolito da quel gesto, si voltò e-con un cenno-la salutò.
“Ora torna dai tuoi amici, Rogue!” disse col suo vocione, cominciando ad incamminarsi verso una strada trafficata dove avrebbe potuto prendere un bel taxi che lo avrebbe accompagnato fino al Baxter Building.
La ragazza, che era rimasta toccata da quel gesto che – a giudicare dall’energia ricevuta – doveva essere costato molto alla Cosa, gli gridò dietro “Marie, mi chiamo Marie!”
“Va a dormire, scriccioloe ricorda: giorno per giorno!” rispose il gigante di roccia, senza voltarsi di nuovoma facendole comunque cenno di aver sentito quello che aveva detto.
In fondo, si disse mentre svoltava un angoloe fermava un taxi mettendosi praticamente in mezzo alla strada, era stata una serata interessante.
  
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