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Autore: Harriet    10/06/2007    6 recensioni
Una morte che lascia un vuoto lacerante. Una persona che si trasforma completamente. Una casa troppo grande che ti ingoia e ti imprigiona.
Perché rimani? Perché non torni a casa?
Cosa c'è di tanto importante che ti trattiene qui?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fuuma Monou, Kamui Shiro, Kotori Monou
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha partecipato al concorso dedicato agli Alternative Universe, indetto e giudicato da Lisachan e Anachan, sul forum dell’EFP. Si è classificata prima, e io ringrazio di cuore le giudicesse! ç___ç *commoss commoss*

Questa storia mi ha fatta impazzire, deprimere, incavolare e desiderare di non essermici mai imbarcata!XD Questa storia è dedicata a Wednesday Sol.

Le citazioni musicali all’inizio della storia sono:

- Spark (Tori Amos)

- Key of the twilight (Fiction Junction)

Fuuma, Kamui, Kotori e tutto il resto sono delle Clamp, da questa storia io non ci ho guadagnato nulla, se non un gran mal di testa mentre scrivevo il finale, e la bella sorpresa di essere arrivata prima al concorso.

Buona lettura!



Sinfonia di rinascita



You say you don’t want it, again and again

but you don’t really mean it

You say you don’t want it, this circus we’re in

but you don’t really mean it



Fanatics find their heaven in neverending storming winds

Auguries of destruction be a lullaby for rebirth

Consolations be there

In my dreamland to find



- A che cosa giochiamo?-

- Facciamo che dovevamo fare un viaggio?-

- Sì, dai!-

- Ma dobbiamo decidere un motivo per il viaggio.-

- Kotori, a noi non viene in mente, decidilo tu.-

- Ci sono! Noi tre siamo i fedeli maghi di corte di un principe. Lui però ha subito una maledizione che lo rende cattivo, e noi dobbiamo salvarlo. E per scoprire come annullare la maledizione, dobbiamo fare questo viaggio! Ci state?-



I – Opening: L’inizio della fine


Avrebbe dovuto rendersene conto prima, percepire il cambiamento, leggerlo negli occhi, nei gesti, nelle cose non fatte e non dette. Avrebbe dovuto, sì, ma non si può chiedere troppo ad una mente annebbiata dal dolore, ad un cuore piccolo e pieno di sentimenti tristi.

Avrebbe dovuto chiedersi – chiedergli – perché non l’aveva considerato, al funerale di lei, perché lo aveva quasi costantemente ignorato, perché non aveva offerto né accettato conforto.

Sì, ma Kotori era sua sorella. Non puoi pretendere lucidità da un fratello che va a seppellire sua sorella di sedici anni, no?

Avrebbe dovuto andare oltre la solita immagine dimessa e seria di Fuuma, la stessa che per lui rappresentava un sostegno da anni, ormai. Sì, avrebbe dovuto rendersi conto che c’era qualcosa di strano, che si era innescato un processo misterioso ed infido che non prometteva niente di positivo.

Ma non aveva fatto niente di tutto questo. I suoi pensieri erano pieni solo di Kotori, dell’incapacità di realizzare la sua scomparsa. E poi del sui ricordo, e della domanda che cos’era, che provavo per lei? Cosa sarebbe potuto diventare?

Alcuni anni prima aveva dovuto lasciare la città e i suoi amici, per trasferirsi in un luogo più consono alla salute cagionevole di sua madre. Si era dovuto accontentare di lettere e telefonate, e di alcuni rari incontri, così intensi, ma anche così insufficienti, da risultare più che altro dolorosi.

La lontananza non aveva cambiato i sentimenti, però. Li aveva fatti evolvere, li aveva modellati, a volte resi perfino più vivi.

Che Kotori fosse malata, lui lo sapeva. Che li avrebbe lasciati così, lo immaginava. Kotori parlava sempre del futuro, ma non era un’illusa. Non aveva mai detto che stava per morire, ma nei suoi discorsi sul futuro, ad un certo punto, si era passati dal “noi saremo” al “voi sarete”, e il segnale era stato chiaro.

Voi sarete...

Voi. Kotori credeva in quel “voi”. E lui si era sempre fidato di Kotori. Conoscendola, era impossibile non fidarsi di lei. Nella sua semplicità, aveva un carisma molto forte. Diceva qualcosa, con quella voce leggera, e le leggevi negli occhi una sicurezza impressionante.

Come era possibile non fidarsi di lei?

Voi sarete amici per sempre: non l’aveva mai detto a parole, ma era sottinteso in tutti i suoi ultimi discorsi, nei suoi gesti, nel suo sorriso. Voi due, le persone che mi sono più care.

E lui si era sempre fidato di questa visione.

Fino al giorno in cui, in seguito ad una telefonata di Kyougo e Saya Monou, il padre e la madre di Fuuma, era stato invitato a vivere al loro tempio per qualche tempo. Avrebbe frequentato la scuola di Fuuma. Kamui si prendeva cura di sua madre, era vero, ma adesso c’era bisogno di qualcuno che si prendesse cura di Fuuma, e forse anche dello stesso Kamui. Erano giovani, avevano perso entrambi qualcosa di immensamente importante. Insieme, potevano aiutarsi.

Sì, Kamui avrebbe dovuto cogliere la stonatura fin da quella telefonata, fosse stato solo per il semplice fatto che era stato Kyougo, e non Fuuma, a farla.

Ma Kamui era ingenuo, dietro la facciata di ragazzino testardo e determinato che amava mostrare. Era ingenuo e confuso, e l’ultima cosa che poteva passargli per la mente era che ci fosse qualcosa di strano nella famiglia Monou, il suo appiglio costante.

L’avevano invitato, e sua madre gli aveva detto di andare, perché era la cosa migliore. E lui era partito.

E se fino ad allora Kamui aveva sistematicamente evitato di confrontarsi con tutti i segnali inquietanti, al suo arrivo almeno avrebbe dovuto iniziare a porsi delle domande.

Perché Fuuma sembrava un’altra persona, ad esempio. Sarebbe stata una domanda intelligente da porsi.

Ma non l’aveva fatto. C’era sicuramente una spiegazione semplice a tutto.

E così, ignorando e fuggendo, era arrivato a quel momento. Il momento in cui era stato costretto a rendersi conto che stava accadendo qualcosa di molto, molto sbagliato...

Erano passati due giorni dal suo arrivo lì, e non era mai riuscito a scambiare due parole con Fuuma, che sembrava volerlo evitare. Ma adesso erano uno di fronte all’altro: si erano scontrati sulla soglia della stanza di Kotori, sorpresi entrambi di scoprire che anche l’altro voleva trovare rifugio in quella stanza silente. Poi Kamui aveva sorriso, decidendo che era il momento di abbattere le barriere e ritrovare la confidenza usuale.

- Fuuma, senti...-

- Kamui.-

No, non era esattamente il tono di voce tranquillo e amichevole a cui era abituato. E anche lo sguardo non era lo stesso. Perché non ti aspetti di trovare un sorriso così cattivo sul volto di un amico, vero?

- Ma cosa...-

- Tutti credono che Kotori sia morta di malattia. Ma non è così. Sai com’è morta, veramente?-

- Fuuma...-

- L’ho uccisa io.-

...e quello fu l’inizio dell’Apocalisse.



II – Dissonanza


- Fuuma, cosa stai dicendo?-

- Tu sai quanto peso hanno i desideri?-

- Cosa c’entra questo, adesso?-

Kamui era completamente nel panico. All’improvviso le cose strane che avrebbe dovuto notare, tutti i segni fin troppo evidenti, cominciarono a turbinare vorticosamente nella sua mente. L’altro intanto gli si era avvicinato. Kamui era immobile, dietro di lui lo spazio segreto della stanza di Kotori, di fronte il nulla degli occhi di Fuuma.

- Rispondimi. Lo sai quanto peso hanno i desideri?-

- Fuuma, sei sconvolto, anch’io lo sono, ma...-

Kamui alzò una mano per raggiungere l’altro, per mettere fine a quei discorsi, ma la mano di Fuuma scattò in avanti e afferrò il polso dell’altro ragazzo, stringendo forte.

- La vita delle persone è manovrata dai desideri. Si può dire che siamo tutti le marionette dei nostri desideri. E il più delle volte non ce ne rendiamo conto. Quando lei era viva, io desideravo che sparisse. Lo desideravo così tanto, che è avvenuto davvero. Lei è morta perché io lo desideravo. Quindi l’ho uccisa io.-

- Fuuma, ma perché stai dicendo queste cose?-

La voce di Kamui si era ridotta ad un sussurro. Guardava il viso solitamente gentile trasformato nella maschera di un folle. Si sentiva imprigionato dalla magia perversa che l’altro sembrava emettere. E non vi trovava spiegazione.

- Perché è la verità.-

- Non...non dire idiozie!- Kamui alzò la voce e cercò di liberarsi dalla stretta dell’altro, ma inutilmente. – Tu non sei così!-

- Pensi di sapere meglio di me chi sono?-

- Se sconvolto dalla morte di Kotori, è per questo che parli così! Lo sono anch’io, ma non per questo...-

- Allora non hai capito. Ti ho detto che volevo che sparisse. Cosa vuoi che mi importi della sua morte? Se dico queste cose, è perché è la verità, e lo era anche prima che morisse.-

- Ma cosa...- Non è uno scherzo e non è un incubo. E allora... – Cosa ti è successo?-

Fuuma alzò le spalle e lasciò che il sorriso che aveva si trasformasse, addolcendosi un po’. Ma sul viso di chi aveva appena detto un’enormità del genere faceva ancora più paura.

- Non credo mi sia successo nulla, a dire la verità. Forse è così che sono sempre stato, ed ora non ho più nessuno di fronte a cui devo nascondermi.-

- Perché volevi che Kotori sparisse?-

- Perché è quello che vorrei per la maggior parte degli esseri umani.-

-...perché?-

Fuuma fece un sospiro, quasi rammaricandosi che l’altro non capisse il punto delle sue parole, e finalmente lo lasciò andare.

- Se vuoi possiamo rimandare la conversazione, ma dovremo di nuovo confrontarci sull’argomento.-

- Fuuma, hai detto ai tuoi genitori queste cose?- domandò Kamui, indietreggiando subito, non appena fu libero. – Si sono accorti che sei cambiato?-

- No. E non credo se ne accorgeranno, né loro né nessun altro. Sono molto bravo a fare vedere agli altri la persona che vorrebbero vedere.-

Sorrise ancora, e Kamui fece l’ultimo passo all’indietro, chiudendo la porta della camera di Kotori tra sé e l’altro.

E poi rimase fermo, a domandarsi quand’era che si sarebbe svegliato.



III – Out of key


Non gli fu concesso di svegliarsi, invece.

Tutti i giorni si alzava, incontrava i genitori di Fuuma e sorrideva loro, e poi si preparava ad andare a scuola con quel simulacro vuoto che una volta conteneva l’anima di Fuuma. Si incamminavano lungo il viale del tempio dei Monou, in silenzio, senza guardarsi. Prendevano le biciclette parcheggiate lì vicino, e almeno fino a scuola erano salvi. Poi c’era l’occhiata che si scambiavano davanti all’edificio, e già quei tre secondi erano abbastanza brutti per Kamui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dover incontrare lo sguardo di chi gli aveva brutalmente confessato di aver voluto la morte di Kotori, così tanto da farla avvenire.

Non essere idiota. Non è possibile. Non può averlo fatto davvero!

Forse non l’aveva fatto davvero, ma aveva detto quelle parole...

Ci sarà una spiegazione, no?

Sì, certo che c’è. Quella che ti ha dato lui stesso.

Gli aveva chiesto perché, due giorni dopo la rivelazione. Una domanda come un’implorazione.

- Perché cosa?-

- Perché odi le persone? Perché volevi che lei morisse?-

- Dì un po’, ma ti sembra normale amare le persone, quando le guardi bene?-

- Ma che cavolo vuole dire? Non ha senso!-

Fuuma aveva riso e si era rimesso a riordinare i libri di scuola.

Quella scena si era ripetuta un migliaio di volte. Sembrava che non fossero capaci di dirsi nient’altro che perché e perché sì. Occasionalmente Fuuma si premurava di elargire a Kamui qualche altro estratto della sua nuova filosofia di vita. E Kamui inorridiva, rendendosi conto chiaramente che non sapeva veramente cosa fare. Con poche parole Fuuma era riuscito a distruggere la fiducia di Kamui, e anche tutta la confidenza che c’era tra loro. Kamui era terrorizzato dall’altro. Era gelido, era cinico, era sprezzante e non gli piaceva più niente. Sputava veleno sulle cose, dava voce ai suoi pensieri più oscuri.

E giorno dopo giorno erano sempre più lontani. Fuuma era mostruoso, sorrideva ai genitori e un attimo dopo bisbigliava parole folli all’orecchio di Kamui. E Kamui aveva paura, e cominciava a cercare ogni modo possibile per stare lontano dall’altro. La casa era grande abbastanza per tenerli separati. Ed era anche così tetra e silenziosa che a Kamui sembrava di essersi ammalato, stando là dentro.

Quel giorno aveva raggiunto la bicicletta prima dell’altro. In teoria avrebbe dovuto aspettarlo, ma quando si rese conto che avrebbe potuto evitarlo per un po’, fu colto dal desiderio di fuggire.

Solo per quella volta...Ai Monou avrebbe raccontato qualcosa, quando fosse tornato a casa, quella sera. Di aver lasciato un biglietto sulla bici di Fuuma, magari, che il vento poi si era portato via.

Si guardò attorno, superando la folla di studenti in uscita. La classe di Fuuma tardava. Se aveva intenzione di farlo, il momento era quello.

Saltò sulla bicicletta e cominciò a pedalare, più velocemente possibile, facendosi largo tra gli studenti di prepotenza. Si lasciò alle spalle la scuola, le proteste accalorate di quelli che aveva rischiato di investire e la creatura malvagia che teneva in ostaggio il suo migliore amico.

Quasi un’ora dopo, mentre il cielo andava sfumando sull’azzurro scuro, si rese conto di essere lontano da casa Monou e molto stanco. Si fermò, guardandosi alle spalle, come per sincerarsi che l’altro non l’avesse seguito e raggiunto. Non c’era nessuno, e il ragazzo poté appoggiare la bicicletta a un muro e guardarsi attorno. Era finito in un quartiere che gli era quasi sconosciuto. Aveva l’impressione di esserci già stato, ma non ricordava quando e perché. E soprattutto, non avrebbe mai saputo come tornare indietro.

Splendido.

Ricacciò indietro l’ondata di panico che l’aveva colto a quel pensiero, e si guardò in giro. Non c’era quasi nessuno, per le strade. C’erano case e basta, intorno a lui, e un edificio alto che aveva l’aria di essere pieno di uffici.

No, non sono uffici, è una scuola di musica, perché io qui ci sono venuto per un saggio di canto di Kotori.

Un secolo fa.

Il pensiero di Kotori si affacciò alla sua mente con una chiarezza e una semplicità sconcertanti. Dimenticò Fuuma, dimenticò l’incubo in cui stava vivendo ultimamente e tornò a pensare a lei.

Volevo comprarle dei fiori, per quel saggio, ma non lo feci perché pensai che mi sarei vergognato ad andare a portarglieli. Però lei, alla fine, venne in platea, a cercare me prima di tutti.

Ogni tempesta comincia con una goccia, la prima goccia che tocca il suolo. Quel ricordo fu la prima goccia. Poi la sua memoria si scatenò, rovesciandogli addosso una pioggia di memorie. Si rese conto che lo spettro mostruoso che diceva di essere Fuuma aveva preso possesso di tutti i suoi pensieri, e che aveva nascosto il ricordo e il dolore per Kotori da qualche parte, in fondo all’anima. Ora però era solo, senza spettri e con i ricordi, e la tempesta poteva infuriare liberamente contro di lui. In mezzo a tutte le immagini che la mente gli restituiva, c’era sempre quel sorriso gentile e quella presenza ancora incerta di lei, una magia senza nome. Qualcosa che era svanito prima che lui potesse comprenderlo.

Libero da Fuuma, per poco tempo, si concesse di subire la tempesta dall’inizio alla fine. Da solo, in mezzo a una strada sconosciuta, si accoccolò a terra e iniziò a piangere in silenzio.

Infine si rialzò, scoprendo con stupore che era tutto buio, intorno a lui. Smarrito e confuso, corse a riprendere la bicicletta, sperando di ritrovare la via di casa, in qualche modo.

La ritrovò, ma dopo troppo tempo. L’ora di cena era passata da un pezzo, e avrebbe dovuto spiegare la cosa ai Monou in maniera convincente. E dubitava di essere in grado. Forse sarebbe stato opportuno accennare anche al vero problema, e cioè al fatto che il loro amato figlio si era trasformato in qualcosa di irriconoscibile. No, non ce l’avrebbe mai fatta...E non gli sembrava onesto, in qualche strana maniera.

Era come se volesse mantenere il segreto sulla follia di Fuuma. Perché...dirlo a voce alta, sarebbe stato come ammettere che era tutto vero. Finché lo teneva per sé, poteva sempre cercare di convincersi che fosse solo un incubo.

Si stava concentrando proprio su quel pensiero, quando si accorse di essere rientrato nella zona vicina al tempio. Sollevato, diminuì un po’ la velocità, mettendosi a pensare cosa avrebbe detto ai Monou.

E in quel momento si accorse di essere stato appena raggiunto dall’ultima persona che avrebbe voluto vedere.

- Perché non mi hai aspettato?-

Perse l’equilibrio e crollò a terra con la bici. Ma la caduta fu rallentata, e non si fece troppo male. Tentò di emergere dalla caduta rovinosa, e si ritrovò Fuuma a pochi passi, chino su di lui.

- Non avevi voglia di tornare a casa con me?-

- No, io...-

- Ti sto facendo paura?-

- Io non...Fuuma.-

- Cosa c’è?-

- Qual è il senso di tutto questo? Tu...che fai finta di essere normale, con tutti. E poi mi dici delle cose...Quello che mi hai detto. Fingi con tutti e non con me...Perché?-

- Perché trovo che dare ad ognuno ciò che desidera sia piuttosto vantaggioso.-

Di nuovo quella calma spaventosa, mentre diceva cose folli. Kamui si sollevò goffamente da terra e prese a scuotersi di dosso la polvere per non guardare in faccia l’altro.

- E perché a me non dai quel che voglio?-

- Perché lo trovo divertente.-

- Trovi divertente spaventarmi?-

- Dovresti ringraziarmi. Sei l’unico che sa la verità.-

- Fuuma, ma...ma cosa vuoi fare? Che senso hanno le cose che dici? Insomma, con me puoi anche comportarti così, ma...-

- Sei molto carino a preoccuparti del senso della mia esistenza, sai?-

Era freddo: era primavera, ma era una primavera gelida. E il tempo continuava a correre, la gente a vivere, e il mondo ignorava quel che si stava consumando lì, in quel momento.

- Fuuma, lasciami andare e torniamo a casa!-

Per la manciata di secondi che seguì, Kamui ebbe l’impressione che Fuuma stesse per mangiarlo. Trattenne il fiato, e gli sembrò che anche il suo cuore avesse smesso di battere, per quei secondi.

Poi l’altro si allontanò, senza dire una parola.

- Fuuma...-

- Dopo la scuola ho detto ai miei che mi stavi aspettando, perché dovevamo andare via insieme. Ringraziami.-

Kamui raccolse la bicicletta, e si avviò verso il tempio in silenzio. Con una voglia tremenda di urlare.

Per quella sera non si dissero altro, ma dal giorno seguente tutto ricominciò come prima. La vicinanza spaventosa, gli sguardi non desiderati, le frasi casuali, che spezzavano il silenzio e il cuore del ragazzo più piccolo.

- Non eri così, prima!-

- Solo perché c’era Kotori. Qualcosa di lei faceva sì che tenessi tutto per me. Ma alla fine, vedi, l’ho uccisa. E ora posso dire quel che penso veramente.-

- Odi così tanto il mondo?-

- Non lo odio. Mi è indifferente. Non mi servono le persone.-

- Nemmeno io?-

Un sorriso che era un capolavoro di malizia.

- Tu meno di tutti. Però sei divertente.-



IV – La canzone della pioggia


Era arrivato maggio ed era tornata la pioggia. La guardava cadere, dalla sua finestra, e si domandava perché non se n’era ancora andato. Più di un mese imprigionato in quell’incubo poteva bastare, no?

Lui aveva un suo mondo, fuori. Sua madre lo aspettava. E i suoi amici. Yuzuriha, col suo cane e le sue pagine di diario colorate. Sorata con quell’allegria sempre fuori posto. Daisuke e la sua insopportabile serietà. Arashi, carismatica e temperata. Lui li aveva a cuore, e sapeva che si preoccupavano per lui. Gli erano stati vicini alla notizia della morte di Kotori, avevano accettato di buon grado la sua partenza per Tokyo.

Perché rimaneva lì?

Fuuma era il suo migliore amico, d’accordo.

Fuuma, non la creatura che si faceva passare per Fuuma.

Perché non se ne andava? Perché accettava quei giorni di sofferenza quieta, di angoscia costante, di paura che lo seguiva sempre?

Poteva abbandonare tutto in ogni istante. Dire che il periodo di cura era finito, che stava bene e che anche Fuuma si era ripreso. Mentire sulle condizioni di salute di sua madre, magari, e salutarli tutti con la scusa di dover tornare da lei.

Insomma, era la sua sanità mentale ad essere in pericolo!

Sarebbe stato solo giusto, andarsene di lì.

...solo che non l’avrebbe fatto.

All’ora di pranzo i Monou erano stati gioviali, quasi sereni. L’avevano riempito di domande, avevano fatto di tutto per farla sembrare una giornata normale. Gli avevano chiesto i suoi progetti sul futuro, e alle sue risposte titubanti e ancora molto infantili avevano sorriso.

Quando si erano alzati, lasciando soli i due ragazzi con il compito di rimettere la cucina, lui si era sentito morire. Fuuma, invece, col massimo della tranquillità, aveva iniziato a lavorare, il solito sorriso strafottente sul volto.

- Il futuro, eh? Cosa sarai da grande, Kamui?-

- Io? Non lo so. Una persona normale, suppongo.-

- E io? Cosa pensi che diventerò?-

Kamui lo guardò con tristezza. Era la prima conversazione normale che avevano avuto in tutto quel tempo, e Fuuma gli aveva appena chiesto di rovinarla con una risposta sincera.

- Un serial killer? E’ questo che pensi?- incalzò Fuuma, brandendo il coltello per il pane che stava rimettendo a posto.

- No.- mormorò Kamui. – Una persona molto triste.-

Si ritrovò il coltello puntato alla gola, ma non se ne stupì più di tanto.

- Dici delle cose strane, Kamui.-

L’altro ragazzo abbassò la testa e non disse altro. Fuuma tornò alla sua occupazione, come se niente fosse successo. Kamui si affrettò a lasciarlo solo.

No, non diventerai un serial killer.

Sarebbe quasi meglio, sai? Sarebbe meglio se sfogassi quello che hai dentro. Perché così, è ancora più terrificante. Covare odio e disprezzo, diventando sempre più un guscio vuoto per tutto il mondo.

E io, l’unico che vede il tuo vuoto.

E’ spaventoso, e non dovevi farmi subire una cosa simile.

Invece mi stai obbligando a guardare in questo abisso, ed è orribile.

Eppure...

...se c’è un modo...

Io sto ancora sperando di svegliarmi. O di trovare un modo per riportarti indietro. Per farti ammettere che erano tutte sciocchezze, e che a te le persone piacciono davvero.

...forse, alla fine, lo so perché sono qui.

La pioggia continuò per tutto maggio. I pomeriggi di Kamui erano fatti di finestre e panorami deprimenti. Si fermava dietro tutti i vetri di casa, e studiava il mondo ingrigito dalla pioggia, da tutte le angolazioni, sentendosi soffocare.

Voglio tornare a casa voglio tornare a casa voglio tornare a casa.

Il tempio gli sembrava vecchio, impregnato di ricordi, pensieri, lacrime e angosce di estranei. Kyogo Monou era vecchio quanto il suo tempio, e solo. Saya era un fantasma che si trascinava per le stanze, con un sorriso pallido e malato. Le stanze erano gelide, nonostante la primavera. Non parlava con nessuno, viveva sospeso nel clima irreale di quel mondo fatto di dolore e passato.

E poi c’era Fuuma.

Voglio tornare a casa.

Ma se fosse tornato a casa, l’avrebbe perso per sempre.

E se io perdessi te, non sono sicuro che potrei sentirmi di nuovo completamente a casa, da qualsiasi parte.

E così aveva accettato di logorare la sua piccola anima di ragazzino stupido, sacrificata al cuore di una persona che non conosceva più nemmeno.



V – Intermezzo: il sognatore


Dopo la pioggia era iniziato il caldo soffocante, accompagnato da notti di insonnia e giornate senza più l’amato passatempo del guardare la pioggia oltre i vetri. In compenso gli capitava sempre più spesso di andare in giro per l’abitazione o per il tempio, sgattaiolando nelle stanze che di solito erano chiuse, come in cerca dei segreti che quella famiglia teneva celati là dentro. Forse si illudeva di trovare un indizio per capire cosa c’era nel cuore di Fuuma. Forse era solo un altro modo per non pensare.

- Non mi chiedi perché non torno a casa?- gli aveva chiesto, più di una volta.

- No.-

- Non ti interessa?-

- E’ solo che lo so già, perché.-

Menomale che almeno lui lo sapeva. Lui sembrava sapere sempre tutto. Quello che pensava la gente, quello che voleva. E anche come distruggere la mente di Kamui, a poco a poco.

Uno dei tanti giorni di caldo, tutti uguali, Kamui lasciò la casa, il tempio e le sue esplorazioni, decidendo che uscire da quel luogo soffocante poteva essere una cosa buona. Ma non aveva molta fantasia, e l’unico luogo a cui riuscì a pensare, per buttare via un po’ di tempo, fu uno dei parchi di Tokyo.

Era lì per caso, pensava, mentre passeggiava sotto gli alberi assetati dal caldo.

In breve avrebbe cambiato idea.

Camminava a testa bassa e immerso nei pensieri, così tanto preso che non si accorse delle due persone alle quali stava per finire addosso. Si fermò un attimo prima dell’irreparabile, quando, per qualche misterioso motivo, alzò gli occhi, incontrando quelli verdi e stupiti di una ragazza. Poi si accorse dell’altra persona, un giovane esile e pallido, che camminava appoggiandosi a lei e a una stampella. Lo riconobbe subito, e si affrettò a tirare fuori un sorriso e un saluto.

- ...Kakyou, vero? Non so se ti ricordi, io sono...-

- L’amico di Fuuma. Mi ricordo di te.-

- Fuuma non viene più ad aiutarti con la tua terapia?-

- No. Anche perché sto migliorando e non ne ho quasi più bisogno.-

- Ehi, non si presentano le persone?- si intromise lei, con voce allegra e una smorfia di finta imbronciatura sul bel viso.

- Oh. Lui è Kamui. E’ il migliore amico di Fuuma, il ragazzo che veniva ad aiutarmi tempo fa. E lei è Hokuto.-

La ragazza sorrise a Kamui e fece una specie di buffo inchino. Suo malgrado, fece venire voglia di sorridere anche a lui.

- Come sta Fuuma?-

Kamui rimase in silenzio, incapace di nascondere il turbamento che quella domanda aveva risvegliato.

- Ti sembra cambiato, vero?-

Ecco, se prima era stato turbato, adesso era quasi sconvolto.

- Che...che cosa?-

Kakyou fece un’espressione triste e distolse lo sguardo, perdendolo nel vuoto, come alla ricerca di qualche immagine nella sua memoria.

- Fuuma ha qualche problema?- domandò Hokuto. Poi fermò lo sguardo sui volti dei due. – Forse...avete bisogno di parlarne, qualunque cosa sia. Torno tra poco.-

Si allontanò in fretta, lasciandoli soli sotto il tetto verde delle fronde. Stava iniziando a soffiare un vento sempre più insistente, come se volesse sconfiggere la cappa di calore che stava stringendo l’intera città. Kakyou fece cenno all’altro di aiutarlo, e insieme raggiunsero una panchina.

- E’ sempre stato così, ma prima era sotto controllo.- Kakyou prese a parlare in fretta, a mezza voce, come se le parole gli stessero venendo fuori da sole. – Io me ne accorgevo, che dentro di sé lui era nauseato dalle persone. Ma si sforzava di non cedere a questo pensiero. Per sua sorella, forse. Ma poi lei se n’è andata, e lui non ha avuto più bisogno di fingere.-

- Vuoi dire che...Che anche prima aveva queste idee folli?-

- Sì. Se ci pensi bene, ci sono tante persone che non hanno bisogno degli altri. Sono persone apparentemente normali, con una vita normale, che fanno le cose che la maggior parte fanno. Non fanno i discorsi che fa Fuuma, ma pensano allo stesso modo. Non hanno bisogno degli altri, e in fondo li disprezzano, perché inconsciamente credono di essere superiori a tutti.-

- E’ davvero possibile che esistano persone così?-

- Lo è. Tu sei molto puro, Kamui. Questo ti porta a sofferenze continue, soprattutto per gli altri. Ma anche Fuuma lo è. E a volte, sono proprio le persone come voi a venire ferite di più dal mondo. E cambiano, arrivando all’estremo opposto.-

- Il cambiamento di Fuuma sarebbe dovuto a una ferita che ha subito?-

- Forse. Non parlo di qualcosa di specifico. A volte le ferite sono sottili, si approfondiscono pian piano.-

Il giovane parlava con una nota di tristezza nella voce pacata. Sembrava che conoscesse veramente le cose di cui parlava, ogni parola era un frammento di vita, di esperienza reale e dolorosa.

- Continuo a non capire. Dici che ha covato in sé questo odio per le persone per tanto tempo...E che tutto è cominciato per una qualche ferita. Perché vivere in mezzo alle persone può risultare difficile. Perché è esploso tutto adesso?-

- Perché Kotori in qualche modo controllava i suoi sentimenti.-

Kamui rimase in silenzio per qualche istante, privo di espressione. Poi abbassò la testa e chiuse gli occhi, sforzandosi con tutto sé stesso per trattenere le lacrime. Non ci riuscì.

- Kotori controllava i suoi sentimenti?- Finalmente Kamui alzò la testa, e sembrava infuriato. – Lui mi ha detto di aver desiderato la sua morte! Lui voleva che lei sparisse!-

- Certo. Perché era l’unica cosa che gli impediva di odiare nella totalità il genere umano.-

Semplice e cristallino. Kamui si sentì ancora più furioso, ma non sapeva contro chi o cosa rivolgere tutta quella rabbia.

- Tolto di mezzo il problema, può odiare tutti ed essere felice.- Probabilmente furono le parole dette con più veleno e cattiveria di tutta la sua vita.

- Negli ultimi tempi in cui veniva da me, si capiva che c’era qualcosa che non andava. Dietro i suoi gesti, le sue parole. Era una gentilezza inquieta, la sua. Non era del tutto vera. Parlava sempre più spesso di cose negative, i suoi commenti freddi o sarcastici sul mondo aumentavano. Era sempre più sicuro di sé e meno gentile. Tu lo conosci da una vita, conosci il suo lato protettivo. Mi dava l’impressione di rigettare quel lato della sua anima. Come se non trovasse nel mondo niente di bello per cui valesse la pena essere così. Tranne Kotori.-

- Ma se voleva che...- iniziò a gridare Kamui, ma l’altro lo interruppe con un gesto.

- Quando parlava di lei, io sentivo l’amore, nelle sue parole.

- Perché non è bastato quell’amore a salvarlo, allora?-

- Non lo so. Perché tutti moriamo.-

- ...moriamo?-

- Le nostre anime. Credo. O forse sono solo i ragionamenti di un folle.-

Kamui tacque, asciugandosi le lacrime con gesti bruschi, e continuando a studiare il viso esile e malinconico del giovane uomo vicino a lui. Sembrava fragile come lo stelo di un fiore, eppure aveva una vista attenta e aveva saputo capire il cuore di Fuuma meglio di chiunque altro.

- Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?- mormorò il ragazzo.

- Non lo so.- Kakyou fece un piccolo sorriso. – Mi hanno sempre detto che ero un po’ veggente, per le persone. Non capisco come ciò possa essere vero, visto che sono stato solo per tanto tempo. Ma forse è il desiderio delle persone, che mi ha reso tanto attento nei loro confronti.-

- Cosa credi che farà Fuuma?-

- Diventerà amaro e gelido, immagino. Se non riesce a liberarsi da tutto questo e rinascere. Tutto è possibile, però. Forse tu sei qui proprio per questo.-

- Io?-

- Kamui. Con il resto del mondo, lui ha continuato a fingere di essere sempre lo stesso, vero?-

- Beh, sì...-

- Perché credi che abbia mostrato il suo vero volto solo a te?-

Kamui rimase zitto, totalmente spiazzato.

- Perché anche tu sei come Kotori, per lui.- Kakyou tese la mano e raggiunse una di quelle di Kamui. – Perché ama anche te, e non potrebbe mai fingere con te. Forse, alla fine, tutto quello che desidera è che tu lo liberi.-



VI – L’ultimo tempo


Era notte e faceva caldo. E lui non aveva voglia di dormire.

Stesso copione da quasi due settimane.

Era arrivato luglio, l’aria era irrespirabile, e in quella casa ancora di più.

Poteva tornare a casa, non lo tratteneva niente lì.

Poteva tornare a casa, no?

A casa aveva una vita, delle persone e un po’ di serenità.

Poteva tornare a casa, chiunque l’avrebbe fatto, vero?

Si alzò dal letto e si affacciò alla finestra. Guardò il mondo nel buio, si vedevano solo le sagome delle case, almeno nel quartiere circostante. Niente luci abbaglianti, lì. Kotori amava quel posto, era pacifico, per essere un quartiere cittadino. Kotori sarebbe riuscita a trovare qualcosa di amabile in tutto, pur senza chiudere gli occhi sul male nelle cose. Non era stupida né illusa. Ingenua, magari. Ingenuamente convinta che si potesse salvare la situazione, sempre. Lei era quella che non riusciva a tenere il broncio alle amiche per più di due ore, e si poteva essere sicuri che sarebbe andata a ricercare la persona con cui aveva litigato, preferendo mettere sotto i piedi l’amor proprio e l’orgoglio, piuttosto che farsi valere, anche quando ne avrebbe avuto il diritto. Lei era quella che rimaneva sempre al fianco delle persone che amava, anche quando la ferivano.

E l’avevano ferita in molti, come capita sempre agli ingenui.

Si mise a ripensare al passato, giusto per farsi un po’ più male. Ai giochi che facevano insieme, nel giardino dietro al tempio. D’estate, quando stavano fuori finché faceva buio, e adoravano quel senso di vaga paura che li prendeva, quando il cielo si oscurava. Rendeva le loro storie più emozionanti.

Il più delle volte era Kotori a guidare il gioco. Immaginava storie incredibili, e i due ragazzi sottostavano alle sue decisioni. Alcune storie le ricordava ancora. Come quella dei tre maghi di corte che dovevano affrontare un lungo viaggio per liberare il loro principe da una tremenda maledizione. Non ricordava nemmeno se arrivarono mai alla fine della storia. Se il principe fosse guarito o no. Però quei tre maghi erano senza dubbio ancora in viaggio, da qualche parte, nel mondo dove le storie continuano per sempre e non esistono esseri umani da odiare e persone che cambiano all’improvviso, senza spiegarti perché.

Lasciò la finestra, colto da un brivido improvviso. C’era stato un cambiamento nell’aria. Quel genere di corrente che preannuncia una variazione atmosferica. Che fosse in arrivo la pioggia, finalmente?

Era ciò di cui la terra esasperata aveva un disperato bisogno.

Anche lui aveva bisogno della pioggia, forse.

Uscì dalla sua stanza e si diresse quasi meccanicamente all’unico luogo che, in quella casa, ancora gli desse qualche conforto. La camera era sempre lì, silenziosa e pulita, perfettamente in ordine come la teneva lei, colma di tutto ciò che lei amava.

Ed era straordinario rendersi conto di quante cose amava. In quella buffa camera era raccolto di tutto. I libri meticolosamente ordinati sugli scaffali, divisi per argomento, tranne quelli sullo scaffale più basso, che erano i suoi preferiti. I manga, conservati dietro uno sportello a vetro. Perché lei, a dire il vero, peccava di eccessiva serietà, e temeva non fosse molto serio leggere fumetti. Però non poteva negare che le piacevano, e allora lo sportello a vetro era un buon compromesso. Aveva anche alcuni modellini di personaggi di anime e manga, glieli avevano regalati le sue amiche. Stavano disposti su una mensola, insieme a qualche souvenir che Fuuma le aveva portato dai luoghi storici che aveva visitato in gita scolastica. C’erano pupazzi e bambole, come in ogni camera di ragazza che si rispetti. Il modo assurdo in cui erano pettinate le bambole doveva essere l’espressione del lato un po’ folle di Kotori.

Vicino al letto c’era un piccolo tavolo con il piano di vetro. Kotori lo usava come comodino, ma non solo. Lì stavano gli oggetti che, di volta in volta, sentiva come necessari. Oggetti senza senso, senza utilità precisa, che però la facevano stare bene. Come un ciondolo, un pupazzetto minuscolo, una molletta per capelli, un piccolo disegno che qualcuno le aveva fatto. E così via. Nessuno riusciva a capire il senso di quegli altari sacri che la ragazza si costruiva, ma avevano il loro fascino.

Kamui avanzò deciso attraverso la stanza, raggiungendo la finestra. La spalancò, lasciò che quell’unico alito d’aria che veleggiava nella notte arrivasse dentro. Poi si spostò verso il tavolino a lato del letto. Si mise a guardare gli oggetti lì sopra, studiandoli come per carpirne il segreto.

Ed era immerso in quei pensieri, quando sentì all’improvviso la porta della stanza che sbatteva con forza. Si immobilizzò, analizzando meglio il suono.

Non, non aveva sbattuto. Era stata chiusa.

- Cosa ci fai qui?- sussurrò.

- Cosa ci fai tu, semmai...- rispose Fuuma, avvicinandosi.

- Non voglio...non voglio più che vada avanti questa cosa.-

- A cosa ti riferisci?-

- Al fatto che tu sei completamente folle e ti diverti a tormentarmi.-

- Vattene, allora.-

- Non posso. E lo sai, perché. Me l’hai detto tu.-

- Allora non venirti a lamentare con me se ti inquieto.-

- Vuoi dirmi il perché di tutto? Ti prego. Perché odi la gente. Perché pensi di non aver bisogno delle persone. Dimmi perché, e poi me ne andrò, forse.-

- Perché vuoi saperlo?-

Fuuma fece qualche passo avanti e lo raggiunse. Kamui gli dava ancora le spalle, e non si sarebbe voltato, se Fuuma non lo avesse costretto. Uno strattone brusco lo fece trovare faccia a faccia con l’altro.

- Perché, mi chiedi? Possibile che tu e lei siate sempre stati veramente tanto sciocchi da non vedere? Guardati intorno. Guarda la mia famiglia. Guarda mio padre. E’ il custode del tempio. E’ un bravo custode del tempio. La gente che viene qui lo loda, per come si occupa bene del tempio. Nessuno si è mai chiesto quanto bene si occupava della sua famiglia. Non così bene, se vuoi saperlo. E’ sempre stato uguale al tempio anche lui, sai? Silenzioso e indifferente.

E mia madre? Ha sposato mio padre per volere della sua famiglia, sai? Ma non lo amava, non lo ha mai amato. Ha sempre amato un’altra persona. Proprio tu, dovresti saperlo bene. E poi...Kotori. Lei era buona, lei si spendeva per gli altri. E la gente le diceva che era troppo buona, che nella vita avrebbe trovato solo sfruttatori e gente che le avrebbe spezzato il cuore. Beh, lei rideva e diceva che andava bene lo stesso, che a lei piaceva essere buona. E io vedevo la sua vita, passata a piangere di nascosto e a fare sacrifici per mezzo mondo, mentre tutti la consideravano un’idiota.

Ti chiedi perché odio le persone? Ancora non riesci a capire?

Guarda un po’ te. Hai sempre cercato di fingerti sostenuto e sicuro di te, ma in realtà sei fragile quanto lei. Ti fidi delle persone, ti fidi così tanto che mi dai la nausea. Ti fideresti ancora di me, dopo tutti questi mesi. Quelli come te sono destinati a vivere infelici. Feriti tutti i giorni, perché la gente il cuore non ce l’ha.

Mi chiedi perché odio la gente?

Te l’ho detto, perché non ha un cuore. Insegue quello che desidera, sbandiera al mondo di avere delle persone care, ma si focalizza così tanto sui desideri da dimenticare quelle stesse persone. E mi fa schifo.

Hai capito ora?-

Kamui aprì bocca per rispondere, dopo alcuni momenti di silenzio, e si rese conto solo allora che stava piangendo. Chissà a che punto di quella confessione aveva cominciato.

- Ho...ho capito, credo. Vorrei sapere un’ultima cosa. Perché...perché volevi che Kotori sparisse?-

- Perché...perché lei e te...Mi impedite di riuscire ad odiare davvero le persone. Se non foste mai esistiti, avrei potuto odiare, sentirmi libero dalle persone, vivere da solo, come vorrei. Ma ci siete voi. Lei, che non è sparita per nulla, anche se è morta. E te, adesso.-

Nei giorni precedenti si era chiesto mille con quali parole avrebbe risposto al confronto finale con Fuuma. In quel momento non si preoccupò di nulla, e le parole fluirono senza intralcio dal suo cuore alla sua bocca.

- Io alle persone ho sempre creduto, e ci credo ancora. Il fatto che esistesse qualcuno come Kotori ne è una prova. Nemmeno io mi fidavo della gente, all’inizio. Però di Kotori mi fidavo. E pensavo, se lei è così buona, magari non è tutto sbagliato. Magari delle persone degne di stima esistono. Se ora credo nelle persone, è perché prima credevo in lei. Fuuma...perché non puoi fidarti di noi, invece di volerci veder sparire?-

- Smettila di dire cose stupide!-

Afferrò il ragazzo più esile per le spalle, lo scrollò, lo spinse con forza. Kamui non riuscì nemmeno a gridare per la sorpresa, nemmeno quando l’urto lo scaraventò contro il tavolino speciale di Kotori. Il fragile vetro andò in pezzi a causa del suo peso e dell’impatto, e il ragazzo si ritrovò a terra, le mani ferite dal vetro, anche lui nient’altro che un frammento del mondo di serenità creato da Kotori. In quel momento pensò che la follia di Fuuma avrebbe distrutto ogni cosa, inghiottito tutto quel che era rimasto.

- Non ho mai saputo nemmeno cosa volesse dire, fidarsi.- sibilò Fuuma, chinandosi su di lui. Kamui rabbrividì. Un pensiero folle gli attraversò la testa: vuole uccidermi. Adesso lo fa davvero.

- Basta che...che provi.- sussurrò Kamui.

- Non dire un’altra parola, o io...-

- Mi uccidi? Vuoi così tanto vedermi sparire?-

Fuuma si lasciò sfuggire un grido represso a lungo, si scagliò in avanti e serrò le mani attorno al collo di Kamui, stringendo con foga, continuando a gridare.

Un attimo dopo era a terra, e stava abbracciando convulsamente l’altro ragazzo. Tremavano tutti e due, e nessuno riusciva a parlare. Kamui sollevò una mano e abbracciò Fuuma a sua volta, macchiando di rosso i suoi vestiti. Rimasero in silenzio per un tempo infinito, mentre il vento si faceva più intenso ed entrava dalla finestra, agitando le tende, toccando i due sopravvissuti alla battaglia, come per rassicurarli che forse la maledizione non era spezzata, ma la fine del viaggio non era mai stata così vicina.



VII – Ending theme: Risveglio


Il sole era sorto da poco, ma il cielo era completamente grigio. Quando Kamui uscì dalla casa, dalla porta sul retro, per andare a sedersi sulle scalette che conducevano alla porta, già c’erano tuoni in lontananza. Poco dopo iniziò a piovere, fitto fitto e in silenzio, ma lui non si mosse da lì, riparato da una piccola tettoia, ristorato dall’aria che si era rinfrescata.

Pochi minuti dopo arrivò Fuuma, e Kamui non poté trattenere un sorriso.

Aveva una borsa, con sé. Ci avrebbe scommesso. L’aveva capito subito, quando, la notte prima, ad un tratto Fuuma si era sciolto dall’abbraccio ed era corso via.

Cercherà di scappare, in qualche modo.

Bene, e io sarò lì per impedirglielo.

- Dove pensi di andare?-

- Dove non posso farti del male.-

- Allora rimani qui. E’ l’unico posto dove non puoi farmene, e anche l’unico dove non puoi farne a te.-

- Non pensare di poter cambiare tutto con un po’ di belle parole.-

- Non mi ha mai nemmeno sfiorato la mente. Però tu devi restare. Da qualche parte arriveremo, insieme. E poi, io sono più che un po’ di belle parole.-

- Ah sì?- Fuuma fece come per voltarsi, poi però si fermò e continuò a guardare la pioggia davanti a sé. – E cosa sei?-

- Una persona.-

- Lo sai che le odio e desidero allontanarmi dalle persone.-

- Non mi hai detto che odi chi insegue così tanto i propri desideri da dimenticarsi delle persone care?-

Fuuma scosse la testa. Poi lasciò cadere la borsa, e fece una risata, che suonò stonata e colma di amarezza.

- Cosa vuoi fare, Kamui?-

- Non lo so. Rimanere qui.-

- Tua madre, i tuoi amici...-

- Se la caveranno, per un po’.-

- Avranno bisogno di te, no? Avranno bisogno di una persona stupida come te da sfruttare. O di cui fidarsi, magari.-

- Non lo so, non credo. E comunque, non sono mica il salvatore del mondo. Posso anche rimanere un po’ qui, no?-

- Secondo me lo sei. Il salvatore del mondo, dico. Ingenuo e presuntuoso come un buon salvatore del mondo dovrebbe essere.-

Kamui fece una risatina, sentendosi sollevato per la prima volta dopo mesi.

- Beh, allora voglio cominciare a salvare il mondo da qui.-

- Salvando me?-

- Se ti fidi.-

- Potrei improvvisamente passare dall’odiare il genere umano ad odiare solo te, se continui a ripeterlo. Ma...- Si voltò, lentamente, e finalmente guardò in viso l’altro. – Ma fai anche venire voglia di crederti.-

- Posso rimanere con te?-

- Se vuoi.-

- Mi prometti che almeno proverai a guardare le cose in modo diverso?-

- Prometto che proverò. Questo non vuol dire che tu mi abbia salvato.-

- Lo so. Non credo che le cose siano così facili. Ma si deve iniziare da qualche parte, no?-

- Non lo so. Sei tu quello che capisce queste cose.-

Kamui sorrise, poi si passò le mani sul viso, ma non stava piangendo. Fuuma sorrideva in quel modo un po’ ironico, molto fastidioso, ma c’era anche qualcos’altro, nei suoi occhi, e per Kamui era un segno buono. Un segno di guarigione possibile.

Kotori, forse alla fine, i tre viaggiatori hanno trovato la cura, e il principe si è liberato della sua maledizione.




Fine

   
 
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