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Autore: SakiJune    13/06/2007    0 recensioni
E' una storia (lunga) sull'amore, il coraggio e la vigliaccheria dei sentimenti... "Nel duemilauno avevo diciott'anni, i capelli lunghi, i vestiti stracciati e le tasche rifornite di erba. Mi ero iscritto da poco all'università ed ero già indietro con gli esami in maniera preoccupante. Mi facevo chiamare Shin: un nomignolo per lo meno coerente con i miei lineamenti"
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La piazza della stazione di C., il sabato mattina, gremita di famiglie che cambiavano aria per il weekend, e che avrebbero affollato gli autobus parcheggiati più in là o il treno per Brighton. Lei, invece, tornava: una rentrée in grande stile, oh sì, e indovinate chi era quel fesso del regista, da dove era partita la telefonata che aveva fatto scattare l'operazione "Laura è rientrata alla base". E i salti mortali per farle avere quel lavoro: come dire, gli applausi scroscianti dagli spalti, poi appena fuori dalla visuale del pubblico, sbam, con i denti sul pavimento. Avevo aspettato, con la coscienza imbavagliata e appesa al muro, tra una frustata e una carezza, detestando lui e detestando me, prendendomi a pugni in faccia ogni giorno, e infine augurandogli il bene e regalandomi il suo contrario. Il tutto, infiocchettato alla perfezione, badate, senza conoscere un briciolo dei suoi veri sentimenti.

L'imbocco del viale così familiare...

- E' impossibile, - mi aveva detto - non posso tornare a C., neanche per un'ora - e io, ve lo immaginate, a convincerla che era un'occasione che-mica-capita-sempre,

- Laura, ti preeeego! Ho già assicurato che saresti andata! Non puoi già pensare solo a quella tesi... ci tengono, ci tenevano che lo facessi io e non sono neanche all'altezza: non cercano mica un professionista, tu sei perfetta, credimi...

Lei, in lacrime, occhi sgranati

(non hai capito niente allora)

- Grazie, Shin, lo so che vuoi farmi superare quello che è stato.

(come hai potuto, mangiariso del cazzo)

- Mi assicuri che anche se mi prendono...

- Il lavoro è tuo in ogni caso e non ci dovrai tornare un'altra volta.

Perché non andrai più via da C. Non verrai più da me.


John stava con le mani in tasca davanti all'edicola, e la aspettava. Era una giornata caldissima, eppure portava i suoi soliti calzini blu e le scarpe da pensionato con i pantaloni a tre quarti che andavano tanto di moda l'anno prima. In realtà lo riconobbe principalmente da questo. Si era tagliato la barba e sfoggiava solo un paio di baffetti sottili. Sembrava più giovane ma nello stesso tempo il suo viso era stanco.

Una volta le avevo detto che conoscevo John perché era stato coinvolto in un'iniziativa della sezione universitaria (mi pare di aver parlato di non so quali borse di studio che dovevano partire da C.). Laura se ne ricordava, e capì parte del mio piano, in quel momento.

Ma più che il dispetto e la rabbia, fu il terrore che la assalì. Era davanti alla verità. Fuggire, poteva farlo. Ma fuggire davanti a un amico? Davanti ad un compagno? Era finito il tempo dei capricci: non si trattava di me o di Dot, che le concedevamo di non guardare in faccia il dolore. John era

(l'autorità)

Basta, basta! Lei era lì per lavoro, no? Era passato abbastanza tempo. Era sfinita. Salutalo, si disse, e se ti racconterà quello che non hai voluto sentire fino a adesso, lo dovrai accettare.

(ma lui è qui proprio per dirmelo)

(tra poco avrò gli accertamenti che)

(amore)

Lo sguardo le cadde sul cartellone delle prime pagine. Lo distolse: per un attimo credette di dover leggere la cronaca di quella sera.

(sono passati dieci mesi)

No, è stato ieri. Sente che quando sta per piovere John sente dolore alla spalla, e che Auburn sente stringersi la gola se più di una persona fuma vicino a lei. Sente che Richie ringrazia il destino di essere arrivato in ritardo, ogni volta che guarda suo figlio. E per quanto la riguarda, la bruciatura sulla sua gamba è scomparsa, ma quella nel cuore, mai.

- Che cosa credevi di fare?

- Non volevo sentirlo. Non volevo saperlo!

- Che cosa, Laura?

"John è sempre lo stesso, non intuisce mai nulla. O vuole incidere ancora più a fondo?" Le uscì solo un mugolio inarticolato.

- Che dici? Sei stata tanto coraggiosa.

MA NON E' SERVITO A NIENTE!

Tutto si ferma. John accenna ad un sorriso che sembra voler dire: ho capito. E' un sorriso amaro che finalmente raccoglie tutti questi suoi giorni disperati e li soppesa incredulo.

Si gira verso la porta dell'edicola, fa un cenno con il mento.

- Ragazzina! Ma non sapevi che l'erba cattiva è dura da levare dalle scatole? E tu hai disertato la sezione per quasi un anno per piangere questo topo malriuscito?

Il cuore le fa male. Sa che è un dolore psicosomatico, ma è lo stesso vero che l'anima urla di gioia e sbatte in ogni cellula del corpo, ubriaca. Non è scientifico, ma è vero. E' vero, quello che vede. Declan Kaufmann esce dal negozio e si avvicina. Ha i capelli più lunghi e spettinati. Peserà venti chili in meno, zoppica leggermente.

Lui è

(vivo)

Declan.

Era stata così sciocca. Così vile.

- La nostra piccola compagna. Ma dove eri finita: sarebbe stato tremendo lasciarsi ringraziare?

La sua voce era roca, di un tono inconfondibile. Fu allora che capì che non era un sogno, che non era un fantasma. Capì che il miracolo era avvenuto, con o senza di lei.

- Guarda, mi hanno rattoppato alla meglio. - Vedeva. Qualcosa in lei continuava a gridare. - Non vivrò fino a novant'anni, ma sono qui. Ma che cos'hai? Faccio tanta impressione?

La verità, amore? Sei la cosa più bella che abbia mai conosciuto. Forse un tempo il mio era davvero un complesso di Edipo al contrario (come si dice, di Elettra?), ma in quest'istante io non ho ventidue anni, tu non ne hai quarantasei, non siamo nemmeno in Inghilterra. Tu sei la creatura che adoro. E tuttavia non posso abbracciarti. Non devo.

Cominciò a piangere: piano.

- Hai visto, Kaufmann? Fai sempre soffrire le donne, vecchio balordo!

Con questa frase John rischiò bene che Laura lo schiaffeggiasse. Nascondeva gli istinti umani che pure provava dietro le sue battute stupide, riduceva ogni cosa ad un luogo comune. Ma l'occhiata che Declan gli lanciò colpì nel segno: si allontanò di qualche passo.

- Non avresti dovuto andartene, sei ancora spaventata quanto me. Ti devo la vita, Laura, ma a quale prezzo? Sei troppo giovane per convivere con il terrore che ti leggo negli occhi. Se avessi potuto impedirti di venire a salvarmi, vedendoti ora, l'avrei fatto.

Non ce la fece a frenarsi. Gli prese il viso tra le mani, disperata. Fu un tremito elettrico, un calore sconvolgente.

- Io non potevo lasciarti morire! John non ti aveva visto entrare, e Auburn...

- Non è questo. E' solo che non riesco a spiegarmi quello che hai fatto. Sono mesi che mi chiedo: l'ha fatto per me, o sperava di non uscirne più nemmeno lei? E se la seconda ipotesi era troppo crudele, la prima era troppo assurda. Ho risentito quella canzone di Mark Dinning... scusa, tu non puoi ricordarti.

- Teen angel. No, tu non eri un anello del liceo. Lo sai che non credo nella proprietà privata.

Era un vecchio ritornello che ripeteva in sezione.

- Però è vero che sono tornata a prendere la cosa più preziosa che avevo. Guarda caso, era il compagno più cafone e polemico del circondario...

Rise. Era meraviglioso. Fu naturale allora cedere alla stanchezza e appoggiarsi a lui.

- E' quasi un anno che corri, Laura Gump. - Lo disse con la voce di Tom Hanks, o perlomeno ci provò. Se mai gli infileranno un tubo in gola, anche Carreras dovrà ritirarsi.

- Non capirò mai perché l'hai fatto, ma non puoi sfuggire alla mia gratitudine. Tu, e nessun altro, puoi... devi chiedermi quello che vuoi. Non ho avuto pace fino ad ora. Ricordavo una ragazzina che incontravo in sezione e ai concerti jazz in città, di cui non conoscevo neanche il cognome. E un giorno mi dicono "è stata lei a salvarti la vita". Come pensi che mi sentissi? Ho rintracciato tua madre, e nemmeno lei ha voluto dirmi dove fossi. Aspetta - e fece un respiro. - Non parlo mai così tanto. - Allarmata, aprì la bocca per domandargli che avesse. - No, tranquilla, è tutto regolare. Io non sto scherzando: se non l'hai fatto solo per suicidarti, chiedimi di fare qualcosa per te, qualcosa a cui tieni, no? Ci sarà un sogno che posso esaudire. Ce l'ho il fisico del genio della lampada, eh?

- Tutto quello che voglio è che tu rimanga su questa terra per sempre. Non riesco a trovare niente di più essenziale.

- Uh! Che esagerazione! Bimba, ma questo non dipende da me. E poi mi annoierei, ad un certo punto, no? Non hai letto l'Affare Makropulos? - Laura annuì.

- L'ho studiato al corso di recitazione. "Per l'amor di Dio, Vitek...". Lo so, che non è possibile. Lo so e non voglio saperlo. Ma c'è solo un'altra cosa che io desidero, e potrebbe non piacerti.

Non dirglielo... lui non ti ha mai vista come una donna.

Lo guardò: e non le importò più niente. Così vicina a lui come non era mai stata, conoscendo finalmente quel calore elettrico, non poteva più farne a meno. Che lui ridesse di lei, sarebbe stato il minore dei mali.

- Declan... io voglio essere tua moglie. Io voglio essere Laura Kaufmann, lo desidero con tutte le mie forze.

- E' un'idea tanto folle che ho una gran voglia di dirti sì - sorrise. Ma si rabbuiò all'istante. - Purtroppo ho il cuore troppo tenero per rovinarti la vita, e i polmoni troppo malandati. Dovrei subire un'altra operazione, ma se non hai i contanti... beh, sai come vanno queste cose. Mi hanno dato una bella pensione, ma non so che darei per tornare a lavorare. Mia madre è venuta a stare da me, e ha lasciato il mio fratellastro da solo in un'altra città. Lui ha ventun anni e sono io quello che ha bisogno di lei.

Laura lo strinse più forte. - E io sono quella che ha bisogno di te! Se vuoi, come hai detto? Rovinarmi? Non devi fare altro che trattarmi con indifferenza. L'unica cosa che mi teneva lontana era...

- Che cosa, Laura? Accidenti, che cosa?

- La morte! Se tu respiri in qualche angolo del mondo, non c'è ragione di restare separati. E se avessi riflettuto meglio, avrei dovuto capire! Finora sono andata avanti perché tu eri vivo... Oh, Declan! E' stato inutile, scusami!

- Perfettamente inutile - rimbeccò John, con gli occhi lucidi. Da quanto ascoltava? Dov'era finita la sua vena ironica? - Fatti dare un consiglio, e poi, sht, sparisco. Ricordati di Chloe. E poi guarda chi ti sta davanti, topo. - Si avvicinò a Laura e le afferrò il naso. - Tu non sparire più, eh.

Lo videro allontanarsi lungo il viale.

- Andiamo anche noi - fece Declan. - Non hai fame?

La portò a casa sua. Era un appartamento in una trifamiliare, dopo il ponte della stazione, in Whitham Road.

Mia madre le diede un'impressione un po' strana, di dejà-vu. Come poi seppe, questa sensazione aveva basi più che fondate. Non era mai stata a casa mia quando ci abitava lei, ma S. era un paesone.

Laura notò gli occhi verdi, profondi, del tutto diversi da quelli di Declan, in cui però brillava la stessa luce. I capelli erano tinti di biondo, ma dalle sopracciglia capì che un tempo erano rossi. Una perfetta signora irlandese, pensò. E lei, chi era? Come poteva presentarsi? Ma ci pensò lui.

- Mamma, lei è Laura.

- Runaway? - chiese Martha, con un tremito nella voce.

- Runaway bride - rispose Declan arrossendo. Si era già arreso. Ancora non credeva a lei, ma aveva fiducia in se stesso. Il suo cuore funzionava più lucidamente che in altri uomini. In lui, i sentimenti non sbattevano l'uno contro l'altro rendendosi irriconoscibili... ma salivano come boe rosse nell'acqua, solidi, reali. Era impossibile non accorgersi della loro esistenza anche chiudendo gli occhi, perché rimanevano impressi sulla retina finché non li riaprivi e sceglievi di accettarli. Da quel mercoledì sera, quando se n'era andato un'ora prima della fine della riunione, e si era messo a piovere ed era rimasto lì a bagnarsi, con la macchina a due passi e le gambe che quei due passi non volevano farli, dandosi del pedofilo e dell'Humbert Humbert, e aveva chiamato Chloe. Passando per le innumerevoli volte in cui le aveva propinato i resoconti del congresso di quell'anno e di quello prima e di quello passato ancora, invece di avvicinarsi a baciarla. Mi piaci, Laura, senza troppe fanfare. Ecco cosa le avrebbe detto.


Bimba,

per me il matrimonio è sempre stato una grossa sciocchezza. Avere dei figli, poi, non mi sembrava giusto - per loro. Rischiavano di somigliarmi.

Se lo scorso ottobre invece di venire in sezione fossi rimasto a casa, o a teatro o quant'altro, sarei ancora di quest'idea. Forse starei ancora con Chloe. Non mi hai chiesto di lei: non me ne stupisco. Non conosci la gelosia. Ti basterà sapere che non si è mai fatta vedere all'ospedale. Ero diventato scomodo.

Mi dispiace di non poterti evitare altre sofferenze. Se avessi immaginato quello che mi avresti chiesto... ma non torno indietro, Laura, non sono un bastardo, ti darò tutto quello che posso. Quanto al tuo primo desiderio, scusami, non rientra nelle mie competenze. Domani la vita potrebbe regalarti qualcosa di molto più bello, e non sarò io ad impedirti di afferrarlo al volo.

Tu non mi hai semplicemente salvato: mi hai rimesso al mondo. Se qualcuno oserà rientrare in quelle stanze, troverà ancora il fantasma di un uomo senza amore. E pure sono qui. Piccola compagna, sono tuo.

Declan


A nessuno dei due, la prima notte, venne in mente di fare l'amore.

Restarono in pigiama, abbracciati, aspettando che i cuori si sciogliessero. All'alba si scambiarono il primo bacio. Poi lui si addormentò. Laura lo guardava, continuava a guardare il suo viso - per la prima volta lo vedeva così com'era adesso ed era più che mai convinta, più che mai innamorata.

Da quale di quei lineamenti prendeva vita il suo sentimento?

I capelli rosso spento, spruzzati di grigio,

la fronte un po' troppo alta, le sopracciglia dall'arco ondulato,

le palpebre arrossate, il naso grazioso,

le labbra sottili, il mento rotondo, le orecchie piccole. Un volto niente affatto armonioso, niente affatto comune.

Pure l'elettricità non si era ancora dileguata e Laura sperò che non accadesse mai. Di non stancarsi mai.

Ancora continuò a guardare il suo uomo arrivando a cogliere la causa suprema - se non il mistero della vita - quello del suo amore.

- Declan.

- Laura.

- Tu devi fidarti di me. Non devi pensare che debba finire. Perché qualcosa è cominciato, vero? Non lo fai per ringraziarmi?

- Che dici? Però lo sai che non ti avrei toccata con un dito prima. Quello che è successo... ha stravolto tutto. E' rimasto solo ciò che importa davvero. Mi importa che ti amo.

- Sì?

- Forse ti amavo già quando tu sospettavi soltanto di avere una simpatia per me.

- Quando?

- Dalla prima sera in sezione, temo. Quella frase che non ti ho lasciato finire perché era così entusiasmante per me che tu la conoscessi. E poi quella notte - ti ricordi vero? - che eravamo andati ad affiggere i manifesti davanti al municipio, e avevi i tacchi che facevano rumore e ti sei tolta le scarpe? Ecco, ti sei messa a fischiettare piano They can't take that away from me, e come mi guardavi - mi sembrava tutto possibile, per un momento solamente, però, perché non rientravi nel mio schema di valori. Ero terrorizzato anche quando ti stringevo la mano.

- Mi sembravi indifferente, invece...

- Che cosa? Sono proprio un bravo attore, allora! Io tremavo dentro, te lo giuro! Mi sembrava ogni volta che John e Pete e Richie dovessero definirmi un maledetto pedofilo. Ma adesso - adesso non voglio più farmi condizionare da queste...

- Sovrastrutture?

- Stronzate, era quello che voleva dire Karl, stronzate...

Lasciarono che i sentimenti e il destino facessero il loro corso. Il paesaggio non era più grottesco, non era più distorto, solo a tratti un po' offuscato o troppo luminoso. Erano lacrime di gioia che le impedivano la visuale o il sole della sua presenza ad abbagliarla.

Piena di energie, si presentò al lavoro (non ero stato così bastardo da mandarla in un posto fasullo): l'avevo naturalmente descritta come una larva tremante, e le sembrarono tutti piuttosto premurosi nei suoi confronti.

Dot andò a casa di sua madre a portarle i vestiti e le altre cianfrusaglie che Laura aveva accumulato durante la sua permanenza. Per quanto ne so, fu l'ultima volta che si videro. Tagliare i ponti con S. non era un punto d'onore, per carità, per Laura non esisteva il mai dire mai: le situazioni estreme possono portarti dove non penseresti, che sia uno spazio sconosciuto e lontano o i luoghi della tua infanzia. Ma adesso, adesso - il suo mondo era di nuovo quello opposto al mio, solo questa volta avevo dato una mano considerevole a tale svolta. Era sicura che avessi rinunciato a lei di mia iniziativa, aveva ormai capito che avevo organizzato tutto, e non pensò proprio di chiamarmi. Mi scrisse solo due parole in un biglietto e lo diede a Dot. Ci credete che aspettai quasi una settimana a leggerlo? E che mi decisi a farlo soltanto quando mi arrivò la lettera di ammissione all'Università di Milano?


1) grazie

2) scusa

L.


Erano passati meno di due mesi dall'ultima volta che aveva fatto l'amore con me: ma ora attendeva con rinnovato candore la sua prima volta.

Riprese l'abitudine di andare a correre al parco quasi tutte le mattine. Cominciava a fare davvero caldo, e il rosa e il bianco degli alberi in fiore si andava trasformando in un verde intenso. Aveva sempre preferito passare dalla strada del liceo, un tempo. Di fronte agli edifici scolastici c'era un parcheggio, e sulla destra una stradina che ad un certo punto sfociava in una galleria di cemento costellata di graffiti, tra cui qualche breve scritta sua, in pennarello blu. Era il suo angolo magico. Appena fuori, attraversava un ponticello di legno e poi una breve discesa, ed era nei viali del parco. Da casa sua, questa era la via più tranquilla, suggestiva e anche più breve.

Ma ora faceva il giro più lungo, ogni volta. Arrivava quasi alla fine di Longthorne Street (che, dopo un miglio circa, diventava la strada statale per K.) e svoltava in uno stradone periferico pieno di curve e in salita, da dove finalmente raggiungeva l'entrata principale dei giardini. Faceva così perché per arrivare in fondo a

(Longware Road)

quella strada così tranquilla non c'erano traverse, si partiva dal numero 1, e di fronte il 2, un bar minuscolo, il 3, e di fronte il 4, un condominio con un grande giardino, il 5, e di fronte - voilà,

(che è successo qui dentro? Ohi ohi. Ma nessuno dà mai una ripulita? Volete un preventivo?)


- Non è un problema di soldi, non solo - aveva detto John. - E' che non è più un posto sicuro, Pete è convinto che ormai la struttura del palazzo sia precaria, prima o poi il proprietario lo farà buttare giù e non c'è motivo di piagnucolare...

Erano tutti a casa di Richie, ad assaggiare il vino che i parenti di sua moglie avevano mandato come tutti gli anni dalla Francia.

Auburn non si trattenne.

- E il locale di tua zia, allora? Te lo tieni stretto? Non l'hai ancora detto a nessuno, scusa, però...

John scosse la testa. - Non mi tengo proprio niente. Ma devi farmi i conti in tasca?

Richie chiese di cosa stessero parlando. Auburn raccontò:

- Un paio di mesi fa è morta una zia di John che viveva a Manchester. Era, come dire, benestante, e gli ha lasciato un locale commerciale. Ti ricordi la merceria di Devon Square, Julie?

La moglie di Richie rise. - Eccome! Non mi dire che quella signora con i capelli di due colori era tua zia!

John strinse le spalle. - Non puoi ricordartene, dovevi essere appena nata. Te ne avrà raccontato tua madre! Ha chiuso il negozio nel... dunque, trent'anni fa, nel '74.

- Quando io andavo già alle scuole superiori, caro compagno... ho solo quattro anni meno di te. Ma se era un complimento, beh...

- Fissò il bicchiere che teneva in mano. - Io non intendo tenermelo per guadagnarci su. Sto bene come sto. Se questa cavolo di proprietà fosse a Londra, la regalerei volentieri al Partito, con tutto il cuore. Ma qui a C. non se ne farà più niente.

Laura lo guardò come se avesse appena detto una bestemmia. - Io credevo che non vi sareste arresi.

- Non mi guardare come se fossi un traditore, bambina! Poi non abbiamo alternative: il numero degli iscritti per quest'anno è inferiore al limite. Di poco, ma tant'è. Quelli di Londra avevano già chiuso un occhio nel '97, no? Adesso sono ben felici di vederci in federazione, anzi... ma se vogliamo organizzare ancora qualcosa a C. dovremo far partire tutto da laggiù. Io non sono più il segretario di niente. E quel cazzo di negozio, Auby, sai che ci faccio? - Gli brillavano gli occhi, non di gioia, ma neanche di tristezza.

- Cosa, John?

- Lo darò in gestione a qualcuno che se lo merita.

Laura scoppiò a ridere. - E chi la vuole, una merceria? - Seduta su un bracciolo del divano, aveva le guance rosse dal vino, la gonna a fiorellini di quando era partita. Su di lei, ora e per sempre, era disteso lo sguardo paterno del compagno Farrell, oltre a quello innamorato di Deke.

- Che lavoro fai adesso, Laura? - chiese Auburn. Conosceva John da troppo tempo per non aver capito dove volesse andare a parare, e ne era orgogliosa.

- Io? Creo siti Internet, cose così.

- E lavori a casa? Non hai un cartellino da timbrare?

Laura la fissò preoccupata. - Perché, non posso più prendere la tessera se lavoro per la globalizzazione?

Ci fu un'esplosione di risa generale. Declan la tirò per i capelli fino a farla cadere sopra di lui. - Cara! Piccola cara ingenua! Ma che dici! - La baciava, e le faceva il solletico, e lei rideva forte, come se non avessero nessun altro intorno. Ad un tratto si rimisero a sedere composti, un po' imbarazzati. - Perché, io non lavoravo per una multinazionale?

- Ma non era una ditta di riparazioni? - fece lei.

- Sì, ma avevamo una convenzione di esclusiva con il produttore per questa contea.

Auburn le spiegò: - Tesoro, non è la tua condizione a farti appartenere a qualcosa, perlomeno non è più così da tempo. Sono le tue convinzioni. Non tutta la classe operaia la pensa come me e come te, e non tutti gli impiegati la pensano come il primo ministro. Vedi Richie - e il suddetto si alzò per andare a prendere un'altra bottiglia - è uno statale, e non per questo si fa mettere i piedi in testa... comunque, ti volevo solo proporre un altro lavoro part-time.

E le chiese se voleva provare a scrivere qualche articolo per il New Worker.

Laura prese la cosa anche troppo seriamente: la sua prima obiezione fu che "non era abbastanza ortodossa".

- Infatti, per fortuna, il giornale non lo dirige John.

- Spiritosa, Auby, proprio! Hai visto, Laura: la tua militanza prosegue. Era ora che qualcuno mi desse il cambio... si dice che ho idee troppo estremiste, basta, viva la Lode del Dubbio!

Laura afferrò al volo la citazione come un dono prezioso. Chiuse gli occhi: - "Tu, tu che sei una guida, non dimenticare che tale sei, perché hai dubitato delle guide! E dunque, a chi è guidato, permetti il dubbio!"

- Brava! Ecco la lezione per John! - rise Auburn.

- Cosa si declama mentre sono via? - disse Richie arrivando con due bottiglie e il piccolo Kenny, svegliato dalle risate di poco prima.

- Oh, niente, Brecht. - sbadigliò John grattandosi la testa. - Ho dato le dimissioni ufficiali.

Declan saltò su facendogli il verso: - Oh, niente, tascabili da supermercato! Che bevi? Niente, Moët & Chandon! Che ascolti? Uh, niente, Víctor Jara...

- Farrell, che cos'è questa storia delle dimissioni?

- C'è che non esiste più una sezione a C., da tanto tempo, e volevo farlo presente. Non fate i sentimentali, ragazzi.

- Yo soy muy sentimental, por qué ella es así...

- Por qué ella es aquí, compañero, altrimenti non so dove saresti andato a parare.

- Se parlate inglese, forse riesco a capirci qualcosa, John... - Richie era esasperato, ed è dir poco, ma non perché non capiva: aveva capito fin troppo e non gli piaceva per nulla.

Fu un problema che Declan dovette affrontare a suo tempo. Se John aveva ormai dato la sua benedizione, Richie era un osso duro. Il nocciolo non era tanto riconquistare la sua stima - perché non aveva davvero qualcosa da farsi perdonare, non stava affatto commettendo un errore - ma convincerlo di avere le migliori intenzioni per il futuro.


Tutto questo perché le avevo risposto che nooo, non ero geloso, non me ne importava niente:


Mio piccolo Seamus,

mi scrivi che stai bene, che l'Italia è la tua dimensione, e non posso che rallegrarmene con te. Il dolce tormento di vivere con Deke è rinfrescato dal sapere te felice e al sicuro; se poi mi confermerai che, almeno laggiù, ti sia saputo tenere lontano dalla politica, mi rasserenerei totalmente.

Deke dovrà subire un'ulteriore operazione tra pochi mesi. Si dice che questo potrà allungargli la vita di altri quattro, cinque anni, oppure... non farmi dire altro. Proprio adesso, non merita altro che vivere la primavera che soffia su C. e sul suo cuore.

Qui c'è un angelo, uno spirito buono, un elfo che sembra uscito dai libri che gli leggevo da bambino: una ragazza. La tua Laura Bradley, che ha salvato Deke dall'inferno, che l'ama come io amavo suo padre. E che, penso, ha voluto bene a te come io ne volevo a tuo padre. Non credo si possa chiamare destino, mi aggrapperei piuttosto a Goethe quando parla di affinità elettive. Mi ricorda tanto com'ero io da giovane! Credevo che dare amore fosse l'unico scopo per cui vivere, e lo crederei ancora se Ernst non mi fosse stato strappato via... Dio mio, sono quasi quarant'anni! Eppure ancora, come se fosse ieri, le immagini delle nostre ultime ore insieme lampeggiano davanti ai miei occhi ogni notte senza lasciarmi dormire. La vita si ripete, ci ripresenta un copione che, sai già, reciterai alla perfezione, se non vuoi finire in manicomio. C'è sempre una seconda occasione, che a volte è mille volte migliore della prima e altre volte è una minestra insipida, ma sempre meglio di niente. Allora sarò sincera: diciamo che un'occasione, con lei, tu l'hai già avuta. Spero che non cercherai di rivederla, quando tornerai in Inghilterra, anche perché lei non sa assolutamente, e non saprà certo da me, che tu e Deke siete fratelli, e tanto meno Deke deve venire a conoscenza dei vostri rapporti a S.

Ti sembro crudele? Credi che non ti voglio bene perché non sei figlio di Ernst? Ma sei mio figlio, Seamus. Sei una parte di me. Se ti ho dato questo nome che odi tanto, è stato per ricordare a tuo padre che non mi avrebbe mai trasformata nella sua geisha: e che avrei fatto di tutto per crescerti a modo mio. Ma in me non c'era odio; la sentivo una sfida leale tra due persone adulte che si stimolavano e attraevano a vicenda. Una schermaglia dei sensi, per dirla con Shakespeare. Solo quando ho percepito la profonda gelosia di Yasu nei confronti di Deke, ho compreso quant'era meschino. E ancora non lo disprezzo e sono grata a Dio di aver fatto una parte di strada con lui, perché su quella strada sei nato tu.

Un abbraccio, tesoro,

mamma


Com'era ovvio la madre di Laura non reagì affatto bene alla notizia del fidanzamento. Immaginava che a S. ci fossimo rimessi insieme, sperava che non tornasse, soprattutto dopo che Declan aveva cominciato a chiedere di lei. Che Laura prendesse una cotta per un uomo di quarantasei anni, era una tragedia, che se ne innamorasse, peggio ancora; che l'uomo in questione fosse ora un invalido a vita, una catastrofe - ma che il famigerato volesse incastrarla, era una violenza inaudita, più di quella che i neonazi gli avevano inflitto! Quasi se l'era meritata, il vecchione, con le sue idee! A queste parole, Laura riprese le valigie appena disfatte, recuperò le sue cose e cominciò a vivere la sua vita, la sua storia, non più come una ragazzina disturbata, ma come una donna vera... a dare tutto ciò che aveva all'uomo per cui era nata. Come milioni di donne prima di lei. Com'è scritto nel codice genetico. Come raccontano pagine e pagine di libri antichi e moderni. Entrava nell'età della ragione con tutto il corpo ancora intriso della follia della giovinezza. Luccicava nei suoi capelli di un azzurro ora scolorito, splendeva nei suoi occhi in spicchi di luna verde, ed era questa luce tutta speciale che avrebbe incastrato Deke. Andava incontro alla vita, ma anche alla morte, perché pare retorico, ma ogni nostro passo ci avvicina alla fine, e perché, per quanto sia bella la terra che attraversiamo, più ancora sarà profondo il baratro oltre le colline. Era lo stesso brivido che l'aveva pervasa quando, quattordicenne, divorava sotto le coperte edizioni economiche di Poe e Leroux e Maupassant, o mentre, quell'inverno, giocava a carte con Dot fino a notte inoltrata, ascoltando il White Album e le Murder Ballads di Cave: ma questa volta era la sua canzone, sua e di Declan, l'uomo che aveva scelto nell'attimo stesso in cui le aveva detto "je suis marxiste, tendance Groucho" e la primavera si affacciava timida al suo arrivo a C. Una canzone che andrebbe ascoltata con cautela, ricordandosi che verso la fine c'è quel nastro rovesciato e Lennon dirà che Paul è morto, ci manca, ci manca...


Dei giorni oziosi dopo l'operazione rimangono tanti fogli scritti fitto fitto. I medici gli avevano proibito di parlare per un mese. Per sua scelta, si fece silenziosa anche lei, seppure questo le costasse molto.

"Che tipo è tuo fratello?"

"Cos'è, vuoi farmi ingelosire?"

"Insomma! E' che potrei conoscerlo, ho abitato tutta la vita a S... Potrebbe persino essere un mio compagno del liceo"

"Con cui magari hai flirtato per tutti e tre gli anni... grazie, non voglio saperlo"

"Al liceo non ho mai flirtato con nessun compagno di scuola. Semmai mi prendevano in giro perché studiavo troppo"

"Lui non ha mai studiato troppo, per quanto ne so. Ma ha una vera passione per l'Italia e ora frequenta l'università a Milano. Pare che laggiù chi non ha voglia di lavorare possa rimanere a scuola finché non si sposa, e lui ne ha approfittato"

"Mio nonno è italiano. Te l'avevo mai detto?"

"Sono tante le cose che non so di te, ma che importa? So quello che conta"

"Che ti amo?"

"Che mi ami, anche se non riesco a capacitarmene. Mi sembra un miracolo"

"Ne stanno capitando parecchi"

"Già. Sto quasi pensando di rinnegare il mio spirito laico. Un giorno potrei farlo. Dopotutto, un secolo fa stavo per diventare rabbino"

"Un rabbino comunista! Che buffo! Però tua madre è cattolica, no?"

"La religione della mamma è la crema antirughe"

"Sei spietato. Mi piaci... Ma dimmi solo come si chiama, tuo fratello"

"E si innamorò non appena lesse il suo nome... rischio? Si chiama Seamus. La mamma è molto tradizionalista, in queste cose. Così quando ci presentiamo la gente sente odore di trifoglio e ci controlla le orecchie"

"Non saprei neanche pronunciarlo"

"Lascia perdere. Non lo devi mica chiamare"

"Declan ha un suono così dolce. Quando Richie mi ha parlato di te la prima volta, mi aspettavo proprio un folletto vestito di verde. Un folletto molto carino, però" (seguiva schizzo a penna)

"Da piccolo mi chiamavano Deke. Un po' troppo americano, vero? Quando me ne sono reso conto, ho proibito a chiunque di usare quel nomignolo. Ma esageravo"

"Si dà il caso che lo trovi delizioso, e ti chiamerò così anch'io, brutto... fondamentalista!"

"Coerente, tesoro, soltanto coerente... ma lo sai che una volta di politica non volevo sentirne parlare? Ed eccomi martire per il materialismo storico. Mio padre non sarebbe stato per niente fiero di me. Mi affascinava l'idea di non avere patria in quanto proletario... nel mio caso, poi, calzava a pennello: non saprei dire se sono irlandese, tedesco, ebreo, inglese, e se sono inglese ci sarebbe da decidere se basarsi sulla residenza che ho qui o sul dialetto in cui bestemmio"

"College di Blackpool, previsti stage full-immersion in moli prestigiosi. Inserimento in azienda con tutor capo-scaricatore. Contributi europei di frustate garantite, sbobba e branda incluse"

"Laura, perché io? Perché non Drew..."

Non credeva. Non concepiva ancora come potesse amare lui, lui e non qualcun altro.


Deke ora ricordava la prima estate senza suo padre.

Il Merseyside gli andava a genio. Il porto e quell'odore di sale putrido. Scendere alla spiaggia gremita di turisti, con indosso solo uno slip, a piedi nudi, mentre i sassi aguzzi ti tormentano e hai fretta di arrivare perché l'acqua ti chiama... e nuotare, andare al largo e tornare con la marea, che lo deponeva sulla sabbia e si ritirava come una coperta portata via dal vento. Il sole lo asciugava, arrossandogli la pelle delicata. Guardava il cielo sopra di lui, e si dimenticava di tutta la gente che aveva intorno, fissava il niente azzurro pensando all'Irlanda e ai cuginetti e alla nonna, ma più di tutto pensava a suo padre, rimpiangeva il suo viso pieno di pace e la sua risata gentile. Finché qualcuno cominciava a chiedersi se quel ragazzino obeso sdraiato sulla sabbia umida con gli occhi fissi al cielo stesse bene, e gli dava una bonaria scrollata che disturbava irrimediabilmente i suoi ricordi.

Ma finché c'erano i turisti, e finché non cominciò la scuola, per Deke fu un periodo tranquillo. Fu a settembre, quando la spiaggia si spopolò e solo i giovani autoctoni rimasero per gli ultimi bagni e gli ultimi giochi, allora sì, che fu notato, da quegli stessi ragazzi che lo prendevano in giro nella scuola appena iniziata, perché era grasso e aveva i capelli rossi e aveva un accento strano (ma si sentivano loro?), e ora sapevano anche che giocava da solo come i matti, venite, boys, facciamogli vedere...

Sputi. Sassate.

- La prof ci ha detto che tuo padre è morto. Lo hai ammazzato tu cadendogli sopra?

- Ma sei un cattolico del cazzo? Sei uno sporco cattolico del cazzo?

- Io sono ebreo! - sbottava Deke in lacrime, consapevole di quanto sembrasse ancora più ridicolo quando piangeva, ma non potendone fare a meno - Mio padre l'ha schiacciato una macchina in fabbrica per colpa dei padroni di merda, è chiaro?

Non fu chiaro mai. Almeno finché non finì le medie, sputi e ancora sputi e altri sassi e altre parole che facevano male, giù giù...

- Voglio andare alla chiesa di papà.

Martha, neovedova e aiuto-segretaria in una piccola azienda che si sarebbe ingrandita fino ad aprire la nuova sede a Londra (dove sarebbe stata trasferita nell'82 come vice capo contabile e dove avrebbe conosciuto un certo Yasuhiro Takezawa), ma soprattutto una madre e una donna sola e spaesata, non poteva, ogni volta che notava in Deke una somiglianza con il padre, non considerarla una benedizione. Accettò dunque di buon grado la scelta dell'ebraismo - anche perché, di quei tempi e da quelle parti, era più facile essere ebrei che cattolici) e gli preparava il panino al formaggio invece che al prosciutto, sopportò gli scarponi da operaio in estate e si adattò ai suoi silenzi, ed era una benedizione anche questa perché era un figlio tranquillo ed educato e tanto intelligente... Che fosse grasso, era un problema, certo, ma sua sorella Trisha era tale e quale, all'età di Deke, e verso i quindici anni era dimagrita in modo sorprendente. Era comunque un'altra epoca. Si entrava negli anni settanta e c'erano decine di dolci e snackerie assortite che qualsiasi ragazzino poteva comprare per pochi penny, e se non glieli davi se li guadagnava con le bottiglie vuote che trovava al porto la mattina presto. Forse la sua era rabbia, una rabbia incontrollata che non poteva o non voleva sfogare in altro modo, una smania di mangiare il mondo o, più realisticamente, un vuoto da colmare.

Che dirgli?


"E tu, perché sei nato con i capelli rossi? E perché noi siamo al sud dell'Inghilterra, al nord dell'equatore, sulla Via Lattea? Perché io sono una ragazza, perché tu sei un uomo?"

"Anche Drew è un uomo. Sa disegnare bene..."

"Specie sui muri. Non mi piace proprio. Ha gli occhi da pesce bollito e si mette nei guai troppo spesso. Tanto ci pensa Ned"

"Non si porta la bombola in giro..."

"Si porta la bomboletta! Allarme vittimismo. Urge trattamento intensivo"

"Mi arrendo, piccola. Bandiera bianca"

"Bandiera rossa! Hasta siempre, compañero Kaufmann. Yo te quiero mucho".


Changing the grey

changing the blue

scarlet for me

and scarlet for you

(G. Pitney)


Mio caro Seamus,

la tua mamma è così fiera di te. Sapevo che da tempo eri diventato un uomo, ma quello che mi scrivi mi riempie di gioia e mi fa ben sperare per il futuro di tutti noi. Perché un uomo è chi sa al tempo giusto accogliere l'amore tra le sue braccia, ma anche rinunciarvi se se ne presenta la necessità. E in questo caso, vero amore non era, se sei felice come dici: e se mi hai tenuto nascosto che non è proprio così, caro, le cose sono andate troppo avanti perché tu ti possa permettere di cambiare idea. Giorno dopo giorno sono sempre più sicura che Laura non prova per Deke una passione di ragazzina insoddisfatta o una sorta di compassione o che altro... Seamus, lei lo adora, e se ti è sembrato di cattivo gusto il paragone che ho fatto l'altra volta, ecco mi dispiace, ma ne sono sempre più convinta: tra di loro c'è la stessa magia che provai io alla sua età.

Deke sembra stare molto meglio. Per ora. Sabato scorso siamo stati al matrimonio di quel suo compagno di partito che conosci anche tu, John Farrell, e anche se non c'è stata nessuna cerimonia, insomma, niente chiesa - da vere teste rosse - loro due hanno fatto da testimoni ed erano così eccitati da sembrare loro gli sposi, e a questo punto non ci sarebbe niente di strano se entro l'anno decidessero di imitarli. Ma, caro, non te ne sto parlando per farti star male, vorrei che tu capissi, è che se accadesse lui vorrà invitarti ma sarebbe fuori discussione... troverai una scusa plausibile, allora? Saprai sacrificarti ancora una volta? Continuerai a essere il mio piccolo grande uomo? Grazie, tesoro.

Ti voglio bene,

la tua mamma


Questa lettera fu la prima di una serie, tutte identiche, tranne che per un dettaglio: la supposizione era diventata un progetto più che concreto. Lei inconsciamente, lui più lucidamente, sapevano di non avere tempo, che quel momento non sarebbe mai più tornato, e accorrevano verso quella luce tiepida fingendo di non vedere le gelide terre che si estendevano al di là di essa. Avrebbero potuto aggirare la luce, cominciare a coprirsi per affrontare quel freddo che li avrebbe attanagliati di lì a poco, ma no, non sarebbe stato lo stesso.

Furono due stupide firme, un pezzo di carta, un quarto d'ora davanti al sindaco di C.

Fu una piccola rivoluzione.

Vestita in blu, le punte dei capelli ormai scolorite,

Laura Bradley, nata il 20 giugno 1981 a S.

divenne ciò che da mesi e mesi desiderava:

Laura Kaufmann.


Mentre andavano al ristorante, Laura disse fra altre cose a suo marito, con impeto:

-Non morire mai.

E mio fratello, trasformato in un attore di musical, intonò serio serio:

- Non chiederlo più.

Laura scoppiò a piangere. Realizzava allora che quel giorno sarebbe dovuto essere una piccola rappresentazione di eternità, mentre la vita era tutt'altro che eterna, era uno scherzo, un flash, un siparietto.

- Scusa-scusa, shh, amore. Ok? Ok?

Lei cercò di sorridere.

John, che non guidava certo con le orecchie, fermò l'auto di colpo preoccupando non poco Auburn e improvvisò una scenata fingendo un'indignazione da CCC.

- Cosa devo sentire? Quel coglione demagogo di Webber? L'inno alla moglie di un dittatore? Nella mia macchina?

- Ti ricordo che Stalin non ci fece fare una gran bella figura.

- Lo zio Joe sapeva quel che faceva! Il potere ti prende la mano... è un altro discorso. La...

- La pjatiletka e paparapà... uffa, John! E' un'opera musicale, e appartiene a tutti, no? Io mi sono stufato della tua ortodossia a tutti i costi. Nemmeno Marx era marxista, lo sai?

- Ma la volete piantare? - si fece sentire Auburn. - Buttate tutto in politica, voi! Che c'entra questa volta?

- Quel verso che ha cantato era di Evita, non l'hai sentito?

- E allora? Oltretutto a me il film con Banderas era piaciuto, ed è un'opera critica, mica un'apologia. Poi lui è un gran bel ragazzo.

- Ouh!

- Tu sei ancora convinto che l'arte sia soltanto un mezzo politico.

- Oseresti dire che non lo è?

- Lasciati andare, un pochino, solo oggi! Ecco perché le persone inorridiscono quando sentono parlare di noi. Ma stiamo qui a discutere? Rimetti in moto e sbrighiamoci!

Ragazzi, non stiamo parlando di eroi invincibili. Declan era un essere umano, come tutti si sentiva impotente di fronte alla morte e alla sofferenza. Aveva dovuto rinunciare a parte della sua indipendenza, al lavoro, alla prospettiva di una vecchiaia serena. Più di tutto gli mancava il lavoro. Si direbbe: non è che il suo fosse un mestiere esaltante. Ma a lui piaceva ugualmente, era la dimensione che aveva scelto dopo aver lasciato gli studi religiosi: aveva frequentato la scuola professionale ed era stato assunto dalla famigerata ditta di servizi tecnici di cui parlai all'inizio. Vent'anni di quella vita tranquilla, mentre la mamma si costruiva una nuova famiglia a S. e i suoi idoli jazz venivano a suonare in città e con i compagni si protestava contro il nucleare. C'erano le donne, naturalmente, quella Dottie che fumava anche a letto ma aveva delle gambe strepitose (e ci era uscito per tre anni buoni senza riuscire a lasciarla, finché lei non aveva trovato un altro), e Charlene, con cui era stato lì lì per andare a convivere, ma era una tory convinta e finivano sempre con il litigare per quel motivo. E poi Chloe. Non è che ne fosse innamorato, ma andavano quasi sempre d'accordo. All'inizio. Avevano davvero tante cose in comune, ed era così piacevole, dopo le riunioni, attardarsi in un bar pregustando il dopo-caffé. Però mai, in tutto il tempo della loro relazione, gli passò per la mente di chiederle di sposarlo. E se avesse avuto ancora voglia (ma non ne aveva) di scavare più a fondo, nemmeno lei l'avrebbe voluto. Perché il vero amore - ma anche la vera amicizia, se è per questo - si fortifica nelle avversità. Chloe, così pronta a mostrarsi gelosa ad ogni occasione, l'aveva cancellato dal cuore dopo i fatti di ottobre. Quando gli altri compagni della commissione ambiente le avevano chiesto una spiegazione del suo comportamento (non è per entrare nella tua vita privata, ma...) lei aveva dato le dimissioni. Ora, può essere che la reazione di Chloe fosse in qualche modo parallela a quella di Laura? Che tenesse davvero a Deke, ma che anche lei in quel momento non se la fosse sentita di affrontare una tale sfida? Tutto è possibile, già. Non sarò io a giudicarla. Ma tenete presente due o tre cose: Chloe non era lì quella sera. Non aveva vissuto quei momenti orribili. Se avrebbe reagito in maniera differente da Laura o meno, sta nel limbo delle ipotesi, ma non c'era. In secondo luogo, allora Laura aveva 22 anni, e Chloe 48: ciò che dovrebbe chiamarsi una donna responsabile. Poi, lei aveva ben letto i giornali e discusso il caso in federazione. Non era una questione di sapere - ma di volere. Non volle, e la questione è chiusa.

Dov'ero rimasto, a parte questa divagazione? Ah. Non si era certo illuso di vivere a lungo, solo perché si sentiva meglio, e non avrebbe fatto nulla per illudere la donna che amava. A costo di farla piangere il giorno del loro matrimonio. Tanto, finché erano insieme, quelle lacrime lui avrebbe potuto asciugarle.

Al ristorante John non parlò per niente di politica, ma consegnò agli sposi, davanti a tutti, il regalo di nozze suo e di Auburn: le chiavi del negozio di Devon Square. - Non è possibile - disse a Deke con le lacrime agli occhi - che tu debba rinunciare alla tua dignità. Io non so proprio che farmene... e andiamo, ragazzi, vi verrà in mente qualcosa, no?

Lui non capiva. - Dobbiamo riaprire il negozio di tua zia?

Laura strabuzzò gli occhi e quasi si strozzò con la sua fetta di torta.

- Ne riparliamo in altra sede, va bene? Però porca miseria, Farrell, non so che dire!

Il tizio del karaoke, Keith, che aveva lasciato cantare successi della Houston ad una stonatissima Julie per tre quarti d'ora, cominciava a dar segni di disperazione e si aggrappò al microfono:

- Tocca agli sposi dare spettacolo! Sul palco i piccioncini, coraggio...

Deke si sentì smarrito. Poteva davvero cantare? Era passato abbastanza tempo? Forse bastava non sforzarsi troppo... Incredibile, non gli era mai piaciuto esibirsi da bambino. Perché era grasso e goffo e aveva un'intonazione petulante. Adesso invece era una sfida che voleva vivere fino in fondo. Sorrise, sistemò una sedia vuota sotto il palco e prese Laura per mano. La fece sedere, poi disse due parole a Keith... e gli uscì una voce un po' incerta, roca, ma intrisa di commozione, che inseguiva le note di Yes sir, that's my baby.


La ristrutturazione del locale occupava tutto il loro tempo. Era già aprile, avevano pagato due mesi di spese praticamente a vuoto, e volevano aprire quanto prima. Pete si era assicurato l'appalto gratuito della tinteggiatura, Drew quello dei murales che avrebbero coperto le pareti e reso quasi inutile il lavoro di Pete (dallo sguardo penetrante di Guevara nella sala da ballo alla silhouette di Helene Wiegel sul muro di fronte all'entrata, in modo tale da spaventare ogni potenziale cliente), e Deke si improvvisò direttore F&B (anche se l'unico cibo per cui avevano la licenza erano i salatini). Tutto ciò che le era permesso fare era contattare i complessi musicali e procurare i CD per l'intrattenimento pomeridiano. Ovviamente solo tramite telefono, fax e Internet: Deke era sicuro che una passeggiata al mercatino l'avrebbe uccisa... i ruoli si erano invertiti, e invece di farla sentire oppressa, questa situazione la divertiva molto.

Mise un annuncio dei più classici su un giornale specializzato per cercare un barman. Il giorno stesso della pubblicazione si presentarono una ventina di professionisti, dai trenta ai cinquant'anni, che spedì a casa con un bel sorriso, dopodiché studiò un taglio diverso per l'inserzione, e la portò ad un settimanale giovanile. Aspettarono una settimana, e stavano per disperare, ma non appena sentì la sua voce al telefono, seppe che Swann era il loro uomo.

Swann, al secolo Ewan Julius Bates, aveva all'incirca l'età di Laura, dreadlocks biondi, una laurea in filosofia e un'autentica, profonda passione per il jazz. Aveva lavorato part-time in vari circoli privati, possedeva una buona manualità e autonomia, ma ciò che li spinse ad assumerlo senza pensarci troppo su fu un particolare non trascurabile: era palesemente, simpaticamente gay. Qualunque esemplare maschile sensibile al fascino muliebre avrebbe suscitato la tremenda gelosia di Declan (questo era un lato del carattere di suo marito che apprezzavo oltremodo. Sebbene mi fosse grata per aver organizzato il suo rientro stellare, ora non avrebbe tollerato che il suo uomo rinunciasse a lei: pretendeva che lottasse). Oltre a non doversi più preoccupare di quel lato della gestione del locale, aveva trovato un prezioso confidente.

Erano giorni divertenti, nel loro cantiere musicale, anche se i preventivi di prestazione dei musicisti e i cumuli di fatture facevano aumentare la sua nausea regolamentare. Spesso dormivano sul retro, attrezzato con un divano letto e una libreria: sullo scaffale di Laura troneggiava l'opera omnia di Daniel Pennac, a nascondere I ragazzi della 22a strada e Cose preziose.

Era tutto così cristallino. Tutto era futuro.

Un pomeriggio, Deke era appena rientrato da un'estenuante coda alla Camera di Commercio per le ultime scartoffie, quando arrivò John, ed era di nuovo come nella sua lunga parentesi da single, come l'avevo conosciuto io, con la camicia stropicciata e la barba lunga. Capirono, prima che potesse aprire bocca, che dopotutto avrebbero dovuto rimandare l'apertura del club. Non sembrava dire "sono venuto a darvi una notizia", ma "spiegatemi voi che sta succedendo, perché io non capisco". Auburn si era ammalata, e lui era perso, distrutto, disperato. Fuori sembrò farsi buio. Stava per mettersi a piovere, e le loro ombre erano sempre meno nette, mentre l'angoscia si faceva tangibile.

Non si vedevano da Natale, il che era grave, e non si sentivano da due mesi, e questo era peggio. Si vergognava tanto. E anche Declan. Avevano dimenticato tutti quanti, creando una nuvola rosa intorno a loro, quasi che l'amore li proteggesse dal dolore e dal tempo. Lo sguardo di John li riportava alla realtà, nel modo più sconvolgente possibile.

- Non avrei mai creduto che Kaufmann... cioè, che Declan potesse trovare una donna capace di amarlo tanto. Pensavo che sarebbe invecchiato solo, e lo pensavo anche di me, prima di incontrare John. Ora so che non invecchierò più di così, però non sarò mai più sola. E questo è più di quanto mi fossi aspettata. Ho avuto una seconda occasione, non me la sono lasciata sfuggire, anche se avevo un matrimonio tremendo alle spalle e i miei figli non mi hanno mai perdonato di essermi rifatta una vita. Per John è lo stesso... e tu sei stata la seconda occasione di Declan. Tu, Laura, non ti sei mai accorta di come il destino sia buono con noi?

Il Cielo sapeva se Laura non aveva intenzione di stendere un bilancio in quel momento, in quella stanza d'ospedale, se non provava tutta questa gratitudine verso il destino, ma sì, ammetteva che per quanto la riguardava era felice.

- Vivere un amore dopo i quarant'anni è come lavorare per la pubblica amministrazione. Ci sono tante prove da superare, ma deve succedere qualcosa di veramente grave perché la storia finisca. Però fai attenzione lo stesso - alla routine, alle distrazioni, ai rimpianti... ciò che conta non è quanto vi amiate adesso: è necessario innamorarsi ogni giorno.

Faceva sempre più caldo.

Lei e Declan avevano deciso di non scoprire il sesso del bambino, almeno non subito; sarebbe stata una sorpresa bellissima in ogni caso. Ma cambiarono idea quando John li informò che Auburn voleva ricamare un bavaglino: era al termine del sesto mese, così andarono a fare la seconda ecografia.

- Come lo chiamate? - chiese il medico, in tono anche troppo prosastico.

- Lo? E' un lui? - Declan era diventato tutto rosso. Da come la guardava, ebbe paura che volesse far l'amore lì, in quel momento, sul lettino dello studio. Più tardi le confessò che non si era sbagliata.

- Deke, ti spiace se non gli mettiamo Vladimir e neanche Iosif?

- Che dici! Io detesto Stalin... non farmi passare da anti-democratico...

- Mi piacerebbe Stephen. E' abbastanza irlandese senza risultare incomprensibile. E poi - non so come puoi prenderla... pensavo -

- Stop... mi sembra perfetto così. Il secondo nome è utile per casi tipo John Balthazar Smith, ma con un cognome come il mio...

- Come il nostro - rettificò Laura.

I suoi occhi gridavano amore. Si affrettarono a tornare a casa, con la gioia nel cuore, con la passione in corpo, e si abbandonarono a entrambe.

Quella sera Deke trovò in tasca un bigliettino azzurro, con su scritto:


Stavo dicendo:

Stephen Ernst Kaufmann.

Martha è d'accordo...

Ti amo, Laura


E io ti adoro - disse ad alta voce. Laura fingeva di dormire, ma il suo cuore gridava - sono felice -


Un soffio leggero... e attese.

Ancora un soffio... e ancora...

- Auby cara? Compagna Laughton? Ho comprato il filo azzurro. Oh, signora del New Worker...

PUOI CHIAMARLA COME VUOI, NON SERVIRÀ A NIENTE.

John, incàzzati. Esci di qui, e spacca qualche cosa. Ma non restare a guardarla... sei un uomo, merda, lo sai come funziona la vita, lo dicevano anche Karl e Friedrich.

Però... però lei... cioè, sfuggire a quell'attentato per morire di qualcosa di più subdolo e impalpabile - ne valeva la pena? Uno per uno, noi irriducibili del circolo di C. ci spegneremo così, e non resterà nessuno a ricordare come ci siamo incontrati Richie ed io vent'anni fa. E come abbiamo inaugurato la sede con il numero minimo di iscritti. E Ned che sognava di aprire il centro di assistenza fiscale, Declan con ancora gli ultimi rimasugli di religione in quella sua testa rossa, e Auburn... irraggiungibile come può esserlo una compagna più grande e sposata. Aspettare che i suoi figli crescessero, che lei prendesse la decisione di separarsi da suo marito. Sperare di vedere il suo sguardo cambiare e voltarsi nella mia direzione. E quando è successo, quando finalmente l'ho avuta... erano cambiate così tante cose... ma non i miei sentimenti. Mai.

Devo vivere... non è vero? Mi tocca. Non so che cosa sia peggio, davvero non so più di cosa abbia senso aver paura.


Si chiamerà Stevie.

Arriva un'altra generazione.

   
 
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