Questa storia ha
partecipato al concorso dedicato agli Alternative Universe, indetto e
giudicato da Lisachan e Anachan, sul forum dell’EFP. Si è classificata prima, e
io ringrazio di cuore le giudicesse! ç___ç *commoss commoss*
Questa storia mi ha fatta
impazzire, deprimere, incavolare e desiderare di non essermici mai imbarcata!XD
Questa storia è dedicata a Wednesday
Sol.
Le citazioni musicali
all’inizio della storia sono:
-
Spark (Tori
Amos)
-
Key of the twilight (Fiction
Junction)
Fuuma, Kamui, Kotori e
tutto il resto sono delle Clamp, da questa storia io non ci ho guadagnato nulla,
se non un gran mal di testa mentre scrivevo il finale, e la bella sorpresa di
essere arrivata prima al concorso.
Buona
lettura!
Sinfonia di
rinascita
You
say you don’t want it, again and again
but
you don’t really mean it
You
say you don’t want it, this circus we’re in
but
you don’t really mean it
Fanatics
find their heaven in neverending storming winds
Auguries
of destruction be a lullaby for rebirth
Consolations
be there
In
my dreamland to find
- A che cosa
giochiamo?-
- Facciamo che dovevamo
fare un viaggio?-
- Sì,
dai!-
- Ma dobbiamo decidere un
motivo per il viaggio.-
- Kotori, a noi non viene
in mente, decidilo tu.-
- Ci sono! Noi tre siamo
i fedeli maghi di corte di un principe. Lui però ha subito una maledizione che
lo rende cattivo, e noi dobbiamo salvarlo. E per scoprire come annullare la
maledizione, dobbiamo fare questo viaggio! Ci state?-
I – Opening: L’inizio
della fine
Avrebbe dovuto rendersene
conto prima, percepire il cambiamento, leggerlo negli occhi, nei gesti, nelle
cose non fatte e non dette. Avrebbe dovuto, sì, ma non si può chiedere troppo ad
una mente annebbiata dal dolore, ad un cuore piccolo e pieno di sentimenti
tristi.
Avrebbe dovuto chiedersi
– chiedergli – perché non l’aveva
considerato, al funerale di lei, perché lo aveva quasi costantemente ignorato,
perché non aveva offerto né accettato conforto.
Sì, ma Kotori era sua
sorella. Non puoi pretendere lucidità da un fratello che va a seppellire sua
sorella di sedici anni, no?
Avrebbe dovuto andare
oltre la solita immagine dimessa e seria di Fuuma, la stessa che per lui
rappresentava un sostegno da anni, ormai. Sì, avrebbe dovuto rendersi conto che
c’era qualcosa di strano, che si era innescato un processo misterioso ed infido
che non prometteva niente di positivo.
Ma non aveva fatto niente
di tutto questo. I suoi pensieri erano pieni solo di Kotori, dell’incapacità di
realizzare la sua scomparsa. E poi del sui ricordo, e della domanda che cos’era, che provavo per lei? Cosa
sarebbe potuto diventare?
Alcuni anni prima aveva
dovuto lasciare la città e i suoi amici, per trasferirsi in un luogo più consono
alla salute cagionevole di sua madre. Si era dovuto accontentare di lettere e
telefonate, e di alcuni rari incontri, così intensi, ma anche così
insufficienti, da risultare più che altro dolorosi.
La lontananza non aveva
cambiato i sentimenti, però. Li aveva fatti evolvere, li aveva modellati, a
volte resi perfino più vivi.
Che Kotori fosse malata,
lui lo sapeva. Che li avrebbe lasciati così, lo immaginava. Kotori parlava
sempre del futuro, ma non era un’illusa. Non aveva mai detto che stava per
morire, ma nei suoi discorsi sul futuro, ad un certo punto, si era passati dal
“noi saremo” al “voi sarete”, e il segnale era stato
chiaro.
Voi
sarete...
Voi. Kotori credeva in
quel “voi”. E lui si era sempre fidato di Kotori. Conoscendola, era impossibile
non fidarsi di lei. Nella sua semplicità, aveva un carisma molto forte. Diceva
qualcosa, con quella voce leggera, e le leggevi negli occhi una sicurezza
impressionante.
Come era possibile non
fidarsi di lei?
Voi sarete amici per
sempre:
non l’aveva mai detto a parole, ma era sottinteso in tutti i suoi ultimi
discorsi, nei suoi gesti, nel suo sorriso. Voi due, le persone che mi sono più
care.
E lui si era sempre
fidato di questa visione.
Fino al giorno in cui, in
seguito ad una telefonata di Kyougo e Saya Monou, il padre e la madre di Fuuma,
era stato invitato a vivere al loro tempio per qualche tempo. Avrebbe
frequentato la scuola di Fuuma. Kamui si prendeva cura di sua madre, era vero,
ma adesso c’era bisogno di qualcuno che si prendesse cura di Fuuma, e forse
anche dello stesso Kamui. Erano giovani, avevano perso entrambi qualcosa di
immensamente importante. Insieme, potevano aiutarsi.
Sì, Kamui avrebbe dovuto
cogliere la stonatura fin da quella telefonata, fosse stato solo per il semplice
fatto che era stato Kyougo, e non Fuuma, a farla.
Ma Kamui era ingenuo,
dietro la facciata di ragazzino testardo e determinato che amava mostrare. Era
ingenuo e confuso, e l’ultima cosa che poteva passargli per la mente era che ci
fosse qualcosa di strano nella famiglia Monou, il suo appiglio costante.
L’avevano invitato, e sua
madre gli aveva detto di andare, perché era la cosa migliore. E lui era
partito.
E se fino ad allora Kamui
aveva sistematicamente evitato di confrontarsi con tutti i segnali inquietanti,
al suo arrivo almeno avrebbe dovuto iniziare a porsi delle domande.
Perché Fuuma sembrava
un’altra persona, ad esempio. Sarebbe stata una domanda intelligente da
porsi.
Ma non l’aveva fatto.
C’era sicuramente una spiegazione semplice a tutto.
E così, ignorando e
fuggendo, era arrivato a quel momento. Il momento in cui era stato costretto a
rendersi conto che stava accadendo qualcosa di molto, molto
sbagliato...
Erano passati due giorni
dal suo arrivo lì, e non era mai riuscito a scambiare due parole con Fuuma, che
sembrava volerlo evitare. Ma adesso erano uno di fronte all’altro: si erano
scontrati sulla soglia della stanza di Kotori, sorpresi entrambi di scoprire che
anche l’altro voleva trovare rifugio in quella stanza silente. Poi Kamui aveva
sorriso, decidendo che era il momento di abbattere le barriere e ritrovare la
confidenza usuale.
- Fuuma,
senti...-
-
Kamui.-
No, non era esattamente
il tono di voce tranquillo e amichevole a cui era abituato. E anche lo sguardo
non era lo stesso. Perché non ti aspetti di trovare un sorriso così cattivo sul
volto di un amico, vero?
- Ma
cosa...-
- Tutti credono che
Kotori sia morta di malattia. Ma non è così. Sai com’è morta,
veramente?-
-
Fuuma...-
- L’ho uccisa
io.-
...e quello fu l’inizio
dell’Apocalisse.
II –
Dissonanza
- Fuuma, cosa stai
dicendo?-
- Tu sai quanto peso
hanno i desideri?-
- Cosa c’entra questo,
adesso?-
Kamui era completamente
nel panico. All’improvviso le cose strane che avrebbe dovuto notare, tutti i
segni fin troppo evidenti, cominciarono a turbinare vorticosamente nella sua
mente. L’altro intanto gli si era avvicinato. Kamui era immobile, dietro di lui
lo spazio segreto della stanza di Kotori, di fronte il nulla degli occhi di
Fuuma.
- Rispondimi. Lo sai
quanto peso hanno i desideri?-
- Fuuma, sei sconvolto,
anch’io lo sono, ma...-
Kamui alzò una mano per
raggiungere l’altro, per mettere fine a quei discorsi, ma la mano di Fuuma
scattò in avanti e afferrò il polso dell’altro ragazzo, stringendo
forte.
- La vita delle persone è
manovrata dai desideri. Si può dire che siamo tutti le marionette dei nostri
desideri. E il più delle volte non ce ne rendiamo conto. Quando lei era viva, io
desideravo che sparisse. Lo desideravo così tanto, che è avvenuto davvero. Lei è
morta perché io lo desideravo. Quindi l’ho uccisa io.-
- Fuuma, ma perché stai
dicendo queste cose?-
La voce di Kamui si era
ridotta ad un sussurro. Guardava il viso solitamente gentile trasformato nella
maschera di un folle. Si sentiva imprigionato dalla magia perversa che l’altro
sembrava emettere. E non vi trovava spiegazione.
- Perché è la
verità.-
- Non...non dire
idiozie!- Kamui alzò la voce e cercò di liberarsi dalla stretta dell’altro, ma
inutilmente. – Tu non sei così!-
- Pensi di sapere meglio
di me chi sono?-
- Se sconvolto dalla
morte di Kotori, è per questo che parli così! Lo sono anch’io, ma non per
questo...-
- Allora non hai capito.
Ti ho detto che volevo che sparisse.
Cosa vuoi che mi importi della sua morte? Se dico queste cose, è perché è la
verità, e lo era anche prima che morisse.-
- Ma cosa...- Non è uno scherzo e non è un incubo. E
allora... – Cosa ti è successo?-
Fuuma alzò le spalle e
lasciò che il sorriso che aveva si trasformasse, addolcendosi un po’. Ma sul
viso di chi aveva appena detto un’enormità del genere faceva ancora più
paura.
- Non credo mi sia
successo nulla, a dire la verità. Forse è così che sono sempre stato, ed ora non
ho più nessuno di fronte a cui devo nascondermi.-
- Perché volevi che
Kotori sparisse?-
- Perché è quello che
vorrei per la maggior parte degli esseri umani.-
-...perché?-
Fuuma fece un sospiro,
quasi rammaricandosi che l’altro non capisse il punto delle sue parole, e
finalmente lo lasciò andare.
- Se vuoi possiamo
rimandare la conversazione, ma dovremo di nuovo confrontarci
sull’argomento.-
- Fuuma, hai detto ai
tuoi genitori queste cose?- domandò Kamui, indietreggiando subito, non appena fu
libero. – Si sono accorti che sei cambiato?-
- No. E non credo se ne
accorgeranno, né loro né nessun altro. Sono molto bravo a fare vedere agli altri
la persona che vorrebbero vedere.-
Sorrise ancora, e Kamui
fece l’ultimo passo all’indietro, chiudendo la porta della camera di Kotori tra
sé e l’altro.
E poi rimase fermo, a
domandarsi quand’era che si sarebbe svegliato.
III – Out of key
Non gli fu concesso di
svegliarsi, invece.
Tutti i giorni si alzava,
incontrava i genitori di Fuuma e sorrideva loro, e poi si preparava ad andare a
scuola con quel simulacro vuoto che una volta conteneva l’anima di Fuuma. Si
incamminavano lungo il viale del tempio dei Monou, in silenzio, senza guardarsi.
Prendevano le biciclette parcheggiate lì vicino, e almeno fino a scuola erano
salvi. Poi c’era l’occhiata che si scambiavano davanti all’edificio, e già quei
tre secondi erano abbastanza brutti per Kamui.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dover
incontrare lo sguardo di chi gli aveva brutalmente confessato di aver voluto la
morte di Kotori, così tanto da farla avvenire.
Non essere
idiota. Non è possibile. Non può averlo fatto davvero!
Forse non
l’aveva fatto davvero, ma aveva detto quelle parole...
Ci sarà una
spiegazione, no?
Sì, certo
che c’è. Quella che ti ha dato lui stesso.
Gli aveva
chiesto perché, due giorni dopo la rivelazione. Una domanda come
un’implorazione.
- Perché
cosa?-
- Perché
odi le persone? Perché volevi che lei morisse?-
- Dì un
po’, ma ti sembra normale amare le persone, quando le guardi
bene?-
- Ma che
cavolo vuole dire? Non ha senso!-
Fuuma aveva
riso e si era rimesso a riordinare i libri di scuola.
Quella
scena si era ripetuta un migliaio di volte. Sembrava che non fossero capaci di
dirsi nient’altro che perché e perché sì. Occasionalmente Fuuma si
premurava di elargire a Kamui qualche altro estratto della sua nuova filosofia
di vita. E Kamui inorridiva, rendendosi conto chiaramente che non sapeva
veramente cosa fare. Con poche parole Fuuma era riuscito a distruggere la
fiducia di Kamui, e anche tutta la confidenza che c’era tra loro. Kamui era
terrorizzato dall’altro. Era gelido, era cinico, era sprezzante e non gli
piaceva più niente. Sputava veleno sulle cose, dava voce ai suoi pensieri più
oscuri.
E giorno
dopo giorno erano sempre più lontani. Fuuma era mostruoso, sorrideva ai genitori
e un attimo dopo bisbigliava parole folli all’orecchio di Kamui. E Kamui aveva
paura, e cominciava a cercare ogni modo possibile per stare lontano dall’altro.
La casa era grande abbastanza per tenerli separati. Ed era anche così tetra e
silenziosa che a Kamui sembrava di essersi ammalato, stando là
dentro.
Quel giorno
aveva raggiunto la bicicletta prima dell’altro. In teoria avrebbe dovuto
aspettarlo, ma quando si rese conto che avrebbe potuto evitarlo per un po’, fu
colto dal desiderio di fuggire.
Solo per quella
volta...Ai Monou avrebbe raccontato qualcosa, quando fosse tornato a casa,
quella sera. Di aver lasciato un biglietto sulla bici di Fuuma, magari, che il
vento poi si era portato via.
Si guardò attorno,
superando la folla di studenti in uscita. La classe di Fuuma tardava. Se aveva
intenzione di farlo, il momento era quello.
Saltò sulla bicicletta e
cominciò a pedalare, più velocemente possibile, facendosi largo tra gli studenti
di prepotenza. Si lasciò alle spalle la scuola, le proteste accalorate di quelli
che aveva rischiato di investire e la creatura malvagia che teneva in ostaggio
il suo migliore amico.
Quasi un’ora dopo, mentre
il cielo andava sfumando sull’azzurro scuro, si rese conto di essere lontano da
casa Monou e molto stanco. Si fermò, guardandosi alle spalle, come per
sincerarsi che l’altro non l’avesse seguito e raggiunto. Non c’era nessuno, e il
ragazzo poté appoggiare la bicicletta a un muro e guardarsi attorno. Era finito
in un quartiere che gli era quasi sconosciuto. Aveva l’impressione di esserci
già stato, ma non ricordava quando e perché. E soprattutto, non avrebbe mai
saputo come tornare indietro.
Splendido.
Ricacciò indietro
l’ondata di panico che l’aveva colto a quel pensiero, e si guardò in giro. Non
c’era quasi nessuno, per le strade. C’erano case e basta, intorno a lui, e un
edificio alto che aveva l’aria di essere pieno di uffici.
No, non sono uffici, è
una scuola di musica, perché io qui ci sono venuto per un saggio di canto di
Kotori.
Un secolo
fa.
Il pensiero di Kotori si
affacciò alla sua mente con una chiarezza e una semplicità sconcertanti.
Dimenticò Fuuma, dimenticò l’incubo in cui stava vivendo ultimamente e tornò a
pensare a lei.
Volevo comprarle dei
fiori, per quel saggio, ma non lo feci perché pensai che mi sarei vergognato ad
andare a portarglieli. Però lei, alla fine, venne in platea, a cercare me prima
di tutti.
Ogni tempesta comincia
con una goccia, la prima goccia che tocca il suolo. Quel ricordo fu la prima
goccia. Poi la sua memoria si scatenò, rovesciandogli addosso una pioggia di
memorie. Si rese conto che lo spettro mostruoso che diceva di essere Fuuma aveva
preso possesso di tutti i suoi pensieri, e che aveva nascosto il ricordo e il
dolore per Kotori da qualche parte, in fondo all’anima. Ora però era solo, senza
spettri e con i ricordi, e la tempesta poteva infuriare liberamente contro di
lui. In mezzo a tutte le immagini che la mente gli restituiva, c’era sempre quel
sorriso gentile e quella presenza ancora incerta di lei, una magia senza nome.
Qualcosa che era svanito prima che lui potesse
comprenderlo.
Libero da Fuuma, per poco
tempo, si concesse di subire la tempesta dall’inizio alla fine. Da solo, in
mezzo a una strada sconosciuta, si accoccolò a terra e iniziò a piangere in
silenzio.
Infine si rialzò,
scoprendo con stupore che era tutto buio, intorno a lui. Smarrito e confuso,
corse a riprendere la bicicletta, sperando di ritrovare la via di casa, in
qualche modo.
La ritrovò, ma dopo
troppo tempo. L’ora di cena era passata da un pezzo, e avrebbe dovuto spiegare
la cosa ai Monou in maniera convincente. E dubitava di essere in grado. Forse
sarebbe stato opportuno accennare anche al vero problema, e cioè al fatto che il
loro amato figlio si era trasformato in qualcosa di irriconoscibile. No, non ce
l’avrebbe mai fatta...E non gli sembrava onesto, in qualche strana
maniera.
Era come se volesse
mantenere il segreto sulla follia di Fuuma. Perché...dirlo a voce alta, sarebbe
stato come ammettere che era tutto vero. Finché lo teneva per sé, poteva sempre
cercare di convincersi che fosse solo un incubo.
Si stava concentrando
proprio su quel pensiero, quando si accorse di essere rientrato nella zona
vicina al tempio. Sollevato, diminuì un po’ la velocità, mettendosi a pensare
cosa avrebbe detto ai Monou.
E in quel momento si
accorse di essere stato appena raggiunto dall’ultima persona che avrebbe voluto
vedere.
- Perché non mi hai
aspettato?-
Perse l’equilibrio e
crollò a terra con la bici. Ma la caduta fu rallentata, e non si fece troppo
male. Tentò di emergere dalla caduta rovinosa, e si ritrovò Fuuma a pochi passi,
chino su di lui.
- Non avevi voglia di
tornare a casa con me?-
- No,
io...-
- Ti sto facendo
paura?-
- Io
non...Fuuma.-
- Cosa
c’è?-
- Qual è il senso di
tutto questo? Tu...che fai finta di essere normale, con tutti. E poi mi dici
delle cose...Quello che mi hai detto. Fingi con tutti e non con
me...Perché?-
- Perché trovo che dare
ad ognuno ciò che desidera sia piuttosto vantaggioso.-
Di nuovo quella calma
spaventosa, mentre diceva cose folli. Kamui si sollevò goffamente da terra e
prese a scuotersi di dosso la polvere per non guardare in faccia
l’altro.
- E perché a me non dai
quel che voglio?-
- Perché lo trovo
divertente.-
- Trovi divertente
spaventarmi?-
- Dovresti ringraziarmi.
Sei l’unico che sa la verità.-
- Fuuma, ma...ma cosa
vuoi fare? Che senso hanno le cose che dici? Insomma, con me puoi anche
comportarti così, ma...-
- Sei molto carino a
preoccuparti del senso della mia esistenza, sai?-
Era freddo: era
primavera, ma era una primavera gelida. E il tempo continuava a correre, la
gente a vivere, e il mondo ignorava quel che si stava consumando lì, in quel
momento.
- Fuuma, lasciami andare
e torniamo a casa!-
Per la manciata di
secondi che seguì, Kamui ebbe l’impressione che Fuuma stesse per mangiarlo.
Trattenne il fiato, e gli sembrò che anche il suo cuore avesse smesso di
battere, per quei secondi.
Poi l’altro si allontanò,
senza dire una parola.
-
Fuuma...-
- Dopo la scuola ho detto
ai miei che mi stavi aspettando, perché dovevamo andare via insieme.
Ringraziami.-
Kamui raccolse la
bicicletta, e si avviò verso il tempio in silenzio. Con una voglia tremenda di
urlare.
Per quella sera non si
dissero altro, ma dal giorno seguente tutto ricominciò come prima. La vicinanza
spaventosa, gli sguardi non desiderati, le frasi casuali, che spezzavano il
silenzio e il cuore del ragazzo più piccolo.
- Non eri così,
prima!-
- Solo perché c’era
Kotori. Qualcosa di lei faceva sì che tenessi tutto per me. Ma alla fine, vedi,
l’ho uccisa. E ora posso dire quel che penso veramente.-
- Odi così tanto il
mondo?-
- Non lo odio. Mi è
indifferente. Non mi servono le persone.-
- Nemmeno
io?-
Un sorriso che era un
capolavoro di malizia.
- Tu meno di tutti. Però
sei divertente.-
IV – La canzone della
pioggia
Era arrivato maggio ed
era tornata la pioggia. La guardava cadere, dalla sua finestra, e si domandava
perché non se n’era ancora andato. Più di un mese imprigionato in quell’incubo
poteva bastare, no?
Lui aveva un suo mondo,
fuori. Sua madre lo aspettava. E i
suoi amici. Yuzuriha, col suo cane e le sue pagine di diario colorate. Sorata
con quell’allegria sempre fuori posto. Daisuke e la sua insopportabile serietà.
Arashi, carismatica e temperata. Lui li aveva a cuore, e sapeva che si
preoccupavano per lui. Gli erano stati vicini alla notizia della morte di
Kotori, avevano accettato di buon grado la sua partenza per
Tokyo.
Perché rimaneva
lì?
Fuuma era il suo migliore
amico, d’accordo.
Fuuma, non la creatura che si
faceva passare per Fuuma.
Perché non se ne andava?
Perché accettava quei giorni di sofferenza quieta, di angoscia costante, di
paura che lo seguiva sempre?
Poteva abbandonare tutto
in ogni istante. Dire che il periodo di cura era finito, che stava bene e che
anche Fuuma si era ripreso. Mentire sulle condizioni di salute di sua madre,
magari, e salutarli tutti con la scusa di dover tornare da
lei.
Insomma, era la sua
sanità mentale ad essere in pericolo!
Sarebbe stato solo
giusto, andarsene di lì.
...solo che non l’avrebbe
fatto.
All’ora di pranzo i Monou
erano stati gioviali, quasi sereni. L’avevano riempito di domande, avevano fatto
di tutto per farla sembrare una giornata normale. Gli avevano chiesto i suoi
progetti sul futuro, e alle sue risposte titubanti e ancora molto infantili
avevano sorriso.
Quando si erano alzati,
lasciando soli i due ragazzi con il compito di rimettere la cucina, lui si era
sentito morire. Fuuma, invece, col massimo della tranquillità, aveva iniziato a
lavorare, il solito sorriso strafottente sul volto.
- Il futuro, eh? Cosa
sarai da grande, Kamui?-
- Io? Non lo so. Una
persona normale, suppongo.-
- E io? Cosa pensi che
diventerò?-
Kamui lo guardò con
tristezza. Era la prima conversazione normale che avevano avuto in tutto quel
tempo, e Fuuma gli aveva appena chiesto di rovinarla con una risposta
sincera.
- Un serial killer? E’
questo che pensi?- incalzò Fuuma, brandendo il coltello per il pane che stava
rimettendo a posto.
- No.- mormorò Kamui. –
Una persona molto triste.-
Si ritrovò il coltello
puntato alla gola, ma non se ne stupì più di tanto.
- Dici delle cose strane,
Kamui.-
L’altro ragazzo abbassò
la testa e non disse altro. Fuuma tornò alla sua occupazione, come se niente
fosse successo. Kamui si affrettò a lasciarlo solo.
No, non diventerai un
serial killer.
Sarebbe quasi meglio,
sai? Sarebbe meglio se sfogassi quello che hai dentro. Perché così, è ancora più
terrificante. Covare odio e disprezzo, diventando sempre più un guscio vuoto per
tutto il mondo.
E io, l’unico che vede il
tuo vuoto.
E’ spaventoso, e non
dovevi farmi subire una cosa simile.
Invece mi stai obbligando
a guardare in questo abisso, ed è orribile.
Eppure...
...se c’è un
modo...
Io sto ancora sperando di
svegliarmi. O di trovare un modo per riportarti indietro. Per farti ammettere
che erano tutte sciocchezze, e che a te le persone piacciono
davvero.
...forse, alla fine, lo
so perché sono qui.
La pioggia continuò per
tutto maggio. I pomeriggi di Kamui erano fatti di finestre e panorami
deprimenti. Si fermava dietro tutti i vetri di casa, e studiava il mondo
ingrigito dalla pioggia, da tutte le angolazioni, sentendosi
soffocare.
Voglio tornare a casa
voglio tornare a casa voglio tornare a casa.
Il tempio gli sembrava
vecchio, impregnato di ricordi, pensieri, lacrime e angosce di estranei. Kyogo
Monou era vecchio quanto il suo tempio, e solo. Saya era un fantasma che si
trascinava per le stanze, con un sorriso pallido e malato. Le stanze erano
gelide, nonostante la primavera. Non parlava con nessuno, viveva sospeso nel
clima irreale di quel mondo fatto di dolore e passato.
E poi c’era
Fuuma.
Voglio tornare a
casa.
Ma se fosse tornato a
casa, l’avrebbe perso per sempre.
E se io perdessi te, non
sono sicuro che potrei sentirmi di nuovo completamente a casa, da qualsiasi
parte.
E così aveva accettato di
logorare la sua piccola anima di ragazzino stupido, sacrificata al cuore di una
persona che non conosceva più nemmeno.
V – Intermezzo: il
sognatore
Dopo la pioggia era
iniziato il caldo soffocante, accompagnato da notti di insonnia e giornate senza
più l’amato passatempo del guardare la pioggia oltre i vetri. In compenso gli
capitava sempre più spesso di andare in giro per l’abitazione o per il tempio,
sgattaiolando nelle stanze che di solito erano chiuse, come in cerca dei segreti
che quella famiglia teneva celati là dentro. Forse si illudeva di trovare un
indizio per capire cosa c’era nel cuore di Fuuma. Forse era solo un altro modo
per non pensare.
- Non mi chiedi perché
non torno a casa?- gli aveva chiesto, più di una volta.
-
No.-
- Non ti
interessa?-
- E’ solo che lo so già,
perché.-
Menomale che almeno lui
lo sapeva. Lui sembrava sapere sempre tutto. Quello che pensava la gente, quello
che voleva. E anche come distruggere la mente di Kamui, a poco a
poco.
Uno dei tanti giorni di
caldo, tutti uguali, Kamui lasciò la casa, il tempio e le sue esplorazioni,
decidendo che uscire da quel luogo soffocante poteva essere una cosa buona. Ma
non aveva molta fantasia, e l’unico luogo a cui riuscì a pensare, per buttare
via un po’ di tempo, fu uno dei parchi di Tokyo.
Era lì per caso, pensava, mentre passeggiava
sotto gli alberi assetati dal caldo.
In breve avrebbe cambiato
idea.
Camminava a testa bassa e
immerso nei pensieri, così tanto preso che non si accorse delle due persone alle
quali stava per finire addosso. Si fermò un attimo prima dell’irreparabile,
quando, per qualche misterioso motivo, alzò gli occhi, incontrando quelli verdi
e stupiti di una ragazza. Poi si accorse dell’altra persona, un giovane esile e
pallido, che camminava appoggiandosi a lei e a una stampella. Lo riconobbe
subito, e si affrettò a tirare fuori un sorriso e un
saluto.
- ...Kakyou, vero? Non so
se ti ricordi, io sono...-
- L’amico di Fuuma. Mi
ricordo di te.-
- Fuuma non viene più ad
aiutarti con la tua terapia?-
- No. Anche perché sto
migliorando e non ne ho quasi più bisogno.-
- Ehi, non si presentano
le persone?- si intromise lei, con voce allegra e una smorfia di finta
imbronciatura sul bel viso.
- Oh. Lui è Kamui. E’ il
migliore amico di Fuuma, il ragazzo che veniva ad aiutarmi tempo fa. E lei è
Hokuto.-
La ragazza sorrise a
Kamui e fece una specie di buffo inchino. Suo malgrado, fece venire voglia di
sorridere anche a lui.
- Come sta
Fuuma?-
Kamui rimase in silenzio,
incapace di nascondere il turbamento che quella domanda aveva
risvegliato.
- Ti sembra cambiato,
vero?-
Ecco, se prima era stato
turbato, adesso era quasi sconvolto.
- Che...che
cosa?-
Kakyou fece
un’espressione triste e distolse lo sguardo, perdendolo nel vuoto, come alla
ricerca di qualche immagine nella sua memoria.
- Fuuma ha qualche
problema?- domandò Hokuto. Poi fermò lo sguardo sui volti dei due. –
Forse...avete bisogno di parlarne, qualunque cosa sia. Torno tra poco.-
Si allontanò in fretta,
lasciandoli soli sotto il tetto verde delle fronde. Stava iniziando a soffiare
un vento sempre più insistente, come se volesse sconfiggere la cappa di calore
che stava stringendo l’intera città. Kakyou fece cenno all’altro di aiutarlo, e
insieme raggiunsero una panchina.
- E’ sempre stato così,
ma prima era sotto controllo.- Kakyou prese a parlare in fretta, a mezza voce,
come se le parole gli stessero venendo fuori da sole. – Io me ne accorgevo, che
dentro di sé lui era nauseato dalle persone. Ma si sforzava di non cedere a
questo pensiero. Per sua sorella, forse. Ma poi lei se n’è andata, e lui non ha
avuto più bisogno di fingere.-
- Vuoi dire che...Che
anche prima aveva queste idee folli?-
- Sì. Se ci pensi bene,
ci sono tante persone che non hanno bisogno degli altri. Sono persone
apparentemente normali, con una vita normale, che fanno le cose che la maggior
parte fanno. Non fanno i discorsi che fa Fuuma, ma pensano allo stesso modo. Non
hanno bisogno degli altri, e in fondo li disprezzano, perché inconsciamente
credono di essere superiori a tutti.-
- E’ davvero possibile
che esistano persone così?-
- Lo è. Tu sei molto
puro, Kamui. Questo ti porta a sofferenze continue, soprattutto per gli altri.
Ma anche Fuuma lo è. E a volte, sono proprio le persone come voi a venire ferite
di più dal mondo. E cambiano, arrivando all’estremo
opposto.-
- Il cambiamento di Fuuma
sarebbe dovuto a una ferita che ha subito?-
- Forse. Non parlo di
qualcosa di specifico. A volte le ferite sono sottili, si approfondiscono pian
piano.-
Il giovane parlava con
una nota di tristezza nella voce pacata. Sembrava che conoscesse veramente le
cose di cui parlava, ogni parola era un frammento di vita, di esperienza reale e
dolorosa.
- Continuo a non capire.
Dici che ha covato in sé questo odio per le persone per tanto tempo...E che
tutto è cominciato per una qualche ferita. Perché vivere in mezzo alle persone
può risultare difficile. Perché è esploso tutto adesso?-
- Perché Kotori in
qualche modo controllava i suoi sentimenti.-
Kamui rimase in silenzio
per qualche istante, privo di espressione. Poi abbassò la testa e chiuse gli
occhi, sforzandosi con tutto sé stesso per trattenere le lacrime. Non ci
riuscì.
- Kotori controllava i
suoi sentimenti?- Finalmente Kamui alzò la testa, e sembrava infuriato. – Lui mi
ha detto di aver desiderato la sua morte! Lui voleva che lei
sparisse!-
- Certo. Perché era
l’unica cosa che gli impediva di odiare nella totalità il genere
umano.-
Semplice e cristallino.
Kamui si sentì ancora più furioso, ma non sapeva contro chi o cosa rivolgere
tutta quella rabbia.
- Tolto di mezzo il
problema, può odiare tutti ed essere felice.- Probabilmente furono le parole
dette con più veleno e cattiveria di tutta la sua vita.
- Negli ultimi tempi in
cui veniva da me, si capiva che c’era qualcosa che non andava. Dietro i suoi
gesti, le sue parole. Era una gentilezza inquieta, la sua. Non era del tutto
vera. Parlava sempre più spesso di cose negative, i suoi commenti freddi o
sarcastici sul mondo aumentavano. Era sempre più sicuro di sé e meno gentile. Tu
lo conosci da una vita, conosci il suo lato protettivo. Mi dava l’impressione di
rigettare quel lato della sua anima. Come se non trovasse nel mondo niente di
bello per cui valesse la pena essere così. Tranne Kotori.-
- Ma se voleva che...-
iniziò a gridare Kamui, ma l’altro lo interruppe con un
gesto.
- Quando parlava di lei,
io sentivo l’amore, nelle sue parole.
- Perché non è bastato
quell’amore a salvarlo, allora?-
- Non lo so. Perché tutti
moriamo.-
-
...moriamo?-
- Le nostre anime. Credo.
O forse sono solo i ragionamenti di un folle.-
Kamui tacque,
asciugandosi le lacrime con gesti bruschi, e continuando a studiare il viso
esile e malinconico del giovane uomo vicino a lui. Sembrava fragile come lo
stelo di un fiore, eppure aveva una vista attenta e aveva saputo capire il cuore
di Fuuma meglio di chiunque altro.
- Ma tu come fai a sapere
tutte queste cose?- mormorò il ragazzo.
- Non lo so.- Kakyou fece
un piccolo sorriso. – Mi hanno sempre detto che ero un po’ veggente, per le
persone. Non capisco come ciò possa essere vero, visto che sono stato solo per
tanto tempo. Ma forse è il desiderio delle persone, che mi ha reso tanto attento
nei loro confronti.-
- Cosa credi che farà
Fuuma?-
- Diventerà amaro e
gelido, immagino. Se non riesce a liberarsi da tutto questo e rinascere. Tutto è
possibile, però. Forse tu sei qui proprio per questo.-
-
Io?-
- Kamui. Con il resto del
mondo, lui ha continuato a fingere di essere sempre lo stesso,
vero?-
- Beh,
sì...-
- Perché credi che abbia
mostrato il suo vero volto solo a te?-
Kamui rimase zitto,
totalmente spiazzato.
- Perché anche tu sei
come Kotori, per lui.- Kakyou tese la mano e raggiunse una di quelle di Kamui. –
Perché ama anche te, e non potrebbe mai fingere con te. Forse, alla fine, tutto
quello che desidera è che tu lo liberi.-
VI – L’ultimo tempo
Era notte e faceva caldo.
E lui non aveva voglia di dormire.
Stesso copione da quasi
due settimane.
Era arrivato luglio,
l’aria era irrespirabile, e in quella casa ancora di più.
Poteva tornare a casa,
non lo tratteneva niente lì.
Poteva tornare a casa,
no?
A casa aveva una vita,
delle persone e un po’ di serenità.
Poteva tornare a casa,
chiunque l’avrebbe fatto, vero?
Si alzò dal letto e si
affacciò alla finestra. Guardò il mondo nel buio, si vedevano solo le sagome
delle case, almeno nel quartiere circostante. Niente luci abbaglianti, lì.
Kotori amava quel posto, era pacifico, per essere un quartiere cittadino. Kotori
sarebbe riuscita a trovare qualcosa di amabile in tutto, pur senza chiudere gli
occhi sul male nelle cose. Non era stupida né illusa. Ingenua, magari.
Ingenuamente convinta che si potesse salvare la situazione, sempre. Lei era
quella che non riusciva a tenere il broncio alle amiche per più di due ore, e si
poteva essere sicuri che sarebbe andata a ricercare la persona con cui aveva
litigato, preferendo mettere sotto i piedi l’amor proprio e l’orgoglio,
piuttosto che farsi valere, anche quando ne avrebbe avuto il diritto. Lei era
quella che rimaneva sempre al fianco delle persone che amava, anche quando la
ferivano.
E l’avevano ferita in
molti, come capita sempre agli ingenui.
Si mise a ripensare al
passato, giusto per farsi un po’ più male. Ai giochi che facevano insieme, nel
giardino dietro al tempio. D’estate, quando stavano fuori finché faceva buio, e
adoravano quel senso di vaga paura che li prendeva, quando il cielo si oscurava.
Rendeva le loro storie più emozionanti.
Il più delle volte era
Kotori a guidare il gioco. Immaginava storie incredibili, e i due ragazzi
sottostavano alle sue decisioni. Alcune storie le ricordava ancora. Come quella
dei tre maghi di corte che dovevano affrontare un lungo viaggio per liberare il
loro principe da una tremenda maledizione. Non ricordava nemmeno se arrivarono
mai alla fine della storia. Se il principe fosse guarito o no. Però quei tre
maghi erano senza dubbio ancora in viaggio, da qualche parte, nel mondo dove le
storie continuano per sempre e non esistono esseri umani da odiare e persone che
cambiano all’improvviso, senza spiegarti perché.
Lasciò la finestra, colto
da un brivido improvviso. C’era stato un cambiamento nell’aria. Quel genere di
corrente che preannuncia una variazione atmosferica. Che fosse in arrivo la
pioggia, finalmente?
Era ciò di cui la terra
esasperata aveva un disperato bisogno.
Anche lui aveva bisogno
della pioggia, forse.
Uscì dalla sua stanza e
si diresse quasi meccanicamente all’unico luogo che, in quella casa, ancora gli
desse qualche conforto. La camera era sempre lì, silenziosa e pulita,
perfettamente in ordine come la teneva lei, colma di tutto ciò che lei
amava.
Ed era straordinario
rendersi conto di quante cose amava. In quella buffa camera era raccolto di
tutto. I libri meticolosamente ordinati sugli scaffali, divisi per argomento,
tranne quelli sullo scaffale più basso, che erano i suoi preferiti. I manga,
conservati dietro uno sportello a vetro. Perché lei, a dire il vero, peccava di
eccessiva serietà, e temeva non fosse molto serio leggere fumetti. Però non
poteva negare che le piacevano, e allora lo sportello a vetro era un buon
compromesso. Aveva anche alcuni modellini di personaggi di anime e manga, glieli
avevano regalati le sue amiche. Stavano disposti su una mensola, insieme a
qualche souvenir che Fuuma le aveva portato dai luoghi storici che aveva
visitato in gita scolastica. C’erano pupazzi e bambole, come in ogni camera di
ragazza che si rispetti. Il modo assurdo in cui erano pettinate le bambole
doveva essere l’espressione del lato un po’ folle di
Kotori.
Vicino al letto c’era un
piccolo tavolo con il piano di vetro. Kotori lo usava come comodino, ma non
solo. Lì stavano gli oggetti che, di volta in volta, sentiva come necessari.
Oggetti senza senso, senza utilità precisa, che però la facevano stare bene.
Come un ciondolo, un pupazzetto minuscolo, una molletta per capelli, un piccolo
disegno che qualcuno le aveva fatto. E così via. Nessuno riusciva a capire il
senso di quegli altari sacri che la ragazza si costruiva, ma avevano il loro
fascino.
Kamui avanzò deciso
attraverso la stanza, raggiungendo la finestra. La spalancò, lasciò che
quell’unico alito d’aria che veleggiava nella notte arrivasse dentro. Poi si
spostò verso il tavolino a lato del letto. Si mise a guardare gli oggetti lì
sopra, studiandoli come per carpirne il segreto.
Ed era immerso in quei
pensieri, quando sentì all’improvviso la porta della stanza che sbatteva con
forza. Si immobilizzò, analizzando meglio il suono.
Non, non aveva sbattuto.
Era stata chiusa.
- Cosa ci fai qui?-
sussurrò.
- Cosa ci fai tu,
semmai...- rispose Fuuma, avvicinandosi.
- Non voglio...non voglio
più che vada avanti questa cosa.-
- A cosa ti
riferisci?-
- Al fatto che tu sei
completamente folle e ti diverti a tormentarmi.-
- Vattene,
allora.-
- Non posso. E lo sai,
perché. Me l’hai detto tu.-
- Allora non venirti a
lamentare con me se ti inquieto.-
- Vuoi dirmi il perché di
tutto? Ti prego. Perché odi la gente. Perché pensi di non aver bisogno delle
persone. Dimmi perché, e poi me ne andrò, forse.-
- Perché vuoi
saperlo?-
Fuuma fece qualche passo
avanti e lo raggiunse. Kamui gli dava ancora le spalle, e non si sarebbe
voltato, se Fuuma non lo avesse costretto. Uno strattone brusco lo fece trovare
faccia a faccia con l’altro.
- Perché, mi chiedi?
Possibile che tu e lei siate sempre stati veramente tanto sciocchi da non
vedere? Guardati intorno. Guarda la mia famiglia. Guarda mio padre. E’ il
custode del tempio. E’ un bravo custode del tempio. La gente che viene qui lo
loda, per come si occupa bene del tempio. Nessuno si è mai chiesto quanto bene
si occupava della sua famiglia. Non così bene, se vuoi saperlo. E’ sempre stato
uguale al tempio anche lui, sai? Silenzioso e indifferente.
E mia madre? Ha sposato
mio padre per volere della sua famiglia, sai? Ma non lo amava, non lo ha mai
amato. Ha sempre amato un’altra persona. Proprio tu, dovresti saperlo bene. E
poi...Kotori. Lei era buona, lei si spendeva per gli altri. E la gente le diceva
che era troppo buona, che nella vita avrebbe trovato solo sfruttatori e gente
che le avrebbe spezzato il cuore. Beh, lei rideva e diceva che andava bene lo
stesso, che a lei piaceva essere buona. E io vedevo la sua vita, passata a
piangere di nascosto e a fare sacrifici per mezzo mondo, mentre tutti la
consideravano un’idiota.
Ti chiedi perché odio le
persone? Ancora non riesci a capire?
Guarda un po’ te. Hai
sempre cercato di fingerti sostenuto e sicuro di te, ma in realtà sei fragile
quanto lei. Ti fidi delle persone, ti fidi così tanto che mi dai la nausea. Ti
fideresti ancora di me, dopo tutti
questi mesi. Quelli come te sono destinati a vivere infelici. Feriti tutti i
giorni, perché la gente il cuore non ce l’ha.
Mi chiedi perché odio la
gente?
Te l’ho detto, perché non
ha un cuore. Insegue quello che desidera, sbandiera al mondo di avere delle
persone care, ma si focalizza così tanto sui desideri da dimenticare quelle
stesse persone. E mi fa schifo.
Hai capito
ora?-
Kamui aprì bocca per
rispondere, dopo alcuni momenti di silenzio, e si rese conto solo allora che
stava piangendo. Chissà a che punto di quella confessione aveva
cominciato.
- Ho...ho capito, credo.
Vorrei sapere un’ultima cosa. Perché...perché volevi che Kotori
sparisse?-
- Perché...perché lei e
te...Mi impedite di riuscire ad odiare davvero le persone. Se non foste mai
esistiti, avrei potuto odiare, sentirmi libero dalle persone, vivere da solo,
come vorrei. Ma ci siete voi. Lei, che non è sparita per nulla, anche se è
morta. E te, adesso.-
Nei giorni precedenti si
era chiesto mille con quali parole avrebbe risposto al confronto finale con
Fuuma. In quel momento non si preoccupò di nulla, e le parole fluirono senza
intralcio dal suo cuore alla sua bocca.
- Io alle persone ho
sempre creduto, e ci credo ancora. Il fatto che esistesse qualcuno come Kotori
ne è una prova. Nemmeno io mi fidavo della gente, all’inizio. Però di Kotori mi
fidavo. E pensavo, se lei è così buona, magari non è tutto sbagliato. Magari
delle persone degne di stima esistono. Se ora credo nelle persone, è perché
prima credevo in lei. Fuuma...perché non puoi fidarti di noi, invece di volerci
veder sparire?-
- Smettila di dire cose
stupide!-
Afferrò il ragazzo più
esile per le spalle, lo scrollò, lo spinse con forza. Kamui non riuscì nemmeno a
gridare per la sorpresa, nemmeno quando l’urto lo scaraventò contro il tavolino
speciale di Kotori. Il fragile vetro andò in pezzi a causa del suo peso e
dell’impatto, e il ragazzo si ritrovò a terra, le mani ferite dal vetro, anche
lui nient’altro che un frammento del mondo di serenità creato da Kotori. In quel
momento pensò che la follia di Fuuma avrebbe distrutto ogni cosa, inghiottito
tutto quel che era rimasto.
- Non ho mai saputo
nemmeno cosa volesse dire, fidarsi.- sibilò Fuuma, chinandosi su di lui. Kamui
rabbrividì. Un pensiero folle gli attraversò la testa: vuole uccidermi. Adesso lo fa davvero.
- Basta che...che provi.-
sussurrò Kamui.
- Non dire un’altra
parola, o io...-
- Mi uccidi? Vuoi così
tanto vedermi sparire?-
Fuuma si lasciò sfuggire
un grido represso a lungo, si scagliò in avanti e serrò le mani attorno al collo
di Kamui, stringendo con foga, continuando a gridare.
Un attimo dopo era a
terra, e stava abbracciando convulsamente l’altro ragazzo. Tremavano tutti e
due, e nessuno riusciva a parlare. Kamui sollevò una mano e abbracciò Fuuma a
sua volta, macchiando di rosso i suoi vestiti. Rimasero in silenzio per un tempo
infinito, mentre il vento si faceva più intenso ed entrava dalla finestra,
agitando le tende, toccando i due sopravvissuti alla battaglia, come per
rassicurarli che forse la maledizione non era spezzata, ma la fine del viaggio
non era mai stata così vicina.
VII – Ending theme:
Risveglio
Il sole era sorto da
poco, ma il cielo era completamente grigio. Quando Kamui uscì dalla casa, dalla
porta sul retro, per andare a sedersi sulle scalette che conducevano alla porta,
già c’erano tuoni in lontananza. Poco dopo iniziò a piovere, fitto fitto e in
silenzio, ma lui non si mosse da lì, riparato da una piccola tettoia, ristorato
dall’aria che si era rinfrescata.
Pochi minuti dopo arrivò
Fuuma, e Kamui non poté trattenere un sorriso.
Aveva una borsa, con sé.
Ci avrebbe scommesso. L’aveva capito subito, quando, la notte prima, ad un
tratto Fuuma si era sciolto dall’abbraccio ed era corso via.
Cercherà di scappare, in
qualche modo.
Bene, e io sarò lì per
impedirglielo.
- Dove pensi di
andare?-
- Dove non posso farti
del male.-
- Allora rimani qui. E’
l’unico posto dove non puoi farmene, e anche l’unico dove non puoi farne a
te.-
- Non pensare di poter
cambiare tutto con un po’ di belle parole.-
- Non mi ha mai nemmeno
sfiorato la mente. Però tu devi restare. Da qualche parte arriveremo, insieme. E
poi, io sono più che un po’ di belle parole.-
- Ah sì?- Fuuma fece come
per voltarsi, poi però si fermò e continuò a guardare la pioggia davanti a sé. –
E cosa sei?-
- Una
persona.-
- Lo sai che le odio e
desidero allontanarmi dalle persone.-
- Non mi hai detto che
odi chi insegue così tanto i propri desideri da dimenticarsi delle persone
care?-
Fuuma scosse la testa.
Poi lasciò cadere la borsa, e fece una risata, che suonò stonata e colma di
amarezza.
- Cosa vuoi fare,
Kamui?-
- Non lo so. Rimanere
qui.-
- Tua madre, i tuoi
amici...-
- Se la caveranno, per un
po’.-
- Avranno bisogno di te,
no? Avranno bisogno di una persona stupida come te da sfruttare. O di cui
fidarsi, magari.-
- Non lo so, non credo. E
comunque, non sono mica il salvatore del mondo. Posso anche rimanere un po’ qui,
no?-
- Secondo me lo sei. Il
salvatore del mondo, dico. Ingenuo e presuntuoso come un buon salvatore del
mondo dovrebbe essere.-
Kamui fece una risatina,
sentendosi sollevato per la prima volta dopo mesi.
- Beh, allora voglio
cominciare a salvare il mondo da qui.-
- Salvando
me?-
- Se ti
fidi.-
- Potrei improvvisamente
passare dall’odiare il genere umano ad odiare solo te, se continui a ripeterlo.
Ma...- Si voltò, lentamente, e finalmente guardò in viso l’altro. – Ma fai anche
venire voglia di crederti.-
- Posso rimanere con
te?-
- Se
vuoi.-
- Mi prometti che almeno
proverai a guardare le cose in modo diverso?-
- Prometto che proverò.
Questo non vuol dire che tu mi abbia salvato.-
- Lo so. Non credo che le
cose siano così facili. Ma si deve iniziare da qualche parte,
no?-
- Non lo so. Sei tu
quello che capisce queste cose.-
Kamui sorrise, poi si
passò le mani sul viso, ma non stava piangendo. Fuuma sorrideva in quel modo un
po’ ironico, molto fastidioso, ma c’era anche qualcos’altro, nei suoi occhi, e
per Kamui era un segno buono. Un segno di guarigione
possibile.
Kotori, forse alla fine,
i tre viaggiatori hanno trovato la cura, e il principe si è liberato della sua
maledizione.
Fine