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Autore: LawrenceTwosomeTime    08/06/2007    3 recensioni
Killer7, ovvero un gioco che ho amato alla follia (uh uh uh...). Questo mio "romanzo" (di cui per ora ho scritto solo due capitoli), si propone di reinterpretare la tortuosa e scalcinata trama del gioco con nuovi personaggi, nuovi eventi e uno stile narrativo che più pazzo non si può!
Genere: Demenziale, Thriller, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Tra gli asteroidi di catarro e mucillaggine cosmica che intasavano lo spazio ideale delle secrezioni animali, una gola si schiarì sonoramente.
“Daccordo...vediamo se ho capito bene...”.
Le dita dell’interlocutore tamburellavano ossessivamente sul tavolo.
TRDUMP TRDUMP.
Già, facevano un rumore molto simile a questo.
TRDUMP TRDUMP.
“Lei...lei vorrebbe farmi credere che...l’Agenzia è...a corto di fondi? Cioè mi vorrebbe dire che adesso non possono pagarmi, ma che se aspetto qualche mese tutto tornerà uguale a prima? E...e intanto dovrei continuare a svolgere il mio lavoro...senza le complicazioni del caso...darvi le informazioni e grazie tante? È così?!”.
L’interlocutore fece un cenno di assenso.
Lo sventagliare del seno della cameriera li distolse tutti e due dai loro oneri; la tavola calda quella mattina era affollata. Un brusio costante rendeva il conversare un atto estremamente complicato, ma non era la pazienza che difettava nei due uomini. In un certo senso era gradevole pensare che lì dentro si poteva stare riparati, al caldo, mentre all’esterno della vetrina una giornata limpida, fresca e pulita gravava sul mondo col suo cielo terso.
Riscaldava il cuore.
I due uomini, per conto loro, erano addossati al muro e al momento avevano altro per la testa.
L’interlocutore si alzò.
“Scusi, ma dove sta andando? Guardi che sto parlando con lei! Anche se a essere sincero, da quando ce l’ho di fronte mi sembra di recitare un soliloquio...”, “Vado al gabinetto”, si limitò a rispondere l’altro con voce più grave di quanto ci si poteva aspettare da un afroamericano di un metro e novanta. Quell’uomo era un gorilla; certo, un gorilla ben educato e tirato a lucido. Ma pur sempre un gorilla. “...E intanto vedrò di riflettere a proposito di questa scomoda faccenda. Così, al mio ritorno, quasi sicuramente saremo in grado di risolvere il problema da persone adulte”.
E Garcian Smith, che quella mattina indossava un completo bianco con cravatta viola, scomparve dietro l’angolo antistante al bancone. L’altro uomo, Danny Hoodsman, informatore solitamente strapagato, si mise una mano sulla fronte e sorseggiò il suo cappuccino: “Persone adulte...persone adulte...’fanculo...sudicio negro...pseudo-intellettuale del cazzo...quando torni ti insegno le buone maniere...”.
Quattro minuti più tardi, l’interlocutore tornò.
C’era qualcosa che non andava però: l’uomo che Hoodsman aveva visto allontanarsi poco fa era di colore; questo invece aveva carnagione chiara, capelli corvini e spettinati; questo era vestito diversamente, portava una giacca scura; questo si muoveva diversamente. Insomma, a tutti gli effetti doveva essere un altra persona, fatto sta che si sedette nel posto che prima era stato dell’altro, lo guardò dritto negli occhi e disse con timbro roco: “Allora, Lucky Boy: dove eravamo rimasti?”.
Hoodsman si mostrò visibilmente sbigottito: “Ma...ma...”, “Garcian? Si, ci siamo incontrati al cesso. Io e lui lavoriamo per lo stesso Capo: è un lavoro fottutamente sporco, e mi piace...anche se lui è più bravo di me a ripulire - quel gran figlio di una puttana sifilitica! – Potresti definirlo...ma si, uno specialista...Passando ad affari più importanti: eravamo fermi alla storia del pagamento. Le informazioni, no?”, “Mi spiega almeno perchè...” , “Il cambio? Bè, è semplice, Lucky Boy: capita spesso che ci scambiamo le commissioni; favori fatti, favori ricambiati...e poi Garcian stamattina aveva davvero un gran brutto mal di testa...Tu lo capisci, no, Lucky Boy?”.
L’informatore si accigliò sensibilmente: “Mi fa il favore di smetterla di chiamarmi in quel modo?”; Dan Smith sogghignò: “Come? Ti sta a pennello, amico!” , “Perchè?” , “È facile: tu fai il doppio gioco, fai finta di stare dalla parte dei cattivi, e loro ti pagano; poi vieni qui, ci dici i loro fatti privati, spilli soldi anche a noi...se non ti tradisci, se non lasci spazio alle emozioni, puoi andare avanti così per anni. E magari, più avanti, andartene da questo Paese di merda e finire i tuoi giorni come un pascià a farti fare i pompini da qualche odalisca. Capito, Lucky Boy?”.
Anche le dita di questo tamburellavano, ma ad un ritmo più lento, e con insistenza snervante. “Allora, che vogliamo fare? Mi dai le informazioni, o ce ne stiamo qua a guardarci in faccia?”, “Mettetevi in testa che senza il compenso non vi do un bel niente”.
Dan Smith corrugò la fronte: “Va bene. Facciamo così: tu mi dai quel cazzo di pezzo di carta, oppure...le vedi le mie braccia? Vedi le mie mani appoggiate sul tavolo? Ci metto un niente a infilare il mio revolver tra le tue gambe, patetico finocchio, e a puntartelo sui coglioni. Così poi ti porti a casa il tuo uccello rotto come souvenir. Riassumendo...se non vuoi che trituri i tessuti vivi del tuo scroto, ti tranci il pene e ti rovini i testicoli squarciandoteli con una pistolettata rovente fino a fotterti il cervello (lo vedi che siamo al punto di partenza?), dammi quel cazzo di pezzo di carta. Lucky Boy”. Hoodsman aveva cominciato a sudare. “Non lo farà...c’è troppa gente qui”.
UN BOATO.
Dan Smith si chinò sulla figura sofferente e straziata dal dolore dell’informatore, che si teneva una zona imprecisata in mezzo alle gambe con le mani già tinte di un rosso talmente vivido da rivaleggiare in purezza con l’azzurro del cielo. Gli frugò nelle tasche molleggiando sulle gambe.
Trovò un pacchetto.
“Visto? Era così facile. Avrei dovuto avvertirti che non sono abituato a ripetere le cose due volte. Complimenti a te, signor J.F.K.! You are “Just Fucked”, my poor “Kinky” friend! Uh uh uh...!!”. Si alzò e si voltò verso gli avventori, apertisi intorno a lui in un cerchio compatto come un bubbone scoppiato.
“Bè? Chiamate un’ambulanza, no? Non sapete quanto sia brutto svegliarsi sentendosi un coglione, sapendo che fino al giorno prima ne avevi due?”, e uscì tenendo il revolver appoggiato alla spalla.

Appartamento di Garcian ore 11.15

Garcian posteggiò la sua auto sportiva nel garage e si diresse a passo tranquillo al vialetto dietro casa.
Nei pressi lo attendeva Cristopher Mills, attendente dell’Agenzia e, cosa ancor più importante, uno dei pochi uomini che potevano parlare tranquillamente con Killer7, variazioni sul tema comprese.
“Bel gingillo ti porti dietro, Garcian!”, esclamò, ravviandosi i biondi capelli ricciuti.
“Ti piace? Volkswagen, l’ho comprata due giorni fa”, disse il nero sorridendo: a Cristopher non interessavano che le auto; persino le donne, confrontate a queste ultime, passavano in secondo piano.
“Allora” fece Mills, e intanto spostava lo sguardo da destra a sinistra, “hai preso quello che dovevi?”, “Certo”; Garcian estrasse un pacchetto sigillato con nastro adesivo dal taschino. Era ancora sporco di sangue. Mills fischiò. “Hai dovuto lottare per guadagnartelo, eh? Mi sa che Hoodsman non ha preso bene la storia del pagamento. Ma dimmi un po’: tu non sei uomo da queste cose; non è che...”, “Si ,ho chiamato fuori Dan. Un po’ a malincuore, ma l’ho chiamato fuori...”, “Per finire il lavoro, eh? Del resto, io so come sei fatto: non ti piace lasciare tracce, sei l’efficienza fatta persona. Per questo ti chiamano...”, “ “Il Pulitore”, lo so...”, “Già, non come quello stronzo di Dan”, “Non alzare la voce. Quel bastardo potrebbe sentirti”, “...Saggio consiglio, vecchio mio”.
Congedatosi da Mills, Garcian entrò in casa, si accasciò sul divano e chiamò Samantha, la domestica: “Sii buona, preparami uno spuntino. Ah...E massaggiami le tempie. Ho un tremendo mal di testa”. La donna assentì con una muta riverenza e sparì in cucina.
Garcian prese il portatile, lo accese. Infine scartò il pacchetto e mormorò: “Vediamo quali buone nuove...”.
  
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